Motivazione della sentenza che recepisce le conclusioni di una CTU

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 giugno 2021| n. 18008.

Motivazione della sentenza che recepisce le conclusioni di una CTU

In tema di ricorso per cassazione, per infirmare la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità. Le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicità nonché la valutazione della decisività della questione.

Ordinanza|23 giugno 2021| n. 18008. Motivazione della sentenza che recepisce le conclusioni di una CTU

Data udienza 12 febbraio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: VENDITA – CONTRATTO PRELIMINARE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 10322/2016 proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli Avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), ed elettivamente domiciliati, presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1596/2015, della CORTE d’APPELLO di CATANIA, del 20.10.2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/02/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

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FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Patti (OMISSIS) esponendo che con due distinti contratti preliminari il convenuto le aveva promesso in vendita due appartamenti siti nel complesso edilizio (OMISSIS); che, mentre essa istante aveva adempiuto all’obbligazione di pagare la parte di prezzo dovuta, uno dei due appartamenti non era stato completato; che aveva dovuto corrispondere all’istituto mutuante un interesse del 24% in luogo di quello del 16% indicato nella proposta di vendita, a causa del ritardo del costruttore nell’eseguire i lavori; che con altra scrittura privata del 26.3.1980 aveva versato per la costruzione di un soppalco un acconto di Lire 1.500.000, senza che l’opera fosse stata realizzata. Cio’ premesso, l’attrice chiedeva emettersi sentenza di trasferimento della proprieta’ degli appartamenti di cui ai preliminari del 18.4.1980 e 23.8.1980, con la condanna del convenuto al completamento dei lavori nell’appartamento “A1+parte di A2”; dichiarare e risolvere per inadempimento del convenuto il contratto per la costruzione del soppalco, con condanna del medesimo alla restituzione dell’acconto con interessi e rivalutazione.
Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale deduceva che era da addebitarsi alla (OMISSIS) la mancata stipula dei due contratti relativamente agli immobili, di cui egli chiedeva la risoluzione per inadempimento dell’attrice che non aveva corrisposto le somme dalla medesima ancora dovute; e domandava la pronuncia di risoluzione di un terzo contratto preliminare relativo all’appartamento “A3+parte di A2”, oltre al risarcimento dei danni per inadempimento dell’attrice all’obbligazione di pagare la somma di Lire 26.000.000.

 

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Con sentenza n. 1392/1999, depositata in data 18.11.1999, il Tribunale di Patti disponeva, ex articolo 2932 c.c., il trasferimento della proprieta’ in favore della (OMISSIS) degli immobili promessi in vendita, contraddistinti come A1+parte di A2 e A6; condannava il (OMISSIS) al pagamento della somma di Lire 8.000.000 a titolo di risarcimento dei danni per vizi dei predetti immobili; pronunciava la risoluzione di diritto, per effetto di clausola risolutiva espressa conseguente all’inadempimento della promissaria acquirente, del terzo contratto preliminare, condannando il (OMISSIS) alla restituzione della somma di Lire 10.000.000, ricevuta quale anticipo del prezzo e la (OMISSIS) alla restituzione dell’immobile.
Avverso detta sentenza proponeva appello il (OMISSIS) chiedendone la riforma; la (OMISSIS) a sua volta proponeva appello incidentale.
Con sentenza n. 435/2005 del 30.9.2005, la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della decisione impugnata, confermava la risoluzione del terzo contratto preliminare per inadempimento della (OMISSIS), che condannava al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata utilizzazione dell’immobile da parte del (OMISSIS) fino al 1999, data della sentenza di primo grado, danni che erano liquidati nella somma di Lire 52.000.000; quantificava il danno per vizi degli immobili (A1+parte di A2 e A6) in Lire 12.729.000, da cui era detratto per compensazione l’importo di Lire 700.000, dovuto dalla (OMISSIS); che sull’ammontare di Lire 12.029.000 cosi’ determinato andavano riconosciuti la svalutazione monetaria e gli interessi legali, previa devalutazione e rivalutazione anno per anno; in accoglimento dell’appello incidentale, il convenuto era condannato al pagamento della penale pattuita per ritardata consegna con gli interessi legali.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il (OMISSIS) sulla base di sette motivi, cui resisteva la (OMISSIS).

 

Motivazione della sentenza che recepisce le conclusioni di una CTU

Con sentenza n. 16963/2009, depositata in data 21.7.2009, la Corte di Cassazione accoglieva il quinto, sesto e settimo motivo di ricorso e, cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinviava, anche per le spese della fase di legittimita’, alla Corte d’Appello di Catania.
Con atto di citazione ritualmente notificato, gli eredi di (OMISSIS), nelle more deceduto, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) riassumevano il giudizio insistendo per la condanna della (OMISSIS) al risarcimento dei danni per l’utilizzo del bene dal 1.1.1982 al 30.12.2005 (data di restituzione), oltre rivalutazione e interessi legali, da compensare con l’importo di Lire 10.000.000 versato dall’appellata.
Si costituiva in giudizio la (OMISSIS) chiedendo dichiararsi l’inesistenza o nullita’ della sentenza della Corte d’Appello di Messina e il rigetto nel merito delle altrui domande.
Espletata CTU, con sentenza n. 1596/2015, depositata in data 20.10.2015, la Corte d’Appello di Catania condannava la (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 100.159,19, oltre ulteriore rivalutazione monetaria a far data dal deposito della CTU (1.8.2014) sino alla pubblicazione della sentenza e ulteriori interessi legali sino al soddisfo, sulla scorta dei criteri indicati nella parte motiva; condannava la (OMISSIS) al pagamento di 1/3 delle spese di tutti i precedenti gradi di giudizio e della fase di rinvio.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di sei motivi. Resistono i (OMISSIS) con controricorso.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto, in relazione all’articolo 2697 c.c. e all’articolo 111 Cost., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, osservando che, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., il (OMISSIS) aveva il preciso onere (non adempiuto) di provare il danno asseritamente subito in conseguenza della mancata disponibilita’ del bene, anzitutto nell’an, prima ancora che nel quantum. Inoltre, la Corte d’Appello aveva errato nel disporre l’espletamento di una CTU esplorativa al fine di determinare il valore locativo del bene. La Suprema Corte aveva cassato la sentenza nel punto in cui era stata adottata la liquidazione equitativa del danno, in mancanza dei presupposti (quantificazione impossibile o estremamente difficoltosa); e pertanto la Corte d’Appello non avrebbe dovuto disporre CTU prima di aver effettuato una valutazione in ordine all’ammissibilita’ della medesima. Tale valutazione avrebbe dovuto condurre a una pronuncia di inammissibilita’ della CTU per mancanza di elementi di prova su cui disporre l’accertamento tecnico. Sicche’, da un lato, la CTU non era strumento idoneo per sopperire all’onere della prova, ne’ poteva esonerare la parte dall’adempiervi; mentre dall’altro lato, l’astratto valore locativo del bene computato dal CTU non dimostrava, di per se’, che il (OMISSIS) avesse concretamente perso il corrispondente guadagno in conseguenza della mancata disponibilita’. Infine, la Corte d’Appello violava, oltre al disposto dell’articolo 2697 c.c., anche il principio del giusto processo ex articolo 111 Cost., essendosi sostituita alla parte nella ricerca della prova.
1.1. – Il motivo e’ inammissibile.
1.2. – Costituisce principio consolidato (da ultimo Cass. n. 9156 del 2019; Cass. n. 5137 del 2019) che la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un processo chiuso, nel quale e’ preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilita’ di proporre nuove domande, eccezioni, nonche’ conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attivita’ assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass. n. 25244 del 2013). Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, ne’ presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione diversi da quelli che erano stati formulati nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. n. 4096 del 2007; Cass. n. 13719 del 2006; in senso analogo, Cass. n. 13006 del 2003).

 

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La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non gia’ come atto di impugnazione, ma come attivita’ d’impulso processuale, volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (cfr. Cass. n. 25244 del 2013, cit.; cfr. Cass. n. 4018 del 2006). Ne’ va dimenticato che a tali regole si aggiunge quella secondo cui, in tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimita’, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non puo’ porsi in contrasto (Cass. n. 3955 del 2018).
Altrettanto consolidato e’, inoltre, il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice del rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex articolo 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilita’ di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo puo’ valutare liberamente i fatti gia’ accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze gia’ verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, puo’ comportare la valutazione ex novo dei fatti gia’ acquisiti, nonche’ la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimita’ (Cass. n. 17790 del 2014; conf. Cass. n. 838 del 2013; Cass. n. 13719 del 2006).
1.3. – Cio’ premesso, va tenuto conto del fatto che (a seguito del ricorso in cassazione, proposto da (OMISSIS)), con sentenza n. 16963/2009, depositata in data 21.7.2009, la Corte di Cassazione aveva specificatamente accolto esclusivamente il quinto, sesto e settimo motivo di ricorso e, cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, aveva rinviato, anche per le spese della fase di legittimita’, alla Corte d’Appello di Catania.
In particolare, questa Corte di legittimita’ aveva ritenuto che “Il risarcimento dei danni determinati dalla mancata utilizzazione dell’immobile detenuto dalla promissaria acquirente doveva essere liquidato fino al momento in cui si era protratta la condotta illecita della (OMISSIS) che non aveva restituito l’immobile nonostante che, per effetto della risoluzione, la medesima non avesse piu’ titolo per detenerlo: la sentenza impugnata ha invece limitato il risarcimento fino al 1999, cioe’ all’epoca in cui era stata pronunciata la decisione di primo grado che aveva disposto il rilascio, mentre avrebbe dovuto considerare e determinare la lesione patrimoniale facendo riferimento al momento dell’effettiva consegna del bene.

 

Motivazione della sentenza che recepisce le conclusioni di una CTU

I giudici hanno proceduto alla liquidazione equitativa del danno, al quale il giudice puo’ fare ricorso quando la quantificazione ne sia impossibile o estremamente difficoltosa: nella specie, in cui il ricorrente aveva chiesto l’ammissione della consulenza tecnica d’ufficio, sarebbe stato possibile procedere senza particolari difficolta’ all’accertamento del mancato reddito ricavabile per effetto dell’occupazione del bene: d’altra parte, deve ritenersi del tutto insufficiente la motivazione con cui i giudici hanno compiuto la valutazione del danno, atteso che gli elementi al riguardo indicati in modo assolutamente generico non consentono di compiere alcun riscontro obiettivo in ordine all’effettivo valore di mercato degli immobili in questione e alla misura del reddito retraibile. Nel procedere alla determinazione del danno l’importo, espresso in termini monetali, dovra’ essere rapportato – al momento della liquidazione – al valore di cui il patrimonio del creditore deve essere reintegrato secondo quanto sopra si e’ detto”.
1.4. – Pertanto, del tutto coerentemente, la Corte distrettuale, nel giudizio di rinvio de quo ed “alla luce della sentenza della S.C.”, aveva disposto consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare il valore locativo dell’unita’ immobiliare (di cui al terzo preliminare sita nel complesso (OMISSIS) individuata come villa (OMISSIS) appartamento (OMISSIS), oltre porzione dell’appartamento individuato in progetto come (OMISSIS), dall’1.1.1982 al 30.12.2005, data di effettivo rilascio) e di calcolare su dette somme la rivalutazione monetaria ad oggi in base agli indici istat dei prezzi al consumo, nonche’ gli interessi legali sugli importi devalutati e di anno in anno rivalutati” (sentenza impugnata, pag. 4).
Lungi, dunque, dall’asserito vulnus al principio evocato, l’odierna sentenza dava applicazione ai dettami esplicitati dalla decisione di questa Corte, che con l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, affermava l’opportunita’ di accertare in sede di rinvio il quantum del pregiudizio correlato alla protratta utilizzazione da parte della (OMISSIS) dell’immobile in oggetto. Tale pronunzia era basata sul presupposto dell’acquisizione al giudizio della prova della sussistenza del danno in relazione all’an debeatur.

 

Motivazione della sentenza che recepisce le conclusioni di una CTU

Dal momento che la sentenza di Cassazione vincola il Giudice di rinvio non solo in ordine ai principi di diritto affermati, ma anche ai necessari presupposti di fatto, la Corte di Catania, nella sua insindacabile valutazione, ha coerentemente ritenuto ammissibile e disposto la CTU, che nella specie non assume la caratteristica di atto meramente esplorativo.
1.5. – E’ consolidato principio che (cfr. Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 6542 del 2004), ove una determinata questione giuridica (che implichi un accertamento di fatto) non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
D’altra parte, specificamente in tema di ricorso per cassazione, per infirmare la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, e’ necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa gia’ dinanzi al giudice a quo e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisivita’ e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimita’ (Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017). Le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimita’ risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicita’ nonche’ la valutazione della decisivita’ della questione (Cass. n. 2707 del 2004; Cass. n. 7696 del 2006; Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013).
Nella specie, invece, la ricorrente non ha riprodotto in ricorso, nella stesura minimamente sufficiente per comprenderne i presupposti e le conclusioni, ne’ la relazione integrativa del consulente tecnico d’ufficio, con i relativi allegati.
2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5″. Con la sentenza n. 16963 del 2009 la Suprema Corte precisava che il danno conseguente alla mancata utilizzazione dell’immobile avrebbe dovuto essere liquidato “fino al momento in cui si era protratta la condotta illecita della (OMISSIS)”. La Corte d’Appello riteneva di operare la liquidazione fino al 30.12.2005, data di effettivo rilascio. Tuttavia, ometteva ogni valutazione in merito all’effettiva illiceita’ della condotta della (OMISSIS), ovvero in ordine al momento in cui la mancata restituzione avrebbe potuto considerarsi giustificata. La Corte d’Appello di Messina correttamente riteneva imputabile a fatto e colpa del (OMISSIS) il mancato utilizzo dell’immobile dal 1999 in poi per mancato adempimento dell’obbligazione di restituzione del prezzo d’acconto pari a Lire 10.000.000. Tale circostanza era confermata nella comparsa conclusionale della (OMISSIS). Invece, la Corte d’Appello di Catania ometteva ogni esame sulla questione inerente l’illiceita’ o meno della condotta della (OMISSIS) dopo il 1999, pur ampiamente dibattuta tra le parti.
2.1. – Il motivo e’ inammissibile.

 

Motivazione della sentenza che recepisce le conclusioni di una CTU

2.2. – Quello dell’accertamento del danno conseguente alla mancata utilizzazione di un immobile e/o del momento in cui tale danno debba essere liquidato costituisce un dato di fatto, riguardo al quale e’ affermazione consolidata che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).
Ne consegue che tale accertamento e’ censurabile in sede di legittimita’ unicamente nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie, che appare congrua e coerentemente supportata) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire al rapporto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure puo’ risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).
Il controllo affidato a questa Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che cio’ si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’ (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014). Sicche’, in ultima analisi, tale motivo si connota quale riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimita’, di doglianze di merito che attengono all’apprezzamento motivatamente svolto dalla Corte di merito (Cass. n. 24817 del 2018).
3. – Con il terzo motivo, la ricorrente censura la “Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto, in relazione all’articolo 1460 c.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poiche’ la Corte d’Appello avrebbe dovuto escludere il carattere illecito della condotta della (OMISSIS), la quale, a fronte dell’inadempimento del (OMISSIS) all’obbligo di restituzione della somma di Lire 10.000.000, non aveva restituito l’immobile, trattandosi di obbligazioni corrispettive legate da rapporto sinallagmatico.
3.1. – Il motivo e’ inammissibile.
3.2. – La Corte d’Appello di Messina aveva disposto la compensazione tra le partite creditorie vantate dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS), specificando che sulla somma “spettante al (OMISSIS), dopo la compensazione, spettano la rivalutazione monetaria… e gli interessi sulla somma via via rivalutata”. Pertanto, doveva ritenersi formato il giudicato sulla spettanza; dovendosi ribadire che nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, ne’ presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione diversi da quelli che erano stati formulati nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. n. 4096 del 2007; Cass. n. 13719 del 2006; in senso analogo, Cass. n. 13006 del 2003).
Laddove comunque, quanto alla asserita compensazione tra i rispettivi crediti, va escluso che sussista tra i due obblighi alcun rapporto sinallagmatico, in quanto il pagamento posto a carico del (OMISSIS) ha natura restitutoria conseguente alla risoluzione del preliminare per inadempienza della promissaria acquirente, mentre il pagamento posto a carico della (OMISSIS) ha natura risarcitoria.

 

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4. – Con il quarto motivo, la ricorrente censura l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, poiche’ la Corte territoriale errava per non aver esaminato l’eccezione sollevata dalla (OMISSIS) in ordine all’erronea identificazione del bene immobile da sottoporre a CTU e la conseguente valutazione, a opera del CTU, del supposto mancato guadagno inerente il godimento di un immobile diverso da quello oggetto di causa e gravato da obbligo di restituzione. L’immobile oggetto di CTU non doveva essere l’unita’ sita nel complesso e acquistata dalla (OMISSIS) (ovvero quella cui il CTU fa riferimento), bensi’ altra e differente unita’ dalla stessa non acquistata e rimasta intestata al (OMISSIS). La qual cosa inficiava tutta la relazione rendendola inutilizzabile.
4.1. – Il motivo e’ inammissibile.
4.2. – Va posto in rilievo che costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis) consente di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).
A seguito della riforma del 2012 e’ scomparso pertanto, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, rimanendo il controllo circa la esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e la coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorieta’ e dell’illogicita’ manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.
Detto controllo concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014).
4.3. – Nel rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente (nella specie) avrebbe dunque dovuto anche specificamente e contestualmente indicare con precisione, oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’” (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, non v’e’ idonea e spcifica indicazione.
5. – Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto, in relazione all’articolo 112 c.p.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. In conseguenza della sottoposizione a CTU di un bene differente da quello oggetto di causa, la Corte d’Appello recepiva le risultanze dell’elaborato peritale, liquidando in favore dei (OMISSIS) il danno conseguente alla mancata disponibilita’ di un bene differente da quello che avrebbe dovuto essere restituito. Con cio’ incorrendo in violazione del principio di cui all’articolo 112 c.p.c..
5.1. – Il motivo e’ inammissibile.

 

Motivazione della sentenza che recepisce le conclusioni di una CTU

5.2. – Ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione (Cass. sez. un. 17931 del 2013; Cass. n. 2051 del 2019).
Se e’ vero, dunque, che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo altrettanto chiaro e specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014). Cio’ richiede che i motivi dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificita’, della completezza e della riferibilita’ alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta l’esposizione di argomenti intelligibili ed esaurienti ad supporto di dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015).
5.3. – Nella specie, e’ assorbente rilevare che nel motivo manca qualsiasi indicatore idoneo a riferire le ragioni di impugnazione ad una delle censure espressamente e tassativamente previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1; e manca l’esatta individuazione della norma o delle norme asseritamente violate. Con cio’, altrettanto inammissibilmente, mirando la ricorrente ad ottenere dal giudice di legittimita’ una pronuncia di accoglimento dei propri assunti difensivi, non formalmente ne’ sostanzialmente proposti e/o spiegati.
6. – Con il sesto motivo, la ricorrete deduce la “Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto, in relazione all’articolo 2041 c.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poiche’ la ricorrente aveva liquidato in favore dei (OMISSIS) il mancato guadagno lordo inerente il godimento dell’immobile, anziche’ al netto computato dal CTU (il quale operava la detrazione dell’imposizione fiscale), con cio’ attribuendo loro un risarcimento superiore al supposto danno, in violazione della norma di cui all’articolo 2041 c.c., in materia di arricchimento senza causa.
6.1. – Il motivo e’ inammissibile.
6.2. – La questione del carico fiscale non poteva essere proposta in sede di rinvio, in quanto avrebbe dovuto essere proposta nel giudizio di appello e di ricorso incidentale in sede di legittimita’. A tale proposito, la Corte d’Appello di Catania riteneva correttamente che non si dovesse tenere conto dell’imposizione fiscale, riducendo il risarcimento al netto della stessa, in quanto si trattava di ipotesi risarcitoria e, comunque, considerato che, anche ove le somme percepite fossero da assoggettare a imposta IRPEF, il versamento avrebbe dovuto essere effettuato dal creditore una volta inserite nella dichiarazione dei redditi.
7. – Nel concludere, va sottolineato (ed in parte ribadito: sub 2.3.) come il generale principio ermeneutico secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilita’ e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui e’ insindacabile, in sede di legittimita’, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

 

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Parimenti, per venire piu’ specificamente al thema decidendum, va rilevato che, quanto alla interpretazione del contratto (specificamente riferibile alle censure mosse con il primo motivo), l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volonta’ degli stipulanti, in relazione al contenuto dei negozi inter partes (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento e’ anch’esso censurabile in sede di legittimita’ soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure puo’ risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).
Per sottrarsi al sindacato di legittimita’, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, si’ che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimita’ che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10466 del 2017; Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003).
7.1. – Altresi’ pacifico e’ che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimita’ sia configurabile (cosa che nella specie non e’ dato ravvisare) solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito, e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando e’ evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non gia’ quando vi sia difformita’ rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014).
A cio’ si correla teleologicamente l’ulteriore principio, altrettanto consolidato, per il quale i requisiti di contenuto e forma previsti, a pena di inammissibilita’, dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possano essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla stessa indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 2018; conf. Cass. n. 20694 del 2018).
7.2. – Il ricorrente ha, dunque, l’onere (che nella specie non risuta esser stato assolto) di indicarne nel ricorso il contenuto rilevante, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresi’ Cass. n. 5478 del 2018; Cass. n. 22576 del 2015; n. 16254 del 2012); potendo solo cosi’ reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (a pena di inammissibilita’) e dall’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilita’ del ricorso) (Cass. n. 17168 del 2012). E indicare (mediante anche la trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso) la risultanza che egli asserisce essere decisiva e/o non valutata, o insufficientemente considerata, atteso che, per il contenuto nell’atto, senza necessita’ di indagini integrative principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n. 12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012). Nella specie, di tali atti, rapsodicamente richiamati, la ricorrente non ha riportato il contenuto completo o quello necessario e sufficiente onde poterne riscontrare (nei limiti dell’apprezzamento riservato al giudice di merito) l’asserita portata negoziale e l’incidenza sullo specifico rapporto.
7.3. – Laddove, va altresi’ rilevato che, cosi’ come articolate da parte ricorrente, tutte le censure si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, cosi’ mostrando i ricorrenti di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per cio’ solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri piu’ consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilita’ nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimita’ (Cass. n. 5939 del 2018).
Ma, come questa Corte ha piu’ volte sottolineato, compito della Cassazione non e’ quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimita’ limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; cio’ che nel caso di specie e’ dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
8. – Il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida per i controricorrenti in Euro 4.000,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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