L’intervento del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS

Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 7 luglio 2020, n. 14020.

La massima estrapolata:

L’intervento del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS per la realizzazione dei crediti di lavoro nei confronti del datore di lavoro inadempiente che non sia assoggettabile alle procedure concorsuali – previsto dall’art. 2, comma 5, della l. n. 297 del 1982 e dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1992 – rispondendo ad un’esigenza di socializzazione del rischio da inadempimento e da insolvenza che pone a carico dell’ente previdenziale, cui spetta il diritto di surroga, i rischi connessi alla procedura di recupero del credito, è subordinato all’assolvimento, da parte del lavoratore, dell’onere di agire “in executivis” nei confronti del datore di lavoro secondo un criterio che va conformato, sia nei tempi che nei modi, alla misura dell’ordinaria diligenza nell’esercizio dell’azione esecutiva individuale; ne consegue che il lavoratore non è tenuto ad esperire l’esecuzione in tempi prestabiliti, ma solo al rispetto di quelli relativi al procedimento previdenziale, e può limitarsi ad intraprendere una delle possibili forme di esecuzione, con l’onere, in caso di esito infruttuoso di quella prescelta, di compiere ulteriori attività di ricerca dei beni solo allorché si prospetti la possibilità di una nuova esecuzione fruttuosa e ragionevole. Tale ultima ipotesi, escluso un onere indistinto di ricerca di beni e/o condebitori, si verifica, dal punto di vista oggettivo, in presenza di beni che risultano dagli atti agevolmente aggredibili, senza un particolare dispendio economico e temporale, e dal punto di vista soggettivo, in presenza di altri condebitori solidalmente e illimitatamente responsabili oppure, in caso di soci limitatamente responsabili di una società di capitali cancellata ed estinta, allorché risulti positivamente dimostrato che tali soci abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.

Ordinanza 7 luglio 2020, n. 14020

Data udienza 12 febbraio 2020

Tag/parola chiave: Lavoro – Tfr – Lavoratore – Accesso al fondo di garanzia – Diniego – Tardività della domanda – Ricorso – Accoglimento – Oneri a carico del richiedente – Limiti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 21618-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8042/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO RIVERSO.

CONSIDERATO

Che:
la Corte d’appello di Napoli accogliendo l’appello dell’Inps, ed in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti dell’Inps allo scopo di ottenere il pagamento del TFR e delle ultime tre mensilita’ da parte del Fondo di Garanzia condannando la lavoratrice al pagamento delle spese del doppio grado.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello sosteneva che l’appellata avesse svolto azione esecutiva nei confronti della societa’ datrice di lavoro (OMISSIS) srl, non soggetta a fallimento, nel 2011 mentre la stessa datrice era stata cancellata dal registro delle imprese nel 2009; inoltre, come risultava dal verbale di pignoramento mobiliare negativo, la sede dove si era recato l’ufficiale giudiziario non era nemmeno piu’ quella della societa’ che era stata trasferita; era ovvio e normale che dopo due anni e in una sede che non era piu’ quella della societa’ nessun bene mobile potesse essere aggredito ed era onere allora della parte cercare di aggredire i beni del socio o dei soci nei limiti dell’attivo (come stabiliva la sentenza della Cassazione n. 17593 del 2016).”Di conseguenza la lavoratrice oltre a ricercare e per tempo i beni della societa’, in presenza di un infruttuoso pignoramento mobiliare doveva cercare di soddisfarsi attraverso l’esecuzione nei confronti del socio e cio’ non era stato fatto”.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) al quale si e’ opposto l’INPS con controricorso. E’ stata notificata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
Parte controricorrente ha depositato memoria.

RITENUTO

Che:
1.- Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982 articolo 2, del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articoli 1 e 2, anche in relazione alla direttiva comunitaria numero 80/987/CE; nonche’ violazione e falsa applicazione dell’articolo 2728 c.c. per aver ritenuto che la lavoratrice non fosse stata diligente nell’esecuzione individuale e che avesse l’obbligo di agire in via esecutiva nei confronti del socio, nonostante avesse dimostrato in giudizio che la societa’ non fosse intestataria di beni immobili, non avesse depositato bilanci negli ultimi tre anni, e che l’ultimo bilancio depositato nel 2008 attestasse che non vi fossero utili da ripartire tra i soci ma solo debiti.
2.- Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilita’ per difetto di autosufficienza sollevata dall’INPS, dal momento che i dati fondamentali, necessari alla decisione della causa, emergono dalla sentenza impugnata, sono trascritti in ricorso, sono allegati nello stesso controricorso dell’INPS, sono pacifici tra le parti.
Ed invero nel caso in esame e’ pacifico che la signora (OMISSIS) ha lavorato alle dipendenze della societa’ (OMISSIS) srl dall’1.4.1998 al 27.8.2005; ha quindi ottenuto l’accertamento del credito ed il titolo giudiziale necessario per inoltrare la domanda al Fondo di garanzia con la sentenza n. 29900/2009 del tribunale di Napoli; in data 30.10.2009 la societa’ datrice e’ stata cancellata dal registro dell’imprese; dopo di che la sig.ra (OMISSIS) ha iniziato l’esecuzione forzata ed in data 18.5.2011 risulta redatto verbale di pignoramento negativo tentato nei confronti dell’azienda nella sede della societa’; in data 21.09.2011 ha presentato domanda di liquidazione al Fondo di Garanzia presso l’INPS.
3.- La Corte d’appello ciononostante, secondo le due rationes poste a base della pronuncia impugnata, ha addebitato alla lavoratrice di non aver ricercato “per tempo” i beni della societa’ e di non avere promosso un’esecuzione “nei confronti del socio”.
Ne’ l’uno, ne’ l’altro onere tuttavia sono imposti dalla legge, nei modi ritenuti dalla Corte d’appello, a carico del lavoratore che promuova l’azione esecutiva individuale ai fini di accedere al Fondo di garanzia.
4.- Infatti, sotto il profilo dei tempi della procedura esecutiva cui sottoporre il datore di lavoro, non risulta che la legge preveda termini stringenti da osservare; i quali devono essere semmai desunti dal piu’ generale dovere di diligenza di cui la legge, nell’ipotesi in oggetto, onera il lavoratore che agisce per accedere alla tutela.
5.- Ed invero, in ipotesi di datore di lavoro non assoggettabile (o non assoggettato) a procedura concorsuale, la legge (L. n. 297 del 1982, articolo 2, comma 5) si limita a prevedere come presupposto per l’accesso al Fondo di garanzia l’insufficienza in tutto o in parte delle garanzie patrimoniali del debitore assoggettato ad esecuzione forzata (Corte Sez. 6 – L, Ordinanza n. 21734 del 06/09/2018). La domanda amministrativa per la tutela deve essere effettuata all’INPS nel termine di prescrizione (Cass. n. 30712/2017) e l’INPS deve provvedere entro 60 giorni dalla richiesta (articolo 2, comma 7). Quindi il lavoratore deve agire in giudizio tenuto conto del rispetto dei tempi stabiliti per l’iter procedimentale, di natura previdenziale, da ultimarsi nei termini previsti dalla legge ai sensi della L. n. 533 del 1973, ex articolo 7 e della L. n. 88 del 1989, articolo 46, commi 5 e 6 (Cass. 27465/2017).
6. La legge non contempla invece oneri di agire in via esecutiva in tempi prestabiliti; sicche’ non si intuisce sulla base di quale criterio normativo un verbale di pignoramento mobiliare negativo, redatto ad un anno e mezzo dall’accertamento del credito e dalla cancellazione della societa’ dal registro dell’imprese, debba ritenersi effettuato in violazione dell’onere di diligenza imposto dalla legge. Ancor meno, d’altronde, e diversamente da quanto sostiene l’INPS, puo’ farsi carico al lavoratore, se la sentenza di merito che ha accertato il credito sia intervenuta dopo 4 anni dalla fine del rapporto di lavoro.
7. D’altre parte va pure considerato che il datore di lavoro cancellato dal registro dell’imprese puo’ essere dichiarato fallito solo entro 1 anno dalla cancellazione dal registro dell’imprese (articoli 10 L. fall.); e che la giurisprudenza pone a carico del creditore che ha tempestivamente presentato la relativa istanza il rischio del ritardo della pronuncia di insolvenza (Cass. n. 8932/2013); sicche’, decorso l’anno dalla cancellazione, il lavoratore creditore puo’ accedere al Fondo solo per la via dell’esecuzione individuale (da ultimo, ordinanza n. 27467 del 20/11/2017 “Ai fini della tutela prevista dalla L. n. 297 del 1982 in favore dei lavoratori per il pagamento del (OMISSIS), in caso di insolvenza del datore di lavoro, ove quest’ultimo, pur assoggettabile al fallimento, non possa in concreto essere dichiarato fallito per aver cessato l’attivita’ da oltre un anno, e’ ammissibile un’aione nei confronti del Fondo di garanzia, ai sensi dell’articolo 2, comma 5, della L. n. 297 cit., purche’ il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione forata, salvo che risulti l’esistenza di altri beni aggredibili con l’azione esecutiva’).
8.- Viene quindi in esame soltanto la questione, fondamentale nell’interpretazione della normativa, che riguarda l’estensione dell’onere di diligenza (sul piano oggettivo e soggettivo) del lavoratore creditore che agisce in executivis. E che secondo il criterio guida, osservato in tutta la vasta e risalente elaborazione giurisprudenziale intervenuta nella materia, deve essere conformata alla misura dell’ordinaria diligenza nell’esercizio dell’azione esecutiva individuale (Cass. sentenza n. 4666 del 2002, Cass. 28 marzo 2003 n. 4783, Cass. n. 1848/2004; Cass. n. 9108/2007).
E’ stato infatti precisato in proposito che trattandosi di attivita’ diretta al concreto soddisfacimento di un credito, per valutare la sussistenza dell’ordinaria diligenza debba tenersi conto anche della sua economicita’ (Cass. n. 9108/2007). La S.C. ha conseguentemente escluso la necessita’ di intraprendere o proseguire un’esecuzione i cui costi, non recuperabili, superino quelli del credito; oppure quando l’esecuzione si appalesi aleatoria; oppure ancora quando risulti aliunde gia’ acquisita la prova della mancanza o dell’insufficienza delle garanzie patrimoniali.
9. La ricostruzione giurisprudenziale nella materia muove, com’e’ noto, dalla premessa (Sez. L, Sentenza n. 1848 del 02/02/2004, che a sua volta richiama sentenza n. 3511 del 2001) secondo cui la tutela del lavoratore risulti modulata attraverso il meccanismo della presunzione legale. E che vada concessa in ogni caso in cui esista l’insufficienza o la mancanza della garanzia patrimoniale desunta dall’in fruttuosita’ di una esecuzione individuale mobiliare o immobiliare; senza che sia necessario il compimento di una ulteriore attivita’ costituita dalla ricerca di altri beni, mobili o immobili, di proprieta’ del datore di lavoro nei comuni di residenza o di nascita diversi da quello in cui ha sede l’impresa.
10.- Secondo il medesimo indirizzo giurisprudenziale, dunque, la legge detta una presunzione legale collegata all’esperimento infruttuoso dell’esecuzione forzata; non prevede attivita’ di ricerca ulteriori di beni. La procedura esecutiva non deve essere estesa ad ogni forma di esecuzione possibile essendo sufficiente sul piano della diligenza una delle forme possibili di esecuzione. Sara’ invece l’INPS, cui spetta il diritto di surroga, ad azionare direttamente il titolo ottenuto dal lavoratore ed a proseguire l’attivita’ di ricerca ed esecuzione nei confronti dell’obbligato, nell’ipotesi in cui si rinvengano nuovi beni sui quali rivalersi.
11.- “La legge, inflitti, prevede soltanto “l’esperimento dell’esecuzione forata” e non gia’ il compimento di una ulteriore attivita’ da parte del lavoratore – la ricerca di beni mobili e immobili nei luoghi di residenza e di nascita del debitore diversi da quello in cui ha sede l’impresa – soprattutto perche’ tale attivita’ puo’ rilevarsi sommamente gravosa, oltre che dispendiosa, per un soggetto che, di norma, e’ privo di adeguate risorse economiche (nonche’, in ipotesi, pure inutile, ben potendo il datore di lavoro essere proprietario di beni solamente in luoghi diversi da quelli sopra indicati). E questa conclusione e’ conforme alla ratio della disposizione di legge di cui si discute, avendo il legislatore, in osservanza di una direttiva comunitaria, inteso perseguire finalita’ di carattere sociale con il consentire al lavoratore, molto spesso astretto dal bisogno, di ottenere, nel tempo piu’ breve possibile e tramite l’intervento di un soggetto diverso dall’obbligato principale, il pagamento del credito maturato e non adempiuto: e’ semmai l’INPS, cui e’ attribuito il diritto di surroga (v. medesimo articolo 2, comma 7) e che ne ha gli strumenti – essendo le sue sedi ed i suoi uffici legali dislocati su tutto il territorio nazionale – che puo’ effettuare le opportune ricerche allo scopo di conseguire dal datore di lavoro, che sia eventualmente proprietario di beni utilmente aggredibili in un luogo diverso da quello in cui ha sede l’impresa, la somma erogata al lavoratore. Da questi rilievi deriva l’inconsistenza della tesi secondo cui il creditore, dopo l’inutile esperimento di un’azione esecutiva mobiliare presso la sede dell’impresa, deve effettuare una ricerca di beni mobili o immobili anche in luoghi diversi dal comune in cui e’ situata tale sede, dovendosi soltanto pretendere, qualora debitore sia una persona fisica o se vi siano altri soggetti solidalmente obbligati, che la ricerca, in ossequio al generale principio di diligenza che deve assistere il creditore, avvenga, nel primo caso, solamente nel luogo in cui ha sede l’impresa e, nel secondo caso, del luogo di residenza dei coobbligati.” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 1848 del 02/02/2004).
12.- L’orientamento giurisprudenziale di cui sopra risulta pero’ integrato da un successivo che ha esteso l’onere di diligenza del lavoratore, il quale abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, nell’ipotesi in cui si prospettino ulteriori fruttuose procedure esecutive (Cass. sez. L, sentenza n. 11379 del 08/05/2008) oppure allorche’ risultino, sulla base degli atti, altre circostanze le quali dimostrino che esistano altri beni aggredibili con l’azione esecutiva (Cass. Sez L. ordinanza n. 27467 del 20/11/2017, Sez. L, Sentenza n. 7585 del 01/04/2011, Sez. L, Sentenza n. 8529 del 29/05/2012, Sez. L, Sentenza n. 1607 del 28/01/2015, Cass. 9108 2007; Cass. 14447 2004).
13.- Anche sulla scorta di tale secondo orientamento non risulta posto a carico del lavoratore un onere indistinto di ricerca di beni e/o di condebitori, ma solo un onere di riattivare l’esecuzione quando essa si prospetti fruttuosa e ragionevole.
Tutte le suddette pronunce sono nel senso che per integrare l’onere di diligenza, dopo un’esecuzione infruttuosa gia’ effettuata, occorra che risultino, in base agli atti, beni agevolmente aggredibili ovvero sotto il profilo soggettivo che esistano altri condebitori solidalmente ed illimitatamente responsabili.
14.- Non risulta invece conforme al tenore letterale della norma che regola la materia ed alla relativa ratio sostenere che il lavoratore, una volta compiuta una procedura esecutiva nei confronti del debitore, debba compiere ricerche in tutte le possibili direzioni, allo scopo di escludere, all’esito, che debbano esperirsi quelle procedure che risultino infruttuose in base agli atti. Essendo piuttosto vero, in base alla giurisprudenza citata, che un onere di attivarsi ulteriormente in via esecutiva puo’ essere predicato – al contrario – solo quando risulti positivamente dimostrato in base agli atti che l’esecuzione possa risultare fruttuosa.
15. Vale osservare in proposito che l’inutile esperimento dell’esecuzione forzata individuale rappresenta gia’, di per se’, una condizione di aggravamento della tutela concessa al lavoratore dipendente da un datore non assoggettato a procedura concorsuale (ad es. perche’ non dichiarato fallito entro l’anno dalla cancellazione; oppure per insufficienza dell’attivo; condizioni che non dipendono certo dal comportamento del creditore) rispetto al lavoratore creditore di un datore di lavoro assoggettato a procedura concorsuale. Quest’ultimo puo’ infatti accedere al Fondo di Garanza chiedendo direttamente all’INPS la stessa tutela una volta decorsi 15 giorni dall’accertamento del credito (dal deposito dello stato passivo) senza essere tenuto a rapportarsi con la misura del riparto in sede concorsuale (e quindi anche se in ipotesi questo risultasse capiente).
Non vi e’ quindi nessuna ragione per rendere ulteriormente aggravata la tutela per il primo; dal momento che l’istituzione del Fondo di garanzia, secondo la L. n. 297 del 1982, risponde pur sempre – per tutti (ed a prescindere dalla natura del datore di lavoro) – ad una esigenza di socializzazione del rischio da inadempimento e da insolvenza, per cui sara’ il Fondo, surrogandosi al lavoratore, a dover sopportare i rischi delle lungaggini delle procedure e del recupero del credito.
16.- D’altra parte questa Corte ha pure evidenziato nella stessa direzione che ” tale orientamento risulta coerente con la finalita’ perseguita dal legislatore del 1982, che mediante l’istituzione di un Fondo di garanzia affidato all’ente previdenziale pubblico, ha inteso compensare la peculiarita’ della disciplina del t.f.r., nella quale il sistema degli accantonamenti fa si’ che gli importi spettanti al lavoratore vengano trattenuti e utili fiati dal datore di lavoro, con la previsione di una tutela certa del credito, realizzata attraverso modalita’ garantistiche e non soggetta a limitazioni e difficolta’ procedurali” (Cass. n. 2746/2017 che rinvia a Cass. n. 17227/2010).
17.- Per quanto riguarda, invece, l’estensione soggettiva dell’onere di diligenza ovvero dell’onere di escussione nei confronti dei soci, questa Corte di Cassazione ha affermato che in ipotesi di datore di lavoro costituito da una societa’ di persone l’onere di diligenza comprenda anche la diretta esecuzione dei soci solidalmente ed illimitatamente responsabili in considerazione della natura sussidiaria delle prestazioni poste a carico del Fondo (Cass. 28091/2017, nella stessa direzione in precedenza anche Cass. 1607/2015 e Cass. n. 1848/2004).
18.- Analogo obbligo di diretta ed inderogabile esecuzione non puo’ pero’ affermarsi nei confronti dei soci di societa’ di capitali dal momento che si tratta, in base all’articolo 2495 c.c., di una responsabilita’ limitata ed eventuale, subordinata alla estinzione della societa’ ed alla riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione.
19.- La stessa sentenza di questa Corte n. 17593/2016 viene erroneamente richiamata dalla Corte d’appello di Napoli siccome essa non pone questo obbligo di carattere soggettivo, essendosi invece pronunciata estensivamente sulla portata dell’obbligo di diligenza sul piano oggettivo della ricerca di eventuali beni immobili del debitore una volta conclusa una procedura esecutiva mobiliare con un verbale di pignoramento negativo.
20.- Anche la piu’ recente sentenza (Cass. n. 1886/2020) citata dall’INPS nella memoria finale, non appare qui pertinente, essendosi limitata a decidere sulla questione, logicamente preliminare (ma insussistente nel caso di specie), relativa all’obbligo del lavoratore, a seguito della chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo (oppure a seguito della cancellazione di una societa’, su cui v. la successiva sentenza n. 1887/2020), di munirsi di titolo esecutivo nei confronti dello stesso datore di lavoro. Ma nel caso che si giudica, come gia’ detto, la lavoratrice era munita di sentenza esecutiva del giudice del lavoro di Napoli che aveva accertato il credito nei confronti della stessa societa’ datrice di lavoro successivamente cancellata dal registro dell’imprese.
21.- L’affermazione meramente incidentale, pure effettuata in detta sentenza n. 1886/2020 – secondo cui in ipotesi di cancellazione della societa’ il lavoratore munitosi del titolo deve pure agire nei confronti dei soci i quali avrebbero risposto dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione – deve essere invece intesa nei termini di cui sopra ovvero condizionatamente al fatto che risulti positivamente dimostrato che i soci abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.
22.- In questo unico caso infatti l’esecuzione dovra’ essere promossa nei confronti dei soci di una societa’ di capitali cancellata e quindi estinta. Non essendovi ragione alcuna per affermare che il lavoratore, dopo essersi munito di un titolo giudiziale, debba pure sobbarcarsi un’azione esecutiva individuale nei confronti dei soci di una societa’ di capitali estinta, quando gia’ risulti in giudizio che i medesimi soci non abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.
23.- Si tratta in fondo di un’applicazione, sotto il profilo soggettivo, dello stesso criterio della ragionevole diligenza applicato dalla giurisprudenza nella ricostruzione degli oneri di ricerca sotto il profilo oggettivo dei beni. E che riemerge, piu’ in generale, anche dalla recente pronuncia da questa Corte (Cass. n. 26021/2018) la quale ha osservato come la copertura previdenziale riconnessa all’insolvenza del datore di lavoro non puo’ prescindere da una semplificazione anche sul piano obbligatorio, per la necessita’ di tendere al massimo, data la natura retributiva dei diritti, ad una contiguita’ temporale tra il maturare dei crediti e la relativa soddisfazione: sicche’ non puo’ consentirsi, in mancanza di norma espressa in tal senso, una dilazione della stessa, che la subordini all’esercizio della pretesa verso altri condebitori del credito lavoristico. L’equilibrio normativo, rispetto alle parti del rapporto previdenziale, e’ semmai recuperato dal diritto di surroga dell’I.N.P.S. al lavoratore nel passivo fallimentare (L. n. 82 del 1990, articolo 2, comma 7).
24. Viene in sostanza confermata, sul punto in discussione, la stessa ratio decidendi (Cass. n. 9108/2007) secondo cui “se la previsione dell’esperimento dell’esecuzione forzata deve essere considerata quale espressione dell’ordinaria diligenza che il creditore deve adottare per la realizzazione del proprio diritto, finalizzata, in particolare, a dimostrare la mancanza o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore, il relativo obbligo viene meno allorche’ il suo adempimento ecceda i limiti dell’ordinaria diligenza ovvero quando l’esecuzione forzata non sia necessaria a dimostrare la mancanza o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore essendo gia’ stata fornita aliunde la relativa prova” (come appunto nel caso in cui risulti che a seguito della cancellazione della societa’ non vi sia stata alcuna distribuzione dell’attivo tra i soci).
25.- Sulla scorta delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere quindi accolto, la sentenza impugnata deve essere quindi cassata e la causa rinviata al giudice indicato in dispositivo il quale si atterra’ nella decisione della causa ai principi di cui sopra (punti 4, 5, 6, 7, 21, 22).
26.- Ai sensi dell’articolo 384 c.p.c. la stessa Corte d’appello provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’. Avuto riguardo all’esito del giudizio non sussistono i presupposti processuali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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