L’atto di costituzione in mora rientra, invero, tra gli atti giuridici in senso stretto, inquadrabili nei cc.dd. atti di richiesta

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 5 settembre 2018, n. 5201.

La massima estrapolata:

L’atto di costituzione in mora rientra, invero, tra gli atti giuridici in senso stretto, inquadrabili nei cc.dd. atti di richiesta, i quali – per l’intrinseca finalità partecipativa che li connota ad effectum, oltreché per l’attitudine modificativa della situazione passiva del destinatario – appartengono al novero delle dichiarazioni ricettizie (onde la richiesta indirizzata a terzi, estranei alla sfera del destinatario, deve ritenersi inefficace, quand’anche il debitore ne abbia avuto aliunde notizia.

Sentenza 5 settembre 2018, n. 5201

Data udienza 22 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5113 del 2017, proposto da
So. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. D’A., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Ro., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 5534/2017, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Gi. Ru., per delega dell’avv. D’A., e Sa. Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con atto di appello notificato nei tempi e nelle forme di rito, la So. s.r.l., come in atti rappresentata e difesa, impugnava la sentenza n. 5534 dell’8 maggio 2017, meglio distinta in epigrafe, con la quale il TAR del Lazio aveva respinto il proprio ricorso finalizzato, nelle forme di cui all’art. 31 c.p.a., all’accertamento dell’obbligo, pretesamente gravante sul Comune di (omissis), di provvedere in ordine alla formalizzata istanza di liquidazione del compenso revisionale relativo al servizio di igiene urbana dispiegato, a favore dell’Amministrazione, negli anni dal 2001 al 2006.
A sostegno del gravame premetteva:
a) che, sin dal 2001, aveva regolarmente eseguito, all’esito della conseguita aggiudicazione, per effetto dell’atto di Giunta Comunale n. 374 del 16.10.2000, del relativo appalto, il servizio di igiene urbana in favore del Comune intimato;
b) che le parti avevano disciplinato i loro rapporti con il contratto rep. n. 265 del 19.01.2001 e con il susseguente contratto integrativo d’implementazione del servizio del 6.02.2004, successivamente convenendo due proroghe del servizio (in data 19.01.2006 e in data 19.07.2006;
c) che, con lettere inviate in data 8.01.2003, 27.01.2004, 1.03.2005, 20.04.2006 e 13.03.2007, la società aveva chiesto il riconoscimento della revisione periodica del prezzo dell’appalto di cui all’art. 44 della L. 23 dicembre 1994, n. 724, riprodotto poi nell’art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163;
d) che, a riscontro di tali richieste, il Comune di (omissis), con lettera prot. n. 22375 del 22.09.2007, aveva riconosciuto il proprio debito, attestando la propria disponibilità a provvedere al pagamento delle somme dovute;
e) che, nondimeno, non avendo l’Amministrazione dato seguito all’impegno assunto, si era vista astretta ad agire presso il Tribunale Civile di Civitavecchia – sezione distaccata di Bracciano, ottenendo l’emanazione del decreto ingiuntivo n. 134/2009, poi fatto oggetto di opposizione da parte del Comune;
f) che, con sentenza del 17.11.2014, l’adito Tribunale aveva, tuttavia, disposto la revoca del provvedimento monitorio, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione in ordine alle domande proposte, in favore del giudice amministrativo;
g) che – pur avendo omesso di procedere alla tempestiva riassunzione della causa – aveva, in assenza di preclusioni a far valere la vantata pretesa creditoria, sollecitato il Comune, con nota acquisita al protocollo dell’Ente in data 18 agosto 2016, a disporre l’avvio dell’istruttoria di cui all’art. 115 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, al fine di pervenire al concreto accertamento del credito spettante;
h) che, trascorsi senza esito due mesi dalla formalizzazione dell’istanza, aveva proposto ricorso presso il TAR Lazio per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del serbato silenzio e la conseguente condanna a provvedere mediante l’adozione di un provvedimento espresso;
i) che inopinatamente, con la sentenza impugnata, il primo giudice aveva ritenuto – attingendo il merito della azionata pretesa e respingendo il ricorso – che il credito fosse estinto per intervenuta prescrizione, non essendo valorizzabile – ai ventilati fini interruttivi e di messa in mora – l’istanza “di anticipazione di udienza” formalizzata in data 11 luglio 2012.
2.- Sulle esposte premesse, impugnava la ridetta statuizione, lamentandone l’erroneità per violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c. (quanto alla ritenuta carenza di idoneo atto interruttivo della prescrizione), dell’art. 2 della l. n. 241/1990 (quanto alla argomentata insussistenza dell’obbligo di provvedere) e dei principi di correttezza e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), una ad eccesso di potere per difetto di istruttoria.
3.- Nella resistenza del Comune intimata – intesa ad argomentare l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del libello – alla camera di consiglio del 22 marzo 2018, sulle reiterate conclusioni rese dai difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato e merita di essere respinto.
Con unico, articolato motivo di doglianza, la società appellante lamenta che il primo giudice abbia considerato estinto per prescrizione il credito vantato nei confronti del Comune di (omissis), sul presupposto che, stante l’intervenuta estinzione del giudizio civile di opposizione a decreto ingiuntivo intercorso tra le parti innanzi al Tribunale di Civitavecchia e la mancata riassunzione dello stesso dinanzi al giudice amministrativo, ai fini della prospettica conservazione degli effetti sostanziali della domanda (cfr. art. 11 c.p.a.), nessun idoneo atto interruttivo fosse stato posto in essere successivamente alla formalizzazione dell’azione giudiziale (cfr. artt. 2943 e 2945 c.c.).
A suo dire – con il ritenere inidonea, al ridetto scopo, la presentazione di istanza di anticipazione di udienza dinanzi al giudice civile, in data 12 giugno 2012 – il Tribunale avrebbe erroneamente postulato necessario un formale atto di intimazione (indirizzato alla parte debitrice, con puntuale indicazione del credito richiesto), laddove doveva, per comune intendimento, ritenersi sufficiente una qualsiasi dichiarazione, anche recepita in un atto processuale, intesa a manifestare, ancorché implicitamente purché chiaramente, l’intenzione di esercitare il diritto spettante.
2.- L’argomentazione non appare persuasiva.
Per comune intendimento, l’atto di costituzione in mora, utile a sortire effetto interruttivo della prescrizione (art. 2943, 3° comma c.c.), deve possedere – pur in assenza di rigidi moduli formali e/o di formule sacramentali, la cui esclusione discende dalla stessa formula linguistica “aperta” utilizzata dalla disposizione codicistica, che postula esclusivamente un concreto apprezzamento di “idoneità ” allo scopo partecipativo, senza scolpire un numerus clausus di tipologie attizie – due caratteristiche indefettibili: a) deve veicolare una “intimazione” o una “richiesta” (art. 1219, 1° comma) che, sia pure implicitamente purché perspicuamente, abbia ad oggetto la formalizzazione dell’intenzione di “far valere” la pretesa creditoria; b) deve essere indirizzato alla parte debitrice (e pervenire, comunque, nella sua sfera di conoscenza: cfr. art. 1335 c.c.), pur palesandosi, a certe condizioni, idonea la ricezione da parte del rappresentante o anche del difensore tecnico, in presenza di apposito ed idoneo mandato.
L’atto di costituzione in mora rientra, invero, tra gli atti giuridici in senso stretto, inquadrabili nei cc.dd. atti di richiesta, i quali – per l’intrinseca finalità partecipativa che li connota ad effectum, oltreché per l’attitudine modificativa della situazione passiva del destinatario – appartengono al novero delle dichiarazioni ricettizie (onde la richiesta indirizzata a terzi, estranei alla sfera del destinatario, deve ritenersi inefficace, quand’anche il debitore ne abbia avuto aliunde notizia (cfr. Cass. 10 luglio 1989, n. 3261).
Occorre, quindi, il duplice e concorrente requisito dell’indirizzamento (dal lato del mittente) e della ricezione (dal lato del destinatario, sia pure temperata dalla presunzione di conoscenza scolpita all’art. 1335 c.c., applicabile per analogia a tutte le dichiarazioni recettizie in quanto espressivo di un principio generale).
Tanto premesso, l’atto processuale con il quale il difensore invoca l’anticipazione dell’udienza fissata per la discussione non possiede i requisiti in questione: la sua inidoneità non si correla, a ben vedere, alla funzione processuale (piuttosto che sostanziale) e neppure, verisimilmente, alla mancata “indicazione” del credito vantato (desumibile per relationem, in prospettiva antiformalistica, dal richiamo ai termini della pendente controversia), ma – inesorabilmente – alla circostanza che destinataria non ne è la controparte (debitrice), ma il giudice.
Se ne trae conferma da ciò, che l’istanza si deposita in giudizio (e non si notifica alla parte o al suo difensore): laddove la successiva notifica ha, propriamente, ad oggetto il provvedimento giudiziale di fissazione della nuova udienza (che, con ogni evidenza, non provenendo dalla parte creditrice, non può, per parte sua, veicolare in alcun modo una rinnovata richiesta o intimazione di pagamento).
Si palesa, perciò, corretta la sentenza impugnata, laddove – facendo corretta applicazione degli esposti principi – ha ritenuto maturata la prescrizione del credito odiernamente azionato, assumendo non utilmente interrotto il decorso del termine prescrizionale dal deposito in jure della istanza di anticipazione di udienza in data 12 giugno 2012.
3.- Le considerazioni che precedono inducono alla reiezione dell’appello.
Sussistono, ad avviso del Collegio, giustificati motivi per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore

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