Maltrattamenti in famiglia anche in presenza di convivenza di breve

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|7 maggio 2021| n. 17888.

Maltrattamenti in famiglia anche in presenza di convivenza di breve.

E’ configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purché sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà. (In motivazione, la Corte ha precisato che il reato è configurabile qualora fra l’autore del reato e la persona offesa sussistano strette relazioni dalle quali dovrebbero derivare rispetto e solidarietà e che, invece, diventano la precondizione per realizzare le condotte maltrattanti).

Sentenza|7 maggio 2021| n. 17888. Maltrattamenti in famiglia anche in presenza di convivenza di breve

Data udienza 11 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Maltrattamenti – Lesioni – Applicazione del reato di maltrattamenti anche in caso di convivenza delle parti – Assorbimento del reato di atti persecutori in quello di maltrattamenti in caso di cessazione della convivenza – Ipotesi aggravata di atti persecutori in caso di comportamenti assunti dopo la controversia – Nozione di convivenza e di coabitazione – Bene giuridico tutelato – Censure inammissibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – rel. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/02/2020 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Costanzo Angelo;
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale Dr. Lori Perla, che chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
L’avvocato (OMISSIS) del Foro di Milano, in difesa di (OMISSIS), nelle sue conclusioni chiede l’accoglimento del ricorso.

Maltrattamenti in famiglia anche in presenza di convivenza di breve

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 8500 del 2020 la Corte di appello di Milano ha confermato, ma concedendo le circostanze attenuanti generiche e rideterminando la pena, la condanna inflitta dal Tribunale di Milano a (OMISSIS) ex articoli 94 e 572 c.p. per avere maltrattato (OMISSIS) – con la quale aveva una relazione sentimentale con periodi di convivenza – ingiuriandola, minacciandola, percuotendola e ledendola nei modi descritti nel capo A delle imputazioni e ex articolo 81 c.p., comma 2 e articoli 582 e 585 (con riferimento all’articolo 576), e articolo 61 c.p., n. 1, per averle procurato le lesioni descritte nel capo B delle imputazioni.
2. Nel ricorso e nelle conclusioni scritte presentate dal difensore di (OMISSIS) si chiede l’annullamento della sentenza deducendo violazione dell’articolo 572 c.p. e vizio della motivazione per avere qualificato le condotte come maltrattamenti, in assenza di una stabile convivenza o di un rapporto para-familiare, e nonostante la breve durata del rapporto (sentimentale ma “finalizzato per lo piu’ alla consumazione di rapporti sessuali”) fra l’imputato e la persona offesa.
Si evidenzia, inoltre, la mancanza dell’abitualita’ dei comportamenti vessatori e di uno stato di prostrazione fisica e morale della persona offesa come si desume anche dai contenuti del colloquio del 16 novembre 2016, in cui – dopo avere sporto le denunce che hanno dato origine al procedimento penale – la donna chiede insistentemente a (OMISSIS) di passare una notte con lui.

 

Maltrattamenti in famiglia anche in presenza di convivenza di breve

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nell’escludere la mancanza dell’abitualita’ dei comportamenti vessatori e di uno stato di prostrazione fisica e morale della persona offesa richiamando il colloquio del 16 novembre 2016, il ricorso non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui si sottolinea che – al di la’ della circostanza che la donna fosse “succube del fascino o della attrazione sessuale che l’uomo esercita su di lei” – resta il fatto che l’uomo attuo’ una serie di comportamenti oggettivamente umilianti e vessatori (pesanti ingiurie, minacce e violenze fisiche) per oltre un anno e mezzo cosi’ da condurre la vittima a intraprendere un percorso di affrancamento psicologico da lui (p. 5).
2. Quanto alla durata, stabilita’ e natura della convivenza, deve registrarsi che nello stesso atto di appello si indicano sette mesi di coabitazione con varie interruzioni. Al riguardo, la sentenza di primo grado delinea una puntuale ricostruzione dei diversi momenti della relazione instauratasi fra l’imputato e la persona offesa: i due cominciarono a frequentarsi nel periodo natalizio del 2015 sino a convivere nel febbraio del 2016, ma il rapporto si rivelo’ conflittuale e, nella denuncia del 26 giugno 2016, la (OMISSIS) descrive le ingiurie, le minacce, le percosse a lei rivolte da (OMISSIS), incline anche all’abuso di alcolici e a comportamenti aggressivi a sfondo sessuale; dopo la denuncia i due ripresero la relazione (caratterizzata da una intensa vita sessuale con pratiche anomale richieste dall’uomo e verso le quali la donna manifesto’ dissenso pur infine assecondando), trascorrendo assieme qualche notte per poi riprendere la convivenza verso la fine di agosto sino a una aggressione da parte di lui e a una lite, senza che, tuttavia, la loro relazione si interrompesse (anzi la (OMISSIS) accoglieva (OMISSIS) nella sua abitazione); nonostante le lesioni patite il 30 agosto 2016, la relazione ancora prosegui’ con una assidua frequentazione e, ai primi di ottobre, (OMISSIS) comincio’ a portare le sue cose a casa della (OMISSIS); seguirono altri episodi di minacce e lesioni sino a quando la donna si reco’ presso la Polizia locale di Milano dichiarando di avere cambiato la serratura della sua abitazione per difendersi da (OMISSIS), il quale continuava a ingiuriarla e a minacciarla per telefono.
3. La Corte di appello ha argomentato che la stabilita’ della convivenza non e’ un requisito richiesto per la sussistenza del reato di maltrattamenti. Ha, inoltre, richiamato i contenuti del colloquio in cui l’imputato, da un canto, si lamento’ della violazione (con le denunce contro di lui sporte) della fiducia che egli nutriva verso la (OMISSIS) e questa, per sua parte, lo rimprovero’ per la mancanza di affetto che mostrava nel non accogliere la sua richiesta di rincontrarlo, cosi’ confermando la sussistenza di un rapporto non esclusivamente legato alle pratiche sessuali, come desumibile anche “dai vari tentativi di instaurare e mantenere stabile la loro convivenza” ai quali la sentenza impugnata (come anche quella di primo grado) fa riferimento in termini generici ma, comunque, senza contestazioni al riguardo nel ricorso in esame (p. 5).
In definitiva, dai dati acquisiti emerge che fra l’imputato e la persona offesa si instauro’ un legame affettivo, influenzato anche dalla intensa attivita’ sessuale, con una convivenza dalla durata breve – incostante e piu’ volte interrotta per poi essere ripresa – ma significativa, per il mantenersi di una relazione di complicita’, sollecitata dalla donna, pur dopo le denunce da lei sporte e l’intervento della Polizia e dell’Autorita’ giudiziaria.
4. L’articolo 572 c.p. e’ applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C., Rv. 261472).
In particolare, pur mancando vincoli nascenti dal coniugio, il delitto di maltrattamenti in famiglia e’ configurabile nei confronti di persona non piu’ convivente more uxorio con l’agente quando questi conserva con la vittima una stabilita’ di rapporti dipendente dai doveri connessi alla filiazione per la perdurante necessita’ di adempiere gli obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell’educazione, nell’istruzione e nell’assistenza morale del figlio minore naturale derivanti dall’esercizio congiunto della potesta’ genitoriale (Sez. 6, n. 25498 del 20/04/2017, I., Rv. 270673; Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014, C., Rv. 262078).
In questo caso, nel rispetto della clausola di sussidiarieta’ prevista dall’articolo 612-bis c.p., comma 1, (Sez. 5, n. 41665 del 04/05/2016, C., Rv. 268464; Sez. 6, n. 7369 del 13/11/2012, dep. 2013, M., Rv. 254026), il reato di maltrattamenti assorbe quello di atti persecutori anche in caso di avvenuta cessazione della convivenza se la tipologia della relazione fra l’agente e la persona indica il permanere di condizioni che richiedono solidarieta’ fra i due. Invece, si configura l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista dall’articolo 612-bis c.p., comma 2) in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunita’ familiare (o a questa assimilata), o determinati dalla sua esistenza e sviluppo, continuino nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare o comunque della sua attualita’ (Sez. 6, n. 8145 del 15/01/2020, S., Rv. 278358; Sez. 6, n. 30704 del 19/05/2016, D’A., Rv. 267942; Sez. 6, n. 7369 del 13/11/2012, dep. 2013, M., Rv. 254026).
Inoltre, per la configurabilita’ del reato ex articolo 572 c.p., non solo non occorre che la convivenza sia ancora in corso, ma non e’ neanche necessario che tale convivenza abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilita’, quale che sia stato poi in concreto l’esito di tale comune decisione (Sez. 6, n. 5457 del 6/11/2019, dep. 2020, M., non mass.; Sez. 3, n. 44262 del 8/11/2005, Schiacchitano, Rv. 232904).
Basta, quindi, un regime di vita improntato a rapporti di solidarieta’ e a strette relazioni, dovute a diversi motivi (Sez. 3, n. 8953 del 03/07/1997, Miriani, Rv. 208444); come nel caso di una relazione sentimentale in cui vi sia stata un’assidua frequentazione della abitazione della persona offesa tale da far sorgere sentimenti di solidarieta’ e doveri di assistenza morale e materiale (Sez. 5, n. 24688 del 17/03/2010, B., Rv. 248312) o come nel caso in cui con la vittima degli abusi vi sia un rapporto familiare di mero fatto, desumibile – in assenza di una stabile convivenza – dall’avvio di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarieta’ e assistenza e caratterizzato da potenziale stabilita’ (Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, I., Rv. 255628). Similmente, il reato di maltrattamenti puo’ configurarsi in una situazione di condivisa genitorialita’, pur in assenza di ogni forma di convivenza, se la la filiazione non e’ stata solo un esito occasionale di rapporti sessuali ma abbia, almeno nella fase iniziale del rapporto, ingenerato una relazione affettiva con una aspettativa di solidarieta’ svincolata dagli obblighi giuridici connessi alla filiazione (Sez. 6, n. 37628 del 25/06/2019, C., Rv. 276697).
5. Le modifiche della disposizione introdotte dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172 – che, nel ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale del 25 ottobre 2007 (Convenzione di Lanzarote), ha sostituito la rubrica dell’articolo 572 c.p. con la formulazione attuale, ha aggiunto i conviventi fra i soggetti passivi del reato e ha inasprito le pene – hanno condotto la giurisprudenza a consolidare l’interpretazione che estende l’ambito di applicazione del dato normativo ai rapporti comunque caratterizzati da relazioni intense e abituali (para-familiari), da consuetudini di vita e di fiducia tra i soggetti, in condizioni paritarie o anche di soggezione di una parte nei confronti dell’altra (fra le altre: Sez. 6, n. 14754 del 13/02/2018, M., Rv. 272804; Sez. 6, n. 24057 del 11/04/2014, M., Rv. 260066; Sez. 6, n. 24642 del 19/03/2014, LG., Rv. 260063).
Nonostante queste modifiche, il reato di “maltrattamenti contro familiari e conviventi”, come denominato dall’articolo 572 c.p., resta collocato all’interno dell’undicesimo titolo del secondo libro del codice penale, titolo dedicato ai delitti contro la famiglia e, in particolare, nel capo quarto, intitolato “dei delitti contro l’assistenza familiare”.
Secondo la dottrina prevalente, il bene giuridico tutelato dal reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi non e’ il nucleo familiare in se’ (quale entita’ a se’ stante, titolare di interessi propri distinti da quelli dei suoi componenti) ma l’integrita’ psico-fisica di coloro che, per eta’ o per rapporti di tipo familiare o di affidamento, si trovino nelle condizioni di subire, proprio nei contesti in cui dovrebbero ricevere maggiore solidarieta’, condotte di prevaricazione fisica o morale che la minino. Va ricordato, al riguardo, che nel previgente codice penale del 1889 (codice Zanardelli) il reato di maltrattamenti era collocato (articolo 391) fra i reati contro la persona, fra i quali, secondo gli auspici di parte della dottrina, andrebbe ricollocato.

 

Maltrattamenti in famiglia anche in presenza di convivenza di breve

Su queste basi e’ stato evidenziato che il raggruppare alcuni reati all’interno del titolo dedicato ai delitti contro la famiglia si collega, in realta’, soltanto a uno degli scopi che ha guidato il legislatore nella rilevazione dei beni ai quali accordare protezione, per cui affermare che l’oggetto del reato di maltrattamenti e’ la famiglia significherebbe fallacemente confondere uno degli scopi della norma (donde il
permanere della sua collocazione nel sistema del codice) con il bene giuridico tutelato (piu’ ampio perche’ ricomprende non solo i rapporti “di famiglia” ma anche quelli “di famigliarita’”) e le correlate persone offendibili, con le conseguenti
implicazioni processuali riguardanti, per esempio, la legittimazione a opporsi alle richieste di archiviazione o a costituirsi parte civile).
Infatti, introducendo la locuzione “comunque convivente” nel testo dell’articolo 572 c.p., comma 1, il legislatore ha esteso l’ambito della sua applicabilita’ a soggetti che sono uniti all’autore dei maltrattamenti da rapporti diversi (anche distanti da quelli di famiglia), derivanti, per esempio, da situazioni di coabitazione tra persone che condividono spazi comuni o, comunque, di convivenza.
A questo riguardo, e’ necessario precisare che “convivenza” e “coabitazione” sono concetti fra loro differenti perche’ possono esservi relazioni di convivenza senza materiale coabitazione e situazioni di coabitazione che non comportano in alcun modo convivenza.
Lo stesso legislatore nel regolamentare le unioni civili tra persone dello stesso sesso e nel disciplinare le convivenze qualifica (L. 20 maggio 2016, n. 76, articolo 1, comma 36) i “conviventi di fatto” in termini in se’ indipendenti dalla coabitazione, definendoli come due persone (maggiorenni) “unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita’ o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.
In realta’, gia’ la giurisprudenza meno recente aveva considerato che ne’ la stabile convivenza ne’ la coabitazione sono presupposti necessari per il delitto di maltrattamenti (Sez. 3, n. 8953 del 3 ottobre 1997, Miriani, Rv. 208444), perche’ basta che intercorrano relazioni abituali tra il soggetto attivo e quello passivo, come nel caso, per esempio, della relazione fra un uomo e una concubina non convivente, con la quale non vi sia coabitazione ma soltanto un’abituale relazione sessuale (Sez. 6, n. 1587 del 18/12/1970, dep. 1971, Imbesi, Rv. 116811).
Quella che rileva, in sostanza, e’ l’esistenza di relazioni abituali fra il soggetto attivo e quello passivo (delle quali la materiale convivenza e’ solo un aspetto estrinseco del fatto originario costituito dal legame affettivo che produce una convivenza psicologica) determinate – per libera scelta o per condizionamenti interni o esterni di affetti e/o interessi – da continuativi rapporti o strette relazioni che dovrebbe generare rispetto e solidarieta’ e che, invece, diventano una precondizione delle sopraffazioni della personalita’ del soggetto passivo incompatibili con normali condizioni di vita.
Posto questo, la valutazione della riconducibilita’ del rapporto intercorrente fra l’autore e la vittima delle vessazioni al paradigma che si e’ sopra definito costituisce una questio facti, non valutabile in sede di legittimita’ se fondata su massime di esperienza ragionevoli e argomentata senza incorrere in manifeste illogicita’ (Sez.6, n. 79290 del 10/02/2011, B.A., non mass.).
6. Su queste basi – considerato che l’imputato e la persona offesa provarono piu’ volte a costruire un rapporto duraturo (cosi’ manifestandone tangibilmente la necessaria tendenza alla stabilita’) e a convivere, nonostante le conflittualita’ che emergevano – la breve durata del loro rapporto, con le sue peculiarita’, e le interruzioni della loro convivenza non impediscono di configurare il reato di maltrattamenti (Sez. 6, n. 32156 del 22/07/2015, P.R., non mass.).
Puo’, quindi, enunciarsi il seguente di principio di diritto secondo il quale il reato di maltrattamenti in famiglia e’ configurabile anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purche’ sia sorta una prospettiva di stabilita’ e un’attesa di reciproca solidarieta’.
7. Pertanto, il ricorso risulta manifestamente infondato e dalla dichiarazione della sua inammissibilita’ deriva ex articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle Ammende che si stima equo determinare in Euro 3000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore del Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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