Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 5 settembre 2018, n. 5202.
La massima estrapolata:
L’attuale quadro ordinamentale che, sulla scorta del considerando 89 della direttiva 24/2014, ha scolpito un obiettivo favor per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prefigurando un “sistema di gerarchia” tra i metodi di aggiudicazione, che si impone, come tale, alla stazione appaltante ex art. 95 d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, non consente comunque di rinvenire elementi per pervenire all’affermazione che debba imporsi all’offerente un onere di immediata impugnazione del bando, avuto riguardo al prefigurato criterio di aggiudicazione, ovvero prezzo più basso, in luogo dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Sentenza 5 settembre 2018, n. 5202
Data udienza 22 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 518 del 2018, proposto da
Comune di Sesto al Reghena, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati El. Fe., Lu. De Pa., Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Ma. in Ro., via Eu.Ma. 5;
contro
Fd. To. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ma., La. Ma., domiciliato presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;
Al. In. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ma., La. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Eu.To. Srl, Mo. To. Srl, Co.So. Ac. So.Co. On, Fr. Srl, Se. e Tr. Lo. Srl, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) n. 406/2017, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Fd. To. Srl e di Al. In. Srl;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 marzo 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Fe. Sc., in sostituzione dell’avv. Ma., e Ma. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con atto di appello notificato nei tempi e nelle forme di rito, il Comune di Sesto al Reghena, come in atti rappresentato e difeso, impugnava la sentenza n. 406 del 21 dicembre 2017, meglio distinta in epigrafe, con la quale il TAR Friuli Venezia Giulia aveva accolto il ricorso proposto da FD. To. S.r.l. e Al. In. S.r..l., annullando, per l’effetto, tutti gli atti della gara per l’affidamento del servizio di trasporto pubblico con scuolabus, a partire dall’esclusione delle società ricorrenti.
A sostegno del gravame esponeva:
a) che aveva bandito, come stazione appaltante, la procedura aperta ex art. 60 del D.lgs. n. 50/2016, per l’aggiudicazione, secondo il criterio del minor prezzo ai sensi dell’art. 95, comma 4, lettera b), dell’appalto per l’affidamento del “servizio di trasporto pubblico con scuolabus – anni scolastici 2017-2018, 2018-2019, 2019-2020, 2020-2021”;
b) che alla procedura avevano partecipato, tra le altre, le società odierne appellate in costituenda A.T.I., che erano state, tuttavia, escluse con verbale di gara dell’8 agosto 2017, successivamente comunicato, all’esito del riscontro della dichiarazione, che aveva accompagnato la presentazione dell’offerta, con la quale avevano formalizzato la propria intenzione di “non prestare acquiescenza al bando ed al disciplinare di gara”, in particolare nella parte in cui gli stessi prevedevano, come criterio di scelta del contraente, quello (ritenuto contra legem) del minor prezzo, facendo contestuale riserva di impugnazione della lex specialis per l’eventualità di mancata aggiudicazione della gara;
c) che una così scandita dichiarazione era stata, invero, ritenuta in insanabile contrasto con il disciplinare di gara, a tenore del quale sarebbero stati programmaticamente “esclusi dalla gara i concorrenti, qualora dalle dichiarazioni, dall’offerta o dalle dichiarazioni comunque prodotte, [fossero risultate] condizioni o riserve in ordine all’accettazione delle clausole del bando, del disciplinare di gara, del Capitolato Speciale d’Appalto o degli altri elaborati di progetto predisposti dalla Stazione Appaltante per l’appalto in oggetto”;
d) che avverso il provvedimento di esclusione (nonché contro l’aggiudicazione dell’appalto medio tempore pronunciata in favore della Eu. To. S.r.l.) le odierne appellate avevano proposto ricorso, nelle forme del rito c.d. “super accelerato” di cui all’art. 120, comma 2 bis c.p.a., invocando declaratoria di nullità della contestata determinazione espulsiva per asserita violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione previsto dall’art. 83, comma 8, del D.lgs. n. 50/2016 e/o l’annullamento della stessa per asserita violazione del diritto costituzionale di difesa e per violazione del principio del favor partecipationis:
e) che – nella resistenza dell’Ente, intesa ad evidenziare l’inammissibilità e l’infondatezza del proposto gravame – il TAR adito, con la sentenza impugnata, adottata previa conversione del rito (giustificata dalla congiunta impugnazione dell’atto di esclusione e della finale aggiudicazione), accoglieva le proposte doglianze, annullando gli atti di gara “a partire dall’esclusione delle società ricorrenti”, assumendo che “l’offerta delle deducenti non risulta[sse] affatto condizionata, e la volontà delle stesse di vincolarsi con l’Amministrazione [fosse] piena”.
2.- Avverso la ridetta statuizione, il Comune insorgeva con rituale appello, con il quale ne lamentava la complessiva erroneità ed ingiustizia e ne invocava l’integrale riforma.
Nella resistenza di FD. To. Srl e di Al. In. S.r.l., alla pubblica udienza del 22 marzo 2018, sulle reiterate conclusioni rese dai difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello non è fondato e merita di essere respinto.
2.- Con un primo mezzo, il Comune appellante – lamentando l’erroneità della sentenza per travisamento dei fatti e carente od omessa motivazione – assume, reiterando l’eccezione sul punto disattesa in prime cure, che il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto le appellate – che avevano ventilato l’illegittimità del criterio di aggiudicazione scolpito dal bando, al segno da farne oggetto di espressa riserva di impugnazione e che, proprio in conseguenza del carattere così “condizionato” dell’offerta presentata, si erano viste escludere dalla procedura – avevano, nondimeno, omesso – anche all’atto di impugnare, una alla propria estromissione, la definitiva aggiudicazione a favore dei controinteressati – di censurare, sul punto, la lex specialis (incorrendo, in proposito, in una insuperabile preclusione, che sarebbe stata, in tesi, da riguardare quale ragion sufficiente per dichiarare insussistente l’interesse alla coltivazione dell’intero gravame).
Con più lungo discorso, l’assunto critico dell’appellante va acquisito, per come diffusamente articolato ed elaborato, nei seguenti, comprensivi termini:
a) la contestazione del criterio di aggiudicazione scolpito dal bando di gara, in quanto strutturante una clausola connotata di immediata lesività, avrebbe dovuto essere fatta, come tale, oggetto di immediato e tempestivo gravame, non palesandosi idonea, allo scopo, una semplice (e, per giunta, irrituale) “riserva” di impugnazione, di per sé idonea a veicolare una mera e prospettica (e, come tale, irrilevante) “intenzione” censoria;
b) in disparte il carattere “condizionato” che, contrariamente all’avviso del primo giudice, avrebbe dovuto effettivamente riconoscersi ad una proposta formulata in termini così riservati (questione, per sé, oggetto di distinto ed autonomo motivo di gravame, di cui si dirà infra), l’impugnazione dell’aggiudicazione (avvenuta proprio in forza e sulla base del contestato criterio valutativo) non avrebbe, per definizione, potuto legittimare (stante la ribadita lesività immediata da riconoscersi in parte qua al bando) la (ormai inesorabilmente tardiva) formalizzazione, a scioglimento della riserva, della relativa doglianza:
discendendone, de plano, l’inammissibilità per sostanziale carenza di interesse (posta la rilevata preclusione a dedurre il vizio in via derivata, a carico dell’atto definitivo del procedimento);
c) che – per sovrammercato – non solo, in astratto, siffatta censura non avrebbe potuto, nei chiariti sensi, essere formulata, ma – addirittura – la stessa non era neppure stata, di fatto e concretamente, proposta: ciò che avrebbe dovuto maiori causa indurre il primo giudice a dichiarare senz’altro la irredimibile inammissibilità del proposto ricorso.
2.1.- Pur suggestivo ed abilmente argomentato, il riassunto impianto censorio non appare persuasivo.
2.1.2.- In via preliminare, importa ribadire che – superando sollecitazioni in diverso senso variamente formulate anche in sede pretoria – l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4 del 26 aprile 2018, ha chiarito, ribadendo e corroborando, sul punto, il tradizionale orientamento giurisprudenziale, che né il pregresso regime normativo (fondato sul principio dell’equiordinazione dei metodi di aggiudicazione, la cui scelta restava rimessa alla responsabile discrezionalità della stazione appaltante: cfr. art. 81, commi 1 e 2 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) né l’attuale quadro ordinamentale (che per contro, sulla scorta del considerando 89 della direttiva 24/2014, ha scolpito un obiettivo favor per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prefigurando un “sistema di gerarchia” tra i metodi di aggiudicazione, che si impone, come tale, alla stazione appaltante: cfr. art. 95 d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50) consentono di rinvenire elementi per pervenire all’affermazione che debba imporsi all’offerente di impugnare immediatamente la clausola del bando che prevede il criterio di aggiudicazione, ove la ritenga errata: e ciò in quanto, “versandosi nello stato iniziale ed embrionale della procedura, non vi sarebbe infatti né prova né indizio della circostanza che l’impugnante certamente non sarebbe prescelto quale aggiudicatario”, onde, a diversamente opinare, si finirebbe per imporre all’offerente l’implausibile onere di denunciare la clausola del bando “sulla scorta della preconizzazione di una futura ed ipotetica lesione, al fine di tutelare un interesse (quello strumentale alla riedizione della gara), certamente subordinato rispetto all’interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario), del quale non sarebbe certa la non realizzabilità”.
Se ne trae, sotto un primo profilo, la conclusione che, nel caso di specie, non sussistesse, a carico delle società appellate (che, pure, avevano manifestato, nei rammentati sensi, riserve sul punto) un onere di immediata impugnazione del bando, avuto riguardo al prefigurato criterio di aggiudicazione (prezzo più basso, in luogo dell’offerta economicamente più vantaggiosa).
Il che vale quanto dire – nella prospettiva di cui all’art. 120, comma 5 c.p.a., che legittima (e, a un tempo, impone) l’immediata impugnazione degli atti di indizione solo in quanto “autonomamente lesivi” – che le clausole preordinate alla fissazione dei metodi di valutazione delle offerte non rientrano, per definizione, tra quelle connotate di immediata incidenza lesiva (e prefigurative, in quanto tali, di forme di “arresto procedimentale” aventi obiettiva attitudine preclusiva della partecipazione concorrenziale alla fase evidenziale).
2.1.2.- Sta di fatto, tuttavia, che la stessa Adunanza plenaria ha cura di rimarcare – anche sotto questo profilo ribadendo e confermando consolidati principi – che “le clausole del bando che non rivestono certa portata escludente devono essere impugnate dall’offerente unitamente all’atto conclusivo della procedura di gara”: e ciò in quanto la potenziale attitudine lesiva manifestata in sede endoprocedimentale trasmoda, a procedimento concluso, in concreta ed attuale lesione, in grado di attivare l’onere di tempestiva impugnazione.
Nel caso di specie, per contro – ciò che, prima facie, sembrerebbe validare il critico ragionamento dell’appellante – le società appellate, nell’impugnare l’aggiudicazione disposta a favore delle imprese controinteressate, non hanno formalizzato alcuna censura in ordine ai criteri di aggiudicazione: non avrebbe, perciò, potuto il primo giudice limitarsi a dire interdetta (come, del resto, è ovvio) una pronuncia su domanda non proposta, ma – ben altrimenti – avrebbe dovuto trarne ragione di inammissibilità dell’intero ricorso, risultando – in concreto – non più proponibile proprio quella questione che aveva costituito ragione di condizionamento della domanda di partecipazione.
In altri termini, e con più lungo discorso: a) le appellate erano state escluse perché avevano contestato, senza impugnarli, i criteri di aggiudicazione; b) l’impugnativa della propria estromissione era fondata (esclusivamente) sul dedotto carattere non condizionato della proposta negoziale formulata; c) una volta intervenuta l’aggiudicazione, la mancata contestazione dei ridetti criteri – in assenza di ulteriori e specifiche ragioni di doglianza, idonee ad evidenziare proprie ed autonome ragioni di illegittimità dell’aggiudicazione – rendeva, ormai, priva di intesse l’iniziativa processuale (posto che, in buona sostanza, le appellate non avrebbero più potuto proporre alcuna ragione di doglianza avverso l’aggiudicazione).
2.1.3. – Il riassunto ragionamento risulta, ad una più sottile analisi, non persuasivo.
Va soggiunto che il tema investe, in realtà, il delicato tema delle preclusioni processuali.
Esso può essere, nella sua essenza, posto nei termini della seguente alternativa:
a) una volta intervenuta l’aggiudicazione, il concorrente già escluso che – impugnata l’esclusione – sia astretto a contestare anche l’aggiudicazione (pena l’improcedibilità del suo ricorso) è comunque tenuto (a questo punto) a contestare (anche) il (deducibile) criterio di aggiudicazione seguito (con il che – in buona sostanza – quando, vittorioso, fosse conformativamente riammesso in gara, si vedrebbe preclusa la relativa possibilità all’esito di una nuova e lesiva riaggiudicazione)?
b) oppure – essendo l’interesse ad impugnare l’aggiudicazione altrui limitato alla caducazione degli atti di gara successivi alla propria esclusione, con conseguente (mera ed aperta) riattivazione della procedura evidenziale (senza necessità, quindi, di sollevare subito “tutte” le possibili ragioni di illegittimità dell’aggiudicazione comechessia consequenziale all’esclusione) – potrebbe sempre riservarsi (e, comunque, proporre secundum eventum) la relativa doglianza?
A favore della prima opzione potrebbe ritenersi militare – con la prospettica valorizzazione, in termini più stringenti, della preclusione da deducibile – la complessiva logica di massima concentrazione delle tutele, che ispira e sorregge la disciplina del rito c.d. superaccelerato (al quale, peraltro, si sottrae l’impugnazione dei provvedimenti di aggiudicazione).
A favore della seconda milita, per contro – in termini ben più persuasivi – il rilievo, discendente dai principi generali, che il concorrente escluso vanta e valorizza esclusivamente il proprio interesse alla riammissione in gara (e, per tal via, ha interesse ad impugnare l’aggiudicazione solo in quanto atto consequenziale, la cui omessa contestazione precluderebbe di coltivare, per carenza di interesse, l’impugnazione degli atti endoprocedimentali presupposti).
È sufficiente osservare, per rendersene persuasi, che nulla esclude che – una volta riammesso in gara – il concorrente possa conseguire l’aggiudicazione a proprio favore.
E, a ben considerare, anche nella diversa ipotesi in cui la rinnovata aggiudicazione si dimostrasse novativamente lesiva, non c’è ragione per ritenere, per esempio, che la sua impugnazione avvenga per ragioni diverse (ed autonomamente rilevanti) rispetto a quella relativa ai criteri di aggiudicazione: in ordine ai quali non si vede, del resto, ragione per escludere che l’interessato abbia, magari, ad abdicare, pur senza rinunziare a contestare, per altro rispetto, gli esiti sfavorevoli della procedura evidenziale.
Alla luce delle osservazioni che precedono, il ragionamento del Comune appellante si rivela inesatto (e addirittura, in certo modo, circolare): deve, invero, ribadirsi:
a) che, laddove la propria esclusione fosse stata per qualunque ragione illegittima, i concorrenti esclusi avrebbero potuto impugnarla;
b) che – al fine di preservare il proprio interesse – avrebbero avuto l’onere (nella specie ottemperato) di estendere l’impugnazione (se del caso, per aggiunzione di motivi) alla sopravvenuta aggiudicazione, anche facendo valere solo vizi in via derivata;
c) che – conseguito l’annullamento della esclusione e, pedissequamente, dell’aggiudicazione – gli esiti (aperti) della (riattivata) procedura prospetticamente autorizzerebbero nuova ed autonoma impugnativa (questa volta, per vizi anche propri) della rinnovata aggiudicazione, se ed in quanto, nova ratione, lesiva.
2.2.- Alla luce delle osservazioni che precedono, il primo motivo di appello deve ritenersi infondato.
3.- Con il secondo motivo di doglianza, il Comune appellante contesta la decisione del primo giudice, che ha ritenuto sostanzialmente “inutile” (e, quindi, non idonea a rendere incerta e “condizionata” la proposta negoziale formulata) la “riserva di non acquiescenza” formulata in ordine ai criteri di aggiudicazione.
3.1.- Il motivo è palesemente infondato.
Importa premettere che il disciplinare di gara, al paragrafo “L – Altre Informazioni”, lettera i), prevedeva espressamente che “[sarebbero stati] esclusi dalla gara i concorrenti, qualora dalle dichiarazioni, dall’offerta o dalle dichiarazioni comunque prodotte, [fossero risultate] condizioni o riserve in ordine all’accettazione delle clausole del bando, del disciplinare di gara, del Capitolato Speciale d’Appalto o degli altri elaborati di progetto predisposti dalla Stazione Appaltante per l’appalto in oggetto”.
Appare evidente che nella sua (implausibile) portata letterale, una siffatta clausola (che andrebbe, come tale, fulminata di nullità, siccome prefigurativa di cause di generalizzata esclusione: cfr. art. 83 d. lgs. n. 50/2016) porterebbe, per il concorrente che intendesse formulare un’offerta senza fare acquiescenza alle clausole di gara, all’onere di formalizzare una immediata impugnazione, non potendo “riservarsi” il gravame (ciò che, per l’appunto, trasformerebbe automaticamente l’offerta in offerta “condizionata”).
È chiaro, tuttavia, che non può certamente una clausola dello stesso bando imporre, a pena di esclusione, una immediata impugnazione, risolvendosi tale regola operativa in una implausibile compressione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito.
Appare, allora, esatto quanto rilevato dal primo giudice: una riserva, come quella formulata, era del tutto irrilevante, non essendo idonea ad incidere sulla portata, sulla consistenza e sui termini dell’offerta economica, così come concretamente formulata. Esito che emerge con chiarezza ove si rifletta che – ove il concorrente, piuttosto che esternare le proprie perplessità, le avesse taciute – non gli sarebbe stata in alcun modo preclusa l’impugnazione.
La conclusione è conforme al principio, giustamente richiamato nella sentenza impugnata, per cui “nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e, 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 2507/2016).
È chiaro, in siffatta prospettiva, che accettare (senza fare acquiescenza) e contestare (riservandosi l’impugnazione) sono due facce della stessa medaglia: in ogni caso, il concorrente non può vedersi preclusa (nel primo caso) la successiva impugnazione e (nel secondo caso) la partecipazione alla gara.
Che tale ricostruzione dell’effettivo (ed accettabile) significato della clausola in questione discenda, in più generale prospettiva, dalla valorizzazione del generale canone conservativo degli effetti giuridici (che il primo giudice ha richiamato per il tramite dell’art. 1367 c.c.), è considerazione che può ritenersi di per sé esatta e che vale, in ogni caso, a corroborare le raggiunte conclusioni.
4.- Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello deve ritenersi complessivamente infondato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il Comune appellante alla refusione delle spese di lite in favore di Fd. To. Srl e di Al. In. Srl, che liquida nella complessiva di € 2.000, oltre accessori di legge, a favore della prima ed € 2.000, oltre accessori di legge, a favore della seconda.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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