Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 giugno 2021| n. 17076.
Motivo di nullità di una sentenza d’appello e ricusazione del Giudice.
Non è deducibile come motivo di nullità di una sentenza d’appello la circostanza che uno dei componenti del collegio che l’ha pronunciata avesse in precedenza conosciuto dei medesimi fatti in sede di reclamo contro l’ordinanza di rigetto della richiesta di provvedimento d’urgenza “ante causam”, poiché l’avere conosciuto della stessa causa in un altro grado deve essere ritualmente fatto valere come motivo di ricusazione del giudice, a norma degli articoli 51, comma 1, n. 4, e 52 cod. proc. civ. e, d’altra parte, l’avere trattato della controversia in sede di procedimento cautelare “ante causam” neanche costituisce, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 326/1997 e ordinanza n. 193/1998), un’ipotesi sufficientemente assimilabile, sotto il profilo dell’incompatibilità, alla trattazione della causa in un altro grado di giudizio (Nel caso di specie relativo ad un giudizio di risoluzione di un contratto di compravendita di bene immobile privo del certificato di abitabilità, la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il motivo con cui il ricorrente aveva dedotto la violazione e mancata applicazione degli articoli 51, quarto comma, cod. proc. civ. e 78 disp. att. cod. proc. civ. per aver la corte territoriale pronunciato in violazione del dovere di astensione, posto che uno dei componenti del collegio di seconda istanza era stato membro del collegio che aveva deciso il reclamo proposto dal ricorrente medesimo, ai sensi dell’articolo 669-terdecies cod. proc. civ. avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione che aveva ravvisato la natura non esecutiva di alcuni capi della sentenza di prime cure). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile I, sentenza 31 ottobre 2018, n. 27924; Cassazione, sezione civile L, sentenza 13 agosto 2001, n. 11070).
Ordinanza|16 giugno 2021| n. 17076. Motivo di nullità di una sentenza d’appello e ricusazione del Giudice
Data udienza 16 aprile 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Motivo di nullità di una sentenza d’appello e ricusazione del Giudice – Sentenza d’appello – Nullità – Motivazione – Reclamo contro l’ordinanza di rigetto della richiesta di provvedimento d’urgenza ante causam – Circostanza che uno dei componenti del collegio che l’ha pronunciata avesse in precedenza conosciuto dei medesimi fatti – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22936-2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro.
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 128/2019 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, SEZ.DIST. DI di TARANTO, depositata il 28/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
Motivo di nullità di una sentenza d’appello e ricusazione del Giudice
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 27.5.2013 (OMISSIS) evocava in giudizio (OMISSIS) ed il notaio (OMISSIS) innanzi il Tribunale di Taranto per sentir pronunciare nei loro confronti la risoluzione del contratto di compravendita dell'(OMISSIS) per fatto e colpa della parte venditrice, nonche’ per sentire condannare le due convenute, tra loro in solido, al risarcimento del danno. A sostegno della propria domanda, l’attore deduceva che l’immobile oggetto della compravendita era sprovvisto del certificato di agibilita’.
Nella resistenza delle due convenute, che si costituivano con separate comparse, il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 1418/2016, accoglieva la domanda, condannando la venditrice (OMISSIS) a restituire allo (OMISSIS) il prezzo a suo tempo percepito per la compravendita, rigettando invece ogni domanda nei confronti della (OMISSIS), notaio che aveva rogato l’atto oggetto della controversia.
Interponeva appello avverso detta decisione la (OMISSIS) e si costituiva in seconde cure lo (OMISSIS), resistendo al gravame.
Con la sentenza oggi impugnata, n. 128/2019, la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, riformava la decisione di prime cure, rigettando la domanda dello (OMISSIS) e condannando quest’ultimo alle spese del doppio grado.
Propone ricorso per la cassazione di detta pronuncia lo (OMISSIS), affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimita’ dell’adunanza camerale.
Motivo di nullità di una sentenza d’appello e ricusazione del Giudice
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e mancata applicazione dell’articolo 51 c.p.c., comma 4, e articolo 78 disp. att. c.p.c., perche’ la Corte di Appello avrebbe pronunciato in violazione del dovere di astensione, posto che uno dei componenti del collegio di seconda istanza era stato membro del collegio che aveva deciso il reclamo che era stato proposto dallo (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 669 terdecies c.p.c., avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione che aveva ravvisato la natura non esecutiva di alcuni capi della sentenza di prime cure.
La censura e’ inammissibile, alla luce del principio, cui il collegio intende dare continuita’, secondo cui “Non e’ deducibile come motivo di nullita’ di una sentenza d’appello la circostanza che uno dei componenti del collegio che l’ha pronunciata avesse in precedenza conosciuto dei medesimi fatti in sede di reclamo contro l’ordinanza di rigetto della richiesta di provvedimento d’urgenza “ante causam”, poiche’ l’avere conosciuto della stessa causa in un altro grado deve essere ritualmente fatto valere come motivo di ricusazione del giudice, a norma dell’articolo 51 c.p.c., comma 1, n. 4, e articolo 52 c.p.c., e, d’altra parte, l’avere trattato della controversia in sede di procedimento cautelare “ante causam” neanche costituisce, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 326/1997 e ordinanza n. 193/1998), un’ipotesi sufficientemente assimilabile, sotto il profilo
dell’incompatibilita’, alla trattazione della causa in un altro grado di giudizio” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27924 del 31/10/2018, Rv. 651123; cfr. anche Cass. Sez. L, Sentenza n. 11070 del 13/08/2001, Rv. 548984).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 345 c.p.c., perche’ la Corte distrettuale avrebbe erroneamente consentito l’ingresso, nel giudizio di seconde cure, di documenti non prodotti nel corso del primo grado.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta inoltre la violazione degli articoli 112 e 113 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, perche’ il collegio di secondo grado avrebbe posto a base della propria decisione un documento che, pur risultando emesso nel 2018, era stato prodotto dalla parte appellante soltanto nella fase di appello.
Le due censure, che meritano di essere esaminate congiuntamente, sono inammissibili. L’articolo 354 c.p.c., riconosce infatti al giudice di secondo grado la facolta’ di autorizzare il deposito di documentazione ritenuta decisiva, ancorche’ non prodotta in prime cure, laddove la parte che vi ha interesse dimostri di non averla potuta produrre in prima istanza, per causa non imputabile. Nel caso di specie, la (OMISSIS) aveva prodotto in appello il certificato di agibilita’ dell’immobile compravenduto tra le parti, che era stato rilasciato – secondo quanto affermato dalla sentenza impugnata – “… nel corso del giudizio relativo all’azione di risoluzione del contratto” (cfr. pag. 3) ed il ricorrente non dimostra che si trattasse di documento gia’ esistente all’atto del deposito della sentenza di primo grado. Al contrario, agli atti del giudizio vi e’ la prova del contrario, poiche’:
1) la sentenza del Tribunale di Taranto e’ stata pronunciata nel 2016;
2) la Corte di Appello fa riferimento, nella motivazione della sentenza impugnata, al fatto che il Comune di (OMISSIS) avesse comunicato, con propria nota del (OMISSIS), la sussistenza dei presupposti per il rilascio del certificato di agibilita’;
3) nel terzo motivo di ricorso lo stesso ricorrente evidenzia che il certificato di agibilita’ e’ stato emesso nel 2018.
Poiche’ dunque il certificato di agibilita’ dell’immobile e’ stato emesso evidentemente in data successiva al deposito della sentenza di prime cure, la sua produzione in appello e’ del tutto legittima e non sussiste alcuna violazione, ne’ dell’articolo 345 c.p.c., ne’ degli articoli 112 e 113 c.p.c..
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 1453 c.c., comma 2, articolo 1455 c.c. e articolo 1477 c.c., comma 3, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perche’ la Corte distrettuale avrebbe dovuto configurare un inadempimento grave a carico della (OMISSIS), a fronte della mancata produzione del certificato di agibilita’ del bene immobile compravenduto tra le parti.
La censura e’ inammissibile.
Con essa, infatti, il ricorrente invoca il riesame della valutazione del fatto e delle prove operata dal giudice di secondo grado, in violazione dei principi secondo cui:
1) il motivo di ricorso non puo’ risolversi in mera richiesta di revisione del giudizio di merito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790);
2) la valutazione delle prove e la scelta di quali tra esse sia decisiva appartiene al giudice di merito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto, all’esito di giudizio di fatto non censurabile in questa sede, che alla luce dell’intervenuto rilascio del certificato di agibilita’ da parte del Comune di (OMISSIS) non sussistessero i presupposti per dichiarare la risoluzione del contratto di compravendita.
Nell’ambito di tale apprezzamento il giudice di appello ha valorizzato anche il fatto che il compratore avesse dichiarato,
in atto, di aver eseguito indagini urbanistiche presso gli uffici competenti, “… sicche’ non poteva non essere consapevole dell’attuale inesistenza del certificato di agibilita’, con conseguente accettazione del relativo stato dell’immobile”.
Con il quinto ed ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe erroneamente posto a suo carico le spese del doppio grado di giudizio, senza considerare che l’accoglimento del gravame era dipeso dalla tardiva produzione, da parte appellante, di un documento che, pacificamente, non esisteva al momento del rogito di compravendita.
La censura e’ inammissibile.
La Corte di Appello, nell’accogliere il gravame proposto dalla (OMISSIS), ha integralmente riformato la decisione di prime cure e rigettato la domanda in origine proposta dallo (OMISSIS). Le spese del doppio grado del giudizio di merito, dunque, sono state poste a carico di quest’ultimo in applicazione del principio generale della soccombenza.
Inoltre, la Corte territoriale ha anche affermato che la mancanza, all’atto del rogito, del certificato di agibilita’ dell’immobile non costituiva circostanza idonea a precludere la conclusione della compravendita. La statuizione, non adeguatamente attinta dal motivo di censura in esame, contribuisce a giustificare la decisione del giudice di appello, di porre le spese di lite totalmente a carico dell’originario attore, risultato, all’esito del doppio grado, totalmente soccombente.
Ne’ e’ consentito a questa Corte alcun sindacato sull’esercizio, o sul mancato esercizio, da parte del giudice di merito, del potere di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, poiche’ “In materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimita’ trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e cio’ vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, percio’, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18128 del 31/08/2020, Rv. 658963 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14023 del 27/09/2002, Rv. 557676).
In definitiva, il ricorso e’ inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply