Millantato credito

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|22 luglio 2021| n. 28657.

Millantato credito.

Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’articolo 346, comma 2, del Cp, formalmente abrogato dall’articolo 1, comma 1, lettera s), della legge 9 gennaio 2019 n. 3, e la fattispecie di cui all’articolo 346-bis del Cp, come novellato dall’articolo 1, comma 1, lettera t), della stessa legge, in quanto in quest’ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità, «col pretesto» di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all’articolo 640, comma 1, del Cp.

Sentenza|22 luglio 2021| n. 28657. Millantato credito

Data udienza 2 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola: Millantato credito – Condotta prevista dall’articolo 346 secondo comma del cp – Pubblica funzione – Interessi tutelati dall’articolo 346 – bis del cp

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Perugia il 14/01/2020;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Pietro Silvestri;
lette le conclusioni, depositate ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, del Sostituto Procuratore generale, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto ai capi C-D-F- perche’, riqualificati i fatti nel reato di truffa, i delitti sarebbero estinti per prescrizione, l’annullamento senza rinvio quanto alla ritenuta recidiva e l’annullamento con rinvio ai fini della rideterminazione della pena, con rigetto del motivo relativo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Millantato credito

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato il giudizio di penale responsabilita’ nei confronti di (OMISSIS) per i capi di imputazione sub C) -D) -F) (ricondotti i fatti – originariamente sussunti nella fattispecie di cui all’articolo 346 c.p., comma 2, – al delitto di cui all’articolo 346-bis c.p.) H)- L) (truffa).
Quanto al capo C), (OMISSIS), dopo essersi qualificato come membro della Commissione prove fisiche del (OMISSIS), avrebbe inviato a tale (OMISSIS) l’elenco degli esami chimico clinici che questi avrebbe dovuto ripetere per garantirgli la certezza della idoneita’ ad un concorso e cio’ avrebbe fatto dietro compenso di complessivi Euro 200, millantando credito presso l’Ufficio Trasferimenti del Ministero della Difesa e promettendo falsamente l’avvenuto trasferimento definitivo presso una data caserma.
Quanto al capo D), l’imputato, millantando credito presso ufficiali dell’esercito in servizio a Roma ed in Puglia, col pretesto di comprare i favori di detti militari e far ottenere a (OMISSIS) l’arruolamento in servizio permanente nell’Esercito, nei Carabinieri o nella Polizia penitenziaria, avrebbe ricevuto dallo stesso (OMISSIS) la somma di 2.200 Euro in piu’ riprese ed alcune ricariche telefoniche.
Quanto al capo F), l’imputato, millantando credito presso la commissione esaminatrice di un determinato concorso dell’esercito, avrebbe garantito a (OMISSIS) il suo personale interessamento per il superamento della prova fisica e delle successive prove concorsuali, ricevendo la somma di Euro 250.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato articolando otto motivi.
Con i primi due si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di colpevolezza per i capi C) -D) -F).
Il tema attiene alla qualificazione giuridica dei fatti ed alla ritenuta continuita’ normativa tra l’articolo 346 c.p., comma 2, ed il nuovo articolo 346-bis c.p..
Sul punto si segnala un contrasto nella giurisprudenza di legittimita’.
2.2. Con il terzo ed il quarto motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negate senza considerare l’atteggiamento strumentale delle persone offese.
2.3. Con il quinto ed il sesto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla recidiva, ritenuta per effetto della esistenza di una precedente sentenza di applicazione di pena e senza alcuna motivazione.
2.4. Con il settimo e l’ottavo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla dosimetria della pena.

 

Millantato credito

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato, quanto al primo motivo, che ha valenza assorbente.
2. Dalla sentenza impugnata emerge in punto di fatto che l’imputato, dipendente del Ministero della Difesa, svolgesse un incarico che gli consentiva la consultazione di elenchi e documenti dai’ quali poteva attingere informazioni cui erano interessate persone che avevano affrontato e si accingevano ad affrontare prove selettive e, piu’ in generale, concorsi.
In particolare, (OMISSIS) si proponeva come soggetto in grado di “risolvere i vari problemi” e in tale contesto, millantando di avere relazioni nell’ambiente militare e di essere in grado di agevolare le persone a superare “i problemi”, si faceva consegnare del denaro; in realta’, secondo i giudici di merito, ” ingannava le diverse persone poiche’ non era vero che fosse in grado di alterare il corso delle prove e di assicurare un esito favorevole”.
Sulla base di tale presupposto fattuale si e’ ritenuto che i fatti, sussumibili nell’ambito del previgente articolo 346 c.p., comma 2, abrogato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, articolo 1, comma 1, siano riconducibili alla fattispecie prevista dall’articolo 346-bis c.p., comma 1, come modificato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, articolo 1, comma 1, lettera t), n. 1.
3. La questione dedotta attiene al se vi sia continuita’ normativa tra la fattispecie di cui all’articolo 346 c.p., comma 2 e quella di traffico di influenze illecite ovvero se l’area un tempo presidiata dalla millanteria corruttiva sia ora inquadrabile nel delitto di truffa.
4. Secondo una prima opzione interpretativa, sussiste continuita’ normativa tra il reato di millantato credito, formalmente abrogato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, articolo 1, comma 1, lettera s), e quello di traffico di influenze di cui al novellato articolo 346-bis c.p., atteso che in quest’ultima fattispecie risulta attualmente ricompresa anche la condotta di chi, vantando un’influenza, effettiva o meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro ovvero altra utilita’ per remunerare il pubblico agente. (Sez. 6, n. 1869 del 07/10/2020, dep. 2021, Gangi, Rv. 280348; Sez. 6, n. 4113 del 14/12/2016, dep. 2017, Rigano, Rv. 269735; sul tema anche Sez. 6, n. 17980 del 14/03/2019, Nigro, Rv. 275730).

 

Millantato credito

In particolare, si e’ ritenuto:
– irrilevante la mancata riproposizione nell’articolo 346- bis della dizione contenuta all’articolo 346 c.p., comma 2, li’ dove si richiedeva che l’agente avesse ottenuto il vantaggio con il “pretesto” di dover remunerare il pubblico funzionario, atteso che, a seguito della novella, il delitto di cui all’articolo 346-bis c.p., prescinderebbe dalla reale esistenza delle relazioni vantate “Cio’ a condizione – fatta oggetto di un’espressa clausola di riserva (“fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis”) – che l’agente non eserciti effettivamente un’influenza sul pubblico ufficiale o sul soggetto equiparato e non vi sia mercimonio della pubblica funzione, dandosi, altrimenti, luogo a taluna delle ipotesi di corruzione previste da detti articoli”;
– che la norma di cui all’articolo 346-bis equipari “sul piano penale la mera vanteria di una relazione o di credito con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente (dunque la relazione solo millantata) alla rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato” e che delineato “l’ambito della recente riforma in materia, evidente si appalesa la continuita’ normativa fra il previgente articolo 346 ed il rinovellato articolo 346-bis c.p.”;
Secondo l’interpretazione in esame, deporrebbero in senso confermativo della affermata continuita’ normativa, la sostanziale sovrapponibilita’ della condotta “strumentale” (stante l’equipollenza semantica fra le espressioni “sfruttando o vantando relazioni (…) asserite” e quella “millantando credito”), e della condotta “principale” di ricezione o di promessa, per se’ o per altri, di denaro o altra utilita’”.
Una diversa interpretazione, volta ad affermare la discontinuita’ normativa tra le fattispecie:
– sarebbe smentita “dal prevalente orientamento secondo il quale l’ipotesi di cui all’articolo 346 c.p., comma 2 – contenente la previsione di un titolo autonomo di reato rispetto alla fattispecie descritta nel comma 1 medesima disposizione – si differenzia dal delitto di truffa, per la diversita’ della condotta, non essendo necessaria ne’ la millanteria ne’ una generica mediazione, nonche’ dell’oggetto della tutela penale, che nella truffa e’ il patrimonio e nel millantato credito e’ esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione, con la conseguenza che unica parte offesa e’ quest’ultima e non colui che abbia versato somme al millantatore, che e’ semplice soggetto danneggiato (Sez. 6, n. 17642 del 19/02/2003,Di Maio ed altro, Rv. 227138), cosicche’ il reato di millantato credito puo’ concorrere formalmente con quello di truffa, stante la diversita’ dell’oggetto della tutela penale, rispettivamente consistente nel prestigio della P.A. e nella protezione del patrimonio” (cos’ Sez. 6, n. 1869 del 2021, cit.).

 

Millantato credito

– non considererebbe che alla continuita’ normativa tra le due fattispecie avrebbe fatto espresso riferimento il legislatore nella Relazione di accompagnamento al disegno di legge, palesando l’intenzione di una abrogatio sine abolitione.
5. Si tratta di una impostazione non condivisibile.
5.1. Si e’ evidenziato in dottrina come, a seguito della L. n. 3 del 2019, la base di tipicita’ del traffico di influenze sia stata rimodellata estensivamente in una triplice direzione:
– si e’ provveduto all’abrogazione del reato di millantato credito sulla scia delle previsioni sovranazionali che sollecitavano la punizione della compravendita di influenza;
– si e’ eliminato l’inciso contenuto nell’articolo 346-bis “in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”;
– e’ venuta meno la natura necessariamente “patrimoniale” del vantaggio dato o promesso al mediatore, per cui ora la disposizione individua il corrispettivo ricevuto dal venditore di influenza con il generico termine “utilita’”;
– il raggio operativo dell’incriminazione e’ stato ampliato agli accordi finalizzati ad influenzare un pubblico ufficiale straniero o altro soggetto menzionato nell’articolo 322-bis c.p. (traffico di influenze c.d. internazionale).
Anche dopo la novella del 2019, la materialita’ del fatto incriminato dall’articolo 346-bis c.p. continua a descrivere due condotte tra loro alternative, che differiscono in ordine alla causa, alla giustificazione della promessa/dazione del compratore di influenze.
Nella prima ipotesi, l’erogazione indebita costituisce il corrispettivo della mediazione illecita presso il pubblico agente italiano, straniero o internazionale.
Nella seconda, la corresponsione illecita e’ effettuata all’intermediario affinche’ questi, a sua volta, remuneri il soggetto pubblico in relazione all’esercizio delle sue funzioni o poteri.
Tale quadro di riferimento si distingue ulteriormente, con varie possibili combinazioni, in ragione della duplicita’ delle condotte dell’intermediario, consistenti nello sfruttare ovvero vantare relazioni, esistenti o asserite, con il pubblico ufficiale.
L’esigenza di stabilire i termini della relazione tra l’abrogata previsione dell’articolo 346 c.p., comma 2, ed il reato di traffico di influenze illecite, assume rilievo sotto piu’ profili; rileva non solo al fine della qualificazione del privato compratore come concorrente necessario ovvero soggetto passivo, ma anche, come riflesso processuale, in relazione al differente statuto probatorio dell’eventuale suo contributo dichiarativo.
Una considerazione preliminare pare opportuna ed attiene alla portata, al “peso” dell’argomento, valorizzato dalla opzione interpretativa che non si condivide, secondo cui la volonta’ del legislatore sarebbe stata quella di assicurare continuita’ normativa tra il vecchio articolo 346 c.p., comma 2, e il nuovo articolo 346-bis c.p., e, dunque, tale dato avrebbe rilevante valenza ai fini della soluzione della questione in esame.
In realta’, e’ ormai consolidata e condivisibile l’affermazione secondo cui quello della ipotetica volonta’ del legislatore e’ un criterio interpretativo recessivo rispetto agli altri: le stesse Sezioni unite al riguardo hanno evidenziato come “e’ certamente corretto l’assunto per il quale, in base all’articolo 12 “preleggi”, “nell’applicare la legge, non si puo’ ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”; tuttavia non puo’ certo negarsi che proprio l’intenzione del legislatore deve essere “estratta” dall’involucro verbale (“le parole”), attraverso il quale essa e’ resa nota ai destinatari e all’interprete…. che poi detta intenzione non si identifichi con quella dell’Organo o dell’Ufficio che ha predisposto il testo, ma vada ricercata nella volonta’ statuale, finalisticamente intesa… e’ fuor di dubbio” (cosi’ Sez. U., n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, in motivazione).

 

Millantato credito

5.2. Sulla base di tali premesse, sono in realta’ condivisibili le considerazioni poste a fondamento di una diversa opzione interpretativa, pure recepita dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui in realta’ non sussiste continuita’ normativa tra il reato di millantato credito di cui all’articolo 346 c.p., comma 2, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato articolo 346-bis c.p., in quanto in quest’ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilita’, col pretesto di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all’articolo 640 c.p., comma 1, (Sez. 6, n. 5221 del 18/09/2019, dep. 2020, Impeduglia, Rv. 278451).
La Corte di cassazione ha gia’ spiegato come la condotta in precedenza sanzionata dall’articolo 346 c.p., comma 2, a differenza di quella prevista dal comma 1, consistesse in una forma di raggiro nei confronti del soggetto passivo che veniva indotto ad un accordo che lo impegnava ad una prestazione patrimoniale in quanto determinato da una falsa rappresentazione della realta’ (Sez. 6, n. 40940 del 12/07/2017, Grasso, Rv. 271352); la condotta di cui al comma 2 dell’abrogato articolo 346 c.p., a differenza di quella ricompresa nella fattispecie di cui al comma 1, non poteva infatti che realizzarsi attraverso artifici e raggiri sostanzialmente riconducibili al paradigma della truffa.
Il riferimento “al pretesto” evocava cioe’ una componente di frode e dunque la rappresentazione di una falsa causa posta a base della richiesta; una falsa causa idonea ad indurre in errore la vittima che in tal modo si determinava alla prestazione patrimoniale. Il carattere pretestuoso della condotta del millantatore si fondava cioe’ su una falsa rappresentazione dei fatti, idonea a convincere il cd. compratore di fumo a dare o promettere.
Diversamente dalla falsa rappresentazione che compariva nel comma 1, basata sul sintagma “millantare un credito”, e che riguardava un vasto orizzonte di significati, tale da accogliere, come e’ stato osservato, non solo il mendacio, ma anche la semplice magnificazione ovvero l’accentuazione di un dato tuttavia reale e dunque insuscettibile di rientrare nel tipo criminoso della truffa, “il pretesto di dover comprare il p.u. o l’impiegato” era invece chiaramente significativo di una condotta che integrava appieno gli artifici o raggiri richiesti dall’articolo 640 c.p., proprio perche’ espressione dell’intenzione di indurre l’altro soggetto in errore (Sez. 6, n. 40940 del 12/07/2017, Grasso, Rv. 271352).
Il millantatore strumentalizzava l’inesistente esigenza di dover corrompere il pubblico funzionario, consapevole che tale elemento avrebbe svolto un ruolo significativo nel processo di formazione della volonta’ di accettare l’accordo da parte dell’altro soggetto; questo schema, poi, si perfezionava indifferentemente con la promessa o la dazione del denaro o dell’altra utilita’: nella truffa la promessa avrebbe configurato un tentativo e la dazione l’evento della consumazione perche’ realizzava il danno e l’offesa.
Cio’ giustificava l’affermazione per cui, nell’ambito della vecchia norma prevista dall’articolo 346 c.p., comma 2, una rilevante valenza assumesse non tanto l’ipotetico futuro rapporto, in realta’ inesistente, tra il millantatore ed il pubblico funzionario, quanto l’eminente tutela patrimoniale accordata dalla norma al truffato.

 

Millantato credito

Si tratta di una impostazione che non e’ incrinata dall’affermazione giurisprudenziale, valorizzata dalla diversa opzione interpretativa di cui si e’ detto, relativa alla possibilita’ che il reato di millantato credito potesse concorrere con quello di truffa.
La Corte di cassazione aveva chiarito, in realta’ soprattutto in relazione al delitto di cui all’articolo 346 c.p., comma 1, come la possibilita’ di configurare il concorso tra i reati indicati, pur ipotizzabile, stante la diversita’ dell’oggetto della tutela penale, fosse in concreto prospettabile solo qualora allo specifico raggiro considerato nella fattispecie di millantato, costituito dal ricorso a vanterie di ingerenze o pressioni presso pubblici ufficiali, si accompagnasse una ulteriore attivita’ diretta alla induzione in errore del soggetto passivo, al fine di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno (Sez. 6, n. 9961 del 13/01/2017, Pometto, Rv. 269439; Sez. 6, n. 9960 del 28/12/2016, Grasso, Rv. 269755; Sez. 6, n. 8994 del 29/01/2015, Fischetti, Rv. 262627)
Dunque, il concorso fra i due reati era ipotizzabile solo quando alla vanteria o al pretesto si aggiungesse “altro”, cioe’ una diversa ed ulteriore attivita’ decettiva, atteso che, diversamente, l’unico reato configurabile era quello di cui all’articolo 346 c.p., comma 2.
6. Cio’ detto, sono molteplici le ragioni che inducono a propendere per la tesi della discontinuita’ normativa tra il “vecchio” articolo 346 c.p., comma 2, ed il “nuovo” articolo 346- bis c.p..
Si tratta di ragioni che attengono alla struttura del reato di traffico di influenze illecite e, sul piano valoriale, alla offensivita’ delle condotte ed alla lesione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
6.1. Quanto alla offensivita’ ed alla lesione del bene giuridico, l’articolo 346-bis c.p. incrimina attualmente condotte prodromiche a piu’ gravi fatti corruttivi, secondo la tecnica della anticipazione della tutela; una tutela avanzata dei beni della legalita’ e della imparzialita’ della pubblica amministrazione rispetto ad una tipo criminoso obiettivamente non omogeneo.
Si tratta di condotte (sfruttamento, vanteria) che possono riguardare: a) un rapporto tra mediatore e pubblico agente ed una capacita’ di influenza del primo che possono effettivamente esistere gia’ al momento in cui la condotta e’ commessa e di cui il “compratore” puo’ essere gia’ a conoscenza; b) un rapporto che non esiste al momento in cui il “fumo” viene venduto ma che il “compratore” sa del potere del “venditore” di realizzare, di concretizzarlo, di renderlo effettivo – grazie ad una capacita’ di influenza potenziale (dovuta ad es. al suo prestigio sociale o posizione professionale riconosciuta nell’ambiente di riferimento); c) un rapporto che esiste e che tuttavia e’ magnificato dal “venditore”, ampliato, fatto apparire piu’ intenso di quanto lo sia in concreto; d) un rapporto che non solo non esiste al momento in cui la condotta e’ compiuta ma che il “venditore” sa che non potra’ nemmeno realizzarsi in futuro e che il “compratore” ritiene invece esistente o realizzabile per effetto di una condotta decettiva del mediatore (un traffico di influenze impossibile/putativo).
Il rapporto tra mediatore e pubblico agente e la capacita’ di influenza del primo sul secondo possono essere inesistenti, esistenti – anche solo in potenza- e, posto che siano esistenti, assumere diverse gradazioni e modulazioni a seguito delle asserzioni del “venditore”.
E tuttavia, con riguardo al committente, e’ fondato ritenere che, almeno nei casi in cui lo scopo da questi perseguito si collochi all’esterno di qualsiasi concreta prospettiva di pericolo per il bene protetto – per essere la capacita’ di influenza del mediatore impossibile – il disvalore che giustifica l’incriminazione finisce con il coincidere con il disvalore della intenzione, con il disvalore del proposito del soggetto; cio’ rende condivisibile l’affermazione secondo cui e’ l’esistenza – nel senso indicato – del rapporto tra pubblico agente e venditore che giustifica l’anticipazione della tutela realizzata attraverso l’articolo 346-bis c.p. e spiega l’incriminazione del “compratore”.
Dunque, e’ condivisibile l’affermazione secondo cui la condotta prevista dall’abrogato articolo 346 c.p., comma 2, non si presta a realizzare un vulnus alla pubblica funzione ed agli interessi pubblici teleologicamente tutelati dall’articolo 346- bis c.p..
Se cioe’ nella fattispecie di cui all’articolo 346 c.p., comma 2, assumeva rilievo l’errore di cui era vittima il “compratore”, ingannato dal “venditore di fumo” attraverso una condotta decettiva volta a far apparire esistente un rapporto con il pubblico agente che non solo non esiste al momento in cui il fumo e’ venduto, ma che non puo’ esistere nemmeno in futuro e che tuttavia il compratore, per effetto della condotta ingannatoria, crede – errando- possa realizzarsi, non e’ obiettivamente chiaro perche’, in relazione a dette ipotesi, dovrebbe essere predisposta una tutela anticipata per la pubblica amministrazione, atteso che questa rimane del tutto estranea, esterna, in astratto e in concreto, rispetto al pericolo derivante dal rapporto tra committente e mediatore.
Ne’ sembra assumere decisivo rilievo, al fine di escludere la riconducibilita’ al delitto di truffa delle condotte prima sussumibili nell’ambito dell’articolo 346 c.p., comma 2 il disvalore dell’intenzione che il compratore persegue.
La giurisprudenza della Corte ha infatti finora costantemente ammesso la tutela del truffato in re illicita, sul presupposto che, laddove il soggetto passivo abbia agito per causa immorale, delittuosa o altrimenti illecita non vengono meno l’ingiustizia del profitto e l’altruita’ del danno, ne’ vengono meno l’esigenza di tutela del patrimonio e della liberta’ del consenso dei negozi patrimoniali, che costituisce l’oggettivita’ giuridica del delitto di truffa (Sez. 1, n. 42890 del 27/09/2013, Paterlini, Rv. 257296; Sez. 2, n. 10792 del 23/01/2001, Delfino, Rv. 218673).
6.2. A diverse conclusioni non si perviene facendo riferimento agli elementi strutturali del nuovo articolo 346-bis c.p., che, al comma 2, prevede la punizione con identica pena (da un anno a quattro anni e sei mesi di reclusione) del soggetto che indebitamente da’ o promette denaro o altra utilita’ al venditore di fumo.
Si tratta, sul piano strutturale, di un delitto che assume la struttura di un reato-accordo, di una fattispecie plurisoggettiva propria con cui, come detto, si prevengono, sul piano della offensivita’, attentati al buon andamento ed alla imparzialita’ dei pubblici agenti.
Nella prospettiva del nuovo articolo 346-bis c.p. tutti i partecipanti al patto sono sottoposti ad un omogeneo trattamento sanzionatorio ed in tal modo si realizza una trasformazione del reato da fattispecie monosoggettiva (il vecchio articolo 346 c.p., comma 2) ad una fattispecie in cui il privato “compratore” assume il ruolo di concorrente.
In tale contesto, tuttavia, non e’ obiettivamente chiaro perche’ il privato che da’ o promette denaro o utilita’ al “veditore di fumo” solo perche’ indotto in errore per effetto della condotta ingannatoria di questi, dovrebbe essere considerato compartecipe nello stesso reato e ritenuto responsabile di traffico di influenze illecite.
E’ condivisibile l’affermazione della dottrina secondo cui la vendita di una influenza che non esiste e che mai potra’ essere esercitata, e che determina sul privato “compratore di fumo” una situazione di errore che lo induce a compiere un atto di disposizione che altrimenti non avrebbe compiuto continua a palesare una maggiore assonanza contenutistica con il paradigma criminoso della truffa, diversamente dal mercanteggiamento di un’influenza reale, proiettata verso un fatto concretamente lesivo dei beni costituzionali dell’imparzialita’ e del buon andamento dell’attivita’ amministrativa, legislativa o giudiziaria.
La trasformazione di una vittima in correo e’ operazione che comporta profondi mutamenti nella struttura del fatto, soprattutto perche’ le modalita’ realizzative della condotta di millantato credito ex articolo 346 c.p., comma 2, si basavano sull’inganno di una parte in danno dell’altra e non in concorso con questa.
Si e’ correttamente evidenziato che anche il riferimento alle “relazioni asserite”, alla vanteria di relazioni, se puo’ in apparenza costituire il canale semantico attraverso il quale ampliare l’operativita’ dell’articolo 346-bis c.p. e giustificare la tesi della continuita’ normativa anche in relazione alla fattispecie in precedenza prevista dall’articolo 346 c.p., comma 2, in realta’ non consente di far rientrare nel sintagma in questione le condotte ingannevoli.
Le relazioni asserite non attengono al “pretesto di dover comprare”, ma alla possibilita’ che l’influenza sul pubblico agente diventi reale; la vanteria asserita, si e’ fatto notare, non e’ finalizzata ad ingannare il cliente sulla inesistenza della relazione, ma attiene alla prospettazione al “compratore” di una relazione in futuro in concreto realizzabile, alla capacita’ prospettica del mediatore di dare concretezza ai suoi assunti.
Diversamente ragionando, residuerebbero sullo sfondo dubbi di legittimita’ costituzionale della fattispecie sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzione perche’ si punirebbe con la stessa pena colui che paga in quanto ingannato e colui che paga sul presupposto della certezza della effettiva esistenza di una relazione tra il mediatore ed il pubblico agente.
7. Alla luce delle considerazioni svolte puo’ dunque ritenersi che vi sia continuita’ normativa ai sensi dell’articolo 2 c.p., comma 4, tra l’articolo 346 c.p., comma 2, abrogato e l’articolo 640 c.p. – che in tal modo riespande il proprio ambito applicativo- e non invece rispetto all’articolo 346-bis c.p..
Ne consegue che la sentenza deve essere annullata; il giudice del rinvio, ricostruiti i fatti, accertati il senso e la portata del patto tra venditore e compratore di fumo, applichera’ i principi indicati e verifichera’ se ed in che termini, verificando anche la configurabilita’ della contestata recidiva, sia possibile formulare un giudizio di penale responsabilita’ per l’imputato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Perugia.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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