Lavoro autonomo e subordinato cosa rileva ai fini della distinzione

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 15 ottobre 2018, n. 25711.

La massima estrapolata:

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non è agevolmente apprezzabile a causa delle peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, il nomen iuris adoperato dai contraenti, sfornito di un valore assoluto e dirimente, non può essere del tutto pretermesso e rileva come elemento sussidiario.

Sentenza 15 ottobre 2018, n. 25711

Data udienza 17 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 1917-2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
FONDAZIONE (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio ( (OMISSIS)), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1035/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 07/11/2013 r.g.n. 2063/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/05/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa citta’ che aveva rigettato le domande di (OMISSIS) e di altri sette lavoratori tese ad ottenere l’accertamento della illegittimita’ dei termini apposti ai contratti intercorsi con la Fondazione (OMISSIS) con tutte le conseguenze in ordine alla costituzione dei rapporti a tempo indeterminato, con inquadramento nel livello C2 del c.c.n.l. Federculture e al risarcimento del danno.
2. Il giudice di secondo grado, al pari del Tribunale, ha accertato che ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa erano seguiti contratti di lavoro a progetto, ai sensi del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 61; che le modalita’ di svolgimento del rapporto erano compatibili con tale tipologia contrattuale; che negli aspetti formali i contratti non presentavano profili di illegittimita’; che con specifico riferimento al progetto era ben individuato il risultato da conseguire che era, necessariamente, correlato all’attivita’ ed ai fini della Fondazione.
3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso solo (OMISSIS) che articola quattro motivi. Resiste con controricorso la Fondazione (OMISSIS). Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso e’ denunciata la violazione dell’articolo 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e la violazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
4.1. Nel rammentare di aver lavorato alle dipendenze della Fondazione in virtu’ di vari contratti – prima con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1993, articolo 49, poi due contratti di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 2222 c.c. e da ultimo un contratto a progetto anche prorogato evidenzia che in tutti i casi il rapporto si era svolto con le caratteristiche proprie della subordinazione. Deduce che ne’ il giudice di primo grado ne’, poi, la Corte di appello, cui la questione era stata riproposta, avevano ammesso la prova articolata e finalizzata a dimostrare l’esistenza in concreto degli allegati indici della subordinazione. In particolare il giudice di appello non aveva chiarito le ragioni per le quali aveva ritenuto che i testi indicati e le circostanze articolate non erano rilevanti per provare le modalita’ concrete con cui si era svolto il rapporto. Osserva quindi che, cosi’ facendo, la Corte territoriale era incorsa nella denunciata violazione dell’articolo 2697 c.c. ed inoltre, avendo riprodotto pedissequamente la motivazione della sentenza di primo grado senza neppure dare conto delle ragioni di tale adesione, aveva sostanzialmente omesso di pronunciare sulle censure formulate ed aveva violato i principi in tema di non contestazione, le regole sulla ricerca della verita’ materiale e nel valutare le prove non si era attenuta ai canoni di ragionevolezza.
5. Il motivo e’ infondato.
5.1. Il giudice di appello nella ricostruzione del materiale probatorio acquisito non e’ incorso nella denunciata violazione dell’articolo 2697 c.c. che, come e’ noto, ricorre solo nel caso in cui venga posto a carico della parte che non ne e’ onerata la prova dei fatti costitutivi del diritto azionato o delle eccezioni opposte. Nella censura si discute piuttosto della mancata ammissione della prova testimoniale la cui rilevanza, tuttavia, e’ valutata dalla Corte di appello che ha ritenuto che non fosse idonea a dimostrare la deviazione dal modello legale contrattuale scelto dalle parti in favore della rivendicata subordinazione. Neppure e’ ravvisabile quella violazione dell’articolo 112 c.p.c. atteso che la Corte di merito ha pronunciato su tutte le domande e le eccezioni articolate nel giudizio con motivazione che sposa le argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado filtrandole attraverso le censure mosse con l’appello (cfr. Cass. 05/05/2017 n. 11017 ed ivi ulteriori riferimenti di giurisprudenza). Quanto alla denunciata violazione degli articoli 115 e 116, alla violazione del principio di non contestazione e della “regola della ricerca della verita’ materiale e (…) della ragionevolezza del giudizio sulle prove rese” va rilevato che la censura e’ generica poiche’ non chiarisce rispetto a cosa l’accertamento dei fatti avrebbe violato il principio di non contestazione. Quanto alla ricerca della verita’ materiale ed al giudizio di ragionevolezza sulle prove si osserva che le prove sono state oggetto di valutazione da parte del giudice di secondo grado il quale, secondo il suo prudente apprezzamento ha ricostruito i fatti. Nel contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della verita’ materiale, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito verificare se le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine che, insufficienti le prove gia’ acquisite, autorizzino l’esercizio dei poteri officiosi. Tuttavia, mentre deve esserci sempre la specifica motivazione dell’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio ex articolo 421 c.p.c., il mancato esercizio di questi va motivato soltanto in presenza di circostanze specifiche quali la sollecitazione di una delle parti che, nel caso in esame, non risulta esservi stata (arg. ex Cass. 24/10/2007 n. 22305 e 16/05/2002 n. 7119).
6. Con il secondo motivo di ricorso e’ denunciata la violazione degli articoli 2094, 2222 e ss, 2697 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la violazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
6.1.Erroneamente il giudice di appello avrebbe omesso di prendere in considerazione le prove tese all’accertamento del potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, trascurando di analizzare gli ulteriori indici presuntivi della subordinazione: l’obbligo di osservare un orario predeterminato, le modalita’ di calcolo della retribuzione (a tempo e non a prestazione), il controllo esercitato sulle modalita’ in cui era resa la prestazione, l’assenza di rischio imprenditoriale. Tutti questi elementi, se complessivamente valutati, avrebbero dovuto convincere il giudice del merito della natura subordinata del rapporto.
6.2 Le medesime argomentazioni sono proposte anche sotto il diverso profilo del vizio di motivazione nel terzo motivo di ricorso evidenziandosi che i fatti sopra richiamati, oggetto dei capitoli di prova non ammessi, se presi in esame avrebbero portato ad un esito diverso del giudizio.
7. Le censure, da esaminare congiuntamente, sono in parte infondate ed in parte inammissibili. Esse mirano ad ottenere da questa Corte una diversa e piu’ favorevole valutazione dei fatti acquisiti al processo ed una valutazione degli stessi diversa rispetto a quella effettuata dal giudice del merito.
7.1. In piu’ occasioni questa Corte ha affermato che fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarita’ delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari – come quelli della collaborazione, della continuita’ delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attivita’ lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale – che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione (cfr. s.u. 30/06/1999 n. 379 le cui affermazioni sono rimaste nel tempo costanti, cfr di recente Cass.12/04/2017 n. 9401). Cio’ vale a maggior ragione nel caso in cui le parti abbiano convenuto un determinato assetto del rapporto tra loro intercorrente/ nel qual caso e’ necessario dimostrare che l’essenziale elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nel concreto svolgimento del rapporto medesimo. E’ pacifico che la formale qualificazione delle parti in sede di conclusione del contratto individuale non impedisce di accertare il comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro, al fine della conseguente qualificazione giuridica dello stesso come lavoro autonomo ovvero lavoro subordinato (cfr. tra le molte la gia’ ricordata Cass. 12/04/2017 n. 9401 ed ivi le richiamate Cass. 08/04/2015 n. 7024, 21/10/2014 n. 22289 Cass. n. 19568 del 2013, 09/08/2013 n. 19114, 15/06/2009 n. 13858, 21/10/2005 n. 20361). Tuttavia “il nomen juris adoperato dai contraenti, sfornito di un valore assoluto e dirimente, non puo’ essere del tutto pretermesso e rileva come elemento sussidiario, quando si riveli difficile tracciare il discrimine tra l’autonomia e la subordinazione” (cfr. Corte Cost. 07/05/2015 n. 76). Fermo il rispetto dei criteri su indicati che delineano il concetto di subordinazione e lo distinguono da figure affini, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto ed e’ censurabile in Cassazione solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (cfr. la gia’ citata Cass. n. 9401 del 2017 anche le richiamate Cass. n. 14434 del 2015, n. 4346 del 2015, n. 9808 del 2011, n. 23455 del 2009 e n. 26896 del 2009). Appartiene al giudice di merito anche la valutazione dei fatti che concretano gli indici sintomatici della subordinazione, al fine di esprimere un giudizio complessivo dei medesimi che sintetizzi le ragioni per le quali da essi si sia tratto il convincimento circa la sussistenza o meno della subordinazione.
7.2. Tanto premesso va rilevato che la Corte territoriale nell’escludere l’esistenza di un rapporto di lavoro caratterizzato dal vincolo della subordinazione, ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati avendo verificato, in esito all’esame degli accordi intercorsi tra le parti e delle concrete modalita’ di svolgimento della prestazione, che non era risultato provato quello stabile inserimento nell’organizzazione produttiva con assoggettamento al potere organizzativo del datore di lavoro dando atto di aver preso in esame anche quegli elementi accessori, quali l’orario, i controlli sulla qualita’ del servizio reso, l’obbligo di indossare un abbigliamento consono ed un badge di identificazione, sottolineando che si trattava di regole minime compatibili con la natura autonoma della prestazione.
7.3. Le censure, nel proporre una diversa lettura delle circostanze accertate, si sostanziano allora in una richiesta di nuovo e diverso esame delle stesse che, proprio perche’ la Corte di merito ha fatto corretta applicazione degli elementi sintomatici della subordinazione, non e’ consentita al giudice di legittimita’.
8. Con il quarto motivo di ricorso, con specifico riguardo ai contratti a progetto intercorsi tra le parti, ci si duole del fatto che, a fronte di una articolata e puntuale contestazione nell’atto di appello della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto sussistente un progetto, la Corte di merito si era limitata a riprodurre la motivazione della sentenza impugnata senza rispondere affatto alla censura ad essa mossa, cosi’ incorrendo nella denunciata violazione dell’articolo 112 c.p.c..
9. La censura prima ancora che infondata e’ inammissibile poiche’, pur denunciando la sostanziale riproduzione da parte del giudice di appello della sentenza di primo grado non ne riproduce il contenuto rendendo impossibile alla Corte di apprezzare, dalla lettura del ricorso la fondatezza o meno della censura. Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato articolo 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione e’ giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimita’ di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilita’, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito, dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi (cfr. tra le altre Cass. 19/03/2007 n. 6361 e piu’ recentemente 20/05/2016 n. 10551).
10. In conclusione il ricorso, infondato, deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater di da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13, comma 1 bis del citato d.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Avv. Renato D’Isa