La declinatoria di giurisdizione

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 30 dicembre 2019, n. 8902

La massima estrapolata:

Prendendo in esame la fattispecie di sentenza “che ha declinato la giurisdizione” ex art. 105 c.p.a., essa risulta integrata non soltanto nel caso in cui la declinatoria di giurisdizione sia determinata dalla violazione delle norme direttamente regolanti il riparto del potere giurisdizionale tra i vari ordini giudicanti, ma anche qualora discenda dalla violazione di altre disposizioni comunque incidenti sulla decisione della questione di giurisdizione.

Sentenza 30 dicembre 2019, n. 8902

Data udienza 19 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 9412 del 2019, proposto da
Ma. Ac. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Mi. Ur., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via (…) presso lo studio dell’avv. Sa. Ru.;
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza bis n. 11671/2019, resa tra le parti, concernente l’annullamento dei decreti MIUR n. 207/2018 e n. 203/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Gi. Gr. e Mi. Ur.;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
1. Con ricorso di primo grado gli odierni appellanti hanno chiesto l’annullamento del decreto MIUR n. 207 del 9.3.2018, regolante la mobilità del personale docente, educativo e Ata per l’anno scolastico 2018/2019 nella parte in cui, in ritenuta violazione dell’art. 97 Cost. dell’art. 470 D. Lgs. n. 297/1994 e dell’art. 30 D. Lgs. n. 165/01 e comunque con decisione asseritamente inficiata da eccesso di potere, non prevedeva che la mobilità del personale docente per l’anno scolastico 2018/2019 dovesse avvenisse sul 100% dei posti disponibili, comunque con priorità rispetto alle nuove assunzioni.
Con sentenza n. 7619 del 9.7.2018 il Tar ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario, ritenendo che nella specie si facesse questione di atti di gestione di rapporti di lavoro privatizzati: in particolare, a giudizio del Tar, la natura privata del procedimento di mobilità non avrebbe consentito di configurare in astratto interessi legittimi, situazioni giuridiche soggettive concepibili soltanto in relazione all’attività autoritativa dell’Amministrazione; né nella specie la scelta tra mobilità e posti destinati alle nuove assunzioni sarebbe stata connotata da margini di discrezionalità dell’Amministrazione, risultando le relative percentuali stabilite dalla legge e specificate in accordi contrattuali.
La sentenza del Tar è stata impugnata in appello.
La Sezione con sentenza n. 5565/2018 del 27.9.2018 ha accolto l’appello, ritenendo che nella specie fosse censurato un atto di macro-organizzazione, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo: in particolare, il decreto ministeriale impugnato in primo grado aveva ad oggetto la disciplina della mobilità sull’intero territorio nazionale, applicabile nei confronti di migliaia di docenti, integrando (conseguentemente) gli estremi dell’atto organizzativo, recante le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, con particolare riferimento alle modalità di dislocazione sul territorio nazionale del personale docente.
Per l’effetto, la Sezione ha annullato la sentenza impugnata, dichiarando la sussistenza della giurisdizione amministrativa e rinviando la causa al primo giudice.
Con atto del 10.11.2018 le parti ricorrenti hanno riassunto il giudizio dinnanzi al Tar, presentando nuova domanda cautelare.
Con ricorso del 26.3.2019 le parti ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti (recante altresì domanda cautelare), chiedendo l’annullamento del decreto MIUR n. 203 dell’8.3.2019, recante la disciplina della mobilità del personale docente, educativo ed ATA per l’anno scolastico 2019/2020, nella parte in cui, nel richiamare il CCNI sottoscritto il 6.3.2019, in ritenuta violazione dell’art. 97 Cost. dell’art. 470 D. Lgs. n. 297/1994 e dell’art. 30 D. Lgs. n. 165/01 e comunque con decisione asseritamente inficiata da eccesso di potere, non prevedeva che la mobilità del personale docente per l’anno scolastico 2019/2020 dovesse avvenire sul 100% dei posti disponibili, comunque con priorità rispetto alle nuove assunzioni.
Pronunciando sulla domanda cautelare, con ordinanza del 19.4.2019, n. 2367 il Tar Lazio, in accoglimento dell’istanza dei ricorrenti, ha sospeso l’efficacia degli atti impugnati.
L’ordinanza n. 2367/19 è stata confermata da questo Consiglio con ordinanza n. 3722 del 22.7.2019.
Con istanza del 13.6.2019 i ricorrenti hanno chiesto al Tar l’esecuzione dell’ordinanza n. 2367/19.
Il Tar ha fissato per il giorno 2.7.2019 la camera di consiglio per pronunciare sull’esecuzione dell’ordinanza cautelare; la camera di consiglio è stata successivamente rinviata al 1.8.2019.
All’esito della camera di consiglio 1.8.2019, il Tar ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario, emettendo la sentenza n. 11671 del 9.10.2019, con la quale ha ritenuto “sussistere nella fattispecie la giurisdizione del giudice ordinario essendo il Collegio al cospetto non di una procedura concorsuale intesa all’assunzione nei ruoli della pubblica amministrazione bensì di una procedura preordinata al trasferimento all’estero di personale già assunto”.
Gli odierni appellanti hanno impugnato la sentenza di prime cure – con richiesta di concessione di misure cautelari – deducendone la nullità con un unico articolato motivo, incentrato:
– sulla violazione del giudicato formatosi sulla sentenza di questo Consiglio n. 5565/2018 e comunque sulla violazione dell’art. 11, comma 3, c.p.a., non avendo il Tar sollevato d’ufficio il regolamento di giurisdizione entro la prima udienza successiva alla riassunzione della causa in primo grado;
– sulla violazione del diritto di difesa, per essere stata pronunciata sentenza, senza previo avviso alle parti ex art. 60 c.p.a., all’esito della camera di consiglio fissata per l’esecuzione della misura cautelare;
– sulla sussistenza della giurisdizione amministrativa, facendosi questione di impugnazione di atti di macro-organizzazione.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per resistere all’appello.
In vista della camera di consiglio fissata per la decisione dell’istanza cautelare, la parte appellante ha depositato memoria difensiva, insistendo ulteriormente nei motivi di appello.
Alla camera di consiglio del 19.12.2019 è stato dato alle parti avviso ex art. 60 c.p.a. della possibilità di definizione del giudizio in esito all’udienza cautelare; la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione.
2. Ai sensi dell’art. 60 c.p.a. ricorrono i presupposti per la definizione del giudizio in esito all’udienza cautelare, essendo trascorsi, alla data del 19.12.2019, venti giorni dalla notificazione del ricorso e risultando integro il contraddittorio, senza necessità di svolgere attività istruttoria.
L’appello è fondato e la sentenza impugnata va annullata con rimessione della causa al primo giudice.
Come esposto nella parte narrativa del presente provvedimento, con la sentenza appellata il Tar ha nuovamente, per la seconda volta, declinato la giurisdizione amministrativa sulla presente controversia, sebbene la Sezione con sentenza n. 5565/18, annullando una precedente decisione declinatoria della giurisdizione, pronunciata dal medesimo Tar Lazio nell’ambito dello stesso processo, avesse affermato la giurisdizione amministrativa, rinviando la causa al giudice di primo grado.
In particolare, emerge dagli atti che:
– con sentenza n. 7619 del 9.7.2018 il Tar ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario, ritenendo che la natura privata del procedimento di mobilità non consentisse di configurare in astratto interessi legittimi, situazioni giuridiche soggettive concepibili soltanto in relazione all’attività autoritativa dell’Amministrazione; nonché che la scelta tra mobilità e posti destinati alle nuove assunzioni fosse connotata da margini di discrezionalità dell’Amministrazione, risultando le relative percentuali stabilite dalla legge e specificate in accordi contrattuali;
– con sentenza n. 5565/2018 del 27.9.2018 (che non risulta essere stata impugnata per cassazione) questo Consiglio, adito in sede di appello, ha annullato la sentenza n. 7619/18, rinviando la controversia al Tar Lazio per erronea declinatoria della giurisdizione amministrativa; a giudizio della Sezione, infatti, il decreto ministeriale impugnato in primo grado, in quanto regolante la disciplina della mobilità sull’intero territorio nazionale, integrava gli estremi dell’atto organizzativo recante le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, con particolare riferimento alle modalità di dislocazione sul territorio nazionale del personale docente; con conseguente sua attrazione alla giurisdizione amministrativa;
– riassunto il giudizio di primo grado, il Tar ha nuovamente declinato la propria giurisdizione sulla medesima controversia.
Come censurato dall’appellante, la pronuncia di prime cure, declinando per la seconda volta la giurisdizione amministrativa, ha violato l’effetto preclusivo discendente dal giudicato formatosi sulla sentenza n. 5565/18 della Sezione, con cui questo Consiglio aveva già affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla presente controversia.
Per effetto della sentenza di appello n. 5565/18 – di rimessione della causa al primo giudice – il Tar avrebbe dovuto, dunque, rinnovare il giudizio di prime cure, pronunciando sulla domanda proposta dalla parte ricorrente, senza possibilità di riesaminare la questione di giurisdizione, da ritenersi ormai incontrovertibile nell’ambito del processo riassunto.
Ne deriva che, la sentenza appellata, declinando per la seconda volta la giurisdizione amministrativa è erronea per aver violato il giudicato interno formatosi sulla sentenza n. 5565/18 cit., giusta le previsioni degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.
Premesso che la violazione del giudicato interno è inidonea a configurare un vizio revocatorio ex art. 395, comma 1, n. 5, c.p.c., predicabile soltanto a fronte della violazione di un giudicato esterno formatosi su sentenza emessa a definizione di giudizio separato (cfr. Cass., sez. II, 8 gennaio 2014, n. 155), nel caso di specie si ritiene che l’error in procedendo in cui è incorso il giudice di primo grado, benchè determinato dalla violazione di una preclusione processuale (discendente dalla formazione di un giudicato interno sulla questione di giurisdizione), sia comunque suscettibile di integrare la fattispecie di erronea declinatoria della giurisdizione ai sensi dell’art. 105 c.p.a., con conseguente necessità di rimettere la causa al primo giudice.
Difatti, sebbene le ipotesi di annullamento con rinvio ex art. 105 c.p.a., come precisato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (sentenza n. 10 del 30/07/2018), abbiano carattere tassativo e natura eccezionale, non consentendo interpretazioni analogiche o estensive, le stesse possono ritenersi integrate ogniqualvolta venga violata una norma comunque condizionante la decisione su taluna delle questioni rilevanti ai fini della rimessione al primo giudice; essendosi pur sempre in presenza di erronea pronuncia su fattispecie tipizzate dall’art. 105 c.p.a.
Prendendo in esame la fattispecie di sentenza “che ha declinato la giurisdizione” ex art. 105 c.p.a., essa, quindi, risulta integrata non soltanto nel caso in cui la declinatoria di giurisdizione sia determinata dalla violazione delle norme direttamente regolanti il riparto del potere giurisdizionale tra i vari ordini giudicanti, ma anche qualora discenda dalla violazione di altre disposizioni comunque incidenti sulla decisione della questione di giurisdizione; nella specie rappresentate dalle disposizioni in tema di preclusioni processuali, ostative ad un nuovo esame della questione di giurisdizione, ove la stessa già affermata nell’ambito del processo con sentenza passata in giudicato.
Pertanto, tenuto conto che la corretta applicazione delle disposizioni in tema di preclusioni processuali, avrebbe dovuto indurre il Tar a non rimettere più in discussione la questione di giurisdizione, già decisa da questo Consiglio con sentenza n. 5565/18 cit., la nuova pronuncia declinatoria di giurisdizione, comunque emessa, risulta erronea; integrando, per l’effetto, la fattispecie di erronea (per violazione delle norme sulle preclusioni processuali) declinatoria della giurisdizione amministrativa, determinante l’annullamento della sentenza appellata e la rimessione della causa al primo giudice ex art. 105 c.p.a..
3. La particolarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, accoglie, nei limiti di cui in motivazione, l’appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata e rinvia la causa al primo giudice.
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

 

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