Corte di Cassazione, penale, Sentenza|17 maggio 2021| n. 19325.
L’esimente e gli esposti inviati al Consiglio dell’Ordine forense.
L’esimente di cui all’art. 598 cod. pen. (non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative) non è applicabile agli esposti inviati al Consiglio dell’Ordine forense, in quanto l’autore dell’esposto non è parte nel successivo giudizio disciplinare e l’esimente di cui all’art. 598 cod. pen. attiene agli scritti difensivi in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce. Infatti il soggetto che presenta un esposto disciplinare ad un Ordine professionale sollecita l’esercizio di un’attività pubblicistica di verifica del rispetto delle norme deontologiche, ma non è portatore di un diritto soggettivo e non è contraddittore nel procedimento che si instaura.
Sentenza|17 maggio 2021| n. 19325. L’esimente e gli esposti inviati al Consiglio dell’Ordine forense
Data udienza 21 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Diffamazione – Avvocato – Comportamenti deontologicamente non corretti – Segnalazione al Consiglio dell’ordine degli avvocati – Non integra il reato di diffamazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente
Dott. BELMONTE Maria T. – rel. Consigliere
Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
Avverso la sentenza del 29/04/2019 della Corte di Appello di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIA TERESA BELMONTE;
Udienza tenutasi ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8.
L’esimente e gli esposti inviati al Consiglio dell’Ordine forense
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma ha parzialmente riformato – solo con riguardo all’importo della provvisionale – la decisione del Tribunale di quella stessa citta’, che aveva dichiarato l’avvocato (OMISSIS) colpevole di diffamazione, commessa inviando una missiva al Consiglio dell’ordine degli Avvocati, nella quale attribuiva alla sua collega, (OMISSIS), irregolarita’ che questa avrebbe compiuto nel corso di un’assemblea condominiale alla quale lo stesso (OMISSIS) non aveva partecipato, integranti, secondo l’Accusa, condotte di abusiva falsificazione di un verbale di assemblea condominiale, cosi’ offendendone la reputazione. In particolare, riferiva il ricorrente, nell’esposto in questione, che la predetta aveva dichiarato il falso durante l’assemblea condominiale circa lo stato del contenzioso giudiziario in atto tra il condominio e il ricorrente, o che aveva apportato cancellature grossolane, successivamente alla chiusura dei lavori assembleari.
2. Avverso tale sentenza ricorre l’imputato, con il ministero del difensore di fiducia, che svolge cinque motivi.
2.1. Nullita’ di entrambe le sentenze di merito, derivante dalla nullita’ del decreto di citazione a giudizio e del provvedimento abnorme di imputazione coatta adottata dal G.I.P. in data 13/10/2014 di primo grado. Espone che, a fronte di una richiesta di archiviazione formulata dal P.M. per il reato di calunnia, il G.I.P. aveva ordinato l’imputazione coatta per il diverso reato di cui all’articolo 595 c.p., senza ordinare preventivamente l’iscrizione nel registro dei reati di cui all’articolo 335 c.p.p. per il diverso reato.
In tal modo, il GIP ha proceduto ex officio, con conseguente nullita’ ex articolo 178 c.p.p., lettera b) e c) del provvedimento di imputazione coatta, da cui deriva la nullita’ degli atti conseguenti ex articolo 185 c.p.p..
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2.2. Erronea applicazione dell’articolo 595 c.p. e correlato vizio della motivazione, perche’ omessa, in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie. Si contesta che la Corte di appello abbia condannato il ricorrente per il solo fatto di avere inoltrato un esposto infondato, pretermettendo l’accertamento degli elementi della fattispecie. Si sostiene la manifesta illogicita’ della sentenza che, dopo avere riportato correttamente giurisprudenza di legittimita’ che esclude il reato di diffamazione in presenza di un esposto in cui si esprimono fatti in forma dubitativa, ha poi ravvisato il delitto nel caso di specie, dove, pure, il ricorrente si era espresso in termini probabilistici circa l’attribuzione alla persona offesa della cancellazione sul verbale. Secondo la Difesa, inoltre, nel caso di specie, trattandosi di un esposto volto all’accertamento di eventuali violazioni disciplinari mediante un procedimento formale, nel quale e’ previsto l’esercizio del diritto di difesa ad parte dell’esponente, non puo’ ravvisarsi la fattispecie della diffamazione, che presuppone la assenza dell’offeso, sul presupposto che da tale assenza consegua l’impossibilita’ di difendersi dalle parole offensive. Qui, invece, la possibilita’ di difesa era perfettamente assicurata. Ancora, non e’ stata vagliata adeguatamente la portata offensiva dell’esposto che, invece, si era limitato a riportate un fatto – la presenza di cancellature sul verbale assembleare – e a rappresentare che dalla inesatta verbalizzazione era derivato un discredito al ricorrente. Del pari assente l’accertamento del dolo, considerato in re ipsa dalla Corte distrettuale.
2.3. Erronea applicazione degli articoli 51 e 59 c.p. e correlato vizio della motivazione in ordine al requisito della continenza, del tutto insufficiente, dal momento che l’operativita’ della scriminante e’ stata esclusa sulla base di quanto accertato in dibattimento, a posteriori. Partendo da tale erroneo presupposto la Corte territoriale ha omesso il vaglio della continenza delle affermazioni contenute nell’esposto. La scriminante avrebbe dovuto essere riconosciuta almeno nella forma putativa, dal momento che le informazioni in ordine allo svolgimento dei fatti durante l’assemblea condominiale egli le aveva apprese dalla propria moglie alla quale le aveva riferite il condomino Losavio. Tanto legittimava il dubbio in merito alla correttezza della verbalizzazione in sede assembleare. La Corte territoriale non ha tenuto conto di elementi fondamentali costituiti dalla presenza effettiva delle cancellature sul verbale e dall’assenza del ricorrente, che non aveva partecipato all’assemblea, e aveva ricevuto le informazioni dalla moglie. Tanto esclude il dolo e fonda la scriminante putativa del diritto di critica.
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2.4. Mancata assunzione di una prova decisiva in ordine alla scriminante di cui all’articolo 51 c.p.. Si duole la Difesa che non sia stato escusso il teste diretto, citato dal condomino (OMISSIS), ovvero la moglie del ricorrente, che avrebbe testimoniato su quanto appreso dal (OMISSIS) e riferito al marito. Il convincimento dello (OMISSIS) sulla condotta della odierna p.o. e’ stato determinato dalla presenza delle cancellature sul verbale e da quanto riferito dalla propria moglie circa il momento in cui esse erano avvenute. La Corte di appello e’ incorsa in macroscopico errore qualificando la testimonianza in questione come diretta, da tanto derivando l’esclusione della prova decisiva richiesta. La sentenza ha fondato l’affermazione di responsabilita’ senza considerare la prospettiva soggettiva dello (OMISSIS), da apprezzarsi con riferimento a quanto riferitogli dalla moglie circa il contenuto del colloquio avuto con (OMISSIS).
22.5. Violazione dell’articolo 598 e correlato vizio della motivazione, illogica e contraddittoria in ordine alla non applicabilita’ della causa di non punibilita’,
richiamandosi la giurisprudenza di questa Corte circa la sua applicabilita’ anche ad atti funzionali all’esercizio del diritto di difesa, pur se antecedenti alla instaurazione di un procedimento giurisdizionale. L’esposto in questione era prodromico alla instaurazione di un giudizio disciplinare, di natura amministrativa, nel quale l’esponente assume la veste di parte. Rilevando un contrasto nella giurisprudenza di legittimita’ circa la applicabilita’ della causa di non punibilita’ in parola agli esposti indirizzati al COA, chiede la rimessione della questione alle Sezioni Unite.
22.6. Con l’ultimo motivo si denuncia vizio della motivazione, illogica e contraddittoria con riferimento alla condanna al pagamento della provvisionale e alla sua quantificazione, con richiesta di sospensione dell’esecuzione dei capi civili della sentenza di condanna ex articolo 612 c.p.p.. Pur essendo stata ridotta la quantificazione della provvisionale, rispetto al primo grado, la decisione e’ del tutto immotivata sia in ordine all’an del danno che al quantum della provvisionale immediatamente esecutiva.
3. Con requisitoria scritta del 31/12/2020, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dr. Tomaso Epidendio, ha concluso per la inammissibilita’ del ricorso.
Con memoria del 10/01/2021 il Difensore di (OMISSIS) ha replicato alle conclusioni del procuratore Generale.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato, per quanto si dira’.
1. Innanzitutto, deve prendersi atto, in presenza di ricorso non inammissibile, dell’avvenuto decorso in data 26/10/2019 del termine prescrizionale, in ordine al reato di diffamazione contestato – mancando l’evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., non emergente ictu oculi in ragione della ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, delle altre prove dichiarative oltre che degli elementi documentali. La non manifesta infondatezza del ricorso non ha impedito il decorso del tempo necessario a prescrivere, non essendo rilevabili in sede di legittimita’, in presenza di una causa di estinzione del reato, vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva, (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275). E’ stato chiarito a tal fine che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice e’ legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei caso in cui le circostanze idonee a escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato, e la sua rilevanza penale, emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi’ che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu’ al concetto di contestazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita’ di accertamento o di approfondimento (Sez. U. Tettamanti cit.).
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1.1. In conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, agli effetti penali, in ragione della maturata prescrizione.
2.La sentenza impugnata deve essere, altresi’, annullata, per vizio della motivazione, anche agli effetti civili, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore.
2.1. Va premesso che solo alcuni motivi risultano ammissibili, perche’ il ricorso, per alcuni aspetti, travisa in genere il controllo di legittimita’ per terzo giudizio di merito.
2.2. Inammissibile, dunque, il primo motivo che reitera una doglianza manifestamente infondata senza confrontarsi con le specifiche indicazioni di legittimita’, richiamate dalla sentenza impugnata, in ordine al fatto che la diversa qualificazione giuridica operata nell’imputazione coatta rispetto a quella contenuta nell’archiviazione – dalla calunnia alla diffamazione – non comporta alcuna trasformazione radicale del fatto, ne’ questa puo’ desumersi dalla mera diversita’ degli elementi costitutivi (sempre sussistente in caso di riqualificazione), posto che cio’ che rileva e’ invece il fatto storico sottostante alla diversa qualificazione, rimasto immutato e rappresentato dall’esposto al Consiglio dell’Ordine nei confronti dell’avvocato (OMISSIS), per le irregolarita’ asseritamente commesse in un’assemblea condominiale. La riqualificazione giuridica in sede di imputazione coatta e’ espressione di poteri propri del Giudice delle indagini preliminari, secondo consolidato canone ermeneutico di questa Corte – peraltro richiamato nella sentenza impugnata – che esclude l’abnormita’ del provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, nel rigettare la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, ordini contestualmente, a norma dell’articolo 409 c.p.p., l’imputazione coatta nei confronti dell’indagato per il fatto di reato oggetto dell’originaria iscrizione, qualificando diversamente la fattispecie individuata nella richiesta di archiviazione (in tal senso, Sez. 1, Sentenza n. 47919 del 29/09/2016, Guarnieri, Rv. 268138; Sez. 2, n. 31912 del 07/07/2015, Giovinazzo, Rv. 264509; Sez. 5, n. 12987 del 16/02/2012, Di Felice, Rv. 252312; Sez. 5 n. 24003 del 29/04/2010, Longo, Rv. 247396; Sez. 3, n. 28481 del 27/05/2009, Battisti, Rv. 244565; Sez. 5 n. 40725 del 16/10/2002, Folcarelli, Rv. 223188;). L’orientamento, del resto, e’ in linea con le affermazioni contenute nella sentenza delle Sezioni unite che ha ritenuto l’abnormita’ solo quando l’imputazione coatta sia ordinata per fatti di reato diversi contro indagati diversi da quelli oggetto della richiesta di archiviazione, in questi ultimi casi soltanto dovendosi il giudice per le indagini preliminari limitare ad ordinare le relative iscrizioni nel registro di cui all’articolo 335 c.p.p. (Sez. Un., n. 4319 del 28/11/2013 – dep. 30/01/2014, Pm in proc. L., Rv. 257787).
2.2. Del pari inammissibile il quarto motivo – relativo all’omessa assunzione di prova decisiva – genericamente prospettato, perche’ omette il confronto con le indicazioni decisive contenute in sentenze in merito alla superfluita’ della prova, in considerazione del fatto che i testi indicati dal ricorrente come presenti in assemblea, interpellati direttamente dall’esponente, non avevano confermato quanto da lui esposto.
2.3. Manifestamente infondato, oltre che reiterativo di doglianze pienamente affrontate dalla Corte di merito, anche il quinto motivo – relativo alla causa di non punibilita’ di cui all’articolo 598 c.p.p..
Ritiene il Collegio condivisibile l’indirizzo ampiamente maggioritario (a cui si e’ adeguata anche la Corte di merito), risultando le argomentazioni utilizzate dall’orientamento minoritario della giurisprudenza di legittimita’ (da ultimo accreditato da due decisioni (Sez. 5, n. 28081 de115/04/2011, Taranto, Rv. 250406; Cass., Sez. 5, n. 33453 del 08/07/2008, Boschi Benedetti, Rv. 241393) persuasivamente superate dalla giurisprudenza successiva, che puo’ considerarsi oramai consolidata nel senso che l’esimente di cui all’articolo 598 c.p. non e’ applicabile agli esposti inviati al Consiglio dell’Ordine forense, in quanto l’autore dell’esposto non e’ parte nel successivo giudizio disciplinare e l’esimente di cui all’articolo 598 c.p. attiene agli scritti difensivi in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce (Sez. 5, n. 38424 del 17/05/2019, Rv. 277005 sull’applicabilita’ dell’esimente unicamente alle espressioni offensive contenute in scritti difensivi in senso stretto inviati alle parti processuali attuali di giudizio ordinario o amministrativo al quale siano riferite, nonche’ Sez. 5, n. 39486 del 06/07/2018, Rv. 273888 per una particolareggiata disamina e confutazione degli argomenti utilizzati a sostegno dell’orientamento minoritario). Infatti, colui che presenta un esposto disciplinare ad un Ordine professionale sollecita l’esercizio di una potesta’ pubblicistica di verifica del rispetto delle regole deontologiche, ma non e’ legittimato dalla tutela di una sua specifica posizione soggettiva, non e’ contraddittore in seno al procedimento, non riceve notizia dei provvedimenti emessi dagli organi disciplinari, ne’ puo’ impugnarne le decisioni e non ha neppure diritto di essere informato dei suoi sviluppi se non relativamente ed esclusivamente al provvedimento di archiviazione che gli viene comunicato senza pero’ attribuirgli alcun potere di impugnazione. Se e’ vero, dunque, che l’articolo 598 c.p. trova applicazione anche nel contraddittorio che si sviluppa dinanzi ad una autorita’ amministrativa, e’ pur sempre necessario che contraddittorio vi sia e che coinvolga l’autore della comunicazione per la quale si invoca la cosiddetta libertas conviciandi. Da qui la regoula juris che non e’ la natura del procedimento, meramente amministrativo, che preclude l’applicabilita’ della causa di non punibilita’ dell’articolo 598 c.p. all’autore dell’esposto, ma la sua veste soggettiva, tanto che tale esimente ben potrebbe essere invocata dal professionista sottoposto a procedimento disciplinare.
L’avvenuto consolidamento, nella giurisprudenza di legittimita’ piu’ recente, dell’indirizzo a cui questa Corte aderisce, rende di fatto insussistente il denunciato contrasto interpretativo, sicche’ non v’e’ ragione per disporre la remessione della questione alle Sezioni unite di questa Corte.
3. Sono, invece, fondati, in maniera assorbente rispetto ai motivi riguardanti le statuizioni civili, i motivi con i quali si censura la motivazione della sentenza impugnata – che, infatti, risulta incompleta, – nella parte in cui la Corte di appello, per un verso, esclude che l’approccio del denunciante avesse connotazioni di tipo problematico a carico della persona offesa, e, dall’altro, concentrandosi su un aspetto (il momento in cui era stata effettuata la interlineatura sul verbale) diverso da quello avuto di mira dal ricorrente (l’essere stato indicato, nel corso dell’assemblea, come un condomino moroso), finisce per escludere la veridicita’ del fatto oggetto dell’esposto, e, quindi, per ritenere non ravvisabile la scriminante di cui all’articolo 51 c.p..
3.1. E’ la stessa sentenza impugnata (pg. 1-2) a sintetizzare il contenuto effettivo della doglianza dell’imputato, riferendolo al discredito provocato dalla iniziale dichiarazione della (OMISSIS), e verbalizzato, circa la morosita’ dello (OMISSIS), insolvente nel pagamento delle rate dei lavori condominiali. Con riguardo poi alla modifica apportata al verbale – riguardante proprio tale iniziale verbalizzazione delle dichiarazioni della persona offesa, presente all’assemblea quale avvocato incaricato dal condominio nella causa civile nei confronti dello (OMISSIS) – l’esposto, sempre per quanto emerge dalla sentenza, faceva riferimento a notizie apprese da terzi, presenti all’assemblea, alla quale l’esponente non aveva partecipato, enunciando la circostanza in termini problematici, niente affatto assertivi.
3.2. Osserva il Collegio che, in sostanza, all’esito del dibattimento, i giudici di merito hanno escluso il requisito della verita’ dei fatti esposti, riferendosi, tuttavia, a un requisito assolutamente secondario dell’esposto, essendosi concentrata la Corte di appello a sconfessare la tesi che la modifica del verbale fosse avvenuta a chiusura dell’assemblea. Ma manca una congrua e completa motivazione in ordine al punto centrale della denuncia, ovvero la veridicita’ delle dichiarazioni circa la situazione di morosita’ nella quale si sarebbe trovato lo (OMISSIS) e che, appunto, lo avevano fatto apparire agli occhi dei condomini come cattivo pagatore.
3.3. E’ questo l’aspetto trascurato dalla Corte di appello, e sul quale deve, invece, concentrarsi la valutazione dei giudici del rinvio, collocandola all’interno di una consentita critica all’operato di un professionista, sussistendo la esimente del diritto di critica nel caso in cui un soggetto portatore di interessi di rilevanza collettiva indirizzi missive, segnalazioni, esposti, ancorche’ contenenti espressioni offensive, ad organi sovraordinati, volti a censurare la condotta di un dipendente o di un associato, ponendone in dubbio la regolarita’ o la correttezza (Sez. 5, n. 38962 del 04/06/2013, P.C. in proc. Di Michele, Rv. 257759; Sez. 5, n. 32180 del 12/06/2009, Dragone, Rv. 244495). Si ravvisa, in tal caso, la generale causa di giustificazione, sub specie di esercizio del diritto di critica, preordinata a ottenere un intervento per rimediare a una condotta che si giudichi illegittima o inappropriata (Sez. 5, n. 1695 del 14/07/2014, Rv. 262720), o comunque a sollecitare il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche (Sez. 5 n. 33994 del 05/07/2010, Rv. 248422; Sez. 5, n. 28081 del 15/04/2011 Rv. 250406; Sez. 5, n. 42576 del 20/07/2016, Rv. 268044); beninteso, sussistendo i limiti inerenti a tale scriminante occorrendo, in primo luogo, che le accuse abbiano un fondamento o, almeno, che l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente (ancorche’ erroneamente) convinto di quanto afferma – che, se rispettati, escludono la sussistenza del delitto di diffamazione. Ebbene, se per un verso la diffusione tra piu’ persone di notizie denigratorie a carico di altri integra il reato ex articolo 595 c.p., anche se dette notizie rispondono al vero, dall’altro, la circostanza (verita’ della notizia) non e’ indifferente quando l’agente abbia tenuto la sua condotta nell’esercizio del diritto di cronaca, di critica o di legittima tutela dei suoi interessi (Sez. n. 3565 del 07/11/2007, Rv. 238909).
3.4. In tale ambito deve essere inserita la condotta dell’odierno imputato, considerando che egli, al fine di far emergere l’eventuale violazione di regole deontologiche da parte di una collega, ha inoltrato una segnalazione alle autorita’ disciplinari competenti, ovvero al C.O.A., quale soggetto istituzionalmente preposto a raccogliere le eventuali lamentele sull’operato di uno professionista iscritto. Invero, accusare un professionista, presso l’Organo delegato al controllo del rispetto dei canoni della deontologia professionale, di comportamenti che integrino violazioni di tali regole e’ un fatto astrattamente privo di antigiuridicita’, venendo in rilievo l’esercizio di un diritto e, finanche, rendendosi un servigio alla categoria professionale alla quale il “denunciato” appartiene, perche’ la pone in grado di mettere in atto meccanismi di
autotutela. Naturalmente, tale discorso e’ valido sempre che i fatti portati a conoscenza dell’organo professionale siano veri (o, nei limiti ex articolo 59 c.p., siano ritenuti tali dall’agente). Questo perche’ l’offesa va tenuta distinta dall’accusa, venendo la prima scriminata solo nei casi di cui all’articolo 598 c.p., mentre l’agire dell’accusatore, che non puo’ che assumere la responsabilita’ di quel che dice – specie se fa valere un proprio diritto – puo’ essere lecito a condizione che l’accusa abbia fondamento o, almeno, che l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente (anche se erroneamente) convinto di cio’.
Ed e’ essenzialmente per tale motivo che si ritiene non integrare il delitto di diffamazione la segnalazione al competente Consiglio dell’Ordine di comportamenti, deontologicamente scorretti, tenuti da un libero professionista iscritto, sempre che gli episodi segnalati siano rispondenti al vero; questo perche’ l’esponente, per mezzo della segnalazione, esercita una legittima tutela dei suoi interessi (di cliente o di collega). La esercita, evidentemente, attraverso il diritto di critica (sub specie di denunzia, esposto ecc.) e dunque con i limiti (sopra ricordati) che segnano il perimetro entro il quale si puo’ censurare l’altrui condotta (Sez. 5, n. 3565 del 07/11/2007 Rv. 238909). Da qui le ricadute anche sull’elemento soggettivo, che implica l’uso consapevole, da parte dell’agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive (Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013 – dep. 21/02/2014, Rv. 258943).
4. L’epilogo del presente scrutinio di legittimita’, quanto agli effetti civili, e’, dunque, l’annullamento agli effetti civili della sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile competente per valore, in grado di appello, che dovra’ rinnovare lo scrutinio riguardante la natura offensiva dell’esposto alla luce della scriminante di cui all’articolo 51 c.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Annulla la stesa sentenza agli effetti civili e rinvia al Giudice civile competente per valore in grado di appello.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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