L’assenza di abitualità nel reato

Corte di Cassazione,  penale, Sentenza|29 dicembre 2020| n. 37696.

L’assenza di abitualità nel reato, la sua riparazione e l’adeguatezza del programma elaborato non bastano per ottenere la messa alla prova, se il crimine non rientra tra quelli di minore allarme sociale.

Sentenza|29 dicembre 2020| n. 37696

Data udienza 29 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Misure alternative al carcere – Messa alla prova – Accusa – Appartenenza alla criminalità organizzata – Beneficio escluso per i reati di particolare allarme sociale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgi – Presidente

Dott. RICCIARELLI Massim – Consigliere

Dott. VILLONI O – rel. Consigliere

Dott. VIGNA M. S. – Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA B. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari;
avverso l’ordinanza n. 2847/19 del GIP Tribunale di Bari del 18/02/2020, nel procedimento nei confronti di (OMISSIS)
esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato; udita la relazione del consigliere, Dott. Orlando Villoni;
letta la requisitoria scritta del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale, D.ssa DE MASELLIS Mariella, che ha chiesto l’annullamento del provvedimento con rinvio al Tribunale di Bari.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari ha disposto ai sensi dell’articolo 464 quater c.p.p. la sospensione del procedimento nei confronti di (OMISSIS), imputato del reato di cui agli articoli 110, 336 e 339 c.p., accogliendo la sua istanza di messa alla prova in base ad un programma di reinserimento sociale contemplante attivita’ di volontariato presso una fondazione caritativa per due giorni alla settimana oltre alla partecipazione ad un percorso di mediazione con la persona offesa.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, il quale deduce motivazione apparente o comunque contraddittoria, avendo il giudice totalmente omesso di considerare l’estrema gravita’ della condotta contestata (concorso morale nella minaccia a mano armata commessa dal fratello (OMISSIS) nei confronti di due funzionari della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato di Bari in visita ispettiva presso la sala scommesse da essi condotta) nonche’ il pieno inserimento dell’imputato in un contesto di criminalita’ organizzata dedita alla gestione di sale da gioco e centri scommesse, come ampiamente evidenziato dalle risultanze investigative acquisite dalla DDA di Bari e trasfuse agli atti del procedimento, situazione rilevante anche in relazione alla prognosi di astensione dalla commissione di altri reati, a fronte di un contegno processuale non collaborativo ne’ connotato da ammissione dell’addebito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato e merita accoglimento.
2. Dal provvedimento impugnato risulta che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari ha disposto la sospensione del procedimento e la messa alla prova dell’imputato (OMISSIS) sulla base dei seguenti elementi:
– presentazione tempestiva dell’istanza ai sensi dell’articolo 461 c.p.p., comma 1;
– comprensione del reato contestato (articoli 110 e 336 c.p., articolo 339 c.p., comma 1) nel novero di quelli indicati dall’articolo 168 bis c.p., comma 1 in relazione all’articolo 550 c.p.p., comma 2, lettera a);
– personalita’ dell’istante, non sussistendo le condizioni di cui all’articolo 102 c.p. (abitualita’ presunta dalla legge nel reato), 103 (abitualita’ ritenuta dal giudice), articolo 104 c.p. (abitualita’ nelle contravvenzioni), articolo 105 c.p. (professionalita’ nel reato) e articolo 108 c.p. (delinquente per tendenza), atteso il suo status di incensurato;
– congruita’ del programma elaborato;
– presentazione di un’offerta risarcitoria in favore delle vittime del reato;
– carattere episodico (unicita’) del fatto di reato e contesto socio-ambientale in cui e’ maturato;
– contegno mantenuto dall’imputato post factum.
Il PM impugnante deduce, per contro, che trattasi di parametri di fatto neutri che dimostrano una sostanziale carenza di motivazione in ordine alla determinazione di mettere l’imputato alla prova e che prescindono del tutto da un’analisi specifica del contesto in cui il reato, di per se’ gia’ grave nella sua materialita’, e’ stato commesso.
A sostegno del superiore assunto, il ricorrente evidenzia che tra gli atti del procedimento inviati al GUP ai sensi dell’articolo 419 c.p.p., comma 3 vi sono le dettagliate informative di Polizia Giudiziaria (pagg. 4-11 ricorso) che descrivono, oltre alle gia’ inquietanti modalita’ del fatto, l’acclarato inserimento dell’imputato in un contesto di criminalita’ organizzata nella conduzione di sale scommesse e da gioco nella citta’ di Bari.
3. Le deduzioni del ricorrente appaiono fondate.
Il Collegio osserva come a fronte delle allarmanti indicazioni contenute nelle informative di Polizia Giudiziaria, dalle quali sembra di comprendere che l’imputato (noto nell’ambiente anche con lo pseudonimo di (OMISSIS)) farebbe finanche parte dell’omonimo gruppo criminale barese facente capo a (OMISSIS) (pag. 4 ricorso), il giudice abbia fatto ricorso a mere formule di stile che non tengono in alcun conto la peculiarita’ della fattispecie e soprattutto non considerano le effettive finalita’ dell’istituto della messa alla prova quale introdotto dalla L. 28 aprile 2014, n. 67 mediante l’inserimento degli articoli da 168 bis a 168 quater c.p. e degli articoli da 464 bis a 464 novies in quello di procedura.
Come e’ noto, ispirato a quello anglosassone della probation, l’istituto intende offrire “ai condannati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo” e al contempo svolgere “una funzione deflattiva dei procedimenti penali in quanto e’ previsto che l’esito positivo (…) estingua il reato con sentenza pronunciata dal giudice” (cosi’ la Relazione illustrativa al Disegno di legge).
Sono dunque il minore allarme e la necessita’ di un reinserimento sociale dello imputato a fungere da primari termini di riferimento ai fini dell’applicabilita’ dello istituto, il che significa che al di la’ della astratta sussistenza dei presupposti normativi, costituisce onere del giudice verificare se anche in concreto esistano le condizioni di base per darvi corso.
Tanto premesso e gia’ sulla scorta della mera imputazione, da un lato non sembra proprio che la condotta contestata all’imputato possa definirsi di minore allarme sociale, atteso che due pubblici ufficiali in servizio di istituto sono stati minacciati con un’arma da fuoco nell’esercizio delle loro funzioni e in tal modo invitati a desistere dall’assolvimento dei loro doveri, mentre dall’altro non paiono sussistere effettive esigenze di reinserimento sociale per l’imputato, che dalle citate informative di polizia risulta per contro molto ben inserito per quanto in contesti sociali devianti.
L’evidente carenza di motivazione, plasticamente evidenziata dal riferimento nel provvedimento di ammissione al contesto socio – ambientale in cui il reato e’ maturato, che prescinde evidentemente dalle indicazioni contenute negli atti del procedimento, si e’ poi inevitabilmente tradotta nell’approvazione di un programma di reinserimento che appare del tutto incongruo, sia nella sostanza che nelle modalita’ di esecuzione, per la personalita’ dell’imputato.
4. Per le ragioni che precedono, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al giudice che procede.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al GUP del Tribunale di Bari per nuovo giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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