Le “acque minerali e termali”

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 23 agosto 2019, n. 5800.

La massima estrapolata:

Le “acque minerali e termali”, da un punto di vista normativo, hanno costituito per lungo tempo un’unica species del più ampio genus “patrimonio minerario”, nonostante i due beni presentino caratteristiche diverse e regimi amministrativi in parte differenziati.

Sentenza 23 agosto 2019, n. 5800

Data udienza 20 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1286 del 2015, proposto da
Li. Az. Te. Ve. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Pa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ti. Mo., Ma. La. e Ro. Sa., con domicilio eletto in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 3737/2014, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati An. Pa. e An. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con atto notificato nei tempi e nelle forme di rito, la società appellante:
a) premetteva di titolare di una concessione perpetua rilasciata in data 7/3/1937 originariamente alla Società in liquidazione “Fe. Or. e fi.”, successivamente trasferitagli giusta il decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania del 20/5/1982, sulla scorta della quale aveva avviato la propria attività alberghiero-termale;
b) esponeva, nella ridetta qualità, che la Regione Campania, con nota prot. 2011.0934595 del 7/12/2011 del Settore Ricerca e valorizzazione di Cave e Torbiere, Acque minerali e termali, aveva avviato “la formalizzazione della presa d’atto dell’intervenuta cessazione della concessione [perpetua], anche ai fini dell’adozione degli atti conseguenziali a tutela del patrimonio regionale e dell’ambiente”;
c) aggiungeva che, con delibera di Giunta regionale n. 7 del 23/1/2012, era stato approvato il disegno di legge avente ad oggetto la modifica della L.R. n. 8/2008, art. 44, co. 8 (dichiarato illegittimo da Corte Cost.. n. 1/2010, per violazione del riparto di competenze ex art. 117 Cost. da parte del legislatore regionale), con l’introduzione della disposizione per cui “in osservanza del principio generale di cui all’art. 252 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 318 (Disposizioni per l’attuazione del Codice civile), le concessioni perpetue date senza limiti di tempo, in essere alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’ambiente), a decorrere dalla medesima data [erano] trasformate in concessioni temporanee della durata di trenta anni e le relative subconcessioni [avrebbero avuto] durata di venti anni, salvo che il concessionario o il subconcessionario non incorr[essero] in motivi di decadenza”; era, inoltre, previsto che “l’esercizio della concessione [fosse] condizionato all’esito positivo della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) o della valutazione di incidenza (V.I.), se dovute, ferma restando l’acquisizione di tutte le autorizzazioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati previsti dalle leggi vigenti”;
d) precisava che la ridetta delibera consentiva, altresì , “in via eccezionale e per il tempo strettamente necessario al perfezionamento dell’iter legislativo, e in ogni caso non oltre diciotto mesi dalla pubblicazione sul BURC della […] deliberazione, la prosecuzione, a tutti gli effetti di legge, delle attività afferenti alle concessioni originariamente rilasciate come perpetue […] a condizione che: [fossero state] presentate […] entro 120 giorni dalla data di pubblicazione sul BURC della presente deliberazione, le istanze per l’avvio delle procedure previste […] in materia di impatto ambientale e valutazione di incidenza; non [fossero intervenute] cause di cessazione, revoca o decadenza […]; [fossero stati] rispettati gli obblighi e le prescrizioni previsti dalla normativa vigente e dai rispettivi provvedimenti concessori”;
e) assumeva di essere venuta a conoscenza della riassunta modifica normativa attraverso la nota prot. 2012.0070229, del Dirigente del Settore 12, con la quale si aggiungeva che il procedimento di cessazione della concessione perpetua “resta[va] sospeso, essendo la cessazione delle concessioni in parola prefigurabile ipso iure esclusivamente nel caso in cui non si dovesse pervenire alla promulgazione della legge il cui disegno [era] allegato alla stessa delibera, ovvero ciò non [fosse accaduto] entro 18 mesi dalla data di pubblicazione della delibera sul BURC”;
f) rammentava che gli atti richiamati erano stati impugnati dinanzi al TAR per la Campania, cui erano seguiti motivi aggiunti avverso il successivo provvedimento prot. 2013.0722569 del 21/10/2013 (conosciuto in data 5/11/2013, a seguito del deposito in giudizio effettuato dalla Regione Campania), con il quale la propria concessione perpetua era stata trasformata in temporanea trentennale, con decorrenza retroattiva a far data dal 12/8/2008;
g) lamentava che il primo giudice, con la gravata decisione, avesse dichiarato inopinatamente improcedibile il ricorso, per sopravvenuta carenza di interesse dovuta all’entrata in vigore della L.R. 5/2013, rigettando, altresì, i motivi aggiunti;
h) impugnava, con rituale atto di appello, affidato a plurimo ed articolato mezzo, la decisione in questione, di cui lamentava la complessiva erroneità ed ingiustizia, invocandone l’integrale riforma.
2.- Nella resistenza della intimata Amministrazione regionale, alla pubblica udienza del 20 dicembre 2018, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello non è fondato e merita di essere respinto.
2.- Osserva il Collegio – in conformità a quanto ritenuto dalla Sezione in relazione a fattispecie del tutto analoghe a quella in esame (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 giugno 2019, nn. 3785, 3786, 3787, 3788, 3789, 3790 et alia) – che, in termini generali, le “acque minerali e termali”, da un punto di vista normativo, hanno costituito per lungo tempo un’unica species del più ampio genus “patrimonio minerario”, nonostante i due beni presentino caratteristiche diverse e regimi amministrativi in parte differenziati.
Invero, le acque minerali e termali presentano caratteristiche chimiche e fisiche peculiari tali da giustificare la loro qualificazione come “acque speciali” rispetto a quelle “ordinarie”, cioè a dire le acque pubbliche (riconducibili al demanio idrico), alcune delle quali, in ragione della loro funzione di “bene vitale”, sono solitamente fruite attraverso un servizio a rete, con la garanzia dell’universalità dell’accesso.
Le acque minerali e termali, infatti, sono considerate una “merce”, come tale destinata al consumo (a seguito di imbottigliamento e sfruttamento commerciale, nel caso delle acque minerali) o all’utilizzo di massa (tramite la creazione di apposite strutture per la fruizione, come nel caso delle acque termali). In entrambi i casi tali attività sono comunque sottoposte a uno specifico regime autorizzatorio e concessorio.
Il bene “acque minerali e termali” va considerato da due distinti punti di vista: quello dell’uso o fruizione e quello della sua tutela (cfr. Corte cost. n. 1/2010).
Per lungo tempo l’ordinamento italiano si è occupato soltanto del primo aspetto, trascurando il secondo. L’influenza del diritto comunitario, connesso all’evoluzione del consumo e della fruizione delle acque minerali e termali nei termini di fenomeni di massa, ha comportato il convergere su questi beni di una serie di interessi pubblici tali da giustificare un regime giuridico speciale, articolato su diversi aspetti: 1) la tutela ambientale del bene; 2) la tutela della concorrenza nel mercato unico europeo; 3) la tutela igienico-sanitaria del consumatore.
Il quadro che ne deriva è un sistema di fonti articolato, che disegna una competenza distribuita tra diversi livelli di governo, con un ruolo sempre maggiore di quello regionale.
L’aspetto che qui interessa è il regime amministrativo della concessione, precipuamente per ciò che attiene alla titolarità dello sfruttamento e, segnatamente, alla sua durata.
In relazione alla durata delle concessioni, l’articolo 96, comma 8 del D. Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente) sancisce il principio generale della temporaneità di tutte le concessioni, la cui durata, salvo casi specificamente individuati, è, al massimo, di trenta anni.
La Corte Costituzionale (n. 1/2010 cit.) ha interpretato in maniera estensiva la norma, riconducendo anche le acque minerali e termali sotto il regime di tutela affermato dalla disposizione in parola. Quest’ultima, infatti, aveva dato origine a un conflitto di attribuzione fra Stato e regioni, le quali avevano eccepito l’invasione delle loro competenze in materia da parte dello Stato. La Corte costituzionale, con la sentenza richiamata, ha rigettato le eccezioni delle regioni ricorrenti, ammettendo la potestà dello Stato di stabilire un limite massimo di durata delle concessioni, e riconducendo tale potestà all’attività di tutela dell’ambiente, materia riconosciuta come trasversale, che, come tale, ricade tra le competenze esclusive dello Stato.
Fino al 2006, nelle more di una disciplina nazionale che ponesse un limite massimo, le regioni hanno stabilito autonomamente la durata di ciascun provvedimento concessorio, anche rilasciando concessioni perpetue. Con la norma statale che ne limita la durata, la perpetuità delle concessioni stipulate dopo l’entrata in vigore di tale limite è pacificamente vietata. La questione delle concessioni perpetue stipulate prima dell’entrata in vigore del limite è stata risolta in via interpretativa dalle regioni stesse, che hanno avvertito la necessità di definire uno specifico regime transitorio per le concessioni originariamente rilasciate come perpetue.
In proposito, di là da ogni altro rilievo, importa considerare che la Corte costituzionale, con sentenza n. 117 del 25 giugno 2015 (che si colloca in scia alle sentenze nn. 1/2010, 235/2011, 114/2012 e 28/2013), ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 104, della legge regionale Campania n. 16/2014, nella parte in cui aveva prorogato le concessioni scadute ed in fase di prosecuzione (art. 1, comma 104, lett. a), numero 1), ovvero destinate a scadere nei cinque anni successivi alla data di entrata in vigore della legge, sino all’approvazione del piano regionale di settore e comunque fino alla fine del 2019, perché in contrasto con la direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE, c.d. “Direttiva Bolkestein”, attuata con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, volta a favorire l’ingresso nel mercato di altri operatori economici, eliminando le barriere che alterino la concorrenza tra imprenditori, e la cui efficacia non può venire paralizzata neppure transitoriamente, se non per il periodo strettamente necessario ai fini della definizione della gara pubblica.
3.- Le esposte premesse danno atto della sopravvenuta prefigurazione di un complessivo quadro normativo di riferimento, all’interno del quale va collocata, ai fini della concreta vicenda che ne occupa, la previsione, di matrice transitoria, di cui alla legge regionale n. 5/2013, la quale – nella attivata prospettiva, comunitariamente imposta, di programmazione, secondo modalità concorrenziali, delle misure concessorie a regime, ha inciso sui procedimenti amministrativi di rinnovo automatico in essere, prefigurando, alla luce delle situazioni concrete, un esito alternativo di automatica riduzione al trentennio delle concessioni perpetue esistenti e di temporanea proroga quinquennale delle concessioni temporanee attive, in ogni caso precludendo la possibilità di esitare le domande già formalizzate alla luce del previgente sistema normativo.
Appare, per tal via, esatta l’argomentazione della impugnata decisione che, a fronte della impugnazione di un diniego di rinnovo automatico, ha ritenuto non più sussistente l’interesse alla definizione, in sede litigiosa, del rapporto amministrativo destinato, in ogni modo, ad essere prospetticamente disciplinato dal nuovo regime.
Risulta pertanto corretta la decisione di improcedibilità adottata dal primo giudice il quale ha rilevato che l’adozione della legge regionale n. 5 del 2013 (la quale ha previsto, per le concessioni del tipo per cui è causa, un rinnovo automatico limitato nel tempo, nelle more dell’adozione di un apposito piano di settore) rappresenta una circostanza sopravvenuta idonea a determinare una nuova e diversa disciplina dell’intera materia (e, in via mediata, a far venire meno l’interesse all’ulteriore coltivazione dell’originario ricorso).
Donde la corretta declaratoria di improcedibilità dell’odierno ricorso, che merita – alla luce delle considerazioni che precedono – di essere confermata: del che si mostra, in buona sostanza, edotto lo stesso appellante, che mira a contrastare l’esito decisorio nella esclusiva prospettiva della argomentata illegittimità costituzionale dell’ordito normativo regionale, la quale tuttavia – proprio alla luce dei precedenti e delle considerazioni che precedono – non può ritenersi sussistente.
4.- L’appello va, per tal via, respinto.
Sussistono giustificate ragioni, avuto riguardo alle peculiarità della materia del contendere, per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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