Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Ordinanza 15 settembre 2020, n. 19173.
La massima estrapolata:
Rimane nei limiti interni della giurisdizione contabile la verifica di difformità compiuta dalla Corte dei conti delle attività di gestione del contributo erogato al gruppo consiliare dell’Assemblea regionale rispetto alle finalità di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa di riferimento, in modo da potersi svolgere in termini di congruità delle singole voci di spesa ammesse al rimborso con riferimento ai criteri oggettivi di conformità e di collegamento teleologico con i predetti fini.
Ordinanza 15 settembre 2020, n. 19173
Data udienza 21 luglio 2020
Tag/parola chiave: Giurisdizione – Corte dei Conti – Assemblea legislativa regionale – Spese del gruppo consiliare – Spese non inerenti a finalità istituzionali – Sindacato della Corte dei conti – Rientra nei limiti interni della giurisdizione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f.
Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez.
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4879/2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
PROCURATORE REGIONALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI – SEZIONE GIURISDIZIONALE PER L’EMILIA ROMAGNA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, REGIONE EMILIA ROMAGNA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 279/2018 della CORTE DEI CONTI – I SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 09/07/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/07/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.
RITENUTO
che:
1. – La Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Emilia-Romagna convenne in giudizio (OMISSIS), nella sua qualita’ di consigliere del Gruppo consiliare “Lega Nord” dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna, per sentirlo condannare, a titolo di danno erariale, al rimborso, in favore della medesima Regione, delle spese sostenute, negli anni 2011 e 2012, e rendicontate dal medesimo (OMISSIS), ma ritenute estranee al mandato consiliare.
1.1. – Con sentenza del 1 febbraio 2017, l’adita Sezione giurisdizionale, in parziale accoglimento della domanda dell’Ufficio requirente territoriale, condanno’ il (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 5.222,85, oltre accessori.
2. – Il gravame interposto avverso tale decisione dal predetto soccombente veniva solo parzialmente accolto, con sentenza resa pubblica in data 9 luglio 2018, dalla Sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte dei Conti, che riduceva la condanna all’importo di Euro 3.630,88, oltre accessori.
2.1. – Il giudice contabile, segnatamente, osservava che: a) non vi era stata invasione nella “sfera di merito riservata all’Assemblea regionale a ai Gruppi operanti al suo interno”, poiche’ il sindacato aveva riguardato la coerenza dell’attivita’ gestoria, da parte del Consigliere, dei contributi pubblici destinati a spese di funzionamento dei Gruppi consiliari… con le finalita’ assegnate a tali risorse” ed era stato effettuato “nel rispetto dei criteri di legittimita’, di razionalita’, di adeguatezza e di misura che devono, comunque, presidiare l’utilizzo di denaro pubblico, da chiunque posto in essere”; b) la “astratta riconducibilita’ delle spese sostenute dal Consigliere alle categorie di cui alla Delib. Assembleare n. 5 del 2012” non valeva, “di per se’, ad escludere che la spesa” potesse “essere non inerente all’attivita’ del Gruppo, comunque, non rispondente ai parametri innanzi detti, sintetizzabili nel principio di ragionevolezza della spesa”; c) pur volendo interpretare la Legge Regionale n. 32 del 1997, articolo 6, comma 2, nel senso che per giustificare una spesa in quanto sostenuta nello svolgimento di attivita’ del gruppo consiliare il consigliere avrebbe dovuto “munirsi preventivamente di una “lettera di incarico”, nell’ambito del giudizio erariale, l’assenza della predetta “lettera”, pur eventualmente costituendo una irregolarita’ amministrativa, di per se’ non varrebbe certo a qualificare la spesa quale danno erariale”, a tal fine dovendo pur sempre “essere verificata, in concreto, l’inerenza di ciascuna spesa all’attivita’ del Gruppo, poiche’ solo l’effettiva estraneita’ dell’esborso alle finalita’ cui per legge era vincolato consente di qualificarlo come danno”; d) ai fini di tale verifica “il riferimento dovra’ essere non solo e non tanto all’attivita’ istituzionale svolta nell’ambito dell’Assemblea regionale, ma anche soprattutto all’attivita’ politica, propedeutica,… alla predetta attivita’ istituzionale”; e) nella specie, “sono state considerate come indebitamente poste a carico dei fondi del Gruppo consiliare quelle spese solo genericamente motivate e, quindi, la cui inerenza non e’ provata o, comunque riscontrabile proprio a causa della genericita’ della giustificazione recata dall’interessato”: – per le spese di “taxi” l’intera somma contestata non era rimborsabile in quanto non era stato specificato il tragitto o indicato in modo solo generico il motivo dello spostamento; – per le spese relative ad “auto”, “autostrade” e “treno”, le giustificazioni erano generiche e tali da non consentire il riscontro circa l’inerenza all’attivita’ del Gruppo; – per le spese relative ai “pasti” il rimborso era limitato alle spese per pranzi di lavoro o, comunque, per pasti durante le missioni inerenti ad attivita’ del Gruppo e sostenute per se stessi, mentre quelle “per pasti offerti ad altri commensali” non potevano ricondursi a spese di rappresentanza, poiche’ solo genericamente giustificate, la’ dove, infine, erano “da ritenersi al di fuori di ogni previsione normativa” le spese sostenute per pranzi con collaboratori; – non risultavano poi compiutamente giustificate le spese sostenute per “alberghi” mentre erano estremamente generiche le giustificazioni con riguardo alle spese sostenute per l’acquisto di “beni vari”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre (OMISSIS), affidando l’impugnazione a due motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Procuratore generale rappresentante il Pubblico ministero presso la Corte dei Conti.
Il ricorso e’ stato notificato solo per conoscenza alla Regione Emilia-Romagna.
CONSIDERATO
che:
1. – Con il primo mezzo e’ denunciato, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e articolo 362 c.p.c., difetto assoluto di giurisdizione per violazione dei limiti esterni della giurisdizione contabile ed eccesso di potere giurisdizionale.
La Sezione giurisdizionale centrale di appello, essendo “pacifico che tutte le spese contestate rientrassero nelle tipologie di spese elencate nella Delib. Assembleare n. 5 del 2012” (che individuava 16 voci di spesa gravanti sul bilancio del Consiglio regionale per contributi annualmente versati ai singoli gruppi consiliari, il cui controllo sulla gestione spettava esclusivamente allo stesso Consiglio, in forza della Legge Regionale n. 32 del 1997 e successive modificazioni), avrebbe esorbitato dal proprio potere giurisdizionale in quanto avrebbe esercitato un controllo “sul merito della spesa” e non di legittimita’, essendo il finanziamento stato previsto dalla stessa legge regionale e spettando, dunque, al consigliere regionale soltanto di “dimostrare che le spese effettuate rientrassero nelle macro categorie sulla base del giustificativo di spesa depositato e non delle ragioni che ne avevano giustificato l’esborso”.
Il giudice contabile avrebbe, in tal modo, creato “la norma di attribuzione di una verifica contabile ulteriore rispetto a quella meramente documentale, con l’affermazione di un sindacato nel merito delle spese effettuate nell’ambito delle precise indicazioni date dall’Assemblea”, sostituendosi, altresi’, al “controllo normativamente previsto di competenza esclusiva del Consiglio regionale”, la’ dove, poi, i rendiconti delle spese sostenute erano stati gia’ “dichiarati regolari dal Comitato tecnico… organo a cio’ deputato dall’Assemblea”.
La Corte dei conti sarebbe, quindi, incorsa in eccesso di potere giurisdizionale in quanto, pur avendo “riconosciuta espressamente la correttezza della spesa in questione”, ne avrebbe, pero’, “sindacato nel merito il tipo di spesa che, in via generale ed astratta, l’Assemblea aveva legittimato, sconfinando in un ambito di scelte di merito riservate alla autonomia politica dei Gruppi”, violando in tal modo anche l’articolo 122 Cost., comma 4.
3.1. – Il motivo e’ inammissibile.
3.1.1. – Questa Corte ha piu’ volte affermato (Cass., S.U., 31 ottobre 2014, n. 23257; Cass., S.U., 21 aprile 2015, n. 8077; Cass., S.U., 28 aprile 2015, n. 8570; Cass., S.U., 29 aprile 2015, n. 8622; Cass., S.U., 8 aprile 2016, n. 6895; Cass., S.U., 7 settembre 2018, n. 21927; Cass., S.U., 17 dicembre 2018, n. 32618; Cass., S.U., 16 gennaio 2019, n. 1034; Cass., S.U., 28 febbraio 2020, n. 5589) che la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali e’ soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita’ erariale, sia perche’ a tali gruppi – pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica – va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell’organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell’origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo, e senza che rilevi il principio dell’insindacabilita’ di opinioni e voti ex articolo 122 Cost., comma 4, non estensibile alla gestione dei contributo, attesa la natura derogatoria delle norme di immunita’.
L’accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei Conti, affinche’ non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non puo’ investire l’attivita’ politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di “merito” dal medesimo effettuate nell’esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell’alveo di un giudizio di conformita’ alla legge dell’azione amministrativa (L. n. 20 del 1994, articolo 1).
Pertanto, come precisato dalla citata Cass., S.U., n. 32618 del 2018, in siffatto alveo – e, dunque, nei limiti interni della giurisdizione contabile rimane la verifica di difformita’, compiuta dalla Corte dei conti, delle attivita’ di gestione del contributo erogato al gruppo consiliare rispetto alle finalita’, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, cosi’ da potersi svolgere in termini di congruita’ delle singole voci di spesa ammesse al rimborso con riferimento a criteri oggettivi di conformita’ e di collegamento teleologico con i predetti fini, secondo quanto imposto dal quadro normativo di riferimento.
3.1.2. – Una tale verifica e’ quella che ha compiuto il giudice contabile con la sentenza impugnata in questa sede (cfr. sintesi al § 2.1. del “Ritenuto che”), evidenziando che le spese non erano rimborsabili in ragione della genericita’ delle giustificazioni che avrebbero dovuto dar conto dell’inerenza con l’attivita’ del Gruppo consiliare di appartenenza.
La valutazione operata, nella specie, dalla Corte dei Conti non ha avuto ad oggetto il “merito” delle spese effettuate – ossia un controllo volto a sindacarne la loro utilita’ od opportunita’ -, bensi’ unicamente la giustificazione della spesa tramite adeguata documentazione della stessa e, quindi, il piano dimostrativo di quel rapporto di correlazione tra spesa medesima e finalita’ per la quale, normativamente, il contributo viene erogato, che si colloca all’interno dell’anzidetto giudizio di congruita’ (parametrato a criteri oggettivi), costituendone, anzi, il presupposto affinche’ il giudizio stesso possa essere espresso.
Ne’ si mostrano concludenti le doglianze volte a stigmatizzare la disparita’ di giudizio che emergerebbe da altre pronunce rese dalla stessa Sezione Centrale di appello in giudizi analoghi e con esito positivo per i consiglieri regionali coinvolti, giacche’ in quei casi (come si evince dal contenuto delle decisioni riportato dal ricorso e dalla memoria) il profilo della giustificazione delle spese era stato oggetto di riscontro positivo, diversamente dalla controversia in esame.
Pertanto, l’eventuale errore commesso dal giudice contabile nel concreto svolgersi dell’anzidetta verifica e’ da ascriversi, semmai, a violazioni di legge, sostanziale o processuale, concernenti soltanto il modo d’esercizio della giurisdizione speciale e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa (tra le molte, Cass., S.U., 19 luglio 2013, n. 17660, Cass., S.U., 18 maggio 2017, n. 12497).
3.1.3. – Le argomentazioni svolte dal ricorrente circa l’asserito vulnus alle prerogative del Consiglio regionale, per essere oggetto di autodichia la verifica delle spese dei gruppi consiliari in base alla Legge Regionale n. 32 del 1997, articolo 1, comma 5 (nella formulazione precedente alla modifica recata dalla Legge Regionale n. 17 del 2012), non colgono nel segno e non sono tali, dunque, da scalfire i rilievi che precedono.
A tal riguardo, come queste Sezioni Unite hanno gia’ avuto modo di evidenziare (cfr. le citate Cass., S.U., n. 1034/2019 e Cass., S.U., n. 5589/2020), la Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2015 ha ribadito – proprio a fronte di analoga doglianza mossa dalla Regione Emilia-Romagna in sede di giudizio per conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri sorto a seguito di atti di citazione emessi dalla Procura regionale nei confronti dei capigruppo e di alcuni consiglieri regionali – che, in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilita’ amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti).
Conclusione, questa, che resta ferma anche in presenza della disciplina recata dalla citata Legge Regionale n. 32 del 1997 e, quindi, dell’intervenuta approvazione dei rendiconti da parte del comitato tecnico (quand’anche composto da consiglieri regionali) o dall’Ufficio di Presidenza, poiche’ il voto dato in tali sedi rappresenta una ratifica formale di spese gia’ effettuate dai gruppi e non gia’ un atto deliberativo che ne costituisce ex ante il titolo giustificativo.
Opinare diversamente – si afferma ancora nella sent. n. 235 del 2015 – condurrebbe “al risultato abnorme, e senza dubbio contrario alla natura eccezionale della guarentigia di cui all’articolo 122 Cost., comma 4, di delineare un’area di totale irresponsabilita’ civile, contabile e penale in favore dei consiglieri regionali”, peraltro venendo a configurare, “in maniera paradossale e del tutto ingiustificata, una tutela della insindacabilita’ delle opinioni dei consiglieri regionali piu’ ampia di quella apprestata relativamente a quelle dei parlamentari nazionali”, in contrasto “sia con il principio di responsabilita’ per gli atti compiuti, che informa l’attivita’ amministrativa (articoli 28 e 113 Cost.), sia con il principio che riserva alla legge dello Stato la determinazione dei presupposti (positivi e negativi) della responsabilita’ penale (articolo 25 Cost.)”.
Principi, questi, che trovano piena conferma anche nella piu’ recente sentenza n. 43 del 2019 della stessa Corte costituzionale (pur richiamata dal ricorrente, con la memoria, a sostegno delle proprie ragioni), che – in un conflitto di attribuzioni promosso sempre dalla Regione Emilia-Romagna a seguito della citazione di taluni consiglieri regionali da parte della Procura regionale presso la Corte dei Conti per rispondere di danno erariale a seguito dell’adozione di alcune delibere dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale aventi ad oggetto il conferimento dell’incarico di Capo di Gabinetto del Presidente del Consiglio regionale – ha ribadito che “le delibere dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio, quando hanno natura di atti di autorganizzazione del Consiglio, direttamente incidenti sull’attivita’ legislativa di quest’ultimo, sono presidiati dalla garanzia costituzionale dell’autonomia della potesta’ organizzativa di supporto all’attivita’ legislativa del Consiglio stesso. Quando, invece, hanno natura di atti amministrativi estranei, o comunque non strettamente coessenziali, all’organizzazione dell’attivita’ legislativa del Consiglio, si collocano all’esterno di tale autonomia costituzionalmente garantita, pur costituendo legittimo esercizio di un potere. Tale e’, in particolare, l’attivita’ di gestione delle risorse finanziarie, che “resta assoggettata alla ordinaria giurisdizione di responsabilita’ civile, penale e contabile” (sentenze n. 235 del 2015 e n. 292 del 2001)”.
4. – Con il secondo mezzo e’ prospettato, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 1, articolo 362 c.p.c. e del Decreto Legislativo n. 174 del 2016, articolo 207, difetto assoluto di giurisdizione ed eccesso di potere giurisdizionale.
Il giudice contabile – pur avendo correttamente ritenuto che “l’omessa preventiva produzione di una lettera di incarico da parte del capogruppo non puo’ costituire di per se’ illecito erariale” – non avrebbe, poi, tratto “dall’affermazione della non necessarieta’ di tale lettera di incarico” il corollario per cui “le spese inserite nel rendiconto dovevano giudicarsi legittime perche’ inerenti alle finalita’ politiche e istituzionali del Gruppo”, affermando invece la “natura personale di tali spese” in quanto “non coperta dal requisito dell’inerenza”. In tal modo, la sentenza impugnata avrebbe immotivatamente disapplicato “una normativa regionale che come riconosce la stessa sentenza non richiede una lettera di incarico”, andando “a sindacare il merito politico” delle scelte del consigliere, non ritenendo sufficiente che il giustificativo appartenesse “alla macro categoria” indicata dall’Ufficio di Presidenza, ma richiedendo “una ulteriore giustificazione ossia il rispetto del “limite della ragionevolezza” attestante il collegamento della spesa con la finalita’ perseguita dal gruppo, limite evanescente ed indefinito perche’ non previsto da alcuna norma di legge”.
4.1. – Anche il secondo motivo e’ inammissibile.
Con esso si ripropongono, sostanzialmente, le doglianze gia’ veicolate con il primo motivo e innanzi scrutinate, adducendosi, altresi’, che il “limite della ragionevolezza” – individuato dal giudice contabile come criterio di verifica delle spese sostenute con i fondi del Gruppo consiliare e pur inerenti al funzionamento e/o all’attivita’ dello stesso – non trovi riscontro alcuno nella normativa regionale implicata.
Tuttavia, al di la’ del rilievo che l’affermazione anzidetta, inserita nel piu’ generale contesto di un’argomentazione di principio, si presta comunque ad essere intesa nel senso di una verifica di congruita’ consentita al giudice contabile in ambito di responsabilita’ amministrativa (cfr. § 3.1.1, che precede) e non gia’ esclusa dalle norme di riferimento e, in primo luogo, dalla Legge Regionale n. 32 del 1997, articolo 6, va, in ogni caso, posto in evidenza (in via assorbente) che la ratio decidendi della sentenza impugnata e’ declinata in termini che la censura in esame non coglie, poiche’ essa (ratio) non si fonda sull’anzidetto “limite di ragionevolezza” di spese aventi il carattere delrinerenza” all’attivita’ del Gruppo consiliare, ma sulla carenza di giustificazione di detto rapporto di inerenza.
5. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.
6. – La natura di parte soltanto formale che riveste il Procuratore generale presso la Corte dei Conti, in ragione della sua posizione istituzionale – di organo propulsore dell’attivita’ giurisdizionale dinanzi alla Corte dei Conti, al quale sono attribuiti poteri esercitati per dovere d’ufficio e nell’interesse pubblico, partecipando al giudizio non come esponente di un’amministrazione, ma quale portatore dell’interesse generale dell’ordinamento giuridico – esclude l’ammissibilita’ di una pronuncia sulle spese processuali (cfr. tra le tante, Cass., S.U., 2 aprile 2003, n. 5105; Cass., S.U., 8 maggio 2017, n. 11139; Cass., S.U., 30 aprile 2019, n. 11502).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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