Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 25 giugno 2020, n. 19272.

Massima estrapolata:

Integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga.

Sentenza 25 giugno 2020, n. 19272

Data udienza 12 giugno 2020

Tag – parola chiave: Associazione per delinquere – Traffico di stupefacenti – Dpr 309 del 1990 – Custodia cautelare – Presupposti – Articoli 273 e 274 cpp – Esigenze – Articoli 275 e 283 cpp – Gravi indizi di colpevolezza – Valutazione del giudice di merito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Presidente

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 09/01/2020 del TRIB. LIBERTA’ di MESSINA;
udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZELLA VINCENZO;
lette le conclusioni del PG MIGNOLO OLGA che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso e condannarsi il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9/1/2020, il Tribunale di Messina, adito ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., confermava il provvedimento del 16/12/2019, con il quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto l’applicazione nei confronti di (OMISSIS) della misura della custodia cautelare in carcere, in relazione ai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 74 e 73, per avere fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, promossa e diretta da (OMISSIS) e (OMISSIS), con il compito di stabile fornitore della sostanza con contestazione dal (OMISSIS) all’attualita’ (capo A della rubrica) e per avere concorso nella consumazione di alcuni specifici delitti fine di quel sodalizio (capi B e C), nello specifico per avere ceduto in piu’ occasioni, tra (OMISSIS) a (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS), sostanza stupefacente del tipo marijuana per la successiva cessione ad (OMISSIS) ai fini dello spaccio al minuto nonche’ per avere ceduto in data (OMISSIS) in piu’ occasioni a (OMISSIS) e (OMISSIS) sostanza stupefacente del tipo marjuana che, tramite l’intermediazione di (OMISSIS) e (OMISSIS), era ulteriormente ceduta ad (OMISSIS).
In sede di interrogatorio di garanzia l’indagato aveva respinto gli addebiti asserendo che il (OMISSIS) gli aveva effettivamente chiesto di procurargli della droga, ma che egli non aveva aderito a tale proposta e sostenendo di aver fornito allo stesso solo beni oggetto del suo commercio (mobilio ed articoli di corredo).
Come ricorda il provvedimento impugnato, le incolpazioni a carico dell’odierno ricorrente si inseriscono nell’ambito dell’operazione di polizia c.d. “Predominio” che ha portato all’emersione di un’allarmante attivita’ criminale “riorganizzata”, posta in essere da storici esponenti di sodalizi organizzati messinese, in passato divenuto collaboratori di giustizia e, in epoca successiva e piu’ recente, ritornati sul territorio messinese ove hanno sia intrapreso il traffico organizzato di stupefacenti, oggetto di contestazione al capo A, sia riorganizzato il sodalizio mafioso di cui al capo L della rubrica.
Nell’ambito dell’attivita’ criminosa organizzata avviata nel settore del narcotraffico si innesterebbero i rapporti con l’odierno ricorrente, che si sarebbe posto nei riguardi del sodalizio quale affidabile canale di procacciamento della sostanza acquistata. Rilevava il tribunale messinese come le emergenze procedimentali avessero confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in ordine ai delitti ascrittigli e come, nonostante lo stato di incensuratezza, vi fosse un concreto pericolo che il prevenuto potesse tornare a commettere reati della stessa specie di quelli per i quali si procede, si riporta testualmente, in ragione della “accentuata pericolosita’, cui si connette un rischio concreto ed attuale di recidiva, attesa la ritenuta intraneita’ ad un sodalizio organizzato stabilmente dedito al narcotraffico “.
2. Ricorre il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Il ricorrente deduce violazione di legge e mancanza, contraddittorieta’ e/o illogicita’ della motivazione, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e all’articolo 273 c.p.p..
Ricordata la giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ relativamente alla configurabilita’ della condotta di partecipazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, (richiamando le sentenze 21755/2014, 51500/2018 e 50133/2013), il ricorrente rileva che il Tribunale ha ritenuto l’esistenza della gravita’ indiziaria, in ordine al reato di partecipe Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, sulla scorta del contenuto di alcune intercettazioni, intercorse nell’arco di un solo mese ((OMISSIS)) e della contestazione Decreto del Presidente della Repubblica cit., ex articolo 73 relativa a cessioni, a soggetti diversi, di sostanza stupefacente del tipo marijuana, desumendone la sussistenza di una struttura organizzativa a carattere permanente, con ripartizione di compiti, attribuendo al (OMISSIS) quella di fornitore della sostanza stupefacente.
Ebbene, ci si duole che la motivazione in questione avrebbe trascurato il principio di diritto secondo cui il reato associativo de quo non trova compimento nel semplice ripetersi dei cosi’ detti reati fine e conserva una propria autonomia strutturale e storica, tanto da costituire una realta’ “in se'” connaturata da antigiuridicita’ e capace di concretizzarsi e permanere in vita anche in assenza di altre condotte illecite.
Il provvedimento impugnato manifesterebbe un’evidente lacuna motivazionale richiamando, a proposito della posizione e del ruolo associativo del (OMISSIS), il contenuto di poche conversazioni telefoniche che, anche a volere ritenere idonei ad integrare i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati sub capi B) e C), mancherebbe, tuttavia, di chiarire quali fossero i dati fattuali cui connettere la dimostrazione indiziaria di una stabile adesione del ricorrente al sodalizio criminale in contestazione, ovvero da cui poter evincere la sussistenza di un vincolo durevole, con la consapevolezza e la volonta’ di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volonta’, ad una societa’ criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (il richiamo e’ a Sez. 6 n. 11733/2012).
L’ordinanza difetterebbe di corretta e adeguata motivazione, avendo ridotto a rango di carattere secondario la necessita’ che l’accordo che unisce gli associati presenti quel carattere di condivisione del progetto e di consapevole compartecipazione ad esso che viene tradizionalmente definito come “affectio societatis” e che costituisce un elemento di discrimine fra l’ipotesi associativa e quella di concorso nel, reato continuato.
Viene ricordato che, ai fini della affermazione di soggetto intraneo, risulta importante verificare che colui che e’ stato ritenuto presunto fornitore sia stabilmente disponibile a procurare la sostanza, in una funzione continuativa che trascende il significato negoziale delle singole operazioni, per costituire un elemento della complessa struttura che facilita lo svolgimento dell’intera attivita’ criminale.
Un’argomentazione di tal fatta presenta un profilo di grande delicatezza in ordine alla rilevanza della diversita’ di posizione del fornitore rispetto ad una organizzazione esistente con cui entra in contatto e instaura rapporti di compravendita.
Se e’ vero che entrambi i soggetti che danno vita all’accordo hanno interesse a livelli di stabilita’ nel commercio e di programmabilita’ delle proprie azioni delittuose, non di meno si resta in presenza di un rapporto sinallagmatico tipico della compravendita e permane uno spazio di reciproca autonomia decisionale che guarda ogni volta alle ragioni di opportunita’ e convenienza dello scambio.
In particolare, ponendo mente all’ordinanza impugnata, per il ricorrente merita un’attenzione critica il passaggio secondo cui il legame associativo sarebbe rinvenibile, testualmente, “nell’attivita’ propulsiva del (OMISSIS) – che lungi dal limitarsi a fornire la droga, proponeva al (OMISSIS) di entrare in affari con l’ (OMISSIS), in quanto grosso spacciatore”, evidentemente nel fine comune di sviluppare il commercio degli stupefacenti per conseguire sempre maggiori profitti, in quanto, mutuando l’insegnamento offerto da Sez. 3, n. 21755 del 12/3/2014, Rv. 259881, “e’ un passaggio che prova troppo, posto che l’allargamento di un mercato e il perseguimento di maggiori utili per tutti i partecipanti sono meccanismi tipici di qualsiasi attivita’ imprenditoriale e non sono generalmente ritenuti sufficienti per attribuire la qualita’ di associati a coloro che in modo continuativo vendono o acquistano servizi rapportandosi a una realta’ organizzata.
Continua la richiamata sentenza di questa Suprema Corte che la circostanza che l’interesse economico di un soggetto sia meglio assicurato dal buon andamento degli affari curati dall’associazione criminosa con cui egli si relaziona non e’ elemento sufficiente per far sorgere il legame proprio del vincolo associativo, occorrendo a tal fine un “salto di qualita’” nelle relazioni che si verifica quando il legame diviene cosi’ stretto e crea una cosi’ marcata interdipendenza fra i soggetti da poter considerare questi come parte di un medesimo progetto.
Per ritenere avvenuto il passaggio da un rapporto di reciproco affidamento fra soggetti diversi all’instaurazione fra gli stessi di una relazione riconducibile alla “affectio societatis” – continua il ricorso- il giudicante deve avere operato un vaglio molto attento e particolarmente stringente delle circostanze di fatto. Tra queste meritano uno specifico rilievo: la durata dell’accordo criminoso, le modalita’ di azione e collaborazione, il contenuto economico delle transazioni, la rilevanza obiettiva che il contraente, cliente o fornitore che sia, riveste per l’associazione.
Il ricorrente ritiene che l’ordinanza impugnata presti il fianco a censura per violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e articolo 273 c.p.p., difettando la gravita’ indiziaria in ordine alla sussistenza di legami stabili fra il (OMISSIS) e la definita “congrega dedita allo spaccio di sostanza stupefacente” che, a dire del tribunale messinese, era stata costituita da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (il richiamo e’ alle pagg. 2 e 8 ord. trib. riesame), in quanto i contatti erano ristretti con il solo (OMISSIS), avendo mancato di valorizzare il ridotto arco temporale della vicenda (ottobre-novembre 2018), insufficiente a consentire un giudizio di affectio societatis; cosi’ come avrebbe pretermesso, con riferimento al concetto di “stabilita’” del legame, che le due contestazioni di cessione di sostanza, a soggetti diversi, tra l’altro, non rappresentano elemento sufficiente per ritenere esistente l’ipotesi associativa.
Inoltre, l’affermazione che il (OMISSIS) rappresentasse un affidabile canale di procacciamento della sostanza per essere spacciata nell’interesse del gruppo, si scontrerebbe con le risultanze dell’intercettazione intercorsa tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) per cui la sostanza fornita dal (OMISSIS) non avesse neppure efficacia drogante e non si potesse fumare”, con i relativi problemi connessi allo smercio della stessa (pag. 3 ord. cit. – progr. n. 1096 del 16.10.2018 ore 16:13; progr. n. 1262 del 17.10.2018 ore 15:27), sicche’ la rilevanza obiettiva della dipinta figura di fornitore sarebbe pressoche’ inesistente, cosi’ come del tutto inesistente era il contenuto economico delle transazioni se, come riportato nell’ordinanza, il (OMISSIS) si mostrava spazientito, manifestando anche preoccupazione, per come gestire il rapporto con il fornitore, in quanto non era stato neppure pagato (pag. 4 ord.), sicche’ a carico del ricorrente non sono emersi neppure episodi di ricezione del danaro.
L’ordinanza del tribunale messinese cadrebbe in errore nell’attribuire rilievo per ritenere il coinvolgimento del (OMISSIS) nell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti alle conversazioni intercettate, per nulla sintomatiche di un suo effettivo inserimento in un sodalizio criminoso.
Per il ricorrente l’ordinanza impugnata presterebbe il fianco a censura, per violazione di legge e mancanza, contraddittorieta’ e/o illogicita’ della motivazione, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, capi B) e C) della rubrica, ed articolo 273 c.p.p., in quanto il contenuto delle conversazioni intercettate non rivestirebbe portata individualizzante, confermando quanto rappresentato dall’imputato in ordine all’esistenza di un rapporto di conoscenza con il (OMISSIS), ma non della cointeressenza in affari illeciti.
In particolare, si contesta l’adeguatezza della motivazione, poiche’ attraverso di essa le intercettazioni suddette non darebbero una prova piena, ed il loro contenuto non sarebbe sostenuto da ulteriori elementi obiettivi, quali dichiarazioni di terzi e sequestri di sostanza in capo all’odierno ricorrente.
In particolare, si confuta l’affermazione contenuta a pag. 4 dell’ordinanza nella parte in cui riporta che l’ (OMISSIS) avrebbe ammesso, in sede di interrogatorio di garanzia, di avere acquistato lo stupefacente ai fini di spaccio, ed il (OMISSIS), a sua volta, avrebbe ammesso di essersi rifornito dal ricorrente.
Invero, agli atti del fascicolo non e’ presente alcuna dichiarazione del (OMISSIS), di cui non v’e’ stata alcuna richiesta di acquisizione, mentre e’ presente il verbale, con esito negativo, della perquisizione personale, nonche’ quella presso la abitazione ed il veicolo del (OMISSIS), datato 2011212019.
Nella vicenda che ci occupa rileverebbe come le contestate cessioni di sostanza stupefacente di tipo marijuana dovrebbe emergere dai colloqui captati, in assenza di sequestro dello stupefacente, circostanza che non ha trovato rigorosa motivazione nell’ordinanza impugnata, tale da consentire di affermare che di droga si stesse parlando e che la stessa sia stata effettivamente ceduta (questa e’ la contestazione) ad opera del (OMISSIS).
Ricorda il ricorrente come, se e’ vero, infatti, che la prova dei reati di illecita detenzione e di spaccio non deriva soltanto dal rinvenimento dello stupefacente, potendosi desumere anche da altre circostanze probatorie (il richiamo e’ a Sez. 4 n. 48008 del 18/11/2009, Palmerini, Rv. 245738; Sez. 4 n. 46299, del 28/10/2005, Secchi, Rv. 232826) e’ tuttavia da considerare che, se gli elementi a carico di un soggetto consistono in intercettate dichiarazioni senza riscontri oggettivi, la loro valutazione deve essere espletata dal giudice con particolare attenzione e rigore, ovvero in proporzione al contenuto limitato del compendio probatorio, soprattutto se, come nel caso che ci occupa, alle intercettazioni non vi sia riscontro, come e’ invece normale che accada, con il rinvenimento di stupefacenti, ne’ l’accertamento di trasferimenti di denaro.
La gravita’ indiziaria in capo al ricorrente – ci si duole- e’ stata tratta dalla interpretazione data al contenuto di colloqui ai quali non e’ seguito il riscontro di un sequestro, di un accertato trasferimento di denaro, di un controllo che, sulla base delle conversazioni intercettate, avrebbe consentito di offrire la prova dell’attribuzione delle conversazioni all’indagato, dell’oggetto delle conversazioni, se effettivamente riferibile a sostanza stupefacente, la qualita’ (si contesta essere marijuana) l’efficacia drogante, la quantita’.
Non da ultimo, tenuto conto della contestazione di cessione di sostanza stupefacente – ai capi B) e C) – il ricorrente ricorda che, con i motivi di riesame, si era censurata la motivazione dell’ordinanza genetica osservando come la stessa non offrisse una motivazione esaustiva di gravita’ indiziaria in ordine al contenuto delle conversazioni intercettate e ad essa riferibili, con riferimento alla circostanza che tra il cedente e l’acquirente si fosse concluso il contratto relativo, appunto, alla cessione della sostanza stupefacente, che rappresenta il momento consumativo, e nel caso in esame non vi era stato.
L’ordinanza del riesame, sul punto, non offrirebbe alcuna motivazione grafica, limitandosi ad affermare che il tenore delle conversazioni e della presenza del ricorrente presso l’abitazione del (OMISSIS), ma anche del (OMISSIS), rappresentassero una sufficiente gravita’ indiziaria della sussistenza di un accordo per il quale non e’ necessaria l’avvenuta traditio del quantitativo commissionato.
Sennonche’, nell’ordinanza impugnata non sarebbe rinvenibile ne’ l’indicazione del quantitativo di sostanza commissionato, ne’ la qualita’, ne’ l’efficacia drogante, ne’ la prova che il (OMISSIS) sia stato presso l’abitazione del (OMISSIS) e, comunque, presso la stessa si sia concluso un accordo criminoso, cosi’ come presso l’abitazione del (OMISSIS).
In proposito, il ricorrente censura il dire dell’ordinanza che, parlando della prima conversazione datata (OMISSIS), tra la convivente del (OMISSIS), tale (OMISSIS), non indagata, ed il (OMISSIS), in ordine al pagamento di un “divano”, attribuisce a tale termine un significato criptico, affermando, con un evidente salto temporale, richiamando un colloquio occorso a distanza di circa 3 mesi (OMISSIS) -che la conversazione occorsa nel mese di luglio avesse ad oggetto “droga” procurata dal (OMISSIS), affinche’ (OMISSIS) la smerciasse.
Sennonche’, l’ordinanza trascurerebbe l’allegazione difensiva di una scheda nella quale si dava contezza che i rapporti con il (OMISSIS) fossero relativi alla compravendita di mobilio e corredo, attivita’ esercitata dall’indagato, creditore del relativo prezzo, pagato con piccolissime somme mensili (si richiama la copia di appunti manoscritti allegati alla memoria del riesame).
Con un ulteriore motivo si lamenta che l’ordinanza impugnata sarebbe viziata per violazione di legge e per mancanza, contraddittorieta’ e/o manifesta illogicita’ della motivazione in relazione all’articolo 274 c.p., comma 1, lettera c), articolo 275 c.p.p., comma 3. e articolo 284 c.p.p..
Rileva il ricorrente in ordine alle esigenze cautelari che il Tribunale di Messina ha affermato che, nonostante lo stato di incensuratezza del ricorrente, vi fosse un concreto pericolo che il prevenuto potesse tornare a commettere reati della stessa specie di quelli per i quali si procede, si riporta testualmente, in ragione della “accentuata pericolosita’, cui si connette un rischio concreto ed attuale di recidiva, attesa la ritenuta intraneita’ ad un sodalizio organizzato stabilmente dedito al narcotraffico “, pericolo arginabile solo con la misura piu’ afflittiva.
Ricorda anche che, con i motivi di riesame, censurando la valutazione effettuata dal Gip, sia in relazione alla ritenuta sussistenza dell’esigenza di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), che al giudizio di proporzionalita’ ed adeguatezza della misura applicata, si era richiamato l’orientamento giurisprudenziale per il quale, con riguardo al disposto di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3, prima parte, la custodia cautelare in carcere puo’ essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata, rammentando, altresi’, che la misura carceraria rappresenta sempre l’estrema ratio cui ricorrere allorquando ogni altra misura si palesi inidonea. In particolare, si era osservato che, alla luce della novella legislativa da ultimo intervenuta con la L. n. 47 del 2015, il parametro della concretezza ed attualita’ del pericolo di reiterazione criminosa non poteva essere desunto esclusivamente dalla gravita’ e/o dal titolo di reato per cui si procede, necessitando una attenta valutazione di una serie di elementi fattuali oggettivi e soggettivi, indicativi delle inclinazioni comportamentali e della personalita’ dell’indagato, di talche’ risultasse prognosticamente concreta l’ipotesi che egli delinqui nuovamente.
Ebbene, ci si duole che l’ordinanza impugnata abbia del lutto disatteso le doglianze difensive con le quali si era rappresentato come al (OMISSIS) non fossero stati contestati l’articolo 416 bis c.p., ne’ L. n. 203 del 1991, articolo 7, ne’, infine, l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, circostanze queste su cui il collegio aveva fondato il giudizio di non comune pericolosita’ e caratura criminale straordinaria dei maggiorenni, soggetti di spicco della criminalita’ organizzata cittadina (…)”. (pagina 8 ord.), omettendo di valorizzare, ai fini della valutazione de qua ed alla scelta della misura coercitiva in concreto adeguata a soddisfarla, la incensuratezza dell’indagato che reca in se’ una presunzione di minima pericolosita’ sociale.
Il vizio motivazionale si paleserebbe, in particolare, in ordine al concreto ed attuale pericolo di recidiva in relazione allo iato temporale fra la data di commissione dei reati (luglio – novembre 2018) e l’emissione del provvedimento custodiale (16/12/2019).
Richiamati i precedenti di sez. 2, n. 9501 del 23/2/2016, Rv. 267785 e di Sez. 3 n. 6284 del 16/11/2019 Rv. 274861 il ricorrente si duole che nel caso che ci occupa i reati risultino contestati oltre un anno prima dell’applicazione della misura custodiale, circostanza questa del tutto disattesa dal Tribunale, pur evidenziata nei motivi di riesame, la cui ordinanza si palesa priva di iter motivazionale, logico – giuridico, in ordine ad indici sintomatici che tengano conto di tale divario temporale significativo.
Mancherebbero, in definitiva, precisi elementi di valutazione, ricavabili dal quadro indiziario di riferimento, da cui desumere che l’odierno ricorrente abbia conservato quella propensione al crimine, che solo il carcere e’ idoneo a scongiurare nell’interesse della collettivita’, in buona sostanza, che il provvedimento limitativo della liberta’ personale rappresenti la conseguenza di una personalita’ delinquenziale capace di innescare in qualsiasi momento la ripetizione criminosa.
Del pari, sarebbero rimaste inespresse le ragioni per le quali si sia ritenuto che, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari con ulteriore applicazione del braccialetto elettronico, il (OMISSIS) potrebbe, egualmente, tornare a delinquere, in un contesto urbano del tutto diverso da quello in cui maturarono i fatti; dopo oltre un anno di insussistenza di reiterazioni criminose – in assenza di segnalazioni o accertamenti, medio tempore, che possano attualizzare il pericolo di recidivanza.
Infine, l’impugnata ordinanza non avrebbe motivato in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto che l’applicazione della misura gradata al prevenuto consentirebbe di riallacciare i contatti con la consorteria di appartenenza, omettendo di valutare lo stato di incensuratezza del ricorrente collegata alla mancanza di precedenti e pendenze per il reato di evasione o similari, senza motivare in ordine all’indicazione delle concrete e specifiche ragioni per le quali l’esigenza cautelare sarebbe egualmente vanificata dagli arresti domiciliari, sulla scorta di elementi specifici, inerenti al fatto e alla personalita’ dell’indagato, che indichino quest’ultimo come propenso all’inosservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio a fini’ criminosi, perseguiti ad ogni costo in violazione della cautela impostagli.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.
3. In data 23/5/2020 il P.G. presso questa Suprema Corte ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’odierna udienza camerale senza discussione orale celebrata ai sensi del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, comma 12-ter, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, chiedendo dichiararsi inammissibile il proposto ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e pertanto il proposto ricorso va rigettato.
2. Il primo motivo di ricorso prospetta censure in punto di gravita’ indiziaria in gran parte generiche, non assistite da alcun confronto critico con la motivazione e, dunque, degradate a pura contestazione della valutazione espressa dal giudice del riesame.
La gravita’ del quadro indiziario in ordine alla sussistenza del sodalizio criminale e’ invero circostanza logicamente confortata, nel discorso giustificativo del provvedimento impugnato, da una serie univoca di circostanze incontrovertibili, in gran parte ignorate dall’impugnazione esperita in questa sede, la quale – dunque – si sottrae al confronto critico ed argomentativo con la motivazione.
Va premesso che questa Corte Suprema e’ ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e’ ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178).
In altra pronuncia, che pure si condivide, si e’ sottolineato che, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimita’ e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475);
Spetta dunque a questa Corte di legittimita’ il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicita’, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.
In altri termini, e’ consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioe’, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioe’ l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicita’ evidenti, risultanti cioe’ prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Questa Corte di legittimita’, ancora di recente ha peraltro ribadito come la nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non sia omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (sez. 5 n. 36079 del 5.6.2012, Fracassi ed altri, rv. 253511).
Al fine dell’adozione della misura cautelare, infatti, e’ sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilita’” sulla responsabilita’ dell’indagato” in ordine ai reati addebitati.
In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’articolo 192 c.p.p., comma 2.
Cio’ lo si desume con chiarezza dal fatto che l’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, richiama l’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravita’, richiede la precisione e concordanza degli indizi (cosi’ univocamente questa Corte, ex plurimis Sez. 2, n. 26764 del 15.3.2013, Ruga, rv. 256731; sez. 6 n. 7793 del 5.2.2013, Rossi, rv. 255053; sez. 4 n. 18589 del 14.2.2013, Superbo, rv. 255928).
3. Se questi sono i canoni ermeneutici cui questa Corte di legittimita’ e’ ancorata, va rilevato che nel caso all’odierno esame non risulta essersi verificata ne’ violazione di legge e nemmeno vizio di motivazione rilevante ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
La motivazione del tribunale del riesame e’ stata prospettata in concreto e diffusamente in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
Il giudice del riesame, applicando correttamente la norma di legge secondo i canoni interpretativi giurisprudenziali, valorizza il ruolo di fornitore del (OMISSIS) in un contesto organizzato stabilmente finalizzato al narcotraffico, l’entita’ delle transazioni, la loro frequenza e stabilita’, l’attivita’ propulsiva dell’indagato, le manifestazioni di adesione al programma criminoso, il tutto con argomentazioni del tutto logiche e congrue, esenti da profili denunciabili in sede di legittimita’.
Prive di correlazione con il provvedimento impugnato appaiono le doglianze in relazione ai reati fine, coincidenti con quelle proposte in sede di riesame, alle quali il giudice de libertate ha controdedotto con puntuali riferimenti alle circostanze risultanti dalla lettura del chiaro compendio captativo con i quali il ricorrente non si confronta.
I giudici del gravame della cautela, che rinviano per una compiuta ricostruzione delle emergenze investigative all’ordinanza genetica della misura, nell’esaminare il provvedimento impugnando, ricordano come la gravita’ indiziaria in ordine agli ipotizzati reati sia stata desunta nel caso che ci occupa da conversazioni oggetto di intercettazione che risultano nella pressoche’ totalita’ dei casi connotate da una cosi’ patente chiarezza da frustrare ogni tentativo che intenda conferire alle stesse un significato alternativo a quello posto a fondamento della prospettazione accusatoria.
Diversamente da quanto sostenuto dal difensore, per i giudici messinesi plurimi sono, in particolare, i colloqui nei quali gli interlocutori, confidando ingenuamente sulla riservatezza del luogo in cui erano collocati, si sono abbandonati a riferimenti assolutamente espliciti, in merito alla natura della sostanza stupefacente al cui smercio erano sistematicamente dediti (il richiamo, a puro titolo esemplificativo, e’ alle emergenze relative ai capi b) ed h) della rubrica).
Per i giudici del gravame cautelare le valutazioni operate dal GIP, che ha ravvisato in detta continuativa attivita’ illecita l’espressione dell’operativita’ di una struttura associativa sono meritevoli di integrale condivisione.
Viene evidenziato che i tre coindagati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nel passato determinatisi alla collaborazione con, la giustizia e, quindi, tradito il patto con lo Stato, si sono attivati per reimmettersi nel locale circuito criminale dal quale erano stati espulsi e hanno costituito un’associazione dedita, con tratti di patente stabilita’, allo smercio di sostanze stupefacenti di vana qualita’.
Cio’ emerge con chiarezza ed inequivocita’ – come si legge nel provvedimento impugnato- dalle univoche risultanze captative (il richiamo, in particolare, e’ alle intercettazioni riportate alle pagg. 62 e ss. del provvedimento genetico della misura), che detta struttura abbia in particolare, assunto una rilevante capacita criminale, sia sotto il profilo dell’accesso a fonti di approvvigionamento di assoluto spessore, sia con riguardo all’utilizzo di sperimentati canali di smercio sul mercato messinese.
Del resto – come viene evidenziato – l’esistenza del sodalizio non e’ stata contestata dalla difesa, che si e’ limitata a dedurre l’estraneita’ allo stesso dell’odierno ricorrente.
4. Va ricordato – e alla luce di cio’ vanno disattese le doglianze sul punto da parte del ricorrente- che in materia di intercettazioni telefoniche, questa Corte ha affermato che costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo’ essere sindacato in sede di legittimita’ se non nei limiti della manifesta illogicita’ ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, Rv. 257784).
Non va trascurato il dictum granitico di questa Corte di legittimita’ in tema di valore probatorio delle conversazioni captate e la loro interpretazione.
Nel corso del 2015, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Sez. un., 26 febbraio 2015 n. 22471, Sebbar, Rv. 263715), hanno ribadito l’indirizzo consolidato secondo cui le dichiarazioni carpite nel corso di attivita’ di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto accusa se stesso e/o altri della commissione di reati, hanno piena valenza probatoria e non necessitano di ulteriori elementi di corroborazione ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 3.
Al riguardo, in precedenza era stata giudicata manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 192, 195, 526 e 271 c.p.p., per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost. e l’articolo 6 CEDU, nella parte in cui non prevedono che le indicazioni di reita’ e correita’, captate nel corso di conversazioni intercettate, debbano essere corroborate da altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilita’, come avviene per le chiamate in reita’ o correita’ rese dinanzi all’autorita’ giudiziaria o alla polizia giudiziaria, e nella parte in cui non prevedono l’inutilizzabilita’ di tali dichiarazioni qualora il soggetto, indicato quale fonte informativa nella conversazione intercettata, si avvalga poi della facolta’ di non rispondere (Sez. 6, 20/2/2014 n. 25806, Caia, Rv. 259673).
La stessa decisione delle Sezioni Unite dapprima indicata ha affrontato il tema dell’interpretazione dei risultati delle captazioni, che e’ strettamente legato a quello del valore probatorio delle stesse.
Secondo l’indirizzo consolidato, recepito dalla sentenza, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, rappresenta una questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimita’, se la valutazione risulta logica in base alle massime di esperienza utilizzate.
Non solo il significato attribuito al linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori, ma anche la stessa natura convenzionale di esso, invero, costituisce una valutazione di merito insindacabile in cassazione. La censura di diritto puo’ riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa impiegata dal giudice di merito.
Una di tali chiavi di lettura puo’ essere integrata dal frequente ricorrere di termini che non trovano una spiegazione coerente con il tema del discorso e che, invece, si spiegano nel contenuto ipotizzato nella formulazione dell’accusa oppure dalla connessione con determinati fatti commessi da persone che usano gli stessi termini in contesti analoghi (Sez. 5, 14/7/1997, n. 3643, Ingrosso, Rv. 209620).
Sebbene l’interpretazione delle conversazioni debba fondarsi sul tenore complessivo delle indagini, indispensabili pure per la corretta identificazione degli interlocutori, essa puo’ riposare anche su “massime di esperienza” (Sez. 6, 11/12/2007 n. 15396 dep. il 2008, Sitzia, Rv. 239636; Sez. 6, 30/10/2013 n. 46301, Corso, Rv. 258164).
Queste ultime sono costituite da generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dalla esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione (Sez. 6, 28/5/2014 n. 36430, Schembri, Rv. 260813; Sez. 2, 6/12/2013 n. 51818, Brunetti, Rv. 258117). Al riguardo, trova applicazione il principio secondo cui il ricorso alle “massime d’esperienza” ed al criterio di verosimiglianza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se puo’ escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza piu’ verosimile (Sez. 6, 22/10/2014 n. 49029, Leone, Rv. 261220).
In questo caso, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non puo’ estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, puo’ pero’ avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull’id quod pierum-que accidit ed insuscettibili di verifica empirica od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita’ (Sez. 1, 11/2/2014 n. 18118, Marturana, Rv. 261992; Sez. 6, 27/11/2013 n. 1686 dep. il 2014, Keller, Rv. 258135).
5. Il provvedimento impugnato opera un’attenta disamina (cfr. pagg. 2-6 del provvedimento impugnato) del compendio indiziario a carico del (OMISSIS), innanzitutto in relazione ai reati fine, confutando logicamente le censure difensive relative ad un accordo criminoso mai concluso – e per il quale non e’ comunque necessario che sia avvenuta la traditio, del quantitativo commissionato – ritenendo che le stesse si appalesino minimamente persuasive, essendo in contrasto con l’esplicito ed inequivoco tenore delle conversazioni e dei messaggi richiamati, nonche’ con l’acclarata presenza del ricorrente non solo presso l’abitazione del (OMISSIS), ma anche dell’ (OMISSIS).
In cio’ il provvedimento impugnato opera un buon governo del costante insegnamento di questa Corte di legittimita’ secondo cui la prova dei reati di traffico e di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti puo’ essere desunta non soltanto dal sequestro o dal rinvenimento delle sostanze, ma anche da altre fonti probatorie, quali, come nel caso di specie, il contenuto di intercettazioni (cfr. proprio sullo specifico delle intercettazioni Sez. 2, n. 19712 del 6/2/2015, Alota ed altri, Rv. 263544; conf. Sez. 2, n. 53615 del 20/10/2016, Buonvicino, Rv. 268710; Sez. 4 n. 48008 del 18/11/2009, Palmerini, Rv. 245738; Sez. 4 n. 46299, del 28/10/2005, Secchi, Rv. 232826).
Quanto alla sussistenza dell’organizzazione dedita allo spaccio di stupefacenti riconducibile alla norma sanzionatrice di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, operante in Messina il provvedimento impugnato si colloca nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ circa gli elementi che caratterizzano l’associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, per la configurabilita’ della quale non e’ richiesta la presenza di una complessa ed articolata organizzazione, dotata di notevoli disponibilita’ economiche, ma e’ sufficiente l’esistenza di una struttura, anche rudimentale, desumibile dalla predisposizione di mezzi e dalla suddivisione dei ruoli, per il perseguimento del fine comune, idonea a costituire un supporto stabile e duraturo alla realizzazione delle singole attivita’ delittuose (cfr., ex plurimis, sez. 1, n. 30463 del 7/7/2011, Cali, Rv. 251011; Sez. 1, n. 4967 del 22/12/2009 – dep. 2010, Galioto, Rv. 246112).
Nemmeno e’ necessaria l’esistenza di un’articolata e complessa organizzazione, connotata da una struttura gerarchica con specifici ruoli direttivi e dotata di disponibilita’ finanziarie e strumentali per un’estesa attivita’ di commercio di stupefacenti, ma e’ sufficiente anche un’elementare predisposizione di mezzi, pur occasionalmente forniti da taluno degli associati o compartecipi, sempre che gli stessi siano in concreto idonei a realizzare in modo permanente il programma delinquenziale oggetto del vincolo associativo (Sez. 6, n. 25454 del 13/2/2009, Mammoliti e altri, Rv. 244520, fattispecie nella quale la Corte ha ravvisato il reato con riguardo alla partecipazione ad un piccolo ed autonomo sodalizio, collegato ad un’organizzazione criminale piu’ vasta, al fine di assicurarsi consistenti forniture di stupefacenti da destinare alla rivendita). In altri termini, ai fini della configurabilita’ del delitto associativo Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ex articolo 74, l’elemento organizzativo assume un rilievo secondario, essendo sufficiente anche un’organizzazione minima perche’ il reato si perfezioni (cfr. sul punto sez. 2, n. 16540 del 27.3.2013, Piacentini e altri che ha ritenuto corretta la sentenza di merito che, ai fini dell’esclusione del reato, aveva giudicato irrilevante e, comunque, non provato il fatto che i correi non avessero stabile organizzazione e fossero sempre alla ricerca di mezzi per la commissione dei delitti scopo).
L’elemento aggiuntivo e distintivo del reato associativo rispetto alla contigua fattispecie del concorso di persone nel reato continuato (di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti) e’ stato correttamente ravvisato nel carattere dell’accordo criminoso che contemplava la commissione di una serie non previamente determinata di delitti, con permanenza del vincolo associativo tra i partecipanti che, anche al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati, assicuravano la propria disponibilita’ duratura e indefinita nel tempo al perseguimento del programma criminoso proprio del sodalizio (in tal senso sez. 5, n. 42635 del 4.10.2004, Collodo ed altri, rv. 229906).
Ai fini della configurabilita’ di un’associazione finalizzata al narcotraffico, e’ dunque necessario: a) che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale) avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; b) che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilita’, risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; c) che ciascun associato, sia a conoscenza, quanto meno, dei tratti essenziali del sodalizio, e si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo (in tali termini la condivisibile sez. 6, n. 7387 del 3.12.2013 dep. il 17.2.2014, Pompei, rv. 258796).
6. In relazione alla specificita’ dei ruoli dei singoli partecipi il Collegio ritiene altresi’ di condividere e dover ribadire l’orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte di legittimita’, secondo cui sia il fornitore che il rivenditore abituali devono considerarsi parimenti partecipi dell’associazione, anche se non conoscono personalmente tutti i soggetti che ne fanno parte.
Va pertanto riaffermato il principio di cui al precedente di questa Corte regolatrice costituito da Sez, 6 n. 3509/2012 per cui, in definitiva, l’associazione per delinquere, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, puo’ dirsi realizzata sia dalla unione di piu’ persone che operano, anche in via soltanto parallela, per la realizzazione di profitti con lo spaccio della droga, sia dal vincolo che lega l’importatore, che si adopera per rifornire il mercato, in via continuativa, con l’organizzazione territoriale dedita allo spaccio, purche’ tutti i soggetti abbiano la consapevolezza di agire nell’ambito di una organizzazione, nella quale l’attivita’ dei singoli si integrano strumentalmente per la finalita’ perseguita e purche’ l’acquirente-rivenditore sia stabilmente disponibile, inoltre, a ricevere le sostanze stupefacenti con tale continuita’ da proiettare il singolo atto negoziale oltre la sfera individuale, come elemento della complessiva ed articolata struttura organizzativa. Integra – secondo quanto precisato in altra pronuncia piu’ recente- la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilita’ a fornire le sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volonta’ di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto del commercio di droga (Sez. 6, n. 41612 del 19/6/2013, Manta, Rv. 257798).
E’ stato anche precisato che per la configurabilita’ della condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti non e’ richiesto un atto di investitura formale ma e’ necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza dell’associazione in un dato momento storico (cosi’ sez. 4, n. 51716 del 16.10.2013, Amodio e altri, rv. 257905, fattispecie in cui la Corte ha riconosciuto il ruolo di partecipe al soggetto che risultava essere l’intestatario del contratto di locazione dell’immobile all’interno del quale era occultata e venduta la sostanza stupefacente).
Tuttavia, la configurabilita’ della condotta di partecipazione richiede pur sempre la prova della stabile adesione dell’agente ad un sodalizio riconducibile alla fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, ovvero della consapevolezza e volonta’ di partecipare, assieme ad altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volonta’, ad una societa’ criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (sez. 6, n. 50133 del 21.11.2013, Casoria, rv. 258645, relativa ad un caso in cui la Corte ha annullato con rinvio un provvedimento cautelare personale in cui i gravi indizi di colpevolezza erano desunti da due sole conversazioni telefoniche concernenti la ricerca di “canali di rifornimento della droga” e la partecipazione ad uno specifico acquisto di sostanza stupefacente).
Una volta verificata l’esistenza, anche rudimentale, della struttura e delle relazioni personali tra i componenti, per poter affermare la qualita’ di “promotore” od “organizzatore” e’ necessaria la prova del ruolo in concreto svolto da coloro cui tale qualifica viene attribuita, atteso che i compartecipi di un’associazione priva di una struttura gerarchica non possono, per cio’ stesso ed in modo automatico, essere ritenuti “promotori” od “organizzatori” ai sensi dell’articolo 416 c.p., comma 1, (sez. 6, n. 25698 del 15.6.2011, Brusaferri, rv. 250515).
In difetto di tale prova, evidentemente, occorrera’ ricomprendere il soggetto interessato tra i meri partecipi.
L’elemento oggettivo del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non e’ incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione di cui si e’ consapevolmente servito per commettere il fatto. (Fattispecie relativa al coinvolgimento in un unico episodio di programmato trasporto di un apprezzabile quantitativo di droga” Cass. Sez. 1, Sentenza n. 43850 del 03/07/2013; “In tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, lo svolgimento dell’attivita’ di “corriere” per conto del sodalizio non costituisce, in se’ ed automaticamente, prova della partecipazione al reato associativo, qualora non venga dimostrato che il soggetto agente, consapevole dell’esistenza di un sodalizio volto alla commissione di una serie indefinita di reati nel settore degli stupefacenti, aderisca volontariamente a tale programma ed assicuri la sua stabile disponibilita’ ad attuano. (Nella specie, la S. C. ha annullato con rinvio la decisione del giudice di merito che aveva affermato la responsabilita’ per il reato associativo in base al solo coinvolgimento dell’imputato in due spedizioni di droga, effettuate nell’arco di dieci giorni)” Cass. Sez. 6, Sentenza n. 5150 del 16/01/2014).
7. La partecipazione di (OMISSIS) al sodalizio e’ congruamente motivata dai giudici messinesi in riferimento agli elementi indiziari relativi ai reati – fine addebitatogli, che ne fanno uno stabile fornitore dell’associazione.
Il provvedimento impugnato pone l’accento, in particolare, sull’entita’ delle transazioni – per importi pari a migliaia di Euro, come evidente dal credito vantato nei riguardi di (OMISSIS) – sulla loro frequenza e stabilita’ (i primi contatti con riferimenti a saldi di consegne gia’ effettuate si collocano nel mese di luglio), sull’attivita’ propulsiva del (OMISSIS), che lungi dal limitarsi a fornire la droga, proponeva al (OMISSIS) di entrare in affari con l’ (OMISSIS), in quanto “grosso” spacciatore.
Decisiva appare anche la ritenuta piena consapevolezza dell’odierno ricorrente di adesione ad un programma criminoso indeterminato, manifestando il prevenuto l’intenzione di entrare in affari con (OMISSIS), dopo che (OMISSIS) si era mostrato inaffidabile per proseguire nell’attivita’ illecita, con maggiori guadagni.
8. Il provvedimento impugnato si rileva del tutto logico e coerente anche in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Va ricordato che nel sistema processualpenalistico vigente, cosi’ come non e’ conferita a questa Corte di legittimita’ alcuna possibilita’ di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ne’ dello spessore degli indizi, non e’ dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui e’ stata chiesta l’applicazione della misura, nonche’, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.
Quanto alle esigenze cautelari ed alla loro attualita’, l’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), come novellato dalla L. n. 47 del 2015, stabilisce, dunque, che le misure cautelari personali possono essere disposte – con riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede (evenienza ravvisata nel caso in esame) – soltanto quando il pericolo medesimo presenta i caratteri della concretezza e dell’attualita’, ricavabili dalle specifiche modalita’ e circostanze del fatto e dalla personalita’ della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali; con l’ulteriore precisazione – ancora introdotta dalla L. n. 47 del 2015, – per cui le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalita’ dell’imputato, non possono essere comunque desunte esclusivamente dalla gravita’ del titolo di reato per cui si procede.
La ratio dell’intervento legislativo (che, peraltro, investe numerose altre norme di cui allo stesso Libro IV, titolo I, da leggere tutte nella medesima ottica) deve esser individuata nell’avvertita necessita’ di richiedere al giudice un maggiore e piu’ compiuto sforzo motivazionale, in materia di misure cautelari personali, quanto all’individuazione delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), in ordine alle quali, quindi, non risulta piu’ sufficiente il requisito della concretezza ma si impone anche quello dell’attualita’. In realta’, relativamente al pericolo di reiterazione, la nuova disposizione non ha fatto altro che codificare lo ius receptum di questa Corte di legittimita’ (cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 34271 del 3/7/2007, Cavallari, Rv. 237240; Sez. 2, n. 49453 dell’8/10/2013, Scortechini e altro, Rv. 257974) che aveva ritenuto imprescindibile un giudizio prognostico basato su dati concreti, che ben possono essere tratti dagli aspetti fattuali della vicenda, come dimostra l’incipit dell’articolo 274 cit., lettera c), (“specifiche modalita’ e circostanze del fatto”; personalita’ dell’imputato o indagato “desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali”).
Rimane tuttavia valido il principio, anche in precedenza affermato da questa Corte, che il pericolo di reiterazione criminosa vada valutato in ragione delle modalita’ e circostanze del fatto e della personalita’ dell’imputato (cfr. per tutte Sez. 3, n. 14846 del 5/3/2009, Pincheira, Rv. 243464, fattispecie di misura cautelare applicata per il delitto di violenza sessuale ai danni di un minore, in cui la Corte ha annullato per illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame che, nell’attenuare la misura cautelare, aveva sostenuto che essendo la condotta delittuosa collegata ad un solo soggetto passivo, non appariva verosimile che il reo potesse reiterarla in danno di altre persone).
Piu’ precisamente, la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati, di cui all’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), puo’ e deve essere desunta sia dalle specifiche modalita’ e circostanze del fatto, che dalla personalita’ dell’imputato, valutata sulla base dei precedenti penali o dei comportamenti concreti, attraverso una valutazione che, in modo globale, tenga conto di entrambi i criteri direttivi indicati (Sez. 4, Sentenza n. 37566 del 01/04/2004 Cc. dep. 23/09/2004 Rv. 229141). Ed e’ stato, in piu’ occasioni, anche condivisibilmente sottolineato come nulla impedisca di attribuire alle medesime modalita’ e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravita’ del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacita’ a delinquere.
In altri termini, le specifiche modalita’ e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosita’ dell’indagato, ove la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento specifico assai significativo per valutare la personalita’ dell’agente (cfr., ex plurimis, Sez. 2 n. 35476/07).
Nello specifico, e’ stato piu’ volte affermato come ai fini dell’individuazione dell’esigenza cautelare di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), il giudice possa porre a base della valutazione della personalita’ dell’indagato le stesse modalita’ del fatto commesso da cui ha dedotto anche la gravita’ del medesimo (Sez. 1 n. 8534 del 9/1/2013, Liuzzi, Rv. 254928; Sez. 5 n. 35265 del 12/3/2013, Ca-stelliti, Rv. 255763).
9. Va ricordato anche che per il reato associativo in contestazione vige la doppia presunzione ex articolo 275 c.p.p., comma 3, per cui va applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, e che tale presunzione e’ relativa, ma non risulta contrastata nel caso che ci occupa da alcun elemento introdotto nel procedimento da cui concretamente inferire l’assenza di attualita’ delle esigenze cautelari o la possibilita’ di salvaguardare le stesse con una misura meno afflittiva, l’ordinanza impugnata appare avere assolto al suo onere motivazionale, anche in relazione all’intenso pericolo di recidiva che, come correttamente ravvisato nel provvedimento genetico della misura, si desume ampiamente dal fatto che il (OMISSIS), benche’ formalmente incensurato, ha dimostrato con i fatti oggetto del presente procedimento un’accentuata pericolosita’, cui si connette un rischio concreto ed attuale di recidiva, attesa la ritenuta intraneita’ ad un sodalizio organizzato stabilmente dedito al narcotraffico, dotato di non comune pericolosita’ solo ove si pensi alla caratura criminale straordinaria dei maggiorenti, soggetti di spicco della criminalita’ organizzata cittadina, che, dopo una parentesi collaborativa con la giustizia, hanno reintrapreso una vasta attivita’ illecita sul territorio.
In tal senso la pronuncia in esame si colloca nell’alveo del consolidato dictum di questa Suprema Corte secondo cui vi e’ un piu’ intenso obbligo di motivazione sul punto del giudice della cautela solo quando l’indagato abbia dedotto elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari o la possibilita’ di tutelare le stesse con altre misure (cosi’ questa Sez. 4, n. 21086 del 6.4.2018, Morabito, non mass., che richiama le conformi Sez. 1, n. 30734 del 09/01/2013, Scarfo, Rv. 25638801; Sez. 1, n. 29530 del 27/06/2013, De Cario, Rv. 25663401). In altra condivisibile pronuncia, ancora piu’ eloquentemente, si e’ affermato – e va qui ribadito- che, in tema di custodia cautelare in carcere, la contestazione di un reato per il quale vale la presunzione suddetta determina una presunzione relativa di concretezza ed attualita’ del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova, offerta dall’interessato, di elementi da cui desumere l’affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, sicche’, in difetto di detta prova, l’onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi dell’articolo 274 c.p.p., deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un’attenuazione delle esigenze di prevenzione (Sez. 2, n. 3105 del 22/12/2016 dep. 2017, Puca, Rv. 269112; conf. Sez. 2, Sentenza n. 4951 del 12/01/2016, Soleti, Rv. 266152).
Va ricordato che Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, Rv. 273434 ha condivisibilmente precisato come, in tema di misure coercitive, quando si procede per un delitto per il quale opera una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura carceraria, ai fini della prova contraria, occorrono elementi idonei ad escludere la sussistenza di ragionevoli dubbi posto che la presunzione detta un criterio da applicarsi proprio in caso di incertezza; ne deriva che, per giungere al superamento di tale presunzione, il tempo trascorso tra i fatti per cui si procede e l’esecuzione della misura, pur valutabile, deve essere tale da consentire il superamento della situazione di dubbio.
Corretto appare anche il richiamo al dictum di Sez. 2 n. 19431/2018 secondo cui, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, la prognosi di pericolosita’ non si rapporta solo all’operativita’ dell’associazione, ne’ alla data ultima dei reati fine dell’associazione stessa, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalita’ e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza.
10. Venendo, in ultimo, alle doglianze in punto di adeguatezza della misura, va ricordato che la consolidata giurisprudenza di legittimita’ valorizza l’importanza dei principi generali di proporzionalita’ e adeguatezza delle misure coercitive (articolo 275 c.p.p., comma 1), che impongono di prescegliere la misura piu’ adatta a soddisfare le esigenze di cautela e, nel contempo, meno inutilmente invasiva della persona dell’indagato. Vale infatti la regola secondo cui, in materia di misure cautelari, a fronte della tipizzazione da parte del legislatore di un “ventaglio” di misure di gravita’ crescente, il criterio di “adeguatezza” di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 1, dando corpo al principio del “minore sacrificio necessario” (anche ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza 22 luglio 2011 n. 231), impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie (cfr. Sez. Sez. Un., n. 20769 del 28/4/2016, Lovisi, Rv. 266650).
Pertanto, nel provvedimento restrittivo e’ necessario indicare non soltanto gli elementi di fatto dai quali le esigenze cautelari sono desunte, ma anche le concrete e specifiche ragioni per le quali tali esigenze non possono essere soddisfatte con misure diverse dal carcere; prescrizione quest’ultima che assume particolare rilevanza ove coordinata con il disposto dell’articolo 275 c.p.p., comma 3, primo periodo, che sottolinea la funzione residuale e “quasi eccezionale” della misura cautelare della custodia in carcere (cosi’ le citate SS.UU. Lovisi).
Il giudice si deve soffermare quindi sul profilo dell'”adeguatezza” della misura cautelare in concreto prescelta, anche se, ovviamente, qualora venisse applicata, perche’ ritenuta “adeguata”, la misura della custodia in carcere, non e’ necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma e’ sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalita’ di commissione dei reati, nonche’ dalla personalita’ dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura piu’ adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa, rimanendo in tal modo superata ed assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneita’.
Cio’ risulta in continuita’ con quanto pacificamente affermato anche in precedenza dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte che in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere, non e’ necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma e’ sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalita’ di commissione dei reati nonche’ dalla personalita’ dell’indagato, gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la misura piu’ adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa, rimanendo in tal modo assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneita’ delle altre misure coercitive (Sez. 6, n. 17313 del 20/4/2011, Cardoni, Rv. 250060; conf. Sez. 1, n. 45011 del 26/9/2003, Villani, Rv. 227304). In altra pronuncia era stato condivisibilmente sottolineato che in tema di criteri di scelta delle misure cautelari, e’ immune da censure la decisione con cui il giudice di merito rigetti l’istanza di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, sulla base di elementi specifici inerenti al fatto, alle sue motivazioni ed alla personalita’ del soggetto che indichino quest’ultimo come propenso all’inosservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio, in violazione delle cautele impostegli, trattandosi di soggetto violento e proclive a reati commessi mediante l’uso di violenza personale; e questo ancorche’ la previsione di cui all’articolo 275 c.p.p., non ponga a carico del giudice l’obbligo di una motivazione analitica sull’inadeguatezza di ogni altra misura cautelare (nella specie arresti domiciliari), essendo a tal fine sufficiente e necessario che egli dimostri che l’unica misura adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa e’ la permanenza in carcere (Sez. 5, n. 9494 del 19/10/2005 dep. il 2006, Pannone, Rv. 233884).
Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, va osservato che nel caso che ci occupa, il tribunale messinese da’ conto di avere valutato la natura del reato per cui si procede e la personalita’ dell’indagato, ed all’esito di avere ritenuto che l’unica misura idonea fosse quella della custodia cautelare in carcere.
Come si legge in motivazione, infatti, neanche il tempo decorso dai fatti, nei caso concreto particolarmente esiguo, alla luce di tali argomentazioni, si ap-palesa idoneo a superare la presunzione c.d. doppiamente relativa di adeguatezza della sola misura di massimo rigore, in mancanza di elementi, enucleabili dagli atti del procedimento, sintomatici di una rescissione dei legami criminali accertati e quindi del venir meno delle esigenze di cautela o dell’adeguatezza di misura gradata. E nemmeno e’ stata motivatamente ritenuta accoglibile la richiesta subordinata di concessione della misura domiciliare – di cui la disposizione in forma ordinaria con strumenti elettronici di controllo a distanza costituisce pur sempre mera modalita’ esecutiva – consentendo l’applicazione di tale misura gradata al prevenuto di riallacciare i contatti con la consorteria di appartenenza, nonche’ con i circuiti criminosi da cui lo stesso si rifornisce di stupefacente “all’ingrosso”.
Del tutto irrilevante in ottica di cautela e’ stata ritenuta in tal senso l’eventuale esecuzione della misura in territorio catanese ove il ricorrente gia’ viveva e dove, con ogni probabilita’, si procurava la droga smerciata ai correi (ed e’ stato evidenziato come la dichiarazione di disponibilita’ del coniuge e’ invero relativa ai medesimo indirizzo di residenza del ricorrente).
11. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Vanno dati gli avvisi di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui al articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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