L’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 10 aprile 2019, n. 9985.

La massima estrapolata:

L’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., mentre l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze derivanti dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata.

Ordinanza 10 aprile 2019, n. 9985

Data udienza 5 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 16706/2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del Procuratore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2682/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 23/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) (i primi due, anche in qualita’ di genitori esercenti la potesta’ sui figli minori (OMISSIS) e (OMISSIS)) ricorrono, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 2862/15, del 28 dicembre 2015, della Corte di Appello di Venezia, che – in parziale accoglimento del gravame principale esperito da (OMISSIS) S.p.a. avverso la sentenza n. 643/13, del 7 maggio 2013, del Tribunale di Vicenza, nonche’ di quello incidentale proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) (che agivano, allora, sia in proprio, che come esercenti la potesta’ genitoriale anche sulla figlia (OMISSIS), oltre che sui figli (OMISSIS) e (OMISSIS)) – riduceva, nel complesso, gli importi dovuti agli odierni ricorrenti a titolo di risarcimento dei danni conseguenti al sinistro stradale occorso in (OMISSIS), al predetto (OMISSIS).
2. Si legge, in punto di fatto, nel ricorso che i predetti (OMISSIS) e (OMISSIS) – in proprio e quali esercenti la potesta’ genitoriale, in origine, oltre che sui figli (OMISSIS) e (OMISSIS), anche sulla figlia (OMISSIS), all’epoca anch’ella minorenne – convennero in giudizio, innanzi al Tribunale vicentino, (OMISSIS) e la sua assicuratrice per la “r.c.a.”, societa’ (OMISSIS), per conseguire il ristoro dei danni derivati, all’intero nucleo familiare, dal sinistro stradale che coinvolse, nelle circostanze di tempo e di luogo sopra meglio specificate, il predetto (OMISSIS). Costui, infatti, veniva travolto dall’autovettura condotta dal (OMISSIS), il quale, nell’eseguire una manovra di conversione a sinistra, ometteva di dare precedenza al ciclomotore condotto dal (OMISSIS), sopraggiungente nell’opposto senso di marcia.
Interveniva volontariamente in giudizio l’INAIL, rilevando di aver erogato, a favore degli odierni ricorrenti, le prestazioni di legge, essendo l’infortunio avvenuto “in itinere”, e – sul presupposto di aver sostenuto un onere economico complessivo di Euro 553.512,81 – ochiedeva, pertanto, la condanna dei convenuti, in solido, a pagare la somma residua di Euro 473.512,81, ovvero quella ritenuta di giustizia.
2.1. Il giudice di prime cure, ritenuto il (OMISSIS) responsabile, nella misura del 70h, della causazione del sinistro (ponendo, invece, il restante 30% a carico dello stesso (OMISSIS)), riconosceva alla vittima primaria dell’incidente un danno biologico permanente del 67%, che liquidava secondo le cosiddette “tabelle” del Tribunale di Milano, operandone una “personalizzazione” nella misura del 25%, nonche’ una ulteriore del 30%, ex articolo 138 cod. assicurazioni, e cio’ per l’accertata rilevante incidenza delle gravi lesioni sugli aspetti dinamico-relazionali personali. Il Tribunale, inoltre, riconosceva il danno patrimoniale per perdita delle indennita’ specifiche tipiche delle mansioni di infermiere di corsia, precedentemente svolte da (OMISSIS), nonche’, per quanto qui ancora di interesse, di quello derivante da spese per l’acquisto di una autovettura nuova con comandi speciali, e, inoltre, per prestazioni mediche documentate, liquidando cosi’ al predetto, complessivamente, una danno “differenziale”, tenuto conto di quanto gia’ erogato dall’Inail, pari a Euro 559.149,29.
Il Tribunale di Vicenza riconosceva, altresi’, a (OMISSIS) un danno retributivo e pensionistico stimato in Euro 626.961,45, sul presupposto che la stessa, a causa del grave infortunio riportato dal marito, fosse stata costretta a trasformare il proprio rapporto di lavoro da “full time” a “part time”, in ragione della necessita’ di attendere alla gestione della propria famiglia composta da tre figli. Alla medesima, e ai figli, veniva, infine, liquidato il danno non patrimoniale, stimato, per l’una, nella misura di Euro 21.043,00, nonche’, per gli altri, in quella di Euro 10.000 cadauno.
Seguiva, conclusivamente, la condanna di entrambi i convenuti a versare all’INAIL la somma di Euro 553.512,81.
2.2. Proposto gravame principale, in relazione alla quantificazione dei danni liquidati all’infortunato e ai suoi congiunti, dalla societa’ (OMISSIS) (iniziativa alla quale aderiva il (OMISSIS), che inoltre chiedeva, in via incidentale, di essere manievato dal proprio assicuratore di tutto quanto tenuto a corrispondere gli odierni ricorrenti e all’Inail), il (OMISSIS) e la (OMISSIS), anche nelle gia’ ricordate qualita’, esperivano appello incidentale. Esso, in particolare, era diretto ad ottenere, per (OMISSIS), la liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, a seguito della riduzione dell’orario di lavoro, nonche’ del cosiddetto danno pensionistico; era, inoltre, richiesta una piu’ congrua quantificazione il danno non patrimoniale subito dalla di lui moglie e dai figli minori.
Il giudice di appello, in parziale accoglimento del gravame principale, escludeva l’aumento del 30% del danno biologico liquidato in prime cure, negando l’applicazione, nel caso di specie, dell’articolo 138 cod. assicurazioni, e comunque ritenendo gia’ esaustiva la personalizzazione del 25%, disconoscendo, inoltre, sulla voce di danno patrimoniale relativa alle perdite delle indennita’ speciali tipiche delle mansioni di infermiere di corsia, la rivalutazione e gli interessi, trattandosi di danno futuro. Nel complesso, quindi, rideterminava in Euro 498.471,41 la somma dovuta ad (OMISSIS).
Inoltre, sempre in parziale accoglimento del gravame principale, diminuiva – fissandolo in Euro 5.000,00 – l’ammontare del danno patrimoniale riconosciuto alla (OMISSIS), ritenendo che la riduzione del suo orario di lavoro non fosse causalmente collegata alle menomazioni subite dal marito, se non per il periodo piu’ prossimo all’incidente, e rideterminava, altresi’, l’ammontare del danno non patrimoniale in Euro 10.000,00. Escludeva, invece, tale voce di danno per i figli minori, sul presupposto che le menomazioni subite dal genitore non avessero determinato la compromissione della relazione dallo stesso intrattenuta con i figli.
Quanto all’appello incidentale dei coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), lo stesso veniva accolto solo limitatamente al motivo concernente il calcolo del danno differenziale.
3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i predetti (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di sette motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2059 c.c., oltre che dell’articolo 138 cod. assicurazioni, nonche’ “omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al disconoscimento/revoca dell’aumento del danno biologico del 30%”, ai sensi della norma da ultimo menzionata.
Il motivo muove dal presupposto che le cd. “tabelle milanesi”, utilizzate per la liquidazione del danno biologico, non esauriscano l’intera gamma delle voci di danno risarcibile, come, del resto, evidenziano le stesse note di accompagnamento alle tabelle del 2011 (ovvero quelle applicate nel caso di specie), specificando che, anche dopo la “personalizzazione” del danno, resta ferma la possibilita’ per il giudice di modulare la liquidazione oltre i valori massimi.
Orbene, mentre il giudice di prime cure, applicando la personalizzazione del 25%, correlata alla entita’ medio-alta del dolore e della sofferenza soggettiva di carattere permanente riscontrata dal CTU sul (OMISSIS), aveva operato un successivo aumento del 30%, in ragione della rilevante incidenza che i postumi di invalidita’ permanente hanno avuto sugli aspetti dinamico-relazionali personali specifici (individuati nella rinuncia ad attivita’ ludico sportive ed amatoriali), il giudice di appello, escludendo questo ulteriore aumento, avrebbe omesso di considerare le conseguenze che le lesioni patite dal (OMISSIS) hanno avuto rispetto, appunto, alla dimensione dinamico-relazionale dello stesso.
3.2. Il secondo motivo ipotizza – sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e falsa applicazione dell’articolo 429 c.c. (“recte”: c.p.c.) e dell’articolo 1224 c.c., nonche’ “omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al mancato riconoscimento di interessi e rivalutazione sulla perdita di indennita’ speciali tipiche delle mansioni infermiere di corsia”.
In questo caso, la sentenza impugnata e’ censurata perche’, sebbene abbia respinto il motivo di gravame della societa’ (OMISSIS) relativo al riconoscimento al (OMISSIS) del danno da perdita delle indennita’ speciali suddette, cosi’ confermandone la debenza, ha negato – sul presupposto che si tratti di un danno futuro – che sulla somma dovuta a tale titolo fossero da computarsi anche la rivalutazione e gli interessi.
3.3. Il terzo motivo ipotizza – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., nonche’ “omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla mancata liquidazione in favore del (OMISSIS) del danno patrimoniale costituito dalla perdita retributiva e pensionistica conseguente alla riduzione dell’orario di lavoro”.
Si censura la sentenza impugnata per avere escluso la risarcibilita’ di detto danno patrimoniale da lucro cessante (il cui ammontare era stato stimato dal consulente tecnico d’ufficio in Euro 98.723,59), e cio’ sul presupposto dell’assenza di prova in ordine all’esistenza di un nesso di causalita’ tra la richiesta del (OMISSIS) di usufruire del lavoro “part-time” e gli esiti del sinistro.
Si evidenzia, infatti, come sussistesse, nella specie, la prova documentale che il (OMISSIS), nel maggio 2007, al rientro al lavoro dopo l’infortunio, fosse stato giudicato inidoneo alle mansioni di infermiere in corsia e, quindi, a lavorare su turni comprensivi di festivita’ e lavoro notturno. Egli, infatti, dopo un mese e mezzo, con provvedimento comunicatogli il 10 luglio 2007, venne collocato in mansione diversa da quella di addetto alla spirometria, con orario diurno variato ai sensi della L. 5 febbraio 1002, n. 104, articolo 33, comma 6, vale a dire con riduzione dell’orario di lavoro di due ore al giorno. All’esaurirsi dei benefici di cui alla legge citata, inoltre, il (OMISSIS) chiese ed ottenne una riduzione dell’orario di lavoro, inizialmente concessagli per un anno e poi confermata, ininterrottamente, fino la data di presentazione del ricorso.
3.4. Il quarto motivo deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e falsa applicazione degli articoli 2056, 1223 e 1226 c.c. e dell’articolo 113 c.p.c., nonche’ “omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al mancato riconoscimento del danno patrimoniale, reddituale e pensionistico”, subito dalla (OMISSIS) “per la trasformazione del rapporto di lavoro da “full time” a “part time””, sebbene lo stesso fosse stato, oltretutto, quantificato dal CTU.
Si dolgono, in questo caso, i ricorrenti del riconoscimento solo nella misura di Euro 5.000,00 di tale danno, limitato unicamente alle perdite retributive subite dalla donna nel periodo piu’ prossimo al sinistro occorso al marito, decisione motivata dalla Corte territoriale sul rilievo della mancanza di prova del collegamento causale dello stesso con le lesioni subite dal (OMISSIS).
Si evidenzia, per contro, come quello fatto valere non fosse un danno “riflesso” o “di rimbalzo”, rispetto a quello patito dalla vittima primaria dell’illecito, bensi’ un danno diretto, sia pure di natura consequenziale, per la vittima secondaria che lo subisce, come tale da risarcire in base al principio della causalita’ giuridica e, dunque, secondo rid quod plerumque accidit”.
3.5. Il quinto motivo deduce – nuovamente ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2059 e 1226 c.c., nonche’ “omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’insufficiente riconoscimento del danno non patrimoniale alla Si.gra (OMISSIS)”.
Ci si duole del fatto che la misura del risarcimento per tale danno sia stata determinata quasi simbolicamente, ignorando le risultanze delle deposizioni testimoniali acquisite e della stessa consulenza tecnica d’ufficio.
3.6. Il sesto motivo deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2059 e 1226 c.c., nonche’ “omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale ai figli” del (OMISSIS).
La sentenza impugnata e’, in questo caso, censurata per aver escluso l’esistenza di un pregiudizio “relazionale” nel rapporto fra il (OMISSIS) e i propri figli, su tali basi denegando l’applicazione dell’articolo 2059 c.c., ignorando, pero’, che, in caso di lesione del rapporto parentale, e’ ipotizzabile anche l’esistenza di un danno morale, a carico degli stretti congiunti della vittima primaria dell’illecito.
3.7. Il settimo motivo, infine, deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c. e articolo 75 disp. att. c.p.c., nonche’ della L. 24 marzo 2012, n. 27, articolo 4, contestandosi l’unitaria liquidazione, in favore dei ricorrenti, delle spese processuali, a dispetto della loro diversa posizione processuale.
4. Ha resistito all’impugnazione, con controricorso, la sola (OMISSIS), deducendo – oltre all’infondatezza dei singoli motivi l’inammissibilita’ del ricorso per: a) mancata individuazione dei capi di sentenza impugnata e degli specifici vizi da cui sarebbero affetti (articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4); b) difetto di autosufficienza (articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6); c) “mescolanza” di motivi; d) per essere state dedotte censure “di merito”.
5. Hanno presentato memoria entrambe le parti, insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso – salvo quanto si dira’ in relazione a taluni suoi motivi sollevata dalla controricorrente.
6.1. Invero, l’atto di impugnazione soddisfa i requisiti imposti – ai fini della sua ammissibilita’ – dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4 e 6, provvedendo, inoltre, ad indicare (talvolta anche attraverso un confronto con le diverse statuizioni contenute nella decisione del primo giudice) le parti della sentenza della Corte lagunare avverso le quali e’ indirizzata la richiesta cassatoria, specificando le singole ragioni di censura e gli atti e documenti sui quali esse si fondano.
Ne’ puo’ accogliersi l’eccezione relativa alla “mescolanza” dei motivi, alla luce del principio – al quale va data, qui, continuita’ secondo cui “il fatto che un singolo motivo sia articolato in piu’ profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per se’, ragione d’inammissibilita’ dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (cosi’ Cass. Sez. Un., sent. 6 maggio 2015, n. 9100, Rv. 635452-01; in senso sostanzialmente analogo, sebbene “a contrario”, si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 17 marzo 2017, n. 7009, Rv. 643681-01).
6.2. Cio’ detto, sempre “in limine”, va chiarito che le censure formulate ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (proposte in relazione a tutti i motivi di ricorso, tranne il settimo) si palesano inammissibili.
Esse, infatti, lungi dal prospettare l’omesso esame “circa un fatto decisivo per il giudizio”, investono “questioni” o “punti” oggetto di discussione tra le parti, ovvero si risolvono in un tentativo di “rilettura” delle risultanze probatorie.
Al riguardo, tuttavia, va ribadito che il vizio di cui alla norma sopra richiamata esso deve investire “non una “questione” o un “punto” della sentenza” (come avvenuto, invece, nel presente caso), “ma un fatto vero e proprio, e quindi un fatto principale, ex articolo 2697 c.c.(cioe’, un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), oppure secondario (cioe’, dedotto in funzione di prova di un fatto principale)”; cfr., da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, R. 641174-01. In senso analogo, sulla necessita’ che l’omesso esame investa sempre un “fatto storico, principale o secondario”, si veda anche Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01, essendosi pure precisato come esso non possa riguardare “deduzioni difensive” (cosi’ Cass. Sez. 2, sent. 14 giugno 2017, n. 14802, Rv. 644485-01).
Del pari, va rammentato che l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4) – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).
7. Cio’ premesso, il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito meglio precisati.
7.1. Il primo motivo non e’, infatti, fondato.
7.1. Come visto, i ricorrenti si dolgono del fatto che, diversamente dal primo giudice (che ebbe ad operare, sulla somma riconosciuta ad (OMISSIS), a titolo di danno “biologico” e in applicazione delle “tabelle milanesi”, una prima personalizzazione nella misura del 25% ed una ulteriore del 30%, ex articolo 138 cod. assicurazioni), la Corte veneziana abbia escluso tale aggiuntiva personalizzazione. Decisione, questa, motivata sul duplice rilievo che la norma teste’ menzionata non sia applicabile, alla presente fattispecie, “ratione temporis”, e che comunque la personalizzazione del 25% fosse “gia’ esaustiva del danno”.
Si addebita alla sentenza impugnata di avere, in questo modo, ignorato l’incidenza che i postumi di invalidita’ permanente hanno avuto sugli aspetti dinamico-relazionali, personali e specifici, del (OMISSIS).
7.1.1. Sul punto, appare necessario muovere dal rilievo che, come affermato – di recente – da questa Corte, “in presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perche’ non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidita’ permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di se’, la paura, la disperazione)”, di talche’, ove “sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 marzo 2018, n. 7513, Rv. 64830301).
Il presupposto di tale affermazione e’, tuttavia, la constatazione che “la lesione della salute risarcibile” si identifica “nella compromissione delle abilita’ della vittima nello svolgimento delle attivita’ quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all’essere, all’apparire”, sicche’ lungi dal potersi affermare “che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali” dovra’ dirsi “piuttosto che il danno alla salute e’ un danno “dinamico-relazionale””, giacche’, se “non avesse conseguenze “dinamico-relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile”. Ne deriva, pertanto, che “l’incidenza d’una menomazione permanente sulle quotidiane attivita’ “dinamico-relazionali” della vittima non e’ affatto un danno diverso dal danno biologico”, restando, pero’, inteso che, in presenza di una lesione della salute, potranno si’ aversi le “conseguenze dannose piu’ diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi”, ovvero, “conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidita’” e “conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili”. Orbene, se tutte tali conseguenze, indifferentemente, “costituiscono un danno non patrimoniale”, resta inteso che “la liquidazione delle prime tuttavia presuppone la mera dimostrazione dell’esistenza dell’invalidita’”, laddove “la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell’effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto”. In questo quadro, pertanto, “la perduta possibilita’ di continuare a svolgere una qualsiasi attivita’, in conseguenza d’una lesione della salute, non esce dall’alternativa: o e’ una conseguenza “normale” del danno (cioe’ indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora si terra’ per pagata con la liquidazione del danno biologico; ovvero e’ una conseguenza peculiare, ed allora dovra’ essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico”, attraverso la sua “personalizzazione”.
Ne deriva, pertanto, che l’operazione di “personalizzazione” impone “al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” gia’ previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari” (cosi’ Cass. Sez. 3, sent. 21 settembre 2017, n. 21939, Rv. 645503-01) e cio’ in quanto “le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'”id quod plerumque accidit” (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidita’ non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento” (cosi’, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. 7513 del 2018, cit.).
7.1.2. Da quanto precede deriva, pertanto, la correttezza della decisione della Corte lagunare.
Se, infatti, la “personalizzazione” si pone come lo strumento per assicurare il ristoro di conseguenze diverse da quelle che “ordinariamente” scaturiscono dalla lesione (con postumi permanenti di invalidita’) del diritto alla integrita’ psico-fisica, ipotizzare, addirittura, la necessita’ di una “doppia personalizzazione” – una volta che ne sia gia’ stata operata una, nella misura, peraltro non modesta, del 25% – equivale ad introdurre un elemento del tutto “eccentrico” nel sistema del ristoro del danno alla persona, come sopra delineato.
7.2. Il secondo motivo di ricorso e’, invece, fondato.
7.2.1. All’esito del giudizio di merito e’ stato accertato che, in conseguenza del sinistro di cui (OMISSIS) rimase vittima, lo stesso (in ragione dei gravi postumi invalidanti, stimati nella misura del 67%, e addirittura del 100%, quanto alla capacita’ lavorativa specifica) e’ stato costretto ad abbandonare l’attivita’ di infermiere di corsia. Sia il Tribunale vicentino che la Corte veneziana hanno, dunque, riconosciuto al medesimo il danno patrimoniale consistente nella perdita delle indennita’ speciali tipiche delle mansioni (in precedenza svolte) di infermiere di corsia; tuttavia, il giudice di appello – riformando, sul punto, la decisione del giudice di prime cure – ha escluso “rivalutazione e interessi trattandosi di danno futuro”.
Questa – invero, lapidaria – affermazione e’, tuttavia, errata, giacche’ “anche chi causa un danno futuro e’ in mora dal giorno del fatto illecito, ai sensi dell’articolo 1219 c.c., per il pagamento del relativo risarcimento; tale mora andra’ calcolata sul credito risarcitorio scontato e reso attuale, ma andra’ pur sempre calcolata con decorrenza dalla data dell’illecito” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 21 luglio 2017, n. 18049).
Si tratta, infatti, pur sempre di un credito di “valore” da illecito aquiliano, soggetto – come tale – a “cumulo” di rivalutazione ed interessi, attesa la loro diversa funzione economica, prima ancora che giuridica, essendo “reintegratoria”, quella della prima, e “risaricitoria” (del danno da ritardo nella percezione di quanto dovuto a titolo di risarcimento) quella assicurata dai secondi (in tal senso gia’ Cass. Sez. Un., sent. 17 febbraio 1995, n. 1712).
Ancora di recente, infatti, e’ stato ribadito che ai fini “dell’integrale risarcimento del danno conseguente a fatto illecito sono dovuti sia la rivalutazione della somma liquidata ai valori attuali, al fine di rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, che deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui e’ emanata la pronuncia giudiziale finale, sia gli interessi compensativi sulla predetta somma, che sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito” (“ex multis”, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11899, Rv. 640204-01).
Resta, inoltre, inteso che – in difetto di indicazione circa la misura del saggio di interesse da applicare – il computo degli stessi deve essere effettuato “applicando gli interessi al saggio legale vigente “de die in diem” sul credito (…), devalutato alla data del sinistro, e quindi rivalutato di anno in anno, sino alla data della decisione”, con l’ulteriore precisazione che sull’importo cosi’ determinato, “che come noto costituisce una componente del credito aquiliano, e non frutti civili come gli interessi veri e propri, dalla data della (…) decisione decorreranno gli interessi legali” (cfr., nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 18049 del 2017, cit.).
7.2.2. Ne consegue, pertanto, che la necessita’ di cassare la sentenza impugnata “in parte qua”, con rinvio alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, affinche’ decida nel merito, uniformandosi ai principi di diritto appena enunciati.
7.3. I motivi terzo e quarto – suscettibili di trattazione congiunta, giacche’ pongono questioni tra loro connesse, concernendo entrambi danni patrimoniali da lucro cessante – non sono fondati.
7.3.1. Essi, difatti, censurano, rispettivamente, il mancato riconoscimento ad (OMISSIS) del danno (patrimoniale) da riduzione dell’orario di lavoro da 36 a 30 ore settimanali, nonche’ la rideterminazione “in peius” del risarcimento del danno – di eguale natura – lamentato dalla moglie (OMISSIS), per la trasformazione (conseguente, nella prospettazione dei ricorrenti, alle necessita’ di dover assistere il marito e, soprattutto, di dover versare maggiori energie nell’accudimento anche dei figli, data l’invalidita’ del padre) del proprio rapporto di lavoro da “full time” a”part time”.
Si contesta la sentenza della Corte territoriale, in entrambi i casi, per aver escluso (completamente, quanto all’uno, in larga parte, quanto all’altra), il nesso eziologico tra i danni suddetti ed il sinistro di cui rimase vittima il (OMISSIS).
L’infondatezza delle censure, che si risolvono anche in un tentativo di rilettura delle risultanze istruttorie, non consentita in questa sede neppure sotto il profilo – ormai, peraltro, ridotto al “minimo costituzionale” – del sindacato sulla motivazione della sentenza (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 6-5, ord. 18 maggio 2018, n. 11863, Rv. 648686-01), va affermato sulla scorta del principio secondo cui l’ipotetico “errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento e’ censurabile in sede di legittimita’ ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, mentre l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimita’ se adeguatamente motivata” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 2014, n. 4439, Rv. 630127-01; in senso analogo, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2005, n. 26997, Rv. 587959-01, fino a risalire al “leading case”, costituito da Cass. Sez. 3, sent. 20 ottobre 1962, n. 3061, Rv. 254512-01).
Ora, non ci sono dubbi che, nel caso di specie, al fine di stabilire se (anche) i danni – da lucro cessante – lamentati da (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero conseguenza del grave infortunio subito dal primo, la corte lagunare abbia applicato il principio della causalita’ giuridica. Cio’ che si contesta, pertanto, non e’ l’applicazione della regola sul nesso causale, quanto l’apprezzamento delle conseguenze derivanti dalla sua applicazione.
7.3.2. D’altra parte, poi, la sentenza impugnata si sottrae anche alla censura – evocata, in particolare, con il quarto motivo di ricorso, ovvero in relazione al pregiudizio patrimoniale riconosciuto esistente in capo alla (OMISSIS), ma diminuito nel suo ammontare – di violazione delle regole sulla valutazione equitativa del danno.
Invero, va qui ribadito che “l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non e’ suscettibile di sindacato in sede di legittimita’”, purche’ “la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facolta’, indicando il processo logico e valutativo seguito” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2017, n. 24070, Rv. 645831-01; in senso analogo Cass. Sez. 1, sent. 15 marzo 2016, n. 5090, Rv. 639029-01), essendosi anche precisato che “al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo”, occorre “che il giudice indichi, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli e’ proprio, i criteri seguiti per determinare l’entita’ del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum”” (Cass. Sez. 3, sent. 31 gennaio 2018, n. 2327, Rv. 647590 – 01).
D’altra parte, nella medesima prospettiva, si e’ sottolineato che il la liquidazione equitativa del danno risulta insindacabile in sede di legittimita’, salvo che i criteri adottati “siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 25 maggio 2017, n. 13153, Rv. 644406-01; nello stesso senso gia’ Cass. Sez. 3, sent. 8 novembre 2007, n. 23304, Rv. 600376-01, Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2004, n. 13066, Rv. 574567-01).
Nessuna di tali evenienze ricorre nel caso di specie, visto che la Corte territoriale ha liquidato il non modesto importo di Euro 5.000,00, soprattutto se si considera che lo stesso risulta correlato al solo pregiudizio patito dalla donna in relazione al periodo piu’ prossimo all’incidente di cui fu vittima il marito.
Ne’, d’altra parte, si puo’ addebitare alla corte lagunare di non essersi uniformata, sul punto, alle risultanze della CTU contabile, se e’ vero che il principio “judex peritus peritorum” comporta non solo che il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non abbia alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche che acquisite direttamente attraverso studi o ricerche personali, ma anche che egli, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, puo’ non solo disattenderne le argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie, ma anche “sostituirle con proprie e diverse, tratte da personali cognizioni tecniche” (da ultimo, Cass. Sez. 1, sent. 21 dicembre 2017, n. 30733, Rv. 646659-01).
7.4. Per le medesime ragioni appena illustrate, neppure il quinto motivo di ricorso risulta fondato.
7.4.1. La pretesa di sindacare, in quanto “manifestamente simbolico”, l’importo del pregiudizio non patrimoniale, il cui ristoro e’ stato riconosciuto alla Patrizi in conseguenza del sinistro di cui fu vittima il marito, si pone in contrasto, come detto, con il principio secondo cui la liquidazione equitativa del danno non e’ sindacabile in sede di legittimita’, purche’ il giudice di merito – anche solo sommariamente le ragioni della liquidazione. Le stesse sono state qui indicate nella “buona ripresa dello stile di vita da parte del (OMISSIS)”, pur nel quadro di una perdita, da parte della stessa, della possibilita’ “di compiere assieme al compagno di vita alcune attivita’”.
Tanto basta perche’ l’impugnata si sottragga alla prospettiva di un possibile annullamento sotto il profilo della carenza motivazionale, visto che – in ragione della gia’ segnalata riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonche’, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 63778101; Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01) il difetto di motivazione e’ ormai configurabile solo quando essa, “benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01).
7.5. Il sesto motivo e’, invece, fondato, ancorche’ nei termini di seguito indicati.
7.5.1. Esso, come si e’ premesso, censura il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale ai figli del (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
La sentenza impugnata afferma che i minori (tale, all’epoca, era anche la figlia (OMISSIS)), “non hanno subito un pregiudizio relazionale nel rapporto con il padre”, giacche’ costui “seppur con modalita’ diverse”, continua “ad interagire e a condividere con loro le attivita’ scolastiche ed extrascolastiche, oltre a quelle piu’ prettamente famigliari”.
Cio’ detto, la censura – prospettata anche come violazione degli articoli 2059 e 1226 c.c. – coglie nel segno, laddove lamenta la mancata considerazione (almeno) del danno, visto nella sua dimensione “morale”, o per meglio dire “interna”, e non solo “dinamico-relazionale”.
7.5.2. Infatti, al riguardo deve ribadirsi quanto di recente affermato da questa Corte, ovvero che in “tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti” (e tale e’ certamente quello in esame, alla stregua di quanto previsto dagli articoli 29 e 30 Cost., nonche’ – merce’ la norma costituzionale interposta costituita dall’articolo 8 CEDU – dallo stesso articolo 117 Cost., comma 1), “il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (articoli 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – e’ la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realta’ naturalistica, si puo’ connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, percio’, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti” (Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2018, n. 901, Rv. 64712502; per un’applicazione anche al caso – come quello presente – di danno da “lesione”, e non da “perdita” del rapporto parentale, cfr. anche Cass. Sez. 3, ord. 28 settembre 2018, n. 23469, Rv. 65085801)
Del resto, gia’ in passato questa Corte ha affermato che, “in tema di risarcimento del danno ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali”, spetta a costoro “anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell’articolo 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso”, fermo restando che, trattandosi di “una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte non e’ accertabile con metodi scientifici e, dall’altra, come per tutti i moti dell’animo, solo quando assume connotazioni eclatanti puo’ essere provato in modo diretto, non escludendosi, pero’, che, il piu’ delle volte, esso possa essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilita’” (Cass. Sez. 3, sent. 3 aprile 2008, n. 8546, Rv. 602633-01).
La Corte veneziana, dunque, ha ignorato, come detto, tale componente del danno, incentrando la sua attenzione solo sugli aspetti “dinamico-relazionali” del (piu’ ampio) pregiudizio non patrimoniale lamentato dai figli del (OMISSIS) in conseguenza del sinistro occorso al proprio genitore, e dovra’, dunque, valutare dovendosi cassare “in parte qua” la sentenza impugnata – se, in applicazione dei principi appena richiamati, vi sia spazio per il riconoscimento (quantomeno) del danno visto nella sua dimensione di “sofferenza interna” patita.
7.6. Infine, il settimo motivo resta assorbito dall’accoglimento parziale del ricorso, in applicazione del principio secondo cui la “cassazione della sentenza di appello travolge la pronuncia sulle spese di secondo grado, perche’ in tal senso espressamente disposto dall’articolo 336 c.p.c., comma 1, sicche’ il giudice del rinvio ha il potere di rinnovare totalmente la relativa regolamentazione alla stregua dell’esito finale della lite” (Cass. Sez. 3, sent. 14 marzo 2016, n. 4887, Rv. 639295-01).
8. In conclusione, la sentenza impugnata va parzialmente cassata, rinviando alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, perche’ – conformandosi ai principi dianzi enunciati decida nel merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, limitatamente ai motivi secondo e sesto, dichiarando, rispettivamente, non fondati i motivi primo, terzo, quarto e quinto, ed assorbito il settimo, cassando parzialmente, per l’effetto, la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, per la decisione nel merito e per la liquidazione delle spese processuali anche del presente giudizio.

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