Lottizzazione abusiva: non è possibile sanare alcun illecito

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 20 giugno 2019, n. 4228.

La massima estrapolata:

Nell’ambito di una lottizzazione abusiva non è possibile sanare alcun illecito; a fronte della incompatibilità ontologica tra sanatoria e lottizzazione, a nulla rileva la circostanza che taluni singoli interventi edilizi possano essere stati erroneamente sanati a seguito di istanza di condono, o addirittura che siano stati in ipotesi ab initio assentiti dal Comune, dovendo le singole porzioni di suolo ricomprese nell’area abusivamente lottizzata non essere valutate in modo isolato e atomistico.

Sentenza 20 giugno 2019, n. 4228

Data udienza 7 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10811 del 2010, proposto dal signor Se. Fa., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ab., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ru., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Na. in Roma, via (…),
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Sez. II – n. 17267/2010, resa tra le parti, concernente sospensione lottizzazione abusiva e demolizione opere.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2019 il Consigliere Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Pa. Co., su delega dell’avvocato An. Ab., e l’avvocato Lu. De Lu., su delega dell’avvocato Gi. Ru.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. È appellata la sentenza del T.A.R. per la Campania, Sez. II, n. 17267/2010, di reiezione del ricorso proposto dal signor Se. Fa. avverso l’ordinanza n. 139 del 18 settembre 2008 con la quale il Dirigente del Servizio controllo edilizia privata del Comune di (omissis) ha ingiunto la sospensione e successiva demolizione ex art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 di opere riconducibili ad una lottizzazione in zona classificata come agricola-zona E1, originariamente accatastata alla particella (omissis) del foglio (omissis).
2. I giudici di prime cure hanno respinto tutti i motivi d’impugnazione ravvisando nel caso di specie gli estremi sia della cosiddetta lottizzazione negoziale, che materiale.
3. Il signor Fa. Se. ha proposto appello reiterando nella sostanza gli originari motivi di doglianza, in quanto erroneamente vagliati dal Tribunale.
Resiste il Comune di (omissis), che insiste per la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza del T.A.R.
4. Alla pubblica udienza del 7 maggio 2019 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. Con il primo motivo di ricorso l’appellante lamenta l’errore di fatto e di diritto in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure ritenendo di poter ascrivere la fattispecie in esame al paradigma della lottizzazione abusiva.
6. Il motivo è infondato.
6.1. L’art. 30 d.P.R. n. 380/2001, in applicazione del quale è stata adottata l’ordinanza impugnata, riproduce le disposizioni già contenute nell’art. 18 della l. n. 47/85. Nello specifico, la norma prevede che si abbia lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche, quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o l’eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.
L’ordinamento disciplina cioè una lottizzazione “materiale”, consistente nella realizzazione, anche nella sola fase iniziale, di opere che comportino un’abusiva trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni in violazione degli strumenti urbanistici; e una lottizzazione “negoziale”, ovvero cartolare, allorquando la trasformazione avvenga tramite atti negoziali che determinino un frazionamento del terreno in lotti tali da denunciare in modo inequivoco la destinazione a scopo edificatorio.
Con riguardo alla prima, il concetto di “opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia” dei terreni deve essere, dunque, interpretato in maniera “funzionale” alla ratio della norma, “il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’Amministrazione nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione, al fine di garantire un’ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio e uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard compatibile con le esigenze di finanza pubblica” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2018, n. 5805, inerente peraltro il medesimo provvedimento oggetto dell’odierno contenzioso).
Con riferimento alla seconda, sebbene l’accertamento dei presupposti di cui all’art. 30 del d.P.R. n. 380 comporti la ricostruzione di un quadro indiziario sulla scorta degli elementi indicati nella norma, dalla quale sia possibile desumere in maniera non equivoca la destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti, è tuttavia sufficiente che il ridetto scopo emerga anche solo da alcuni di essi e finanche da uno soltanto (Cons. Stato, Sez. IV, n. 2004/2009).
6.2 Quanto alla “colpevolezza” del proprietario del terreno, il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale che ha ricordato come l’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, nel prevedere l’acquisizione del bene al patrimonio pubblico, quale conseguenza amministrativa dell’accertata lottizzazione, secondo le scansioni temporali declinate dal comma 7, contempli una misura sanzionatoria sostanzialmente equiparata alla confisca (Cons. Stato, Sez. VI, 20 settembre 2017, n. 4400). Ne consegue che dovrebbero valere le medesime regole, elaborate in ambito europeo, con applicazione del regime delle “sanzioni penali” anche in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa (Cons. Stato, 20 luglio 2017, n. 3750). Ammesso e non concesso, tuttavia, che il perimetro definitorio delineato da tali pronunce si attagli pienamente ad una fattispecie caratterizzata da vastità di territorio coinvolto e incisività dell’istruttoria effettuata, in concomitanza con una complessa indagine penale, nel caso in esame l’appellante è, per sua esplicita ammissione, l’autore dell’abuso edilizio, realizzato subito dopo aver acquistato dall’unico originario proprietario del suolo un lotto di terreno nella piena consapevolezza della sua destinazione agricola, pur non avendo o comunque non avendo rivendicato il possesso dei requisiti soggettivi per un utilizzo coerente con la stessa. Egli pertanto non può neppure sostenere l’avvenuto acquisto in buona fede, né dal dante causa originario, unico proprietario dell’intera particella madre, di oltre 16 ettari, né in conseguenza dell’atto di divisione bonaria dal fratello, intervenuta in data 23 settembre 1988, trattandosi di un mero passaggio dalla pregressa situazione di proprietà indivisa, a una situazione di proprietà pro quota, aggravata dalla circostanza che su quella attribuita all’appellante già insisteva, per sua esplicita ammissione, sovrastante abitazione, realizzata nell’immediatezza dell’acquisto.
7. Con le precisazioni di cui sopra, dunque, il Collegio ritiene di poter aderire piuttosto all’affermazione del principio in forza del quale “la lottizzazione abusiva opera in modo oggettivo e indipendentemente dall’animus dei proprietari interessati, i quali se del caso potranno far valere la propria buona fede nei rapporti interni con i propri danti causa” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 26/2016; nonché id., n. 5805/2018, cit. supra; Sez. VI, n. 3419/2018; id., n. 2082/2018 e n. 1888/2018).
8. Con il secondo motivo di appello l’interessato lamenta il difetto di motivazione, avuto riguardo in particolare al lungo lasso di tempo trascorso dall’asserita realizzazione dell’abuso, nonché, in chiave comparatistica, alle maggiori specifiche descrittive contenute con riferimento ad altri proprietari rispetto all’assoluta mancanza di indicazioni sulla propria specifica posizione.
8.1. Il motivo è infondato.
8.2. Per comprendere la completezza dell’istruttoria e della motivazione del provvedimento impugnato, mette conto ricostruire nei tratti salienti la vicenda storica dedotta in giudizio.
Il Comune di (omissis), dopo aver preso atto della nota n. 873 in data 11 giugno 2007, della propria Polizia Municipale, trasmessa in esecuzione di delega di indagine nell’ambito di un procedimento penale, ha avviato un’istruttoria estesa all’intero territorio comunale. Le risultanze della stessa in termini di verifica della tipologia degli atti negoziali intervenuti, delle caratteristiche dei soggetti coinvolti e della consistenza dei terreni, nonché l’incrocio delle risultanze dei sopralluoghi con i dati dell’Agenzia del Territorio e con i rilievi aerofotogrammetrici e satellitari, lasciavano inequivocabilmente intendere che nel tempo si era realizzata, su vaste aree del territorio comunale, una trasformazione urbanistica dei suoli. Emergeva infatti che in intere zone libere, a destinazione agricola secondo lo strumento urbanistico generale, era stata avviata nel corso degli anni un’intensa attività negoziale di vendita e frazionamento dei terreni a scopo edilizio.
Il contestuale riscontro della realizzazione di manufatti sine titulo e di opere di urbanizzazione su dette aree attribuiva a quegli indizi il valore di inconfutabile prova dell’avvenuta lottizzazione abusiva, in violazione degli strumenti urbanistici.
8.3. Il provvedimento che ha come destinatario, tra gli altri, anche l’odierno appellante, è ampiamente motivato con riferimento alla ridetta istruttoria. L’affermata maggiore esplicitazione dei presupposti di fatto che hanno occasionato il provvedimento repressivo in relazione ad altri proprietari, oltre che generica, non evidenzia di per sé alcuna intrinseca contraddittorietà, avendo evidentemente il Comune ritenuto opportuno esplicitare i particolari delle verifiche effettuate, proprio laddove fossero intervenuti eventi, quali il riscontro di singoli abusi edilizi in occasione di menzionati sopralluoghi, o circostanze, per le quali si è ravvisata ridetta opportunità . Il Comune, dunque, adottava oltre dieci ordinanze ex art. 30 del più volte richiamato d.P.R. n. 380/2001, con le quali sanzionava altrettante lottizzazioni abusive. Il procedimento penale, svoltosi in parallelo, portava peraltro, all’esecuzione di ordinanze di custodia cautelare in carcere per molti agenti di Polizia municipale.
8.4. D’altro canto, rileva ancora il Collegio, neppure appare condivisibile l’affermazione in forza della quale il provvedimento avrebbe dovuto essere corroborato da un surplus motivazionale in ragione del tempo trascorso dall’avvenuta realizzazione dell’illecito. La natura permanente dello stesso, se mai, rende il fattore tempo irrilevante ai fini del contenuto del provvedimento, che dovendo cauterizzare la perpetrata e pur sempre attuale lesione dell’interesse pubblico tutelato dalla norma, resta ineludibilmente necessitato.
8.5. In relazione all’appellante, dunque, il provvedimento appare ampiamente motivato avuto riguardo alle circostanze, peraltro incontestate, desumibili da tutti gli accertamenti effettuati: il fatto che il lotto appartenente allo stesso risulti dal frazionamento di un’unica area molto più vasta, a destinazione agricola; la contestualità temporale di tutte le vendite originarie, attraverso le quali si realizzò tale frazionamento; la realizzazione sui suoli risultanti dal frazionamento di molteplici interventi edilizi abusivi, per lo più incompatibili con la ridetta destinazione agricola delle aree; la carenza in capo all’appellante nonché al di lui fratello, almeno per quanto consta, benché originari acquirenti, della qualifica di imprenditori agricoli; la necessaria realizzazione di opere di urbanizzazione, in assenza delle quali, pur con l’enfatizzata vicinanza ad una strada, un insediamento residenziale non avrebbe avuto le necessarie condizioni di abitabilità .
Agli effetti della configurazione della fattispecie in discorso, ciò che rileva non è tanto l’epoca di realizzazione degli abusi (che, per lo più, sono collocabili prima del 1988, e quindi a ridosso dell’originario frazionamento), quanto piuttosto il loro discendere dall’iniziale frazionamento dell’area, ciò che deve ritenersi sufficiente a dimostrarne la coerenza con il divisato intento lottizzatorio. Anche sotto tale profilo, pertanto, il provvedimento si presenta esente da mende.
9. Con il terzo motivo di appello l’interessato contesta la contraddittorietà dell’ipotizzata lottizzazione abusiva con l’avvenuta legittimazione degli interventi edilizi attuati sul proprio terreno: in particolare, l’abitazione sarebbe stata oggetto di concessione in sanatoria n. 15915 rilasciata in data 1 giugno 2007, integrata peraltro da un permesso di costruire (n. 211 del 2007) avente ad oggetto la realizzazione di un tetto in legno a quattro falde. Il mancato preventivo annullamento in autotutela dei ridetti titoli edilizi vizierebbe inevitabilmente l’ordinanza n. 139/2008.
9.1. Il Collegio ritiene a tale riguardo sufficiente richiamare la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dalla quale non è ragione di discostarsi, in forza della quale nell’ambito di una lottizzazione abusiva non è possibile sanare alcun illecito. A fronte di tale ritenuta incompatibilità ontologica tra sanatoria e lottizzazione, a nulla rileva la circostanza che taluni singoli interventi edilizi possano essere stati erroneamente sanati a seguito di istanza di condono, o addirittura che siano stati in ipotesi ab initio assentiti dal Comune, come per il tetto in legno, dovendo le singole porzioni di suolo ricomprese nell’area abusivamente lottizzata non essere valutate in modo isolato e atomistico, ma in relazione allo stravolgimento della destinazione di zona che ne deriva nel suo complesso (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 19 giugno 2014, n. 3115; id., 7 giugno 2012, n. 3381).
E’ pertanto evidente che l’attivazione del procedimento destinato a sfociare nella confisca dei terreni che consegue all’emanazione dell’ordinanza ex art. 30 del d.P.R. n. 380/2001, avendo quale presupposto la ritenuta sussistenza di lottizzazione abusiva, assorbe l’indebito preventivo rilascio di titolo edilizio che ha legittimato l’intervento sulla base di una inaccettabile estrapolazione dello stesso dal necessario contesto unitario, elidendo ogni necessità di previa attivazione di poteri di autotutela in relazione a tale “frammento” dell’illecito urbanistico.
10. Egualmente infondato appare il quarto motivo di ricorso: l’art. 29 della l. n. 47/1985, infatti, nel disciplinare il procedimento di approvazione delle varianti agli strumenti urbanistici generali finalizzati al recupero urbanistico degli insediamenti abusivi, esistenti al 1° ottobre 1983, “entro un quadro di convenienza economica e sociale”, non ne impone l’attivazione ai Comuni eventualmente interessati, limitandosi a stabilire il termine (90 giorni) entro il quale le Regioni avrebbero dovuto disciplinare con proprie leggi la materia (sul punto cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2001, n. 5207).
11. L’accertamento dei fatti, l’analitico svolgimento del procedimento scandito da varie tappe intermedie mediate dai provvedimenti richiamati, evidenzia dunque, come ritenuto dal T.A.R., che la partecipazione al procedimento del ricorrente non avrebbe affatto pregiudicato un’ipotetica diversa conclusione di esso. Si palesa pertanto infondato anche il quinto motivo di ricorso, con il quale si è lamentato il mancato preventivo inoltro di comunicazione di avvio del procedimento.
11.1. Va al riguardo data continuità all’indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso, a mente del quale “sulla censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990, si ritiene di dover aderire a quell’orientamento giurisprudenziale, richiamato anche dal giudice di prime cure, che qualifica il provvedimento di sospensione come avente natura cautelare e non sanzionatoria e per il quale, dunque, tale obbligo non sussiste. L’art. 7 della legge sul procedimento amministrativo oltre a prescrivere tale obbligo, ne giustifica l’omissione in presenza di ragioni derivanti da particolari esigenze di celerità . Tali situazioni che giustificano l’omissione sono dunque atipiche e sono frutto di un bilanciamento di interessi fatto dalla stessa amministrazione, laddove decida di omettere tale adempimento. Nel caso di specie tali esigenze sussistevano trattandosi di un provvedimento cautelare che ben poteva essere revocato, qualora il ricorrente, nei successivi 90 giorni, avesse dimostrato all’amministrazione la legalità del suo agire. La natura cautelare del provvedimento in questione sembra essere confermata dalla rigida sequenza procedimentale, che presuppone un atto iniziale di accertamento circa la configurabilità di una lottizzazione abusiva, la successiva obbligatoria sospensione ed infine la eventuale acquisizione al patrimonio disponibile del Comune” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 3073/2016).
12. Conclusivamente pertanto l’appello è da ritenersi infondato.
13. Ricorrono giustificati motivi, rinvenibili nella controvertibilità della situazione di fatto dedotta in giudizio, per compensare le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 17267/2010.
Spese del grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere

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