Nei casi di mancato rispetto del termine di inizio e di ultimazione dei lavori

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 19 dicembre 2019, n. 8605

La massima estrapolata:

A mente dell’articolo 15 del DPR n. 380 del 2001, la decadenza può essere pronunciata nelle specifiche ipotesi previste dalla norma e, segnatamente, nei casi di mancato rispetto del termine di inizio e di ultimazione dei lavori; essa, di conseguenza, non può validamente fondarsi su acclarate illegittimità del titolo edificatorio.

Sentenza 19 dicembre 2019, n. 8605

Data udienza 19 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2387 del 2019, proposto da
Ro. Na., rappresentata e difesa dall’avvocato An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Er. Fu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio En. Ca. in Roma, piazza (…);
nei confronti
Au. Ca., rappresentato e difeso dall’avvocato Be. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Pa. Le. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 00490/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 settembre 2019 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati An. Ca. e Be. Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 490/2019 del 31-1-2019 il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Seconda rigettava il ricorso proposto dalla sig.ra Ro. Na., inteso ad ottenere l’annullamento dei seguenti atti: a) determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) n. 43 del 19 agosto 2016, recante la declaratoria di decadenza del permesso di costruire n. 103/2012 del 1° novembre 2012, inerente l’ampliamento dell’appartamento posto al primo piano del fabbricato di proprietà della ricorrente, sito in (omissis) alla Via Napoli n. 242; b) disposizione dirigenziale del Comune di (omissis) prot. n. 22930 del 21 settembre 2016, recante l’annullamento in autotutela della DIA in sanatoria presentata il 17 novembre 2010 per opere svolte all’interno del suddetto fabbricato; c) disposizione dirigenziale del Comune di (omissis) prot. n. 22931 del 21 settembre 2016, recante l’annullamento in autotutela della SCIA presentata il 14 febbraio 2011 per altre opere all’interno del suddetto fabbricato; d) ordinanza dirigenziale del Comune di (omissis) n. 31 del 27 settembre 2016, recante l’ingiunzione di demolizione di opere abusive realizzate all’interno del suddetto fabbricato, anche a seguito della sopravvenuta inefficacia dei titoli edilizi sopra elencati;
e) ordinanza dirigenziale del Comune di (omissis) prot. n. 8073 del 7 aprile 2016, recante l’ingiunzione di sospensione lavori.
La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.
“1. Con il gravame in trattazione, la ricorrente impugna i provvedimenti individuati in epigrafe, tutti inerenti ad opere edilizie realizzate all’interno di un fabbricato di sua proprietà, ubicato in (omissis) alla Via Napoli n. 242.
1.1 Più in dettaglio, vale precisare che i provvedimenti con cui si è disposta, a vario titolo, l’inefficacia di precedenti titoli edilizi sono supportati da vari motivi, ognuno capace di sorreggere di per sé le negative determinazioni dell’amministrazione; tali motivi, per una migliore comprensione della vicenda contenziosa, sono di seguito riassunti con riguardo ad ogni singolo atto: i) determinazione dirigenziale di decadenza n. 43 del 19 agosto 2016: 1) i lavori non sono stati iniziati entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, in quanto la comunicazione di inizio lavori presentata il 10 settembre 2013 dava atto solo dell’attività preordinata all’allestimento del cantiere, senza fare accenno all’effettuazione di alcuna opera edilizia; 2) non è stato rispettato il termine triennale di ultimazione dei lavori; 3) non risulta intervenuta l’autorizzazione sismica prima dell’inizio effettivo dei lavori; 4) l’intervento assentito si pone in contrasto con le norme urbanistiche vigenti, ed in particolare con l’art. 3, comma 17, del regolamento edilizio comunale, disciplinante le distanze minime tra costruzioni; ii) disposizione dirigenziale prot. n. 22930 del 21 settembre 2016, recante l’annullamento della DIA: 1) le opere assentite rientrano nella categoria della ristrutturazione edilizia e non della manutenzione straordinaria, come erroneamente denunciato dall’interessata; 2) le medesime sono sprovviste dell’autorizzazione sismica; 3) sussistono motivi di interesse pubblico all’annullamento in quanto le opere realizzate costituiscono pericolo per la pubblica e privata incolumità ; iii) disposizione dirigenziale prot. n. 22931 del 21 settembre 2016, recante l’annullamento della SCIA: 1) le opere assentite rientrano nella categoria della ristrutturazione edilizia e non della manutenzione straordinaria, come erroneamente segnalato dall’interessata; 2) le medesime sono sprovviste dell’autorizzazione sismica; 3) sussistono motivi di interesse pubblico all’annullamento in quanto le opere poste in essere costituiscono pericolo per la pubblica e privata incolumità e comportano aggravio di carico urbanistico; 4) non è stato rispettato il termine triennale di ultimazione dei lavori.
1.2 Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio, conclude nei suoi scritti difensivi per la reiezione delle pretese attoree.
Ha spiegato intervento ad opponendum il Sig. Au. Ca., in qualità di proprietario di un immobile adiacente a quello interessato dai provvedimenti quivi gravati, il quale eccepisce l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso […]”.
Il Tribunale Amministrativo fondava la reiezione del ricorso sui seguenti rilievi:
– la decadenza del permesso di costruire n. 103 del 2012 era stata legittimamente pronunciata per mancato inizio dei lavori entro un anno dal rilascio del titolo, in quanto la comunicazione di inizio dei lavori presentata il 10 settembre 2013 era inidonea a dare contezza dell’effettivo avvio dell’attività edilizia;
-ugualmente legittime erano le determinazioni di annullamento della DIA in sanatoria e della SCIA, considerato che le censure volte a contestare l’assunta illegittimità dei titoli edilizi in relazione alla natura delle opere che ne costituivano oggetto erano generiche e tenuto, altresì, conto del fatto che i provvedimenti di autotutela erano stati adottati nel rispetto del termine di diciotto mesi previsto dall’articolo 21 nonies della legge n. 241/1990, termine decorrente dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015;
– le opere realizzate erano da considerarsi abusive e, dunque, legittimamente ne era stata ingiunta la demolizione, vertendosi in ipotesi di inefficacia ex tunc del titolo abilitativo per effetto del mancato avvio dei lavori entro l’anno.
Avverso la prefata sentenza la signora Ro. Na. ha proposto appello, deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma, con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.
Essa ha, in particolare, lamentato: 1) Error in iudicando – violazione di legge- violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della legge n. 241/1990 – violazione dei principi generali in materia di autotutela – abuso di potere sotto molteplici profili; 2) Error in iudicando – violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’articolo 15 e, correlativamente, dell’articolo 31 del DPR 6-6-2001 n. 380 – travisamento dei principi in materia di efficacia del permesso di costruire; 3) Error in iudicando – violazione e travisamento dei principi generali in materia di efficacia e decadenza del permesso di costruire – violazione dei principi di tipicità e nominatività degli atti amministrativi- violazione dei principi generali in tema di autotutela e di atti di ritiro; 4) Error in iudicando – violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 94, 98 e 100 del DPR n. 380/2001; 5) violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 94, 98 e 100 del DPR 6-6-2001, n. 180; 6) Error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’articolo 31 del DPR n. 380 del 2001.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di (omissis) ed il signor Au. Ca. (già interventore in primo grado), proprietario di un immobile adiacente all’intervento edilizio realizzato dalla signora Na. e pregiudicato dall’intervento edilizio realizzato.
Questi hanno dedotto l’inammissibilità del ricorso introduttivo di primo grado e comunque l’infondatezza dell’appello.
Le parti hanno presentato memorie illustrative e di replica.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 19 settembre 2019.

DIRITTO

Devono preliminarmente essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado proposte dall’interventore, signor Au. Ca..
Questi deduce in primo luogo l’inammissibilità del ricorso per non essere stato lo stesso a lui notificato, nella qualità di controinteressato.
Evidenzia che è incontestata la circostanza che egli è proprietario dell’immobile confinante con il corpo di fabbrica della ricorrente, rilevando, in particolare, che la stessa amministrazione, nel provvedimento di decadenza del permesso di costruire n. 103 del 2012, aveva rilevato che il titolo abilitativo era stato rilasciato in violazione della normativa sulle distanze tra le due costruzioni finitime.
Egli era, pertanto, certamente titolare di un “controinteresse” al mantenimento in vita degli atti impugnati, atteso che la loro esecuzione avrebbe eliminato, certamente in parte, i danni cagionatigli dagli interventi edilizi della signora Na..
La sua posizione di controinteressato derivava, inoltre, dalla circostanza che egli aveva già proposto azione in sede civile a tutela del suo diritto di proprietà e, dunque, era soggetto che avrebbe ricevuto un vantaggio diretto ed immediato dai provvedimenti adottati dal Comune di (omissis).
L’eccezione non merita accoglimento.
Deve in proposito essere richiamato l’indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, IV, 2-2-2016, n. 399) secondo il quale il vicino, autore di un esposto o di una denuncia, non assume la veste di controinteressato nel giudizio contro l’annullamento di un determinato provvedimento amministrativo, in quanto il disposto annullamento, effettuato nell’esercizio del potere di autotutela, costituisce un provvedimento di ufficio, emesso per il raggiungimento di finalità di pubblico interesse.
Invero, l’autotutela decisoria resta prerogativa dell’Amministrazione non solo nel suo concreto atteggiarsi, ma anche in relazione alla autonoma valutazione delle condizioni, in fatto e in diritto, per la sua esplicazione.
La posizione di “controinteresse” è, dunque, esclusa dalla circostanza che il provvedimento di annullamento non persegue la finalità di tutela del confinante, ma quella di ripristino dell’equilibrio urbanistico violato, inteso come interesse della collettività e non del singolo soggetto privato.
Ritiene il Collegio che neppure il mero conseguimento da parte del vicino di un vantaggio diretto ed immediato dai provvedimenti impugnati (nella specie, l’atto di decadenza del permesso di costruire e l’ordinanza di demolizione) possa, nella concreta fattispecie in esame, imporre la notificazione a questi del ricorso proposto contro tali atti.
Affinchè un tale obbligo sussista è, invero, necessario, a giudizio del Collegio, che il provvedimento prenda comunque in considerazione la posizione del vicino, sicchè, pur nel perseguimento dell’interesse pubblico, la sua sfera giuridica possa dirsi dallo stesso, anche se in forma mediata, oggetto di tutela; solo in tal modo palesandosi la suddetta utilitas quale effetto concretamente e nominalmente riconducibile alla determinazione amministrativa.
Occorre, pertanto, che il vicino risulti espressamente contemplato nel provvedimento ovvero che lo stesso abbia preso parte al relativo procedimento amministrativo.
Nella specie, il signor Ca. non è indicato in alcuno dei provvedimenti oggetto di impugnativa né risulta aver preso parte ai procedimenti che ne hanno determinato l’emanazione.
Né si rinviene negli stessi l’indicazione dell’immobile di sua proprietà, limitandosi il provvedimento di decadenza del permesso di costruire a dare conto del “contrasto con le norme del Regolamento edilizio vigente, di cui all’articolo 3 comma 17, ove si determina la distanza minima tra due costruzioni limitrofe”.
La mera indicazione della violazione della norma regolamentare conferma che nella specie il provvedimento abbia inteso tutelare l’interesse pubblico e non abbia preso in considerazione alcuna quello del privato.
Va, infine, evidenziato che la circostanza che il signor Ca. sia parte di un procedimento civile intentato contro la ricorrente non consente di qualificarlo come controinteressato in senso processuale nella presente sede, attesa la piena autonomia del giudizio amministrativo, avente ad oggetto l’impugnazione di atti di autotutela e sanzionatori adottati all’esito di un procedimento amministrativo al quale egli non ha partecipato.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, l’eccezione deve essere respinta.
Il signor Ca. lamenta, poi, la “inammissibilità del ricorso per violazione del principio di divieto di impugnazione del ricorso cumulativo oggettivo”.
Deduce che con unico ricorso la signora Na. aveva impugnato una pluralità di atti tra loro non connessi, onde il gravame doveva essere dichiarato inammissibile.
Anche tale eccezione è infondata.
Invero, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, V, 30-3-2017, n. 1463; 4-1-2018, n. 51) ha chiarito che può essere proposto ricorso cumulativo solo nel caso in cui ricorra una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, quale connessione procedimentale o funzionale, ovvero quando i provvedimenti siano riferibili al medesimo procedimento amministrativo o, più in generale, iscrivibili all’interno della medesima azione amministrativa, la quale è oggetto di contestazione nel suo complesso.
Ciò posto, va osservato che i provvedimenti oggetto di impugnazione nel presente giudizio (provvedimento di decadenza del permesso di costruire n. 103/2012; provvedimenti di annullamento della DIA in sanatoria e della SCIA; ordinanza di demolizione delle opere risultanti sine titulo per effetto dell’adozione dei predetti atti) presentano tra loro profili di connessione che ne giustificano la contestazione giurisdizionale in un unico ambito processuale.
Va, invero, in generale evidenziato che tutti i suddetti provvedimenti si iscrivono all’interno dell’azione amministrativa, esercitata dal Comune di (omissis), di vigilanza sull’attività edilizia posta in essere dalla signora Na. (e dalla sua dante causa) con riferimento al medesimo immobile, sito alla via (omissis).
Tale azione di vigilanza urbanistico-edilizia si è concretata, all’esito degli accertamenti effettuati, nell’adozione dei richiamati provvedimenti di autotutela e demolitori, i quali risultano, pertanto, tra loro collegati in ragione del fatto che configurano la conclusione attizia di un’unica attività amministrativa, la quale diviene, pertanto, oggetto di una unitaria contestazione da parte del privato, pur esercitata attraverso la necessaria impugnazione dei diversi esiti provvedimentali della stessa.
Gli atti impugnati ricevono, poi, un ulteriore elemento di unificazione nell’ordinanza di demolizione n. 31 del 27-9-2016, la quale viene assunta, per giustificare l’abusività degli interventi, proprio sul presupposto dei previ atti di decadenza e di annullamento.
E’, dunque, per tal via agevole ritenere che la contestazione dell’ingiunzione di demolizione debba necessariamente passare per la contestuale impugnativa (nella medesima sede processuale) dei provvedimenti assunti dallo stesso Comune come atti presupposti, risultando innegabile che la illegittimità di questi ultimi possa riverberarsi anche sulla validità della misura sanzionatoria.
In presenza delle circostanze sopra evidenziate, pertanto, il ricorso cumulativo è certamente ammissibile.
Può a questo punto procedersi alla trattazione del merito dell’appello.
Con il primo motivo la signora Na. lamenta: Error in iudicando – violazione di legge- violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della legge n. 241/1990 – violazione dei principi generali in materia di autotutela – abuso di potere sotto molteplici profili.
Censura la sentenza di primo grado laddove il Tribunale – pur richiamando la giurisprudenza di questo Consiglio (sez. VI, 13 luglio 2017, n. 3462) la quale ha affermato, per gli atti adottati anteriormente all’entrata in vigore della attuale versione dell’articolo 21 nonies, che il termine di 18 mesi da esso previsto non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, fatta salva comunque l’operatività del “termine ragionevole” – ha ritenuto che il Comune, nell’intervenire in autotutela annullando la DIA in sanatoria del 17-11-2010 e la SCIA del 14-2-2011 con provvedimenti del 21 settembre 2016 non avesse sforato il termine dei 18 mesi, “avendo provveduto all’annullamento dei titoli edilizi dopo nemmeno 13 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 125/2015”.
Lamenta, in particolare, che il giudice di primo grado non ha considerato – conformemente al richiamato indirizzo giurisprudenziale – che l’annullamento era comunque intervenuto entro un termine irragionevole, in quanto, assumendo comunque quale parametro di ragionevolezza il suddetto lasso temporale di 18 mesi, erano trascorsi rispettivamente sei e cinque anni tra la presentazione della DIA in sanatoria del 17-11-2010, della SCIA del 14-2-2011 e l’esercizio del potere di autotutela da parte del Comune di (omissis).
Deduce, pertanto, la grave violazione dell’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990, evidenziando ulteriormente che i suddetti titoli abilitativi non erano stati rilasciati sulla base di presupposti di fatto falsi, falsamente dichiarati e in ogni caso non rispondenti alla realtà, come chiaramente evincibile da un loro semplice esame.
Il motivo di appello non può essere accolto.
L’appellante lamenta un vizio logico nella pronuncia di primo grado, censurando, in particolare, il comportamento del primo giudice laddove questi non ha esaminato la legittimità degli impugnati provvedimenti di autotutela sotto il profilo della ragionevolezza del termine di annullamento, a prescindere, dunque, dal profilo della mera violazione del termine di diciotto mesi fissato dall’articolo 21 nonies.
Evidenzia, in proposito, il Collegio che, in ossequio al principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ed alla regola generale secondo cui l’ambito di cognizione del giudice amministrativo è delimitato dai motivi del ricorso, il Tribunale avrebbe dovuto esaminare la questione del rispetto del termine ragionevole (a prescindere dall’osservanza tout court del termine di diciotto mesi) solo nel caso in cui il privato avesse dedotto, nell’atto introduttivo del giudizio, la violazione dell’articolo 21 nonies e dei principi in materia di autotutela sotto il profilo dell’esercizio del relativo potere entro un termine “non ragionevole”.
Orbene, tale specifica censura non risulta presente nel ricorso di primo grado.
Leggendo il primo mezzo di censura, si evidenzia che parte ricorrente riporta in primo luogo i contenuti dell’articolo 21 nonies “a decorrere dal 28-8-2015”.
Di poi, afferma: “Tornando alla disamina dei provvedimenti impugnati, si osserva anzitutto che in tutti i casi era abbondantemente decorso il termine di diciotto mesi imposto dalla disposizione di cui all’articolo 21 nonies della L. 241/1990”.
Le ulteriori argomentazioni spese nel prosieguo riguardano l’insussistenza di ipotesi di falsità che potessero consentire di “aggirare il limite tassativo di diciotto mesi imposto alla facoltà di annullare i propri atti in autotutela”; concludendosi la trattazione del motivo con la seguente frase: “Pertanto, non emergendo nel caso di specie alcuna ipotesi di falsità in atti e in dichiarazioni, non si comprende come possa il Comune resistente superare l’argine della decadenza dall’esercizio del potere di autotutela, sancita in via generale dall’art. 21 nonies della Legge sul procedimento amministrativo”.
Come è ben evidente dalla lettura del motivo di ricorso, la violazione della disposizione regolatrice del potere di autotutela viene dedotta con esclusivo riferimento all’avvenuto decorso del termine di diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti, indicandosi questo come “termine…imposto”, come “limite tassativo” ed “argine della decadenza dal potere di autotutela”.
E tanto è confermato dalle argomentazioni spese in ordine alla mancanza, nella fattispecie concreta, di ipotesi di falsità, atteso che, nella novellata formulazione della norma, l’esistenza di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni false o mendaci consente proprio l’esercizio del potere di annullamento “anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1”
Non vi è, invece, alcun accenno al carattere “non ragionevole” del termine in concreto intercorso tra l’adozione del provvedimento di primo grado e l’atto di autotutela.
In tal modo, dunque, il giudice di primo grado è stato chiamato a pronunciarsi unicamente sulla violazione del “termine di diciotto mesi imposto dalla disposizione di cui all’art. 21 nonies della L. 241/1990” e non anche sulla inosservanza in concreto di un termine ragionevole.
Né la questione della ragionevolezza del termine può dirsi logico e necessitato sviluppo della censura riferita alla violazione del termine di diciotto mesi, trattandosi di parametri tra loro differenti e connotati da diversa natura.
Invero, i diciotto mesi indicano un termine certo e definito, il cui decorso postula un mero accertamento scevro da profili di valutazione o margini di opinabilità ; la ragionevolezza del termine è, invece, nozione indeterminata, la quale deve essere individuata nel caso concreto, con riferimento alle peculiarità delle fattispecie che di volta in volta vengono in esame.
Non può, pertanto, affermarsi che la lamentata violazione del termine di diciotto mesi implichi (nel senso di contenere in sé ) anche una censura, più ampia, di mancato esercizio del potere di autotutela entro un termine ragionevole, attesa la non necessaria corrispondenza dei due concetti.
Alla luce di quanto sopra esposto deve, dunque, affermarsi che correttamente il Tribunale si è limitato a verificare il rispetto del termine di diciotto mesi previsto dall’articolo 21 nonies, individuandone la decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge n. 124/2015.
Questa era, invero, la doglianza in concreto prospettata, non potendo il giudice, in assenza di specifica censura tempestivamente e ritualmente dedotta, scrutinare, anche di ufficio, il profilo della ragionevolezza comunque del termine in concreto decorso.
Né tale esame può essere svolto dalla Sezione nella presente sede di appello.
Invero, nel giudizio di appello amministrativo il thema decidendum è circoscritto alle censure ritualmente sollevate in primo grado, non potendosi dare ingresso per la prima volta a nuove doglianze in violazione del divieto dei nova sancito dall’articolo 345 c.p.c., siano dette doglianze in fatto o in diritto (cfr. Cons. Stato, V, 23-8-2019, n. 5827; V, 17-6-2019, n. 4054).
Non si è, invero, di fronte a mere difese, ossia ad argomentazioni difensive volte a confutare le conclusioni del giudice di primo grado con riferimento ad una censura già sollevata; configurandosi piuttosto la fattispecie in esame per la proposizione di una nuova doglianza, riferita alla “non ragionevolezza” del termine in concreto decorso, come tale diversa rispetto alla dedotta violazione di un termine certo e determinato (diciotto mesi).
Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, il mezzo di gravame non può trovare favorevole considerazione, risultando, di conseguenza, prive di rilevanza anche le deduzioni spese in ordine alla inesistenza di ipotesi di falso.
Proseguendo nella disamina dell’appello, con riferimento all’intervenuto annullamento della DIA in sanatoria e della SCIA, deve essere a questo punto scrutinato il motivo con il quale il privato lamenta l’insussistenza del vizio di legittimità che ha giustificato il disposto annullamento, consistente nel rilievo che con i suddetti atti vengono denunciate “opere di manutenzione straordinaria in luogo di opere classificate quali lavori di ristrutturazione, come definite dal predetto art. 3, comma 1, lett. d) del DPR n. 380 del 2001”.
In particolare, con il quinto motivo di appello la sig.ra Na. lamenta: violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 94, 98 e 100 del DPR 6-6-2001, n. 180.
In proposito, essa si limita ad elencare le opere denunciate con le predette dichiarazione e segnalazione certificata, evidenziando che la DIA in sanatoria prot. 27959 del 17-1-2010 è stata rivolta a sanare alcune lievi difformità riscontrate successivamente all’acquisto fattone dalla sig.ra Fe. Gi. e che la SCIA prot. 3619 dell’11-2-2011 è stata sorretta dalla necessità di ultimare i lavori relativi al fabbricato; trattandosi di interventi che, tra l’altro, non abbisognavano del previo rilascio di autorizzazione sismica.
Il motivo non merita favorevole considerazione.
Vi è, invero, che condivisibilmente il giudice di primo grado ha affermato che “Inammissibile per genericità si palesa la doglianza con cui stigmatizza il vizio logico da cui sarebbero affetti i provvedimenti di annullamento in autotutela, non risultando comprensibile sotto quali specifici aspetti sarebbe erronea la valutazione, operata dall’amministrazione, di non riconducibilità delle opere assentite ai regimi della DIA e della SCIA per la loro ritenuta appartenenza nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia (anziché a quelli di manutenzione straordinaria)”.
Va, inoltre, evidenziato che il motivo di appello si limita a riprodurre la censura avanzata in primo grado, senza peraltro muovere sul punto una specifica critica al rilievo di inammissibilità formulato dal Tribunale.
Di poi, si osserva che la riconducibilità di alcuni interventi al novero della ristrutturazione edilizia (la quale assorbe in tale ambito categoriale, in presenza di un insieme sistematico di opere, anche interventi che se isolatamente considerati sarebbero qualificabili come di manutenzione straordinaria, dovendosi comunque, ai fini della loro classificazione, farsi luogo ad una considerazione unitaria degli abusi posti in essere, attenendo questi ad un unico contesto edificatorio che non può essere parcellizzato) emerge dalle stesse osservazioni svolte da parte ricorrente in ordine agli abusi ad essa contestati.
Ed, invero, il Comune ha contestato al privato, tra gli altri, i seguenti interventi: “Chiusura del vano scala con elementi murati verticali dal lato Sud e Ovest al piano primo, e del lato Ovest del piano secondo, realizzando in tal modo un volume non residenziale definito”; “Chiusura, con incremento di volume utile di mc. 18,30 e superficie di mq. 6,10, della zona dell’appartamento al piano primo, in prossimità del vano scala, ove era prevista, dal P.C. 13/2003, un’area aperta con vano d’ingresso all’appartamento e barriera in ferro a delimitazione della rampa scala”; “Realizzazione, sul lastrico solare, di muratura verticale di altezza di mt. 2,00 e lunghezza di mt. 19,00 a ridosso del confine Nord e prospiciente il cortile di ingresso della scuola elementare, nonché realizzazione di parete verticale di altezza di mt. 2,80 e lunghezza di mt. 7,15 sul fronte Sud a confine con fabbricato di proprietà aliena”.
Orbene, tali interventi, determinando la creazione di nuova volumetria ed incidendo sui prospetti del fabbricato, configurano interventi di ristrutturazione edilizia, come pure la realizzazione di muri di consistenti dimensioni non può essere ricompresa nell’ambito della manutenzione straordinaria.
La sig.ra Na., nel rendere le proprie controdeduzioni al Comune con nota prot. 10832 del 6-5-2016, ha rilevato che i suddetti interventi risultavano assentiti dalla DIA in sanatoria prot. 27959 del 17-11-2010.
Quindi, dalle stesse affermazioni di parte ricorrente emerge che la predetta DIA in sanatoria aveva ad oggetto interventi di ristrutturazione edilizia, che, in relazione alle loro caratteristiche, non potevano essere assentite con tale titolo abilitativo.
Trova, pertanto, anche per tale via conferma (oltre ai rilievi sopra svolti in ordine alla inammissibilità della censura ed alla mancata critica della sentenza di primo grado sulla erroneità di tale specifica statuizione) la bontà del motivo di annullamento palesato dal Comune nei provvedimenti di autotutela impugnati, laddove si rileva, quali vizi di legittimità dei titoli edificatori, la circostanza che con essi siano state denunciate opere di manutenzione straordinaria in luogo di lavori di ristrutturazione edilizia.
Osserva il Collegio che il mancato accoglimento del ricorso introduttivo in ordine a tale vizio di legittimità (riscontrato nei provvedimenti di primo grado) è sufficiente a sorreggere la legittimità dei gravati provvedimenti di autotutela, trattandosi di provvedimenti plurimotivati; con la conseguenza che può ritenersi assorbito l’esame delle doglianze relative alla non necessità dell’autorizzazione sismica e della decadenza della SCIA, atteso che, ove anche fondate, esse non potrebbero comunque portare alla caducazione delle determinazioni dirigenziali di annullamento.
Resta, in particolare, assorbito anche l’esame del quarto motivo di appello, con il quale, lamentandosi “Error in iudicando – violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 94, 98 e 100 del DPR n. 380/2001”, in modo specifico si contesta che la rilevata assenza di autorizzazione sismica potesse essere posta a fondamento dell’annullamento in autotutela della DIA in sanatoria e della SCIA.
La ritenuta legittimità, sulla base delle considerazioni sopra svolte, dei provvedimenti di annullamento della DIA in sanatoria prot. 27959 del 17-11-2010 (determinazione dirigenziale prot. n. 22930 del 21-9-2016) e della SCIA prot. 3619 del 14-2-2011 (determinazione dirigenziale prot.22931 del 21-9-2016), comporta, per tale parte, la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza del Tribunale Amministrativo.
Può a questo punto passarsi all’esame dei motivi di appello relativi alla pronunciata decadenza del Permesso di Costruire n. 103 del 2012, disposta con determinazione dirigenziale n. 43 del 19-8-2016, prot. n. 635 del 19-8-2016.
Con il secondo motivo di appello la signora Na. lamenta: Error in iudicando – violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’articolo 15 e, correlativamente, dell’articolo 31 del DPR 6-6-2001 n. 380 – travisamento dei principi in materia di efficacia del permesso di costruire.
Ella deduce l’erroneità della sentenza di primo grado laddove ha ritenuto fondato il rilievo del Comune in ordine alla mancanza di una valida comunicazione di inizio lavori, tale da determinare la decadenza del titolo edificatorio.
Rileva in proposito che la comunicazione di inizio lavori esiste e che la stessa ha operato riferimento non solo alle opere di allestimento del cantiere, ma anche ai lavori di ampliamento all’appartamento al primo piano ed a quelli relativi al pergolato al piano secondo.
Evidenzia, poi, che è erronea la statuizione di decadenza per decorso del termine triennale di ultimazione dei lavori.
Giacchè gli stessi sono stati iniziati in data 8-9-2013, essi avrebbero dovuto completarsi entro la data dell’8-9-2016, ma l’ultimazione è stata impedita dalla sospensione dei lavori disposta dal Comune con ordinanza n. 8073 del 7-4-2016, pronunciata “…sino all’adozione dei provvedimenti definitivi di competenza ex DPR n. 380/2001”.
Il Dirigente avrebbe, pertanto, errato due volte: non solo laddove ha ritenuto ipso facto decaduto il permesso di costruire per decorrenza del termine triennale, ma anche laddove ha ritenuto che le opere già eseguite fossero da considerarsi sine titulo e, come tali, sanzionabili (e sanzionate) ai sensi dell’articolo 31 del DPR n. 380 del 2001.
Il motivo di appello è fondato per le ragioni che di seguito si svolgono.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, il Collegio ritiene che la comunicazione di inizio lavori datata 8-9-2013, assunta in data 10 settembre 2013 al prot. 15308 dell’Ente, sia sufficiente, in assenza di altri concreti accertamenti in loco di segno contrario, a dare contezza dell’avvenuto inizio dei lavori in data 9-8-2013.
In essa si legge: “La sottoscritta Na. Ro. […] Il sottoscritto geom. Ru. Gi. […] COMUNICANO alla S.V. l’inizio dei lavori, per l’allestimento del cantiere per i lavori di ampliamento all’appartamento al primo piano e pergolato al piano secondo in data 9-8-2013”.
Rileva la Sezione che la mancanza della virgola tra l’inciso “per l’allestimento del cantiere” e l’inciso “per i lavori di ampliamento all’appartamento al primo piano e pergolato al piano secondo” non dimostri in maniera certa ed inconfutabile che l’inizio dei lavori abbia riguardato il solo allestimento del cantiere e non anche gli interventi edificatori propri del permesso di costruire rilasciato.
Invero, tale mancanza può ragionevolmente essere ricondotta ad una omissione grammaticale, deponendo, invece, l’espresso riferimento ai lavori di ampliamento e di realizzazione del pergolato per una indicazione di inizio dei lavori anche per tali precipui interventi.
D’altra parte, ove la comunicazione avesse voluto riferirsi ai soli interventi propedeutici di allestimento del cantiere, i privati si sarebbero limitati a tale esclusiva indicazione o, al limite, ad un generico riferimento al permesso di costruire rilasciato, senza specificazione alcuna delle opere in concreto da eseguirsi.
Va, poi, evidenziato che la comunicazione (datata 8-9-2013) viene effettuata dopo circa un mese dall’indicato inizio dei lavori (9-8-2013), onde è presumibile ritenere che in tale lasso temporale – all’uopo ragionevolmente sufficiente – non sia stato semplicemente installato il cantiere ma anche dato inizio ai lavori autorizzati.
Sulla base di quanto sopra, dunque, deve ritenersi l’insufficienza, nel provvedimento impugnato, dell’esclusivo riferimento a tale comunicazione a fondare la conclusione della decadenza del permesso di costruire per mancato inizio dei lavori nel termine di un anno dal rilascio del titolo edilizio.
La predetta comunicazione, invece, in difetto di concreti accertamenti che abbiano acclarato effettivamente il mancato inizio dei lavori, costituisce elemento sufficiente a ritenere che gli interventi di cui al permesso di costruire n. 103/2012 (rilasciato in data 1-11-2012) siano iniziati, conformemente a quanto disposto dall’articolo 15 del T.U. Edilizia, entro l’anno dal rilascio del titolo abilitativo (e, cioè, in data 9-8-2013).
Esclusa per tal via che la decadenza possa fondarsi sulla mancata osservanza del termine annuale per l’avvio dei lavori, occorre verificare se alla data della adozione del provvedimento di decadenza (19-8-2016), la stessa (come pure oggetto di contestazione) si fosse verificata per intervenuto decorso del termine triennale, il quale sarebbe spirato il 9-8-2016.
Al riguardo, parte appellante deduce che il termine, all’atto dell’adozione del provvedimento impugnato, non sarebbe decorso, atteso che i lavori non avrebbero potuto essere ultimati a tale data a cagione della sospensione degli stessi, disposta dal Comune con ordinanza prot. n. 8073 del 7-4-2016.
La doglianza è fondata nei termini appresso precisati.
Invero, considerato che l’ordinanza di sospensione dei lavori ha efficacia per 45 giorni anche se entro tale termine non siano stati adottati provvedimenti definitivi, deve ritenersi che il suddetto lasso temporale debba essere considerato nel calcolo del termine triennale previsto per l’ultimazione dei lavori, con la conseguenza che, alla data di adozione del provvedimento di decadenza (19-8-2016), detto termine (che sarebbe spirato, in assenza di eventi sospensivi, il 9-8-2013) non era ancora decorso, dovendo computarsi ulteriori 45 giorni.
Da quanto sopra deriva l’illegittimità del provvedimento di decadenza n. 43/2016, prot. n. 635 del 19-8-2016.
E’, altresì, fondato il terzo motivo di appello con il quale viene lamentato: Error in iudicando – violazione e travisamento dei principi generali in materia di efficacia e decadenza del permesso di costruire – violazione dei principi di tipicità e nominatività degli atti amministrativi- violazione dei principi generali in tema di autotutela e di atti di ritiro.
La signora Na. deduce in proposito che il Comune non avrebbe potuto porre a fondamento della pronuncia di decadenza la circostanza (indicata quale motivo della determinazione assunta) che “l’intervento assentito con Permesso a costruire n. 103/2012, relativo all’incremento volumetrico di unità immobiliare per civile abitazione […], risulta essere in contrasto con le norme del Regolamento Edilizio vigente, di cui all’articolo 3, comma 17, ove si determina la distanza minima tra costruzioni limitrofe”, né il rilievo che non risultava depositata autorizzazione sismica.
La censura merita condivisione, considerandosi che la determinazione n. 43 del 19-8-2016 è chiaramente, per come si evince dal dispositivo dell’atto, un provvedimento di decadenza.
Orbene, a mente dell’articolo 15 del DPR n. 380 del 2001, la decadenza può essere pronunciata nelle specifiche ipotesi previste dalla norma e, segnatamente, nei casi di mancato rispetto del termine di inizio e di ultimazione dei lavori.
Essa, di conseguenza, non può validamente fondarsi su acclarate illegittimità del titolo edificatorio ovvero sul mancato ottenimento dell’autorizzazione sismica.
In particolare, la violazione di norme regolamentari in materia di distanze configura una illegittimità del titolo abilitativo, la quale, nel rispetto dei principi di tipicità e nominatività degli atti amministrativi e della necessaria osservanza della causa tipica del potere in concreto esercitato, consente, ove sia acclarata la sussistenza di tutti i presupposti previsti dall’articolo 21 nonies della legge n. 241/1990, l’adozione di un provvedimento di annullamento del titolo edilizio e non anche di una pronuncia di decadenza dello stesso.
Parimenti, la mancanza dell’autorizzazione sismica non costituisce causa di decadenza del permesso di costruire.
In accoglimento dei suddetti motivi di appello (secondo e terzo), in riforma in parte qua della sentenza del Tribunale Amministrativo ed in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il suddetto provvedimento di decadenza deve essere annullato.
Deve a questo punto essere vagliato in quali termini la disamina dell’appello ed i suoi esiti, come sopra enucleati, si riverberino sull’ordinanza di demolizione prot. n. 23640, n. 31 del 27-9-2016.
Ritiene il Collegio che i motivi di doglianza avverso di essa mossi vadano respinti in relazione alle opere realizzate in base alla DIA in sanatoria prot. n. 27959 del 17-11-2010 ed alla SCIA prot. n. 3619 del 14-2-2011, ovvero comunque non assistite da alcun titolo abilitativo.
In particolare, la richiamata ordinanza risulta legittima in relazione alle opere indicate nel corpo del provvedimento sub a), b), c), d) ed e).
Trattasi, invero, di interventi previsti dai citati titoli, i quali sono stati, per come sopra esposto, legittimamente annullati dalle determinazioni dirigenziali prot. n. 22930 e 22931 del 21-9-2016.
L’annullamento, invero, elimina i titoli abilitativi dal mondo giuridico con efficacia ex tunc, onde le opere dagli stessi assentiti risultano ab origine abusive e ne è, dunque, validamente pronunciata la demolizione.
L’opera sub c), consistente nell’apertura di n. 2 vani, risulta, inoltre, per stessa ammissione della parte (si vedano le citate controdeduzioni prot. n. 10832 del 6-5-2016) priva di qualsiasi titolo che ne abbia autorizzato la realizzazione, fermo restando che l’ingiunzione di demolizione non può operare ove la stessa risulti essere stata spontaneamente rimossa dal privato.
Valgono, poi, in relazione alla “tompanatura della restante parte del vano scala”, le condivisibili considerazioni espresse dal giudice di primo grado in ordine alla irrilevanza della CILA del 2 luglio 2010 ad escludere la possibilità dell’esercizio del potere di demolizione in assenza di una preventiva determinazione di autotutela sul punto.
Invero, l’atto presentato dalla dante causa dell’appellante non è una SCIA, ma una CILA, la quale non costituisce un titolo edilizio in senso proprio; con la conseguenza che, ove le opere realizzate non rientrino nell’ambito di applicabilità della stessa, l’Ente può ingiungerne la demolizione senza dover far luogo ad alcun previo annullamento.
E’, pertanto, infondato il sesto motivo dell’appello, con il quale si lamenta error in iudicando e falsa applicazione dell’articolo 31 del DPR n. 380/2001.
L’accoglimento dell’appello con riferimento al provvedimento di decadenza del permesso di costruire n. 103/2012 e, di conseguenza, il suo annullamento rendono, invece, illegittima l’ordinanza n. 31/2016 nella parte in cui ingiunge la demolizione dell’opera indicata sub f) della stessa e, cioè, l'”ampliamento dell’appartamento al primo piano ad uso residenziale, con chiusura del preesistente terrazzo di pertinenza”.
Invero, tale opera risulta assentita dal richiamato permesso di costruire.
Orbene, l’annullamento in sede giurisdizionale della disposta decadenza rende l’opera sorretta da titolo abilitativo e, dunque, non passibile di demolizione.
Va, inoltre, precisato che, esclusa una inefficacia ab origine del permesso di costruire in ragione della insufficiente dimostrazione del mancato inizio dei lavori entro l’anno, anche una eventuale decadenza dello stesso per mancata ultimazione dei lavori nel termine triennale non consentirebbe la demolizione del manufatto, operando l’effetto decadenziale ex nunc e lasciando, pertanto, salve le opere a tale data già realizzate.
Invero, in una corretta interpretazione dell’articolo 15 del DPR n. 380 del 2001, la decadenza impedisce solo l’ulteriore corso dei lavori ma non determina illeceità urbanistica di quanto già realizzato nella vigenza del titolo edificatorio.
Come più sopra precisato, infatti, l’abusività dell’opera (e la sua conseguente demolizione) avrebbe potuto legittimamente predicarsi solo per effetto dell’annullamento del permesso di costruire per vizi di legittimità, determinazione questa nella specie mai assunta.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, in parziale riforma della sentenza gravata ed in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, l’ordinanza di demolizione n. 31 del 27-9-2016 deve essere annullata limitatamente alla ingiunta demolizione dell'”ampliamento dell’appartamento al primo piano ad uso residenziale, con chiusura del preesistente terrazzo di pertinenza”.
Conclusivamente, dunque, l’appello deve essere accolto nei limiti sopra specificati e, di conseguenza, in parziale riforma della sentenza appellata e in parziale accoglimento del ricorso di primo grado devono essere annullati: a) la determinazione dirigenziale prot. n. 635, n. 43 del 19-8-2016 di decadenza del permesso di costruire n. 103/2012; b) l’ordinanza di demolizione n. 31 del 27-9-2016 nella sola parte in cui ingiunge la demolizione dell’ampliamento dell’appartamento al primo piano.
La sentenza di primo grado deve essere, per il resto, confermata.
La complessità della vicenda e l’esito della lite, configurabile in termini di soccombenza reciproca, giustificano l’integrale compensazione delle spese del doppio grado tra le parti costituite

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi e nei limiti in motivazione precisati, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata e in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, annulla i seguenti atti: a) determinazione dirigenziale prot. n. 635, n. 43 del 19-8-2016; b) ordinanza di demolizione n. 31 del 27-9-2016 nella sola parte in cui ingiunge la demolizione dell’ampliamento dell’appartamento al primo piano ad uso residenziale.
Conferma per il resto la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
Stefano Toschei – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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