La qualificazione di un negozio giuridico richiede due distinte operazioni

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 10 aprile 2019, n. 9996.

La massima estrapolata:

La qualificazione di un negozio giuridico richiede due distinte operazioni: la prima consiste nell’identificazione degli elementi costitutivi dell’attività negoziale e delle finalità pratiche perseguite dalle parti; la seconda consiste, invece, nell’attribuzione del “nomen juris”, previa interpretazione sul piano giuridico, degli elementi di fatto precedentemente accertati. Di tali operazioni, mentre la seconda è soggetta al sindacato di legittimità, la prima ne è sottratta, se correttamente motivata, giacché si risolve in un apprezzamento di mero fatto, riservato al giudice di merito.

Ordinanza 10 aprile 2019, n. 9996

Data udienza 12 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 17167/2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 327/2017 della CORTE D’APPELLO di. BARI, depositata il 30/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

FATTI DI CAUSA

In seguito alla condanna di (OMISSIS) alla pena della detenzione per un grave reato commesso in danno di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il detenuto conferiva, in data 30.12.2008, procura generale ad negotia alla sorella (OMISSIS) la quale trasferiva, con atto pubblico in data 23.1.2009, trascritto il 19.2.2009, tutti i beni immobili intestati al fratello ai genitori (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, con atto pubblico in pari data 23.1.2009, registrato il 30.1.2009, costituivano in loro favore un fondo patrimoniale con gli stessi beni acquistati dal figlio.
Proposte distinte azioni revocatorie dai (OMISSIS) aventi ad oggetto i predetti atti dispostivi del patrimonio compiuti dall’obbligato al risarcimento del danno derivante dal reato e dai terzi acquirenti, il Tribunale di Trani, con sentenze n. 166/2010 e n. 362/2015, dichiarava inefficaci gli atti pubblici di compravendita e di costituzione del Fondo patrimoniale, rigettando la eccezione proposta dai convenuti ex articolo 2901 c.c., comma 3, volta a qualificare la compravendita come atto di adempimento di pregressa obbligazione, cui era tenuto il figlio in virtu’ di scrittura privata, in data 20 gennaio 1998, con la quale si era impegnato a restituire ai genitori “ad nutum” i beni immobili acquistati nella qualita’ di assuntore del concordato fallimentare – omologato dal Tribunale di Trani con sentenza n. 1277/1998 – relativo al fallimento della societa’ di fatto costituita tra i genitori, beni effettivamente trasferiti a (OMISSIS) dal Tribunale fallimentare in data 22.9.2000.
La Corte di appello di Bari, adita dai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) con distinti appelli, successivamente riuniti, con sentenza in data 30.3.2017 n. 327, li rigettava entrambi.
Il Giudice di appello: a) riteneva infondata la censura relativa al rigetto da parte del primo Giudice delle istanze istruttorie, in quanto non reiterata alla udienza di precisazione conclusioni e comunque in quanto le prove orali erano generiche e prive dei necessari riferimenti cronologici; b) la scrittura privata del 1998 non era dimostrativa di un precedente vincolo obbligatorio avente ad oggetto un debito scaduto, in quanto fino all’atto di compravendita sospetto, ne’ i genitori ne’ il figlio avevano manifestato alcuna volonta’ restitutoria, ne’ tanto meno avevano inteso impugnare per simulazione assoluta l’atto di compravendita che neppure indicava la precedente scrittura quale titolo giustificativo; inoltre la scrittura privata era inopponibile, non avendo data certa anteriore alla compravendita ex articolo 2704 c.c. e il complesso delle circostanze fattuali e cronologiche portava a ritenere che la redazione della scrittura fosse stata effettuata ad arte in modo da realizzare lo scopo frodatorio che vedeva partecipi i genitori ed il figlio; c) rilevava che l’atto costitutivo del Fondo patrimoniale ex articolo 167 c.c., era anch’esso inopponibile ai creditori in quanto atto negoziale correlato all’accordo fraudolento, sia trattandosi di atto a titolo gratuito, sia non potendo i genitori far valere in ogni caso la propria buona fede ex articolo 2901 c.c., comma 4; d) riteneva infondata la eccezione di ultrapetizione avendo il primo Giudice rispettato i limiti del chiesto e pronunciato, nonche’ la eccezione di litispendenza, in considerazione sia della oggettiva diversita’ delle cause, sia in quanto le domande non erano pendenti aventi ad Uffici giudiziari diversi, sia ancora in quanto, al momento in cui era stata introdotta la questione di litispendenza, la prima causa risultava gia’ definita con la pronuncia di inammissibilita’ della domanda nuova.
La sentenza di appello, notificata in data 27.4.2017, e’ stata impugnata per cassazione, con quattro motivi, da (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno depositato anche memoria illustrativa ex articolo 380 bis.1. c.p.c..
Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Non ha svolto difese (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: violazione articolo 39 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (recte n. 4).
I ricorrenti, rilevato che i (OMISSIS), dopo aver ampliato la domanda estendendo la richiesta di revocatoria al Fondo patrimoniale – nel giudizio originariamente proposto per la dichiarazione di inefficacia dell’atto di compravendita, avevano proposto autonoma domanda revocatoria dell’atto di costituzione del Fondo patrimoniale, iscrivendo il giudizio avanti il Tribunale di Trani al n. 9300059/2011 del registro generale, censurano la decisione della Corte d’appello che aveva ritenuto infondato il motivo di gravame con il quale gli appellanti sostenevano che il Giudice della causa introdotta successivamente non avesse accolto la eccezione di litispendenza e disposto con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo.
Il motivo e’ inammissibile, prima che infondato.
Preliminarmente occorre evidenziare come la proposizione della medesima domanda revocatoria del Fondo patrimoniale avanti a Giudici appartenenti al medesimo Ufficio giudiziario (nella specie il Tribunale Ordinario di Trani) esula dalla applicazione dell’articolo 39 c.p.c. – che si riferisce ad identiche cause proposte avanti a “giudici diversi ” ed e’ inteso quindi a risolvere preventivamente un conflitto di competenza: Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 17443 del 31/07/2014 – venendo in questione piuttosto l’applicazione dell’articolo 273 c.p.c., commi 1 e 2, che prevede la riunione delle cause, di ufficio (stesso giudice) ovvero con decreto del presidente (che designa la sezione od il giudice davanti la quale il procedimento deve proseguire).
Trattasi di provvedimento meramente ordinatorio alla errata applicazione del quale la legge non fa conseguire la nullita’ del giudizio o della sentenza (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13001 del 31/05/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 14607 del 22/06/2007).
La violazione delle norme processuali che attengono all’ordinato svolgimento del processo, ed in particolare alla risoluzione delle questioni inerenti alla pendenza di cause identiche o legate da nessi di pregiudizialita’ necessaria, in tanto possono essere fatte valere avanti il Giudice di legittimita’, in quanto la situazione di irregolarita’ processuale sussista attualmente al momento della decisione di questa Corte, sicche’ la pronuncia di legittimita’, rimettendo la causa al Giudice di merito consenta di ripristinare l’ordine violato.
Diversamente – e salvo che la irregolarita’ processuale demandata a provvedimento ordinatorio non sia espressamente sanzionata dalla legge con la nullita’ degli atti processuali conseguenti – viene meno qualsiasi interesse alla impugnazione, in quanto la decisione di questa Corte si risolverebbe in una mera “declamatio juris” ossia nella astratta affermazione del contenuto della norma processuale, priva di qualsiasi incidenza sul processo, in quanto ormai non piu’ pendente nel grado in cui e’ non stato emesso il provvedimento ordinatorio od e’ stato emesso il provvedimento illegittimo (ad es. di sospensione del processo), atteso che in relazione allo stato raggiunto dal processo ritenuto pregiudicante, deve escludersi la possibilita’ di adottare il corretto “modus procedendi” imposto dalle norme citate – nella specie la riunione dei giudizi – (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 21727 del 11/10/2006; id. Sez. 6-1, Ordinanza n. 13330 del 26/07/2012 – entrambe con riferimento all’illegittimo provvedimento di sospensione, i cui effetti erano gia’ cessati al momento della pronuncia di legittimita’-; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 20149 del 24/09/2014 – con riferimento a provvedimento di riunione ormai non piu’ adottabile -). Ed e’ appena il caso di osservare, per obiter, che l’attualita’ della situazione processuale assunta come irregolare deve persistere – ed e’ onere provarlo dell’eccipiente o dell’impugnante – al momento della decisione, anche nel caso di litispendenza (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 8923 del 20/08/1991; id. Sez. 3, Sentenza n. 190 del 11/01/2000; id. Sez. 3, Ordinanza n. 12123 del 09/06/2005; id. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 18252 del 17/09/2015)
La Corte d’appello – pur avendo errato nel riferire la assenza di identita’ tra le cause pendenti, che deve, invece, nella specie riscontrarsi, in relazione a tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, nella identica domanda di revocatoria dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, proposta in entrambi i giudizi – ha rilevato, correttamente, come nel caso in esame non venisse in rilievo una questione di incompetenza per litispendenza, in quanto le due domande erano state proposte avanti al medesimo Tribunale di Trani, e dunque implicitamente – ha ritenuto infondato il motivo di gravame proposto ex articolo 39 c.p.c., atteso che la norma applicabile alla fattispecie doveva individuarsi nell’articolo 273 c.c., commi 1 e 2 e la mancata adozione del provvedimento di riunione non determinava alcuna nullita’ delle sentenze emesse dal Tribunale di Trani con le quali, rispettivamente, veniva dichiarata la inammissibilita’ per novita’ della domanda proposta nel primo giudizio ed invece veniva accolta la medesima domanda proposta nel secondo giudizio.
In relazione a tale aspetto la pronuncia della Corte d’appello, conforme a diritto (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9510 del 21/04/2010), non risulta idoneamente impugnata con il motivo di ricorso in esame, che lamenta esclusivamente ed infondatamente la violazione dell’articolo 39 c.p.c..
Secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c., dell’articolo 2704 c.c., dell’articolo 345 c.p.c.; contraddittorieta’ ed illogicita’ della sentenza nella parte in cui nega accesso alle istanze istruttorie e poi afferma la mancata prova dell’accordo restitutorio.
I ricorrenti lamentano che la Corte d’appello ha ritenuto inopponibile, per mancanza di data certa, la scrittura privata stipulata tra i genitori ed il figlio avente ad oggetto l’obbligo di restituzione ad nutum dei beni immobili che sarebbero stati trasferiti all’assuntore del concordato fallimentare, ma poi non ha ammesso la prova orale volta a dimostrare la anteriorita’ della scrittura rispetto all’atto di compravendita.
In particolare contestano:
– di non avere rinunciato alle istanze istruttorie formulate in primo grado nella memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6.
– di aver formulato capitoli di prova pertinenti e decisivi.
Il motivo e’ inammissibile, prima ancora che infondato, in quanto omette di impugnare una delle distinte ed autonome “rationes decidendi” con le quali la Corte d’appello ha ritenuto irrilevante accertare la anteriorita’ della scrittura privata, atteso che difettava del tutto la prova che l’atto di compravendita potesse intendersi come atto di adempimento dell’obbligazione di restituzione oggetto della scrittura privata, in quanto: a) anteriormente alla stipula della compravendita non erano mai state fatte richieste restitutorie dai genitori; b) nessuno aveva impugnato per simulazione l’atto di compravendita, che si presentava come atto a titolo oneroso, avendo peraltro l’alienante dichiarato nello stesso atto pubblico di aver gia’ ricevuto il pagamento del prezzo; c) che la stipula di tale atto di compravendita si palesava quindi del tutto incompatibile con il mero adempimento di un obbligo restitutorio fondato su una scrittura privata che integrava un negozio a titolo gratuito, non prevedendo alcun corrispettivo, tanto piu’ che nell’atto di compravendita non si dava alcun riferimento alla esecuzione del pregresso obbligo restitutorio.
Tale statuizione non viene censurata dai ricorrenti, che si rivolgono esclusivamente a criticare l’altra statuizione, relativa alla inammissibilita’ e comunque al rigetto per genericita’ della prova orale: ne segue che, ove la sentenza sia sorretta da una pluralita’ di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (cfr. Corte cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017).
In ogni caso il motivo di ricorso si palesa anche infondato, atteso che, indipendentemente dall’onere della parte di reiterare specificamente, alla udienza di precisazione delle conclusioni, le istanze istruttorie non esaminate o di richiedere la revoca del provvedimento che tali istanze non ha ammesso, in difetto dovendo presumersi che le stesse siano state altrimenti rinunciate (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25157 del 14/10/2008; id. Sez. 6-2, Ordinanza n. 10748 del 27/06/2012; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 16290 del 04/08/2016; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 19352 del 03/08/2017), ed anche a ritenere che il mero richiamo all’atto introduttivo ed agli altri atti difensivi valga ad assolvere all’onere di specifica reiterazione delle istanze istruttorie espressamente disattese dal primo Giudice, la pronuncia della Corte territoriale, secondo cui i capitoli di prova orale apparivano imprecisi e generici e comunque inidonei a rappresentare “fatti caratterizzati da inequivocita’ atti a stabilire in modo certo l’anteriorita’ della formazione del documento”, deve ritenersi esente da vizi, in quanto i primi tre capitoli (pag. 24 ricorso) si limitano a dimostrare soltanto la esistenza di una relazione tra (OMISSIS) e tale (OMISSIS), mentre il quarto capitolo fa riferimento ad un prestito fornito dal (OMISSIS), ma non fornisce alcuna indicazione dirimente specificamente quanto all’elemento cronologico – dell’impiego di tali somme per soddisfare i creditori concorsuali, non essendo indicato nel capitolo di prova a quali soggetti ed in che data le somme siano state corrisposte, e neppure con quali proventi, in quale data e chi abbia restituito il prestito di denaro al (OMISSIS), difettando pertanto l’accertamento di un fatto storico idoneo a stabilire con assoluta certezza l’anteriorita’ della formazione del documento. Dovendo aggiungersi che le circostanze esposte nel quarto capitolo -quando anche confermate – non potrebbero comunque integrare la certezza probatoria della anteriorita’, atteso che il fatto rappresentato nel capitolo (concessione e restituzione di un prestito di denaro) non e’ in alcun modo assimilabile ad uno di quegli eventi il cui accadimento – al pari degli altri eventi indicati dell’articolo 2704 c.c., comma 1 – consenta di assumerlo come “momento finale”, oggettivamente constatabile, come limite temporale oltre il quale cioe’ la scrittura privata non poteva con certezza essere stata formata.
Terzo motivo: nullita’ della sentenza di primo grado per ultrapetizione eccepita in grado di appello.
Il motivo, di difficile lettura, parrebbe incentrato a contestare la statuizione del Giudice di appello che aveva rigettato il motivo di gravame con il quale era stata censurata la decisione del Giudice di prime cure – relativa alla dichiarazione di inefficacia dell’atto di compravendita- per ultrapetizione, essendo stata ritenuta dal Giudice di merito la natura onerosa della compravendita, sebbene nessuna delle parti nel corso del giudizio avesse “sostenuto o contestato la gratuita’ di tale atto di cessione”.
Tale la censura la stessa e’ manifestamente infondata.
La qualificazione giuridica degli atti di negoziali costituisce l’essenza dell’attivita’ di giudizio richiesta al Giudice, e che questo – per assolvere al compito di “dire il diritto” che e’ chiamato a svolgere dalla legge – e’ tenuto a compiere ex officio, e richiede due distinte operazioni la prima consiste nella identificazione degli elementi costitutivi dell’attivita’ negoziale e delle finalita’ pratiche perseguite dalle parti, la seconda invece consiste nell’attribuzione del “nomen juris”, previa interpretazione sul piano giuridico, degli elementi di fatto precedentemente accertati. Di tali operazioni, mentre la seconda e soggetta al sindacato di legittimita’, la prima ne e’ sottratta, se correttamente motivata, giacche’ si risolve in un apprezzamento di mero fatto, riservato al giudice di merito ed e’ incensurabile in Cassazione se e’ sorretto da una motivazione sufficiente ed esente da vizi logici o da errori giuridici, e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli articolo 1362 c.c. e segg. (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1454 del 15/09/1970).
Ne segue che un vizio di ultrapetizione non e’ configurabile in relazione alla attivita’ di qualificazione giuridica e di interpretazione delle norme, ove difetti come nella specie – la allegazione e dimostrazione dei limiti dell’ambito oggettivo della indagine entro i quali era stato confinato il potere di cognizione del Giudice, dalle domande ed eccezioni delle parti. Nella specie l’oggetto del giudizio era costituito dalla domanda revocatoria ordinaria dell’atto di compravendita e dalla eccezione di irrevocabilita’ di tale atto in quanto assunto come adempimento di un preesistente vincolo obbligatorio: ne segue che entrambi gli atti negoziali bene potevano e dovevano essere sottoposti all’esame ed all’indagine del Giudice il quale, qualificando come negozio a titolo oneroso l’atto di compravendita, non ha fatto altro che esercitare il proprio potere di qualificazione giuridica, senza eccedere dal compito assegnatogli.
I ricorrenti in modo del tutto generico accennano nel motivo di ricorso ad una asserita fittizieta’ del corrispettivo pattuito nella vendita: ma non indicano se tale circostanza abbia costituito oggetto di discussione e di prova, o sia rimasta estranea al thema probandum in quanto non contestata. Tuttavia, di tutto cio’, i ricorrenti non forniscono alcuna allegazione, essendo appena il caso di osservare che qualora con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 15961 del 18/07/2007; id. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24062 del 12/10/2017): e non assolve a tali requisiti il mero rilievo della irrisorieta’ del prezzo di vendita contenuto – peraltro – soltanto nella comparsa conclusionale degli appellati.
Quarto motivo: difetto di legittimazione passiva di (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alla domanda revocatoria del Fondo patrimoniale
I ricorrenti reiterano la eccezione dedotta con motivo gravame rigettato dalla Corte d’appello secondo cui i genitori dovevano ritenersi estranei a qualsiasi accordo con il figlio destinato a pregiudicare la garanzia patrimoniale dei creditori e contestano la statuizione che ha istituito una nesso di conseguenza necessitata tra la revoca dell’atto di compravendita e la revoca dell’atto di costituzione del Fondo patrimoniale, sebbene oggetto di provvedimenti distinti emessi in diversi giudizi ed i cui effetti non potevano trasferirsi automaticamente dall’uno a l’altro.
Il motivo e’ del tutto pretestuoso.
La Corte d’appello ha individuato infatti la legittimazione passiva dei genitori che aveva costituto in pari data a loro favore un Fondo patrimoniale con i beni immobili acquistati dal figlio, nella irrilevanza nei confronti dei creditori in revocatoria degli eventuali diritti acquistati dai genitori con la costituzione del predetto Fondo in quanto: a) ai sensi dell’articolo 2901 c.c., comma 4, la priorita’ della trascrizione degli atti dispositivi da cui scaturivano tali diritti operava soltanto per gli atti a titolo oneroso compiuti dai terzi di buona fede; b) l’atto di costituzione del Fondo patrimoniale era atto a titolo gratuito ed i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) non versavano in buona fede, essendo partecipi con il figlio della attivita’ fraudolenta volta a sottrarre la garanzia patrimoniale ai creditori.
La pronuncia e’ conforme a diritto e va esente pertanto dal vizio di legittimita’ denunciato.
Quanto poi alla estensione, nel giudizio avente ad oggetto la revoca dell’atto costitutivo del Fondo patrimoniale, della efficacia della sentenza che revocato nei confronti dei (OMISSIS) l’atto di compravendita stipulato in data 23.1.2009, la stessa discende dall’essere (OMISSIS) e (OMISSIS) ed i (OMISSIS) parti processuali in entrambi i giudizi definiti con la medesima sentenza di appello che ha accertato come, quanto all’atto negoziale derivato, non possa essere fatta valere la buona fede dagli stessi soggetti coinvolti nella “participatio fraudis” relativa all’atto negoziale presupposto revocato.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le parti ricorrenti debbono essere condannate alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ liquidate in dispositivo.
I ricorrenti vanno condannati di ufficio al pagamento di una somma equitativamente determinata per aver agito, proponendo la impugnazione, in mala fede.
Osserva il Collegio che la disposizione dell’articolo 385 c.p.c., comma 4 (“quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 375, la Corte, anche d’ufficio, condanna, altresi’, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave”), era stata introdotta dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 13 – con riferimento alle sentenze pubblicate dal 2.3.2006-, con applicazione originariamente limitata al solo giudizio di legittimita’, e quindi successivamente abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 46, comma 20, venendo in fine ad essere quasi integralmente trasposta (non essendo stato riprodotto anche l’originario limite massimo “non superiore al doppio dei massimi tariffari” della sanzione processuale) nell’articolo 96 c.p.c., comma 3, come novellato dalla citata L. n. 69 del 2009, articolo 45, comma 12, in tal modo venendo estesa anche al giudizio di merito, con effetto per i giudizi instaurati a far data dal 4.7.2009 (la norma che ha ricevuto l’avallo del Giudice delle Leggi – Corte costituzionale sentenza 23 giugno 2016 n. 152, dispone “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice anche d’ufficio puo’ altresi’ condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”).
La disposizione, tanto dell’articolo 385 c.p.c., comma 4, che dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, riveste natura sanzionatoria in quanto si ricollega all’agire abusivo della parte e/o del difensore che utilizza in modo improprio i mezzi processuali, o per cagionare un danno patrimoniale alla controparte (condotta dolosa) ovvero al mero fine di ritardare l’attuazione del diritto che viene opposto, pur conoscendo la manifesta inammissibilita’ od infondatezza delle argomentazioni difensive svolte (condotta in mala fede), o ancora, inutilmente, producendo uno spreco di attivita’ giuridica e processuale che concorre gravemente alla disorganizzazione di una efficiente risposta del sistema giudiziario alle istanze di tutela, in quanto se pure non conoscendo avrebbe tuttavia certamente dovuto conoscere – adottando la specifica diligenza richiesta al professionista legale – la manifesta inammissibilita’ od infondatezza delle tesi sostenute in giudizio (condotta qualificata da colpa grave).
In entrambi i giudizi di revoca dell’atto di compravendita (introdotto con citazione notificata il 27.2.2009) e dell’atto di costituzione del Fondo patrimoniale (introdotto con atto di citazione notificato il 3.2.2011), i Giudici merito hanno accertato la sussistenza della preordinazione di una condotta fraudolenta tenuta dal debitore alienante e dai genitori acquirenti e successivi disponenti, intesa a sottrarre – attraverso i predetti negozi giuridici e l’uso della scrittura privata – tutti i beni immobili intestati a (OMISSIS) alle ragioni del credito risarcitorio riconosciuto a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS).
Pertanto il ricorso oggetto del presente giudizio deve ritenersi proposto quanto meno con colpa grave, e le parti ricorrenti debbono essere condannate “ex officio” al pagamento in favore delle parti resistenti, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma determinata in via equitativa in base alla liquidazione di queste ultime e che puo’ essere stabilita in misura pari ad Euro 3.000,00.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
Condanna i ricorrenti, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 4 e dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, al pagamento in favore dei controricorrenti della somma di Euro 3.000,00.

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