Applicabilità del principio della ragione più liquida

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 gennaio 2024| n. 693.

Applicabilità del principio della ragione più liquida

L’applicabilità del principio della “ragione più liquida” postula che essa, pur essendo logicamente subordinata ad altre questioni sollevate, si presenti comunque equiordinata rispetto a queste ultime nella capacità di condurre alla definizione del giudizio; tale principio non opera nell’ipotesi in cui le diverse ragioni si caratterizzino per il fatto di condurre potenzialmente ad esiti definitori reciprocamente non sovrapponibili, con la conseguenza che l’illegittimo assorbimento in tal modo disposto comporta il vizio di omessa pronuncia.

Ordinanza|9 gennaio 2024| n. 693. Applicabilità del principio della ragione più liquida

Data udienza 30 novembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Provvedimenti del giudice civile – Sentenza – Deliberazione (della) – Ordine delle questioni – Pregiudiziali ragione più liquida – Nozione – Pluralità di ragioni implicanti esiti definitori diversi – Esclusione – Conseguenza in caso di illegittimo assorbimento – Omessa pronuncia.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. ROLFI Federico – Relatore

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 918/2022 R.G. proposto da:

Gi.Da., domicilio digitale, rappresentato e difeso dall’avvocato GI.GI.

– ricorrente –

contro

Da.Gi., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore Gi.De., elettivamente domiciliata in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato RI.GA.SI. che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato MO.GI.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO SALERNO n. 768/2021 depositata il 24/05/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30/11/2023 dal Consigliere Dott. Federico Rolfi;

Applicabilità del principio della ragione più liquida

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 24 maggio 2021, la Corte d’appello di Salerno, nella regolare costituzione dell’appellato Gi.Da., ha accolto il gravame proposto da Da.Gi. (in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore Gi.De.) avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 3839/2017 e, in parziale riforma di quest’ultima, ha rideterminato in Euro 9.275,50 il saldo spettante all’appellato a titolo di competenze professionali.

2. Gi.Da., infatti, aveva convenuto innanzi il Tribunale di Salerno Da.Gi., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore Gi.De., riferendo di essere stato incaricato di tutelare gli interessi della stessa Da.Gi. e della figlia minore con riguardo alle partecipazioni nelle società Sirio 88 s.r.l. e Sirio 2000 sas e chiedendo la condanna delle convenute al pagamento della somma di Euro 28.314,70, già al netto degli acconti ricevuti.

Il Tribunale di Salerno, senza svolgimento di attività istruttoria, aveva accolto la domanda condannando le convenute al pagamento della somma di Euro 18.697,09, oltre accessori di legge ed interessi.

3. Proposto appello da Da.Gi., sempre nella duplice qualità, e costituitosi Gi.Da., la Corte d’appello di Salerno, per quel che ancora rileva nella presente sede, ha ritenuto di definire il gravame sulla scorta del quarto motivo di appello, in quanto considerato “ragione più liquida”.

Ha ritenuto, quindi, di accogliere detto motivo, rilevando che le bozze di atti predisposti dall’appellato non potevano essere qualificati come “contratti”, non essendo mai stato raggiunto su di esse l’accordo delle parti.

Ha pertanto escluso che i compensi per tale attività potessero essere liquidati sulla scorta della previsione di cui alla Lettera F della Tabella D allegata al D.M. 127/2004 ed ha invece qualificato tali attività come meramente preparatorie e quindi qualificabili come “pareri scritti”, riconducibili alla Lettera B sub b, della medesima tariffa, su tale scorta quantificando le spettanze residue dell’appellato.

4. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Salerno ricorre ora Gi.Da.

Resiste con controricorso e ricorso incidentale Da.Gi., sempre in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore Gi.De.

5. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.

Le parti hanno entrambe depositato memorie.

Applicabilità del principio della ragione più liquida

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo di ricorso principale viene dedotta, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1321, 1325, 1965, 1351 c.c. nonché del D.M. 127/2004.

Il ricorso censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto che gli atti predisposti dal ricorrente non potessero essere considerati contratti, in quanto ancora privi del consenso delle parti, e che quindi il compenso dell’odierno ricorrente principale dovessero essere liquidati secondo i criteri previsto per la predisposizione di pareri.

Argomenta in senso contrario il ricorrente che tale qualificazione viene erroneamente a far dipendere il riconoscimento per l’attività stragiudiziale per la redazione di contratti dalla definitiva conclusione degli stessi contratti e non, come sarebbe corretto secondo il ricorso, sulla scorta della natura e del contenuto dell’attività svolta che risulterebbe ben diversa da quella consistente nella predisposizione di un mero parere.

Lamenta, infine, il ricorrente l’assenza di motivazione della decisione nella parte in cui ha statuito sulle spese legali.

2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale viene dedotta, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 1176, secondo comma, 1375, 2236 c.c.

Il ricorso incidentale impugna la statuizione della Corte territoriale per avere la stessa deciso direttamente il profilo della quantificazione dei compensi spettanti al ricorrente, senza procedere all’esame degli ulteriori motivi di appello, i quali venivano a dedurre l’assenza radicale del diritto al compenso per non avere Gi.Da. diligentemente espletato il proprio incarico, richiamando l’eccezione ex art. 1460 c.c.

3. Appare opportuno esaminare, in primo luogo, il motivo di ricorso incidentale.

Applicabilità del principio della ragione più liquida

Il motivo è fondato.

La Corte d’appello, infatti, dopo aver respinto il primo motivo di appello delle odierne ricorrenti incidentali, ha proceduto direttamente all’esame del quarto motivo – con il quale le appellanti venivano a contestare i criteri sulla cui scorta determinare il compenso spettante all’odierno ricorrente principale – richiamando il principio della “ragione più liquida” e ritenendo che l’esame del quarto motivo di appello valesse ad assorbire quelli precedentemente formulati dalle appellanti.

In tal modo, tuttavia, la Corte d’appello ha omesso di esaminare i motivi di appello – ritualmente e specificamente indicati dalle odierne ricorrenti incidentali nella presente sede di legittimità, conformemente al disposto di cui all’art. 366 c.p.c. – con i quali si censurava la decisione di prime cure per non aver, a propria volta, valutato l’exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 c.c. sollevata dalla difesa di Da.Gi. e Gi.De.

Premesso, a questo punto, che il profilo in questione non può ritenersi coperto dal giudicato alla luce del principio per cui il giudicato non si forma, nemmeno implicitamente, sugli aspetti del rapporto che non hanno costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice di merito, come accade quando la decisione sia stata adottata alla stregua del principio della “ragione più liquida” (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 32650 del 09/11/2021; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20555 del 29/09/2020; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5264 del 17/03/2015), si deve rammentare che, secondo l’insegnamento di questa Corte, è da ritenere che l’ordine di trattazione delle questioni, stabilito dall’art. 276, secondo comma, c.p.c., mentre impone al giudice del merito di esaminare per prime le questioni pregiudiziali di rito rispetto a quelle di merito (cfr., sul punto, Cass. Sez. U – Sentenza n. 11799 del 12/05/2017), consente tuttavia di scegliere, tra varie questioni di merito, quella che il giudice di merito stesso ritenga “più liquida” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 30745 del 26/11/2019; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 363 del 09/01/2019; Cass. Sez. 6 – L, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014).

Occorre notare, tuttavia, che il principio in questione è stato comunque enunciato con riferimento a scenari nei quali la “ragione più liquida”, pur essendo logicamente subordinata ad altri profili di merito, presentava, nondimeno, rispetto a questi ultimi eguale capacità “di assicurare la definizione del giudizio” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014), e cioè si caratterizzava per un eguale “impatto operativo” (cfr. le massime di Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 363 del 09/01/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 11458 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014), in tal modo consentendo una più celere definizione del giudizio e non di uno solo dei profili che da quest’ultimo possono essere toccati.

L’applicazione del principio, quindi, postula che ci si trovi di fronte ad un coacervo di profili di merito che – sebbene posti in un rapporto di subordinazione logica – risultino nondimeno ciascuno idoneo a condurre autonomamente alla definizione del giudizio, ben potendosi, a questo punto, optare per quella – tra le ragioni dotate di eguale potenzialità di definizione – che presenti aspetti di maggiore evidenza e/o linearità.

Non così, tuttavia, può essere nel caso in cui le varie questioni di merito vengano ad investire aspetti (non solo logicamente bensì) giuridicamente distinti, al punto da condurre, ciascuno di essi, a modalità di definizione del giudizio non sovrapponibili e non assorbite dalla definizione secondo la “ragione più liquida”.

Applicabilità del principio della ragione più liquida

In tale ipotesi, infatti, l’esito dell’opzione preferenziale risulta, non semplicemente quello di accelerare la definizione medesima, bensì quello di condurre ad un esito del giudizio divergente da quello che sarebbe scaturito da un esame delle questioni sollevate dalle parti ancorato al loro ordine logico, nonché – almeno potenzialmente – di eludere l’esame di questioni che presentino carattere sovraordinato sul piano logico-giuridico, con possibili effetti di trasgressione degli artt. 112 c.p.c. e 24 Cost.

Si deve, quindi, puntualizzare che l’applicabilità del principio della “ragione più liquida” viene in ogni caso a postulare che quest’ultima, pur essendo logicamente subordinata ad altre questioni pure sollevate, si presenti comunque equiordinata rispetto a queste ultime nella capacità di condurre alla definizione del giudizio, laddove, il principio in questione non potrà operare nell’ipotesi in cui le diverse “ragioni” si caratterizzino per il fatto di condurre potenzialmente ad esiti definitori reciprocamente non sovrapponibili.

Alla luce delle considerazioni che precedono si deve ritenere che la Corte d’appello non abbia fatto buon governo del principio appena richiamato.

È infatti inevitabile osservare che tra un motivo di appello con il quale si invocava l’operatività dell’art. 1460 c.c. ed un motivo di appello che invece era indirizzato unicamente nei confronti del quantum dell’avversa pretesa creditoria non era ravvisabile alcuna equiparazione sul piano degli esiti definitori, dal momento che il primo motivo, contestando lo stesso an della pretesa creditoria, mirava, in ipotesi, a conseguire l’integrale rigetto della pretesa medesima, mentre il secondo motivo avrebbe potuto condurre – come poi è avvenuto – unicamente ad una rideterminazione di un credito comunque ritenuto sussistente.

Emerge, quindi, che al vaglio della Corte d’appello erano sottoposti profili non equiordinati sul piano della potenzialità definitoria del gravame, con la conseguenza che la Corte territoriale – anche in ossequio al canone di cui all’art. 112 c.p.c. – avrebbe dovuto esaminare preliminarmente il profilo – esso, sì, idoneo a costituire ragione più liquida – dell’an, per dedicarsi solo successivamente – in caso di rigetto di tale motivo – al profilo del quantum della pretesa azionata dall’odierno ricorrente principale.

4. Si deve, a questo punto, esaminare il motivo di ricorso principale, il quale – per le medesime ragioni appena illustrate – non può ritenersi assorbito.

Il motivo è fondato.

Questa Corte si è recentemente pronunciata in vicenda sovrapponibile a quella ora in esame affermando il principio per cui “l’avvocato anche nel caso in cui il contratto da lui redatto su incarico del cliente non sia formalmente stipulato dai relativi contraenti, ha il diritto, come in generale accade per il caso di mancato completamento dell’incarico stragiudiziale affidatogli, di ricevere il relativo compenso, il quale, in mancanza di accordo tra le parti, dev’essere determinato, avendo riguardo ai criteri (compatibili) esposti, dal giudice di merito (non in forza del punto f della Tabella D, che, come detto, presuppone il suo completamento, ma) in ragione di quanto isolatamente previsto, per le singole prestazioni professionali effettivamente svolte (le quali, appunto, costituiscono, al pari del lavoro preparatorio, “l’opera prestata” dal professionista: art. 6 del capitolo III cit.), dalle singole voci della relativa tariffa o, in mancanza, in via equitativa ai sensi dell’art. 2233 c.c.” (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2788 del 31/01/2023).

Si è, in quella sede osservato che la “redazione di contratti” prevista dal punto f) della tabella D del d.m. n. 127 cit. dev’essere ravvisata tutte le volte in cui la prestazione dell’avvocato si concretizzi nella “traduzione in termini tecnico giuridici delle pattuizioni di due parti” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4842 del 14/11/1989), e cioè nella predisposizione, su incarico del cliente, (o nell’assistenza alla sua redazione ad opera di altri) del testo di un regolamento negoziale (in ordine ad un accordo che, di volta in volta, è già stato raggiunto ovvero si conta di raggiungere attraverso ulteriori trattative) sempre che, a seguito della sua “stipula” nelle forme di volta in volta richieste (la cui assistenza, però, non è ulteriormente retribuita: cfr. il comma 2 del punto f cit.), si concretizzi in un vero e proprio “contratto” giuridicamente vincolante tra i relativi contraenti.

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Si è parimenti puntualizzato che, ove il contratto, così come predisposto dal legale (al pari del caso in cui abbia prestato “assistenza” al proprio cliente rispetto alla redazione da parte di altri di un contratto), non sia poi, per un motivo o per l’altro, formalizzato sul piano giuridico tra le relative parti, l’attività professionale dallo stesso resa su incarico del cliente dev’essere comunque compensata, in virtù dell’art. 6 del capitolo III del d.m. n. 127 cit., il quale prevede che “per le pratiche” che, come quella in esame, siano “iniziate” ma non sono “giunte a compimento” – come accade nel caso in cui il “contratto” predisposto dal legale non sia poi stato sottoscritto dai potenziali contraenti – l’avvocato ha comunque il diritto a percepire “gli onorari per l’opera prestata comprendendosi in questa il lavoro preparatorio compiuto dal professionista”.

A tal fine occorrerà avere esclusivo riguardo ai criteri, così come stabiliti dall’art. 1, comma 2, del capitolo III del d.m. n. 127 cit., che sono compatibili con il mancato espletamento di alcune delle prestazioni previste dal contratto d’opera professionale ovvero con la mancata realizzazione del risultato in vista del quale l’incarico era stato conferito, come la natura ed il valore della pratica, il numero e l’importanza delle questioni trattate, il pregio dell’opera prestata.

Per contro, si dovrà escludere l’utilizzabilità dei criteri, come l’effettivo conseguimento del risultato o del vantaggio, anche non economico, che il cliente intendeva ottenere, che sono, di regola, compatibili solo con l’integrale espletamento di tutte le prestazioni previste nell’atto di conferimento dell’incarico, e cioè, nel caso in esame, con la formale e definitiva stipulazione ad opera dei contraenti del contratto redatto dal legale su incarico del cliente e salva l’ipotesi del raggiungimento parziale di un risultato comunque utilizzabile dal cliente.

Si è, infine, puntualizzato che “il diritto del professionista al compenso, nei termini in precedenza esposti, richiede pur sempre che, a fronte del mancato completamento dell’incarico stragiudiziale, il giudice di merito accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni medio tempore svolte dallo stesso a conseguire il risultato programmato con il conferimento del relativo incarico, essendo, in effetti, evidente che, in difetto, (e pur in mancanza di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato per aver fino a quel momento operato con la dovuta perizia), non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento, sia pur parziale, degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso”.

Da tali principi la decisione impugnata si è discostata in quanto, invece di procedere all’accertamento prodromico appena indicato, al fine di valutare se procedere poi alla liquidazione dei compensi, sempre secondo i criteri individuati da questa Corte, ha invece ritenuto di qualificare l’attività del ricorrente principale come “parere scritto”, riconducibile alla Lettera B sub b, nonostante l’evidente diversità tra tale ultima ipotesi e l’attività allegata dal ricorrente.

5. Come conseguenza dell’accoglimento sia del ricorso principale sia del ricorso incidentale la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, la quale, nel conformarsi ai principi qui richiamati, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.

Applicabilità del principio della ragione più liquida

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale ed il ricorso incidentale, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 30 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2024.

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