Manifestare l’intenzione di citare qualcuno per danni e dunque di rivolgersi al giudice civile non è mai una minaccia

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 28 aprile 2020, n. 13156.

Massima estrapolata:

Manifestare l’intenzione di citare qualcuno per danni e dunque di rivolgersi al giudice civile non è mai una minaccia, neppure quando l’atto richiesto è illegale. Anzi a maggiore ragione quando la pressione è finalizzata ad ottenere un atto non dovuto l’annuncio di adire il giudice non è minaccioso e il destinatario non può non saperlo.

Sentenza 28 aprile 2020, n. 13156

Data udienza 4 marzo 2020

Tag – parola chiave: Violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale – Citazione per danni – Intenzione – Minaccia – Non configurabilità – Pressione è finalizzata ad ottenere un atto non dovuto – Irrilevanza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – rel. Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/01/2019 della Corte di appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSATI Martino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale DE MASELLIS Mariella, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza senza rinvio, perche’ il fatto non sussiste.

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto del suo difensore, (OMISSIS) impugna per cassazione la sentenza della Corte di appello di Trieste del 29 gennaio 2019, che, riformando quella assolutoria di primo grado, lo ha condannato per il delitto di cui all’articolo 336 c.p..
Gli si addebita di aver ripetutamente minacciato ad un veterinario della Asl una “denuncia per danni”, nella consapevolezza dell’arbitrarieta’ della stessa, al fine di costringerlo ad emettere un certificato d’idoneita’ all’alimentazione umana di un bovino, da lui macellato senza il rispetto delle procedure di legge.
2. Il ricorso rassegna due motivi di doglianza.
2.1. Con il primo si lamenta la violazione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, per avere la Corte d’appello ribaltato la pronuncia assolutoria di primo grado, in accoglimento di gravame del Pubblico ministero, senza procedere alla rinnovazione delle prove dichiarative.
2.2. Con il secondo, si deducono vizi di motivazione, nella parte in cui e’ stato ritenuto configurabile l’ipotizzato reato nella condotta dell’imputato, assumendosi che questi abbia agito nella convinzione del carattere dovuto dell’atto da lui richiesto al pubblico ufficiale e, quindi, della legittimita’ dell’iniziativa giudiziaria da lui prospettata. Con richiamo di giurisprudenza di legittimita’, infatti, si sostiene che la prospettazione di una denuncia all’autorita’ giudiziaria non costituisca in se’ minaccia od oltraggio, tanto piu’ quando si accompagni alla specificazione dell’oggetto e sia espressa in termini civili benche’ risentiti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La condotta addebitata all’imputato non integra il delitto a lui ascritto.
Perche’ possa ritenersi sussistente il delitto di cui all’articolo 336 c.p., l’idoneita’ della minaccia dev’essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto e dovendosi avere riguardo alla potenzialita’ costrittiva del male ingiusto prospettato; a nulla rileva, invece, che, in concreto, i destinatari non siano stati intimiditi, ne’ che il male minacciato non si sia realizzato o non sia realizzabile, a meno che, in quest’ultima ipotesi, cio’ valga a privare la minaccia di qualsiasi parvenza di serieta’ (vds., fra altre, Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014, Coccia, Rv. 260324; Sez. 6, n. 32390 del 16/04/2008, Martucci, Rv. 240650).
2. Nel caso specifico l’idoneita’ costrittiva sul pubblico ufficiale della condotta tenuta dal ricorrente, per come esposta in sentenza, si rivela insuperabilmente dubbia.
Egli si sarebbe limitato, infatti, dapprima di persona e successivamente per telefono, a prospettare al veterinario della Asl di “denunciarlo per danni”, ovvero – deve intendersi – di intraprendere nei suoi confronti un’azione risarcitoria dinanzi al giudice civile.
2.1. La Corte di appello ha ritenuto decisiva, ai fini del giudizio di colpevolezza, la malafede dell’imputato, ovvero la consapevolezza dell’illegalita’ dell’atto da lui richiesto a quel pubblico ufficiale e, dunque, la coscienza dell’infondatezza della propria pretesa.
E’ questa, pero’, una valutazione logicamente successiva a quella sulla valenza intimidatrice della condotta e che puo’ avere rilevanza ai fini dell’accertamento del dolo. L’idoneita’ del comportamento dell’agente a coartare la liberta’ del pubblico operatore nello svolgimento del suo servizio, invece, dev’essere valutata esclusivamente su base oggettiva, in ragione, cioe’, delle modalita’ e circostanze dell’azione.
3.2. Sulla base di tali premesse, ritiene il Collegio che la prospettazione di adire il giudice civile non rivesta di per se’ alcuna capacita’ costrittiva della liberta’ di determinazione e di azione dell’agente pubblico a cui venga rivolta, pur quando la stessa sia palesemente infondata, e, anzi, tanto piu’ allorquando sia tale e di cio’ il destinatario sia consapevole.
E tanto deve affermarsi, a maggior ragione, laddove la stessa venga reiterata anche in presenza di operatori di polizia giudiziaria, secondo quel che sarebbe avvenuto nell’ipotesi in rassegna (pag. 4, sent.), perdendo essa, in tal caso, ogni connotazione ritorsiva, e dunque minacciosa, anche soltanto implicita od obliqua.
4. Non potendo ravvisarsi nella condotta dell’imputato, cosi’ come descritta nella sentenza impugnata, gli estremi del delitto a lui contestato, tale decisione dev’essere annullata; e, non emergendo da essa spazi per possibili approfondimenti istruttori, non vi e’ ragione per rinviare gli atti al giudice di merito.
L’annullamento dev’essere percio’ disposto senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche’ il fatto non sussiste.
Si da’ atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere ROSATI Martino, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio, per impedimento dell’estensore, ai sensi dei D.P.C.M. 8 e 9 marzo 2020.

 

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