Lavoratore e le condotte in contrasto con i doveri aziendali

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 ottobre 2024| n. 26181.

Il lavoratore e le condotte in contrasto con i doveri aziendali

Massima: Dall’integrazione dell’obbligo di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., con i principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. deriva che il lavoratore deve astenersi da qualsiasi condotta, anche extralavorativa e potenzialmente dannosa, che sia in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa, o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto. (Fattispecie relativa a dirigente di azienda speciale, istituita presso la locale camera di commercio per la salvaguardia di interessi pubblici, che aveva assunto la carica di consigliere delegato, con poteri di rappresentanza legale, di impresa privata di cui era anche socio).

 

Ordinanza|7 ottobre 2024| n. 26181. Il lavoratore e le condotte in contrasto con i doveri aziendali

Data udienza 11 settembre 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Lavoro – Lavoro subordinato (nozione, differenze dall’appalto e dal rapporto di lavoro autonomo, distinzioni) – Diritti ed obblighi del datore e del prestatore di lavoro – Obbligo di fedelta’ – In genere obbligo di fedeltà – Contenuto – Integrazione con i principi di correttezza e buona fede – Necessità – Comportamenti anche solo potenzialmente lesivi – Violazione dell’obbligo di fedeltà – Configurabilità – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 2766-2022 proposto da:

Va.Lu., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AN.VI., presso lo studio dell’avvocato MA.FU., rappresentato e difeso dall’avvocato PI.AL.;

– ricorrente –

contro

LL.S. S.A., che ha assunto il rischio derivante dai certificati nn. (Omissis) e (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GI.SI., presso lo studio dell’avvocato FR.CO., rappresentata e difesa dall’avvocato AN.BE.;

– controricorrente –

nonché contro

CISE – CENTRO PER L’INNOVAZIONE E LO SVILUPPO ECONOMICO – AZIENDA SPECIALE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DELLA ROMAGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MA.5., presso lo studio dell’avvocato PA.CA., rappresentata e difesa dagli avvocati PI.GI., MA.BE.;

– controricorrente –

nonché contro

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DELLA ROMAGNA FORLÌ – CESENA E RIMINI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MA.5., presso lo studio dell’avvocato PA.CA., rappresentata e difesa dagli avvocati PI.GI., MA.BE.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 903/2021 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 09/11/2021 R.G.N. 669/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

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RILEVATO CHE

1. la Corte di Appello di Bologna, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui era stata respinta l’impugnativa del licenziamento per giusta causa, intimato il 19 gennaio 2017, dal Centro per l’Innovazione e lo Sviluppo Economico (C.I.S.E.) all’Ing. Va.Lu., “direttore con rapporto dirigenziale privatistico” di un’Azienda speciale istituita presso la Camera di Commercio della Romagna, Forlì-Cesena e Rimini, “attiva nel settore informatico, di certificazione della responsabilità sociale delle imprese e di consulenza e sviluppo progetti su temi legati all’innovazione”;

2. la Corte territoriale, in estrema sintesi, premesso che al dirigente era stato contestato “di aver assunto la carica di consigliere delegato, con poteri di rappresentanza legale, della società Eu. Spa, di cui il ricorrente era anche socio”, ha ritenuto, come il primo giudice, che questi avesse “violato scientemente i doveri di lealtà e fedeltà all’Azienda”, “perché il doppio ruolo assunto dall’Ing. Va.Lu. ha, nei fatti, leso il principio di terzietà e di indipendenza che deve essere richiesto al direttore di un’azienda avente finalità pubbliche e di interesse generale, nata quale braccio operativo di un ente pubblico”;

la Corte ha anche condiviso col Tribunale l’assunto che, nella specie, non risultasse violato il principio della immediatezza della contestazione disciplinare, atteso che il preteso ritardo non aveva leso il diritto di difesa dell’incolpato, né il tempo trascorso poteva avere indotto nel dipendente il convincimento che l’azienda non ritenesse sanzionabile il suo comportamento;

3. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il soccombente con sei motivi; hanno resistito con distinti controricorsi l’Azienda speciale, la Camera di Commercio nonché la LL.S. S.A., società assicuratrice chiamata in garanzia dalle convenute sin dal giudizio di primo grado;

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tutte le parti hanno comunicato memorie, ad eccezione dell’società assicuratrice;

all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

CONSIDERATO CHE

1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;

1.1. il primo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2105 cc in relazione alla mancata distinzione, da parte della Corte di Appello, tra i tre diversi istituti a) della concorrenza, b) della incompatibilità tra cariche e c) del “conflitto di interessi” e loro rispettiva inapplicabilità a fini disciplinari alla fattispecie concreta”; si critica diffusamente la sentenza impugnata perché avrebbe valutato “la fattispecie in termini di incompatibilità ovvero di ricorrenza di pericolo di conflitto di interessi astratti e determinati tra le due cariche – incompatibilità che non esiste – e conflitto di interessi in concreto che, però, non si è presentato”;

1.2. il secondo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc in ordine alla pretesa sussumibilità alla fattispecie di giusta causa di due brevi assenze del Dirigente Va.Lu. dal luogo di lavoro presso il C.I.S.E.”; si eccepisce: “un microscopico episodio come la presenza dell’Ing. Va.Lu. a delle riunioni del CdA di Eu. Srl tenutesi a Faenza il giorno 30 ottobre 2015, con impegno di 4 ore (dalle 9.00 alle 13.00) “sottratte alla possibile presenza presso il C.I.S.E., non può essere considerato non, diciamo, una giusta causa, ma nemmeno un semplice lieve inadempimento, perché, risaputamente, i Dirigenti non devono osservare un orario di lavoro”;

1.3. il terzo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc, nonché dall’art. 2104, secondo comma, cc (dovere di obbedienza) in ordine alla sussumibilità alla fattispecie di giusta causa (per insubordinazione) del rifiuto dell’Ing. Va.Lu. di “optare”, su richiesta del CdA del C.I.S.E., per l’una o per l’altra carica”; si sostiene che, in mancanza di una incompatibilità tra le due cariche, il rifiuto di scegliere non costituisce insubordinazione ma esercizio di una libertà;

1.4. il quarto motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc in ordine alla sussumibilità alla fattispecie di giusta causa dell’utilizzo (compensato) dei tecnici del C.I.S.E. per la registrazione del dominio (Omissis)”; si argomenta che tale registrazione realizzata con tecnici dell’Azienda speciale in favore della società privata di cui il Va.Lu. era amministratore e socio avrebbe richiesto “un impegno lavorativo di una sola persona e che il prezzo di un simile servizio si aggira sui 40 Euro”, regolarmente fatturato da Eu. Srl;

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1.5. il quinto mezzo lamenta che comunque tale episodio non sarebbe stato oggetto di contestazione disciplinare, per cui sarebbe stato anche violato l’art. 7 St. lav.;

1.6. con l’ultimo motivo si denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 Legge 20 maggio 1970 n. 300 e art. 2119 c.c. in relazione alla tardività della contestazione disciplinare e del licenziamento”; premesso che il Va.Lu. nell’ottobre del 2015 aveva manifestato al Presidente del C.I.S.E. l’intenzione di partecipare alla Ne.Eu. Srl, si giudica “erroneo ritenere che la manifestazione e comunicazione dell’intento di procedere ad una determinata azione e comportamento (nella specie, partecipazione ad una società commerciale) rivolte al datore di lavoro, ed in temini seri e non ipotetici, possano essere considerati irrilevanti ai fini disciplinari qualora il datore di lavoro li valuti come disciplinarmente illegittimi”; si deduce che, comunque, l’Azienda speciale aveva avuto conoscenza dell’assunzione della carica amministrativa da parte del Va.Lu. nella società privata “dalla primavera dell’anno 2016”, per cui la contestazione disciplinare avvenuta il 21 dicembre 2016 dopo sei mesi sarebbe tardiva;

2. i primi cinque motivi, esaminabili congiuntamente per connessione in quanto censurano, sotto vari profili, la sussistenza della giusta causa di recesso ritenuta dalla Corte territoriale, non possono trovare accoglimento;

2.1. in diritto, opportuno premettere che, per giurisprudenza pacifica, l’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 cod. civ., dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 cod. civ., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro (tra le altre: Cass. n. 2550 del 2015; Cass. n. 14176 del 2009);

l’obbligo di fedeltà, così integrato, deve quindi intendersi non soltanto come mero divieto di abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi, ma anche come divieto di condotte che siano in contrasto con i doveri connessi con l’inserimento del dipendente nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (cfr., ex aliis, Cass. n. 8711 del 2017; Cass. n. 14249 del 2015; Cass. n. 144 del 2015; Cass. n. 25161 del 2014; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 5629 del 2000);

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giova sottolineare che è sufficiente anche la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno (v. Cass. n. 313 del 1996; Cass. n. 512 del 1997; Cass. n. 8208 del 1998; Cass. n. 7990 del 2000; Cass. n. 6957 del 2005; Cass. n. 2474 del 2008;

più di recente Cass. n. 2550/2015 cit.), atteso che occorre valutare la idoneità del comportamento a produrre un pregiudizio potenziale, per sé stesso valutabile nell’ambito della natura fiduciaria del rapporto, indipendentemente dal danno economico effettivo, la cui entità ha un rilievo secondario e accessorio nella valutazione complessiva delle circostanze di cui si sostanzia l’azione commessa (Cass. n. 13536 del 2002);

invero, è noto che, in tema di licenziamento per giusta causa, nella valutazione dell’idoneità della condotta ad incidere sulla persistenza dell’elemento fiduciario, occorre avere riguardo anche alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento richiesto dalle mansioni espletate (cfr. tra molte Cass. n. 1978 del 2016) ed è chiaro che nel rapporto di lavoro dirigenziale il profilo del vincolo fiduciario assume peculiare rilievo, con accentuazione degli obblighi di fedeltà e diligenza, stante il rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, del quale è un “alter ego”, occupando una posizione di particolare responsabilità e collocandosi al vertice dell’organizzazione aziendale, svolgendo mansioni tali da improntare la vita dell’azienda (cfr. Cass. n. 394 del 2009);

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l’accertamento di tali elementi, così come, in particolare, la mera preordinazione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro, che sia potenzialmente lesiva, concreta un accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, sindacabile in sede di legittimità nei ristretti limiti in cui lo è ogni accertamento di fatto;

2.2. ciò posto, con i motivi in esame, la parte ricorrente non enuclea realmente errori di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale e manca di evidenziare in qual modo la sentenza impugnata si sarebbe discostata dai precedenti di legittimità citati, con i quali non si confronta adeguatamente;

piuttosto si limita a contestare l’accertamento di fatto, peraltro concordemente effettuato dai giudici del merito con le conseguenti preclusioni derivanti dalla cd. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, D.Lgs. n. 149 del 2022), in ordine alla sussistenza, in concreto, di una condotta contraria agli interessi del datore di lavoro, potenzialmente pregiudizievole per gli interessi medesimi, per di più riscontrata nell’attività di un dirigente, legato da un peculiare vincolo fiduciario con un’azienda avente finalità di interesse generale, con possibile lesione della posizione di terzietà e indipendenza di un soggetto istituito da un ente pubblico;

non può, inoltre, essere trascurato che, sebbene il rapporto di lavoro del personale dipendente dalle Aziende speciali delle Camere di Commercio sia sottratto all’ambito di applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 (v. Cass. n. 17601 del 2021), tuttavia è consolidato l’orientamento che considera le aziende speciali vere e proprie articolazioni delle pubbliche amministrazioni e conforma, pertanto, sotto taluni specifici profili applicativi, la disciplina del rapporto, pur privatistico, a princìpi propri dell’impiego pubblico privatizzato, sicché neppure la configurazione privatistica dell’azienda speciale può escludere la dimensione pubblicistica della sua attività (v. Cass. n. 3984 del 2023, con i precedenti ivi citati);

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tale dimensione pubblicistica corrobora la valutazione dei giudici del merito in ordine alla lesione del vincolo fiduciario avuto riguardo alla natura e alla qualità di un rapporto di lavoro dirigenziale con un’azienda speciale costituita per la salvaguardia di interessi pubblici;

2.3. quanto alle altre doglianze esse si riferiscono a condotte che sono state valutate dalla Corte territoriale solo in quanto sintomatiche del conflitto di interessi realizzato attraverso l’assunzione del ruolo di amministratore e socio di una impresa privata (come il caso del ricorso alle prestazioni di dipendenti del C.I.S.E. per la registrazione del dominio della società amministrata) ovvero a condotte neanche specificamente esaminate dalla Corte (come le due assenze dal lavoro per partecipare alle riunioni del C.d.A. della società amministrata ovvero il rifiuto di optare per l’una o l’altra carica);

3. parimenti non può trovare accoglimento l’ultimo motivo di censura con cui si lamenta la violazione del principio dell’immediatezza ex art. 7 St. lav.;

infatti, occorre rammentare che, per risalente e condivisa giurisprudenza, “la valutazione della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato” (Cass. n. 17721 del 2024; Cass. n. 269 del 2024; Cass. n. 12321 del 2022; Cass. n. 2553 del 2015; Cass. n. 1247 del 2015; Cass. n. 5546 del 2010; Cass. n. 29480 del 2008; Cass. n. 14113 del 2006); le stesse Sezioni unite hanno confermato il principio secondo cui è “riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo” (Cass. SS.UU. n. 30985 del 2017);

orbene, il vizio attinente a tale giudizio di merito, riguardando la ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, essendo tipicamente sussumibile nel paradigma dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., incontra il limite della cd. “doppia conforme”, anche quando solo formalmente prospettato come error in iudicando, per cui l’invocato sindacato circa la tempestività della contestazione disciplinare, espresso concordemente nel doppio grado di merito ad esso riservato, è precluso a questa Corte;

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4. conclusivamente il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore di ciascuna delle parti controricorrenti;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, in Euro 5.000,00 oltre esborsi pari ad Euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale dell’11 settembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2024.

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