La tariffa per la gestione dei rifiuti

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 23 agosto 2019, n. 5792.

La massima estrapolata:

I provvedimenti che istituiscono e disciplinano la tariffa per la gestione dei rifiuti, pur avendo natura di atti generali, nella parte in cui costituiscono applicazione concreta anche delle disposizioni contenute nel d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, hanno un contenuto composito, in parte regolamentare ed in parte provvedimentale (con particolare riferimento a quella parte in cui stabiliscono il costo del servizio e la determinazione della tariffa, le modalità di applicazione della tariffa, le agevolazioni e le riduzioni tariffarie, le modalità di riscossione della tariffa, i coefficienti per l’attribuzione della parte fissa e della parte variabile della tariffa), che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento i quali, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa.

Sentenza 23 agosto 2019, n. 5792

Data udienza 22 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3969 del 2018, proposto da
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Eg. La. e Gi. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ma. in Roma, viale (…);
contro
Elena Ferraiuolo ed altri, non costituiti in giudizio;
ed altri;
per la riforma
della sentenza n. 1361/2018 emessa dal T.A.R. Campania – Napoli il 20.12.2017 e pubblicata il 2.3.2018, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di An. Ma., Lu. Ce., Lu. Um. Pe. e Vi. Ga.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 novembre 2018 il Cons. Giovanni Grasso e udito l’avvocato Sa. De. Co. su delega dell’avvocato Gi. Ci.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con ricorso notificato il 29 giugno 2016 e depositato il 19 luglio successivo, gli odierni appellati impugnavano dinanzi al Tribunale amministrativo regionale partenopeo, nella allegata qualità di possessori o detentori, a vario titolo, di unità immobiliari destinate a civili abitazioni e ubicate nel territorio comunale di Castel Volturno, e, come tali, soggetti passivi della TARI (tassa sui rifiuti) per le utenze domestiche la delibera del Consiglio comunale di Castel Volturno n. 17 del 29 aprile 2016, (avente per oggetto “Approvazione piano finanziario e tariffe della componente TARI (tributo servizio rifiuti) anno 2016, conferma aliquote e tariffe per IMU, TASI, CIMP, TOSAP, N. 03371/2016 REG.RIC. affissioni, nella misura vigente nel 2015”), nella parte in cui aveva fissato le tariffe TARI per l’anno 2016.
A supporto del gravame, criticamente assumevano che la delibera in questione, a fronte di una contrazione del costo complessivo del servizio di gestione dei rifiuti, avrebbe aumentato la tariffa TARI relativa alle utenze domestiche e, per converso, ridotto quella relativa alle utenze non domestiche.
Con la sentenza epigrafata, il primo giudice – ritenuta la propria giurisdizione e respinte le formulate eccezioni di inammissibilità – accoglieva il ricorso, sul complessivo ed argomentato assunto che la delibera impugnata non fosse supportata da idonea ed adeguata base istruttorio-motivazionale, segnatamente sotto il censurato profilo dell’incremento della tariffa TARI relativa alle utenze domestiche e del contestuale decremento di quella relativa alle utenze non domestiche.
Con atto di appello, proposto nelle forme e nei tempi di rito, il Comune di (omissis) impugna la sentenza, di cui lamenta la complessiva erroneità ed ingiustizia, invocandone l’integrale riforma.
Nel rituale contraddittorio delle parti, alla pubblica udienza del 22 novembre 2018, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello non è fondato e merita di essere respinto.
Con unico, articolato motivo di gravame, il Comune appellante evidenzia che, ad avviso del primo giudice, nella determinazione delle tariffe TARI relative all’anno 2016 sarebbe incorso in un esiziale difetto di motivazione in quanto, a fronte di una diminuzione di quasi Euro 200.000,00 del costo del servizio di gestione rifiuti rispetto a quello sostenuto nell’anno 2015, avrebbe deliberato un incremento della tariffa TARI, per l’anno 2016, relativa alle utenze domestiche ed un contestuale decremento della medesima tariffa per le utenze non domestiche, senza fornire un’adeguata giustificazione in ordine a tale scelta. Opina, tuttavia, che siffatta argomentazione scaturisca da un approccio superficiale alla tematica in esame che non terrebbe in adeguato conto, da un lato, della natura pressoché vincolata del criterio di calcolo imposto dal D.P.R. n. 158/1999, quale oggettivamente esplicitato nelle tabelle allegate alla impugnata delibera n. 17 del 29.4.2016 – che attestavano il raggiungimento dell’obiettivo per legge imposto, ancorato all’integrale copertura del costo del servizio – e, dall’altro, del fatto che detto calcolo trovasse sua evidente giustificazione e costituisse coerente applicazione delle modifiche apportate dalla delibera n. 16 del 29.4.2016 al regolamento IUC con specifico riferimento alla determinazione della tariffa relativa alle utenze domestiche dei non residenti. Modifiche, queste ultime, che, seppur impugnate nel ricorso proposto, non erano state oggetto di specifiche censure da parte dei ricorrenti e, quindi, come tali, dovevano ritenersi incontestate.
2.- Il motivo non può essere accolto,
Importa premettere, in termini generali, che la legge n. 147/2013 (“legge di stabilità ” per l’anno il 2014), istitutiva della TARI, al fine di determinare le tariffe, consente ai Comuni o di utilizzare i coefficienti prefissati dal D.P.R. n. 158/1999 (art. 1, c. 651) ovvero, alternativamente, di stabilire (in maniera autonoma) le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea, moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l’anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti determinati dallo stesso Comune.
Più precisamente, in conformità alla esatte premesse valorizzate dall’Amministrazione appellante, in base all’art. 1, c. 651, della citata L. n. 147/2013, l’Ente, nella commisurazione della tariffa, può tener conto “dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158”: la tariffa è, in tal senso, predeterminata entro i coefficienti previsti dal medesimo Decreto.
Inoltre, ai sensi dell’art. 1, c. 652, della stessa legge,, “il comune, in alternativa ai criteri di cui al comma 651 e nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’articolo 14 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti, può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l’anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti”.
Nel caso in esame, come risulta dall’art. 32 del regolamento per la disciplina dell’Imposta Unica comunale (IUC) (approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 17 del 10.9.2014) il Comune di (omissis) ha determinato le tariffe in applicazione di quanto previsto dall’art. 1, c. 651, della citata L. n. 147/2013, ovvero “sulla base delle disposizioni contenute nel Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158”: con ciò, non ha inteso procedere alla determinazione in via autonoma dei coefficienti utilizzabili per la determinazione delle tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea (come sarebbe successo qualora avesse adottato il criterio di cui all’art. 1, c. 652), ma ha fatto riferimento unicamente ai coefficienti preventivamente stabiliti dal citato DPR n. 158/1999.
Quest’ultimo disciplina, in particolare, il “metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo da coprirsi con le entrate tariffarie e per la determinazione della tariffa di riferimento relativa alla gestione dei rifiuti urbani”: la tariffa di riferimento, che rappresenta “l’insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali” (art. 2), è, quindi, composta da una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione (art. 3) ed è articolata nelle fasce di utenza ‘domestica’ e ‘non domestica’ (art. 4).
Il calcolo, come ancora rammenta il Comune, viene effettuato applicando le tabelle contenute nell'”allegato 1″.
Per le ‘utenze domestiche’, l’importo dovuto a titolo di parte fissa, viene determinato, applicando un “coefficiente Ka” “di adattamento per superficie e numero di componenti del nucleo familiare”, variabile in relazione al “numero di componenti del nucleo familiare” e alla zona geografica (nord, centro e sud) in misura già stabilita dallo stesso regolamento (all.1 al DPR n. 158/1999, punto 4.1). L’importo dovuto a titolo di parte variabile è analogamente determinato attraverso l’applicazione di un coefficiente, denominato “Kb”, “di produttività per numero di componenti del nucleo familiare”, che varia in relazione a tale numero, in base ad un limitato range (all.1, punto 4.2)
Per le “utenze non domestiche”, allo stesso modo, l’importo dovuto a titolo di parte fissa, viene determinato, applicando un “coefficiente Kc” di “di potenziale produzione” prestabilito, tra un minimo ed un massimo, in relazione alle diverse tipologie di attività e alle aree geografiche suddivise tra nord, centro e sud (all.1, punto 4.3) L’importo dovuto a titolo di parte variabile è parimenti calcolato attraverso l’applicazione del coefficiente “Kd” “di produzione kg/q anno”, anch’esso prestabilito, tra un minimo ed un massimo, in relazione alle diverse tipologie di attività e alle aree geografiche (all.1, punto 4.4.).
Può convenirsi che, fino a questo punto, la discrezionalità dell’ente (che abbia optato per la valorizzazione dei rammentati criteri regolamentari) sia sufficientemente predeterminata e limitata, al segno che alcun particolare dovere motivazione sussisterebbe, una volta garantito il rispetto del range previsto dalle tabelle allegate al D.P.R. n. 158/1999, in maniera tale da conseguire l’obiettivo normativamente prestabilito che è quello della integrale copertura del costo del servizio.
Nel caso di specie, del resto, il Comune di (omissis), nella delibera di approvazione della tariffa per l’anno 2016, ha correttamente richiamato l’art. 1, comma 27, della legge n. 208/2015, il quale ha prorogato al 2016 e 2017 la possibilità per i comuni di utilizzare il metodo semplificato nella determinazione delle tariffe della TARI ed ha tenuto conto, ai fini della determinazione delle tariffe, del fatto che le utenze erano state suddivise in domestiche e non domestiche, secondo la classificazione approvata con regolamento comunale.
Nondimeno, importa osservare, la circostanza che il Comune di (omissis) abbia fatto applicazione del c.d. metodo normalizzato per la determinazione della tariffa non appare decisivo.
Non sono, in effetti, in discussione i coefficienti per l’attribuzione della parte fissa (ka) e per l’attribuzione della parte variabile (kb) della tariffa alle utenze domestiche, invariati rispetto alla precedente annualità di imposta. È vero, invece, che, nel ripartire ai sensi dell’articolo 4 comma 2 del DPR 158 del 4 Giugno 1999 la tariffa tra le categorie di utenza domestica e non domestica, a fronte della diminuzione del costo complessivo del servizio (parte fissa pressoché invariata e parte variabile diminuita), il Comune ha inteso diminuire (senza alcuna motivazione), la tariffa per tutte le categorie di utenze non domestiche ed ha aumentato la tariffa esclusivamente per le utenze domestiche, con ciò sostanzialmente prefigurando (a fronte di una complessiva diminuzione dei costi per il servizio di raccolta dei rifiuti) un aumento per le sole utenze domestiche, a vantaggio di quelle non domestiche.
Del resto, la circostanza, idoneamente valorizzata da parte appellata, che la diminuzione dei costi registrata dall’Ente (circa 200.000,00 euro grazie alla raccolta differenziata) avrebbe dovuto agevolare (e non penalizzare) le utenze domestiche: il che trova conferma dall’avviso TARI anno 2017 del 21 Marzo 2017, allegato agli atti del giudizio, in “si rende noto che grazie […] alla collaborazione della cittadinanza attraverso l’aumento della raccolta differenziata, quest’anno le tariffe Tari hanno subito una riduzione media del 12% (utenze domestiche)”.
Di fatto, la allegata imputabilità della diminuzione dei costi del servizi alla funzionalità della raccolta differenziata non rende intellegibili le ragioni per le quali – a dispetto della non discussa utilizzazione del metodo normalizzato – si sia decisa un aumento dei costi del servizio per le utenze domestiche ed una corrispondente diminuzione per quelle non domestiche.
Né migliore intellegibilità è dato ancorare, a dispetto degli auspici della difesa comunale, alle modifiche apportate al Regolamento IUC con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 16 del 29 Aprile 2016, con cui il Comune aveva stabilito di modificare i criteri per il calcolo della TARI per le utenze domestiche dei non residenti, sostituendo al precedente criterio ancorato al parametro dei mq/numero di occupanti (il numero di occupanti dell’immobile essendo determinato ai metri quadri dell’unità da tassare) con quello presuntivo di n. 2 componenti per ogni unità immobiliare: e ciò in quanto la disciplina per le utenze domestiche dei non residenti aveva, in effetti, determinato soltanto la diminuzione dei componenti che presuntivamente potevano produrre rifiuti, con il che le utenze domestiche avrebbero dovuto produrre, per l’anno 2016, meno rifiuti rispetto a quelli dell’anno precedente, di nuovo non comprendendosi, in assenza di ulteriori e specifici supporti giustificativi, l’aumento generalizzato, ad esclusivo vantaggio delle utenze dei non residenti.
In definitiva, il ricorso merita di essere deciso alla luce del principio, già affermato da questo Consiglio, secondo cui “i provvedimenti che istituiscono e disciplinano la tariffa per la gestione dei rifiuti, pur avendo natura di atti generali, nella parte in cui costituiscono applicazione concreta anche delle disposizioni contenute nel d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, hanno un contenuto composito, in parte regolamentare ed in parte provvedimentale (con particolare riferimento a quella parte in cui stabiliscono il costo del servizio e la determinazione della tariffa, le modalità di applicazione della tariffa, le agevolazioni e le riduzioni tariffarie, le modalità di riscossione della tariffa, i coefficienti per l’attribuzione della parte fissa e della parte variabile della tariffa), che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento i quali, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa” (Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2012 n. 539; cfr., altresì, pe ana ordine di criteri in distinta fattispecie, Id., sez. V, 1° agosto 2015, n. 3781).
3.- Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata merita conferma.
Sussistono, in considerazione delle peculiarità della fattispecie, giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *