Le raccolte dei musei costituiscono beni demaniali

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 3 dicembre 2018, n. 6832.

La massima estrapolata:

Ai sensi dell’art. 822 c.c. le raccolte dei musei costituiscono beni demaniali, dei quali si può disporre non con ordinari atti di diritto civile, ma solo ai sensi delle leggi che li riguardano, come previsto dall’art. 823 c.c. Per disporre delle opere in questione, è quindi richiesto un provvedimento amministrativo, sul quale v’è la giurisdizione di questo Giudice: così per implicito C.d.S. sez. VI 23 giugno 2008 n. 3154 

Sentenza 3 dicembre 2018, n. 6832

Data udienza 29 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 8506 del 2018, proposto dal
Ministero dei beni e delle attività culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
contro
Di. di Na. – Ga., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pi. Qu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Al. Pl. in Roma, via (…);
per l’annullamento ovvero la riforma
previa sospensione
della sentenza del T.A.R. Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. II, 21 giugno 2018 n. 1038, con la quale è stato accolto il ricorso n. 1514/2017 R.G. proposto per l’annullamento del silenzio serbato, meglio detto per l’accertamento dell’obbligo di provvedere, da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali – MIBACT sulla istanza presentata dalla Di. di Na. – Ga. il giorno 6 marzo 2017 per ottenere la restituzione dei dipinti facenti parte della Co. Ri., attualmente depositati presso il Mu. ar. di Ta., in quanto di proprietà della Diocesi stessa;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Di. di Na. – Ga.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2018 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Ch. Ai. e l’avvocato Pi. Qu.;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Rilevato che:
– la diocesi ricorrente appellata si afferma proprietaria di una collezione di quadri antichi, denominata “Co. Ri.”, dal nome di mons. Gi. Ri., che fu vescovo di Nardò fino al 1908. La collezione si compone di un primo nucleo di sette dipinti, elencati nell’Inventario dei beni dell’Episcopio di Nardò effettuato il 3 gennaio 1736 dal notaio An. To. Ma. in seguito alla morte dell’allora vescovo, inventario che si trova custodito nel locale Archivio di Stato, e di un secondo nucleo di altri quadri, un tempo esposti nella cattedrale di Nardò e da lì rimossi a seguito di lavori di restauro che la interessarono. La collezione prende il nome dal vescovo Ri., perché questi, nel proprio testamento, espresse la volontà che tutti i quadri che ora la compongono fossero depositati presso il Mu. ar. di Ta., ove si trovano ancor oggi (ricorso di I grado, pp.2-3; si tratta di fatti incontestati in causa);
– ciò premesso, la diocesi, con una serie di lettere, l’ultima delle quali del 6 marzo 2017 rivolta al Ministro dei beni e delle attività culturali e al Direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio, ha chiesto l’attivazione di “tutte le procedure necessarie” per il trasferimento dei dipinti della collezione nella propria disponibilità, ribadendo al contempo di esserne proprietaria (doc. ti ricorrente appellata in I grado 1, lettera 2 luglio 2015; 2, lettera 27 luglio 2015; 3, lettera 6 marzo 2017);
– l’amministrazione non ha dato una risposta, poiché agli atti consta solo una serie di note intese a trasmettere la lettera ai destinatari ritenuti di competenza. Precisamente, la Direzione Archeologia la trasmette alla Direzione Musei e alla Soprintendenza competente con lettera del 19 aprile 2017 (doc.4 in I grado ricorrente appellata); la Direzione Musei la trasmette al direttore del Museo di Taranto con lettera del 3 maggio successivo (doc.5 in I grado ricorrente appellata); la Soprintendenza, con lettera del 5 maggio 2017 afferma la competenza a provvedere del Museo ovvero della Direzione Musei (doc.6 in I grado ricorrente appellata);
– con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il ricorso proposto dalla diocesi contro il silenzio così formatosi: In particolare, ha ritenuto che la controversia fosse soggetta alla giurisdizione amministrativa, dati gli spazi di discrezionalità riconosciuti in proposito all’amministrazione, che fosse di competenza propria come TAR territoriale, dato che l’atto da emanare avrebbe avuto effetto solo nella circoscrizione locale, e nel merito che si trattasse di un silenzio illegittimamente serbato su istanze alle quali l’amministrazione era tenuta a rispondere;
– contro tale sentenza, il MIBACT ha proposto impugnazione, con appello depositato il giorno 26 ottobre 2018, appello che consta dei tre motivi di cui subito;
– con il primo di essi, deduce il difetto di giurisdizione in favore del Giudice ordinario;
– con il secondo motivo, deduce l’incompetenza del TAR territoriale in favore del TAR Lazio Roma, per esser stata l’istanza rivolta ad organi centrali dello Stato;
– con il terzo motivo, deduce infondatezza nel merito della pretesa, perché i quadri sarebbero ormai parte integrante delle collezioni del Museo che li ospita;
– con memoria depositata il giorno 26 novembre 2018, la Diocesi ricorrente appellata ha dedotto che l’amministrazione, con atto 27 agosto 2018 prot. n. 2036 allegato in copia, ha provveduto a dare esecuzione alla sentenza pronunciandosi nel merito; di conseguenza ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile ovvero respinto;
– l’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate;
– è infondata l’eccezione preliminare di inammissibilità proposta dalla Diocesi. A lettura del citato atto 27 agosto 2018, infatti, non si ricava dal suo contenuto una volontà univoca di riconoscere quanto statuito dalla sentenza di I grado, ovvero l’esistenza di un obbligo di provvedere, e un simile riconoscimento è stato escluso in modo espresso alla camera di consiglio di oggi dalla difesa dell’amministrazione, la quale ha affermato di avere interesse ad una decisione sul punto, a fini di chiarezza. Ciò posto, bisogna osservare che da un lato l’amministrazione può in generale emettere un atto per sua decisione anche quando non sia in alcun modo obbligata a farlo, e quindi il mero fatto di aver emesso l’atto citato non è decisivo, e dall’altro lato che l’amministrazione stessa, a meno che non vi rinunci in modo esplicito, ha effettivamente sempre interesse a che si accerti la legittimità o illegittimità del suo agire;
– ciò posto, l’appello è infondato nel merito;
– il primo motivo, inerente la giurisdizione, è infondato. Va infatti ricordato che ai sensi dell’art. 822 c.c. le raccolte dei musei, di cui in linea di fatto i quadri per cui è causa attualmente fanno parte, costituiscono beni demaniali, dei quali si può disporre non con ordinari atti di diritto civile, ma solo ai sensi delle leggi che li riguardano, come previsto dall’art. 823 c.c. Per disporre delle opere in questione, è quindi richiesto un provvedimento amministrativo, sul quale v’è la giurisdizione di questo Giudice: così per implicito C.d.S. sez. VI 23 giugno 2008 n. 3154, che si cita per tutte;
– il secondo motivo, centrato sulla presunta incompetenza territoriale del TAR adito, è a sua volta infondato: quand’anche l’atto da adottare fosse di competenza dell’amministrazione centrale del MIBACT, si tratterebbe infatti di un atto con effetti limitati alla circoscrizione del TAR stesso, entro la quale si trovano sia l’istituto che ha presso di sé le opere, sia la Diocesi che le reclama, e quindi di un atto la cui impugnazione è di competenza, appunto, del TAR territoriale, ai sensi dell’art. 13 comma 1 ultima parte c.p.a.;
– il terzo motivo va a sua volta respinto, perché parte da una premessa in fatto errata, ovvero che la sentenza di I grado, anziché limitarsi alla dichiarazione dell’obbligo di provvedere, sia entrata in qualche modo nel merito della pretesa, il che non è (si veda in particolare il § 3 della motivazione);
– la particolarità della controversia, sulla quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare le spese;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe (ricorso n. 8506/2018 R.G.), lo respinge.
Spese compensate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore

Avv. Renato D’Isa

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