Licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica del lavoratore

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 22 ottobre 2018, n. 26675.

La massima estrapolata:

In caso di licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica del lavoratore in cui venga accertato che il datore di lavoro non ha verificato la presenza di mansioni, anche inferiori, cui adibire il lavoratore, quale alternativa al licenziamento la tutela applicabile è la reintegrazione.

Sentenza 22 ottobre 2018, n. 26675

Data udienza 10 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 28587-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
CONGREGAZIONE DELLE (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 570/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/10/2016, R.G.N. 581/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Torino, con sentenza resa pubblica il 3/10/2016, decidendo in sede di rinvio ai sensi degli articoli 392 e segg. c.p.c. dichiarava risolto il rapporto di lavoro intercorso fra (OMISSIS) e la Congregazione delle (OMISSIS) dalla data del licenziamento intimato in data (OMISSIS) per la sopravvenuta inidoneita’ fisica allo svolgimento delle mansioni ascritte, e condannava la Congregazione al pagamento in favore della (OMISSIS) di un’indennita’ risarcitoria determinata in venti mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte distrettuale nel proprio incedere argomentativo, muoveva dalla applicazione del dictum della sentenza rescindente secondo cui i principi di correttezza e buona fede, nonche’ il bilanciamento degli interessi costituzionali richiamati nella pronuncia delle S.U. n. 7755/98, inducono a ritenere che ove siano disponibili posizioni lavorative dequalificanti, il datore di lavoro non e’ esonerato dall’obbligo di ricercare soluzioni alternative al licenziamento per g.m.o. eventualmente comportanti il demansionamento, per il solo fatto che il lavoratore non gli abbia di sua iniziativa manifestato la disponibilita’ a ricoprire mansioni inferiori compatibili con il suo stato di salute.
Rilevava, quindi, quale dato incontroverso, che nessuna offerta di posti alternativi di lavoro, era stata formulata dalla parte datoriale, neanche in termini di demansionamento o trasferimento presso altra sede, cosi’ ritenendo integrata la violazione dell’obbligo di repechage. Considerava altresi’, in linea di principio, applicabile la tutela reale, non risultando accertata la mancanza di uno scopo di lucro e di una organizzazione imprenditoriale strutturata secondo criteri di economicita’.
Opinava, tuttavia, il giudice del gravame, che nella specie la violazione dell’obbligo di repechage non configurava una ipotesi di manifesta infondatezza del fatto posto a base del licenziamento del giustificato motivo oggettivo che avrebbe giustificato l’applicazione della tutela reintegratoria secondo i dettami dell’articolo 18 st. lav. comma 4 novellato dalla L. n. 92 del 2012, cosi’ facendo applicazione della tutela indennitaria disciplinata dal comma successivo.
Avverso tale decisione (OMISSIS) interpone ricorso per cassazione sostenuto da un motivo cui resiste con controricorso la parte intimata.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con unico motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 7.
Deduce l’erroneita’ degli approdi ai quali e’ pervenuta la Corte di merito per aver tralasciato di considerare la volonta’ del legislatore, il quale avrebbe inteso differenziare il trattamento previsto in relazione all’ipotesi di licenziamento per inidoneita’ fisica, dalle altre ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, applicando al primo il regime sanzionatorio di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4 e ai secondi, quello di cui al quarto e al quinto comma, in relazione alla sussistenza o meno della manifesta infondatezza del recesso.
Argomenta al riguardo che la mancanza di posti di lavoro con mansioni idonee e’, nel licenziamento per inidoneita’ fisica, fatto costitutivo stesso del recesso, mentre, nelle altre ipotesi, costituisce un requisito ulteriore e collaterale; in tal senso inappropriato e’ il riferimento, quanto alla prima tipologia di licenziamento, al cd. repechage, giacche’ ove sussistano nell’assetto organizzativo aziendale, mansioni compatibili con lo stato di salute del lavoratore anche inferiori rispetto a quelle in precedenza ascritte, il motivo addotto a giustificazione del licenziamento e’ da ritenersi del tutto insussistente.
2. Il motivo e’ fondato entro i termini di seguito esposti.
La L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 7 cosi’ dispone: “Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi della L. 12 marzo 1999, n. 68, articolo 4, comma 4 e articolo 10, comma 3, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento e’ stato intimato in violazione dell’articolo 2110 c.c., comma 2.
Puo’ altresi’ applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al comma 5. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennita’ tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al comma 5, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui alla l. 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, articolo 7″…
La questione qui delibata ha ad oggetto la verifica in diritto, della tutela applicabile in caso di illegittimita’ del licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore dovuta a violazione dell’obbligo di adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute, con riferimento alle ipotesi alternative della cd. tutela indennitaria forte (come affermato dalla Corte territoriale) ovvero della tutela reintegratoria attenuata prevista dall’articolo 18 novellato, comma 4 (come sostenuto dalla ricorrente).
3. Il Collegio reputa corretta la tesi accreditata da quest’ultima, che si pone nel solco del principio gia’ affermato da questa Corte secondo cui “l’articolo 18 cit., nel comma 7 introdotto dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1 prevede espressamente la reintegrazione per il caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione del licenziamento “intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore”, senza attribuire al giudice stesso alcuna discrezionalita’” (vedi Cass. 30/11/2015 n. 24377).
In tal senso depone, infatti, il tenore letterale della disposizione in esame secondo cui “Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi della L. 12 marzo 1999, n. 68, articolo 4, comma 4 e articolo 10, comma 3, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore”; pertanto in tutti i casi di licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore – sia esso assunto come disabile ovvero anche nel caso di inidoneita’ sopravvenuta dovra’ applicarsi la cd. tutela reintegratoria attenuata ove il giudice “accerti il difetto di giustificazione”.
Non par dubbio, stante il dato normativo di riferimento, che un licenziamento per motivo oggettivo in violazione dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni, cui lo stesso sia idoneo e compatibili con il suo stato di salute, sia qualificabile come ingiustificato.
Tale interpretazione appare confermata dal principio recentemente sancito da Cass. 2/5/2018 n. 10435, sebbene propriamente afferente al licenziamento per motivi economici, secondo cui, a fronte della espressione lessicale utilizzata dal legislatore nell’articolo 18, comma 7 il termine “fatto”, sganciato da richiami diretti ed espliciti alle “ragioni” connesse con l’organizzazione del lavoro o l’attivita’ produttiva previste dalla L. n. 604 del 1966, articolo 3 “deve intendersi effettuato alla nozione complessiva di giustificato motivo oggettivo cosi’ come elaborata dalla giurisprudenza consolidata”; pertanto anche la carenza di uno dei due presupposti – e, quindi, pure la sola “impossibilita’ di una diversa utilizzazione del lavoratore licenziato in mansioni diverse” – puo’ determinare la sanzione reintegratoria di cui all’articolo 18 novellato, comma 4.
Del resto non puo’ sottacersi che costituirebbe una grave aporia sistematica ritenere che la violazione dell’obbligo di repechage possa determinare una tutela reintegratoria nel caso di licenziamento per motivi economici e precluderla invece nel caso di lavoratore affetto da inidoneita’ fisica o psichica.
4. Tanto contrasterebbe anche con la peculiare tutela riconosciuta dal diritto dell’Unione Europea ai lavoratori con disabilita’ atteso che la direttiva n. 78/2000/CE del 27 novembre 2000 sulla parita’ di trattamento in materia di occupazione, “comprese le condizioni di licenziamento”, protegge all’articolo 1 il fattore soggettivo dell'”handicap” (cfr. Cass. 23/5/2017 n. 12911 e Cass. 19/3/2018 n. 6798).
L’interpretazione qui patrocinata appare conforme del resto, anche alla Convenzione sui diritti del disabile delle Nazioni unite del 13.12.2006, perche’ valorizza la protezione del soggetto portatore di disabilita’ e, quindi, meritevole di una protezione rafforzata anche sul piano lavorativo, alla luce dell’articolo 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che riconosce “il diritto delle persone con disabilita’ di beneficiare di misure idonee a garantire l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunita’” in piena coerenza con l’articolo 15 della Carta sociale Europea e del punto n. 26 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (che ne costituiscono a loro volta le fonti come attestato dalle Spiegazioni alla Carta da tenere “in debita considerazione” ex articolo 6 TUE), come gia’ ricordato da questa Corte (cfr. Cass. 6/4/2011 n. 7889/2011 e Cass. 7/6/2012 n.9201), sotto altri profili concernenti la tutela del lavoratore portatore di handicap (vedi in motivazione Cass. 4/2/2016 n.2210).
5. Da ultimo va rimarcato che esegesi della disposizione statutaria scrutinata, appare coerente anche con il successivo sviluppo della legislazione in materia di tutele operanti in caso di licenziamenti intimati rispetto a contratti di lavoro stipulati successivamente al 7 marzo 2015 e difformi dal modello legale, visto che il Decreto Legislativo n. 23 del 2015 ha previsto nell’ipotesi di “difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilita’ fisica o psichica del lavoratore” la tutela reintegratoria piena.
In definitiva, al lume delle sinora esposte argomentazioni, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte distrettuale designata in dispositivo – cui e’ rimessa anche la regolazione delle spese del presente giudizio – la quale procedera’ alla delibazione della questione devoluta attenendosi ai principi innanzi enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione.

Avv. Renato D’Isa

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