Le guardie zoofile sono autorizzate al sequestro preventivo di un cane malnutrito e tenuto in pessime condizioni di salute

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|6 aprile 2021| n. 12961.

Se è vero che, in base al d.P.R. del 31 marzo 1979, l’ENPA ha perso il carattere di persona giuridica pubblica, è altrettanto vero che l’art. 5 del citato decreto presidenziale, pur avendo privato le guardie zoofile della qualifica di agenti di pubblica sicurezza, ha mantenuto alle stesse la qualifica di guardie giurate. Sicché, le guardie zoofile sono autorizzate al sequestro preventivo di un cane malnutrito e tenuto in pessime condizioni di salute dal proprietario, anche in base all’art. 6, comma 2, legge n. 189 del 2004, che testualmente prevede: “La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute”. In giurisprudenza, pur dovendo registrarsi un contrasto insorto sull’estensione del raggio di competenza delle guardie volontarie giurate delle associazioni zoofile riconosciute all’attività amministrativa compiuta con riferimento alla fauna selvatica, nessun problema interpretativo in ordine alla investitura degli operanti si pone invece nel caso di specie rientrando il cane, esemplare domestico per eccellenza, fra gli “animali da affezione”.

Sentenza|6 aprile 2021| n. 12961

Data udienza 26 febbraio 2021

Integrale
Tag – parola chiave: Maltrattamento animnali – Guardie zoofile (ENPA) – Cane tenuto in condizioni di cattiva salute e malnutrizione – Sequestro preventivo disposto d’urgenza dalle Guardie zoofile e convalidato dal GIP – Reati di cui agli artt. 727, 2° c. e 544 ter cod. pen. – Art. 6, c.2, Legge n. 189/2004 – Associazioni – Enti riconosciuti – Poteri e limiti di intervento – Animali da affezione e fauna selvatica – Giurisprudenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Mar – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la ordinanza in data 20.10.2020 del Tribunale di Pesaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GALTERIO Donatella;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 20.10.2020 il Tribunale di Pesaro ha confermato il sequestro preventivo disposto d’urgenza dalle Guardie zoofile e convalidato dal GIP di un cane di proprieta’ di (OMISSIS) in quanto trovato nella sua abitazione in condizioni di cattiva salute e malnutrizione ipotizzando nei confronti di costei i reati di cui all’articolo 727 c.p., comma 2 e articolo 544 ter c.p..
2. Avverso il suddetto provvedimento l’indagata ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale lamenta che le guardie zoofile che in quanto collaboratori dell’E.N.P.A, non erano ufficiali di polizia giudiziaria ma semplici guardie giurate avessero effettuato una perquisizione, in assenza dell’autorizzazione del magistrato ma a seguito di una segnalazione anonima, nella sua abitazione senza procedere all’avvertimento del diritto all’assistenza di un difensore e senza redigere un verbale degli atti non ripetibili, come contestato al Tribunale del Riesame senza ricevere alcuna risposta sul punto. In particolare, deduce che le spontanee dichiarazioni rese dalle persone indagate non erano state riportate in un verbale sottoscritto dai dichiaranti, ma unicamente richiamate nell’annotazione della polizia giudiziaria e che in ogni caso la prova acquisita in violazione dei diritti soggettivi dell’indagato, ovverosia attraverso una perquisizione non autorizzata non fosse utilizzabile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non puo’ ritenersi ammissibile.
Manifestamente infondata e’ la contestazione relativa al difetto di legittimazione degli agenti che hanno proceduto al sequestro di urgenza. La L. n. 189 del 2004, articolo 6, comma 2, testualmente prevede che “La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali e’ affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 c.p.p., alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute”. Al riguardo va puntualizzato che come sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, VI, n. 298 del 26/01/2007, peraltro in un caso riguardante proprio l’ENPA), le guardie zoofile di tale ente, pur non rivestendo la qualita’ di agenti di polizia giudiziaria, sono pur sempre “guardie giurate volontarie di un’associazione protezionistica nazionale riconosciuta”, atteso che la L. n. 611 del 1913, recante norme relative alle societa’ protettrici degli animali, prevedeva espressamente la possibilita’ di nomina da parte delle stesse societa’ di guardie, cui era da riconoscersi, ai sensi dell’articolo 7 della legge medesima, la qualifica di agenti di pubblica sicurezza, possibilita’ questa confermata dalla L. n. 612 del 1938, n. 612, istitutiva dell’E.n.p.a.); dunque, in presenza di un riconoscimento ex lege, ritenuto valido dal Consiglio di Stato, non appare pertinente l’obiezione difensiva circa l’assenza di un riconoscimento formale da parte dell’Autorita’ amministrativa. Ora, se e’ vero che, in base al Decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1979, l’ENPA ha perso il carattere di persona giuridica pubblica, e’ altrettanto vero che l’articolo 5 del citato decreto presidenziale, pur avendo privato le guardie zoofile della qualifica di agenti di pubblica sicurezza, ha mantenuto alle stesse la qualifica di guardie giurate.
Conseguentemente, non e’ percio’ dubitale che gli agenti che hanno proceduto alla misura cautelare abbiano agito nel legittimo esercizio delle loro competenze, nel senso che anche a tali figure sono estesi quei poteri di vigilanza altrimenti riconosciuti agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Invero, pur dovendo registrarsi un contrasto insorto in seno a questa stessa Corte sull’estensione del raggio di competenza delle guardie volontarie giurate delle associazioni zoofile riconosciute all’attivita’ amministrativa compiuta con riferimento alla fauna selvatica, nessun problema interpretativo in ordine alla investitura degli operanti si pone invece nel caso di specie rientrando il cane, esemplare domestico per eccellenza, fra gli “animali da affezione”.
Cio’ chiarito, deve escludersi che gli agenti abbiano proceduto ad alcuna perquisizione dell’abitazione dell’indagata nella quale risultano essere entrati, come rilevato dal Tribunale del riesame, con il consenso dei soggetti ivi presenti, senza quindi aver necessita’ di alcuna autorizzazione all’infuori di quella degli aventi diritto, ovverosia delle persone residenti nello stesso immobile.
Le ulteriori censure afferenti alla redazione del verbale dagli agenti intervenuti non risultano, per vero, essere mai state devolute al Tribunale abruzzese e non possono percio’ trovare ingresso nella presente sede di legittimita’. Deve essere al riguardo rilevato che nel giudizio di riesame, pur informato al principio decisorio, il quale si sostanzia nel potere per il Tribunale di annullare o riformare in senso favorevole all’imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’atto di impugnazione, cosi’ come di confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell’ordinanza cautelare (Sez. 1, n. 3769 del 21/10/2015 – dep. 28/01/2016, Lomonaco, Rv. 266003), resta ferma la regola secondo la quale la parte impugnante ha l’onere di specificare le proprie doglianze, sia pur non necessariamente in termini contestuali alla presentazione del gravame stante la facoltativita’, prevista dall’articolo 309 c.p.p., comma 6, della indicazione orale dei motivi a sostegno dello stesso. Essendo tale onere diretto a provocare il giudice del riesame a fornire risposte adeguate e complete, potendo altrimenti quest’ultimo fermarsi, in presenza di un provvedimento motivato, alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione della misura a condizione che dimostri di averlo valutato, ne consegue che, in mancanza di tale devoluzione, incorrono nella censura di inammissibilita’ le contestazioni svolte innanzi alla Corte di legittimita’ su punti che non possono trovare risposte per mancanza di cognizione addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere da parte di chi ha sollecitato il riesame (Sez., 6, n. 16395 del 10/01/2018 -dep. 12/04/2018, Contardo, Rv. 272982).
Segue a tale esito la condanna del ricorrente, a norma dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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