Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 gennaio 2024| n. 688.
Liquidazione dei compensi e determinazione del valore della controversia secondo il criterio del decisum
In tema di liquidazione dei compensi per l’esercizio della professione forense, nella determinazione del valore della controversia secondo il criterio del decisum, laddove la sentenza di secondo grado abbia riconosciuto all’appellante una somma maggiore di quella tributatagli dal primo giudice, il decisum, con riguardo alla controversia complessivamente considerata, va parametrato a quello del giudice dell’impugnazione, in virtù dell’effetto sostitutivo tipico dell’appello.
Ordinanza|9 gennaio 2024| n. 688. Liquidazione dei compensi e determinazione del valore della controversia secondo il criterio del decisum
Data udienza 19 ottobre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Avvocato e procuratore – Onorari – Valore della causa liquidazione del compenso dell’avvocato per prestazioni giudiziali – Criterio del decisum – Ulteriore somma riconosciuta in favore del cliente in sede di giudizio di appello – Parametro del complessivo decisum in appello anche per determinare il compenso per il giudizio di primo grado – Sussistenza – Fondamento.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente
Dott. GIANNACCARI Rossana – Relatore
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7481/2021 R.G. proposto da:
Fa.Lu., elettivamente domiciliato in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato D’A.PI. (omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato AN.RE. (omissis) – ricorrente –
contro
Bo.Lu. – intimato –
avverso ORDINANZA di TRIBUNALE FOGGIA n. 4088/2019 depositata il 29/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/10/2023 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.
Liquidazione dei compensi e determinazione del valore della controversia secondo il criterio del decisum
FATTI DI CAUSA
L’Avv. Fa.Lu. chiese al Tribunale di Foggia, ai sensi dell’art.14 del D.Lgs n. 150 del 2011, la liquidazione delle competenze professionali per l’attività svolta, in sede stragiudiziale e giudiziale, in primo grado ed in appello, in favore di Bo.Lu., che aveva assistito in una causa di risarcimento dei danni.
Il Tribunale accolse parzialmente la domanda.
Ai fini della liquidazione del compenso, il Tribunale ritenne applicabile, ratione temporis, il D.M. 127/2004 per il giudizio di primo grado mentre per il giudizio d’appello applicò il D.M.. 55/2014.
Nell’individuazione dello scaglione applicabile, quanto al primo grado, il Tribunale fece riferimento alla somma riconosciuta in sentenza pari ad Euro 15.269,17; anche per il giudizio d’appello, che, aveva accertato un danno pari ad Euro 38.337,36, accogliendo il gravame di Bo.Lu., il Tribunale tenne conto del decisum, avendo la Corte liquidato la somma di Euro 23.068, 19 in favore di Bo.Lu. ed Euro 1763,82 in favore di Bo.Al.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Avv. Fa.Lu. sulla base di tre motivi.
Bo.Lu. ed Bo.Al. sono rimasti intimati
Liquidazione dei compensi e determinazione del valore della controversia secondo il criterio del decisum
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la falsa applicazione degli artt. 3, 5 e 9 della Legge 13 giugno 1942, n. 794, della legge 7 novembre 1957, n. 1051, dell’art. 6 D.M 8aprile 2004 n. 127, degli articoli 1, comma 3, e 13 comma 6, della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, degli artt. 2 e 5 D.M. 10 marzo 2014, n. 55, nonché la violazione degli artt. 10 e 14 c.p.c., degli art. 99 C.P.C. e 2909 C.C. nella relazione con l ‘art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., con riferimento alla determinazione del valore della controversia ai fini della liquidazione del compenso. Sostiene il ricorrente che il Tribunale avesse accomunato, ai fini della liquidazione delle spese di lite, la posizione del soccombente a quella del cliente nei confronti dell’avvocato, che, invece avrebbero ratio e disciplina differente. Tale distinzione sarebbe prevista nel D.M. n. 127 del 2004 e nel D.M. n. 55 del 2014, che, pur facendo riferimento, ai fini della determinazione del valore della causa, alle norme del codice di procedura civile e, per i giudizi per pagamento di somme di denaro, alla somma attribuita alla parte vincitrice, stabiliscono che, quanto alla liquidazione dei compensi a carico del cliente, si deve aver riguardo al valore effettivo della controversia quando esso risulti manifestamente diverso da quello previsto dal Codice di Procedura Civile. Inoltre, la liquidazione dei compensi nei rapporti tra cliente ed avvocato terrebbe conto di altri criteri, come l’importanza dell’opera, l’urgenza richiesta per il compimento di determinate attività e i risultati raggiunti. Secondo il ricorrente, applicando il criterio del decisum, si giungerebbe al paradosso che il professionista non avrebbe diritto ad alcun compenso in caso di rigetto della domanda, trasformando l’obbligazione di mezzo in obbligazione di risultato. Nel caso di specie, il Tribunale, a fronte di una domanda compresa nello scaglione tra 25.000,00 e 50.000,00 avrebbe erroneamente liquidato il compenso sulla base del decisum (Euro 15.000,00) nel giudizio di primo grado, nonostante la domanda fosse stata accolta nel giudizio d’appello, avendo la Corte d’appello accertato un danno di Euro 38.337,00, somma rientrante nello scaglione da Euro 26.000,00 ad Euro 52.000,00. Anche per il giudizio d’appello sarebbe erroneo assumere come parametro di riferimento il decisum.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. c.c., degli artt. 99, 100, 112 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto, sia nel primo che nel secondo grado, che il valore della controversia andasse individuato nell’importo liquidato con la decisione, non tenendo conto del profilo della prospettazione letterale della domanda. Avrebbe errato il Tribunale, nonostante la chiarezza letterale dell’atto introduttivo, a determinare il valore, soprattutto riguardo al giudizio d’appello, sulla base del valore dichiarato ai fini della corresponsione del contributo unificato (pari a Euro 25.993,82), né sarebbe corretto il riferimento al “disputatum residuo” ovvero al danno differenziale rispetto a quanto già riconosciuto in primo grado.
Liquidazione dei compensi e determinazione del valore della controversia secondo il criterio del decisum
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono fondati.
Sia il comma 1 dell’art.6 del D.M. 127/2004 che l’art.5 del D.M. 55/2014, ai fini della determinazione del valore della controversia, richiamano le norme del codice di procedura civile e quindi l’art. 10 c.p.c. e seguenti, che offrono vari criteri per determinare tale parametro. In particolare l’art.14 c.p.c. prevede che, nelle cause relative a somme di danaro, il valore si determina in base alla somma indicata dall’attore, che costituisce l’oggetto della domanda.
Sia l’art.6, comma 1 e 2 del D.M. 127/2004 che l’art.1 del D.M. 55/2014 dispongono che, nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di procedura civile, avendo riguardo, nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata.
La normativa speciale prevede però che, nei rapporti tra avvocato e cliente, diversamente che ai fini della liquidazione delle spese a carico della parte soccombente, sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione con quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito. Tale interpretazione deve ritenersi preferibile perché più aderente all’esigenza di osservare quel “principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata”, che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 19014 del 2007, hanno ritenuto, appunto, desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in questione.
Quindi occorre far riferimento al criterio del decisum che integra quello del disputatum, senza che tra loro ci sia antinomia (Cassazione civile sez. un., 11/09/2007, n. 19014).
Il criterio del decisum vale a proporzionare gli onorari all’effettiva consistenza della lite, non potendo essere avvantaggiato chi propone una domanda eccedente la giusta pretesa rispetto a chi propone una domanda contenuta negli effettivi limiti di quest’ultima.
Nel caso della liquidazione degli onorari a carico del cliente, quindi, l’indagine, che di volta in volta il giudice di merito deve compiere, è quella di verificare l’attività difensiva che il legale ha dovuto apprestare, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all’effettivo valore della controversia, come nel caso in cui il legale abbia esagerato in modo assolutamente ingiustificato la misura della pretesa azionata, in evidente sproporzione rispetto a quanto poi attribuito alla parte assistita, perché in tali casi il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere considerato corrispettivo della prestazione espletata, stante la sua obiettiva inadeguatezza rispetto alla attività svolta (Cass. N. 19250/2015; Cass. N. 1805/2012; Cass. N. 13229/2010; Cass. S.U. 19014/2007; Cass. N. 15685/ 2006).
Liquidazione dei compensi e determinazione del valore della controversia secondo il criterio del decisum
Se è vero, quindi, che ai fini della determinazione del valore della controversia, è necessario dar prevalenza al criterio del decisum in luogo di quello del disputatum, è pur vero che nel caso in cui la sentenza di secondo grado abbia riconosciuto all’appellante una somma maggiore di quella tributatagli dal primo giudice, il decisum, con riguardo alla controversia complessivamente considerata, non può che essere quello del giudice dell’impugnazione, in virtù dell’effetto sostitutivo tipico dell’appello. Da tale angolo visuale, è irrilevante, dunque, che la prestazione per la quale l’avvocato invochi il compenso sia solo quella relativa al primo grado di giudizio, proprio perché, una volta intervenuta la condanna di secondo grado, il relativo importo deve considerarsi quello che già il giudice di prime cure avrebbe dovuto riconoscere, ove non fosse incorso negli errori successivamente emendati dal giudice di secondo grado (Cassazione civile sez. II, 20/09/2022, n. 27503 non massimata).
Anche in sede di gravame, il valore della causa è costituito dalla sola somma che ha formato oggetto di impugnazione, se l’appello è rigettato, ed alla maggiore somma accordata dal giudice rispetto a quella ottenuta in primo grado dall’appellante, se il gravame è accolto (Cassazione civile sez. VI, 30/11/2022, n. 35195, in applicazione del predetto principio, ha confermato la sentenza di merito che – in accoglimento dell’appello del danneggiato, a favore del quale il primo giudice aveva disposto un risarcimento di Euro 802,00 – aveva liquidato la maggior somma di Euro 1490,00 e, ai fini della quantificazione delle spese del secondo grado, aveva determinato il valore della causa prendendo a riferimento la differenza tra i predetti importi, pari a Euro 688,00; così già Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15857 del 12.6.2019; Sez. 3, Sentenza n. 27871 del 23/11/2017, Rv. 646647 – 01, in motivazione; Sez. 3, Sentenza n. 536 del 12/01/2011, Rv. 615929 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 27274 del 16/11/2017, Rv. 646423 – 01).
Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte perché ha liquidato il compenso per l’attività svolta nel giudizio di primo grado sulla base delle somme riconosciute in sentenza dal giudice di prime cure (e quindi sulla base del decisum pari ad Euro 15.269, 17) e non invece sulla base dell’importo liquidato dal giudice d’appello, che, accogliendo il gravame, ha accertato un danno pari ad Euro 38.337,00 ed ha liquidato la somma di Euro 23.068, 19, considerate le somme già liquidate dal giudice di prime cure.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt.99 c.p.c. e 112 c.p.c., con riferimento alla liquidazione delle spese stragiudiziali (essendo assorbito il profilo di censura relativa delle spese giudiziali), per avere il Tribunale omesso di provvedere alla loro liquidazione, pur avendole implicitamente riconosciute perché ritenute erroneamente propedeutiche all’attività giudiziaria mentre, invece, esse avrebbero natura autonoma.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale si è pronunciato sulla richiesta di liquidazione del compenso delle spese stragiudiziali (pag.4 – 5 dell’impugnata ordinanza) ma le ha disattese considerandole il naturale completamento della fase giudiziale, rispetto alla quale erano strumentali e propedeutiche (Cass. 21565/2020).
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto nei limiti di cui in motivazione.
L’ordinanza impugnata va cassata, con rinvio innanzi al Tribunale di Foggia in diversa composizione.
Liquidazione dei compensi e determinazione del valore della controversia secondo il criterio del decisum
P.Q.M.
Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, rigetta il terzo, cassa l’ordinanza impugnata con rinvio innanzi al Tribunale di Foggia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di cassazione, in data 19 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 09 gennaio 2024.
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