Cassazione 15

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 6 aprile 2016, n. 13750

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. CARCANO Domenico – Consigliere

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 26/10/2015 del Tribunale di Reggio Calabria;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DELEHAYE Enrico, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta di revoca proposta da (OMISSIS) avverso l’ordinanza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria che e’ stata cosi’ confermata.

L’originario provvedimento cautelare e’ stato adottato, su richiesta avanzata dal Pubblico Ministro, in via incidentale, nel giudizio di primo grado definito per sentenza di condanna, nelle forme del rito abbreviato.

2. Il (OMISSIS) e’ stato attinto dall’indicata misura custodiate in quanto imputato, in posizione subordinata rispetto ai capi del sodalizio, di partecipazione, unitamente ad altri non identificati ed altri ancora giudicati separatamente, all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, nella sua articolazione locale di (OMISSIS), cosca facente capo alla famiglia (OMISSIS).

E’ stata contestata e ritenuta l’aggravante del carattere armato dell’associazione e del finanziamento delle attivita’ economiche strumentalmente perseguite, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto ed il profitto dei delitti alla cui realizzazione il programma criminoso era diretto (articolo 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6; L. n. 146 del 2006, articoli 3 e 4).

3. Avverso l’indicata ordinanza, propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto.

4. La difesa premette come per l’impugnato provvedimento cautelare sia stata ripristinata misura custodiate che aveva attinto in corso di indagine il (OMISSIS) e che, in seguito ad annullamento della Corte di cassazione per vizi di motivazione, quanto alla solidita’ della base indiziaria, era stata annullata dal Tribunale del riesame, pronunciatosi in sede di rinvio.

Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 27 gennaio 2015, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato il (OMISSIS) alla pena di sei anni e dieci giorni di reclusione.

Su istanza del Pubblico Ministero procedente, il medesimo giudicante con l’ordinanza gravata, datata 1 ottobre 2015, adottata successivamente alla sentenza di condanna le cui motivazioni erano state depositate il precedente 12 agosto, ha, sul presupposto dell’intervenuta condanna e della ricorrenza delle esigenze cautelari (articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera b) e c)), applicato nuovamente al (OMISSIS) la misura cautelare.

5. Sulle indicate vicende processuali, la difesa affida il proposto mezzo ad un unico articolato motivo con cui denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in particolare degli articoli 274 e 275 c.p.p., e vizi di motivazione in punto di valutazione delle esigenze cautelari (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)).

Il ricorrente, richiamata sul punto giurisprudenza di legittimita’, premette come l’adozione di misura cautelare contestualmente a sentenza di condanna per il delitto di cui all’articolo 416 bis c.p., non comporti alcun automatismo presuntivo delle esigenze cautelari ai sensi dell’articolo 275 c.p.p., comma 3.

Piuttosto, la gravita’ della pena diverrebbe solo uno degli elementi da valutare al fine di stabilire la sussistenza del pericolo di fuga, non spiegando alcun effetto quanto alle ulteriori esigenze cautelari, in relazione alle quali il giudice deve fare riferimento ad altri parametri valutativi, come la personalita’ del reo, la tendenza a delinquere, il pregresso comportamento.

Il ricorrente lamenta quindi, quanto all’estremo del pericolo di fuga, come il Tribunale del riesame, e prima ancora il Giudice dell’udienza preliminare, si siano affidati, nel valutare detta esigenza cautelare, a giudizi astratti e non concreti (cosi’ per il richiamo all’interesse della cosca a favorire la latitanza dei soggetti appartenenti ed alla volonta’ della stessa di avvalersi del ricorrente per controllare la gestione degli affari imprenditoriali), riferiti come tali ad elementi e circostanze non attinenti al singolo soggetto e non comprovanti la reviviscenza delle esigenze cautelari, senza in tal modo farsi carico delle deduzioni difensive.

I Giudici della cautela, formulando un giudizio meramente ipotetico nella parte in cui hanno sostenuto che una condanna a sei anni e dieci giorni possa costituire una spinta a sottrarsi all’esecuzione della pena (senza valutare il pre-sofferto di oltre un anno), non avrebbero poi debitamente valorizzato: ne’ le complicate situazioni di salute del (OMISSIS) (privo di uno degli arti inferiori e non autosufficiente se non per una protesi nella deambulazione); ne’ la condotta nell’immediato dal medesimo assunta (il prevenuto, trasferitosi in (OMISSIS) dall’ottobre del 2014, avrebbe fatto spontaneamente rientro in Italia una volta avuta conoscenza della nuova ordinanza cautelare).

Quanto al pericolo di reiterazione, deduce la difesa come i Giudici della cautela si sarebbero richiamati, attraverso l’intervenuta sentenza di condanna, ad elementi risalenti nel tempo, cosi’ per le riunioni tra i sodali valorizzate in corso di indagine, e non avrebbero invece adeguatamente apprezzato le ragioni – dirette ad attestare l’assenza di un rischio cautelare attuale e concreto – documentate dalla difesa sul trasferimento dall’ottobre 2014 dell’imputato in (OMISSIS) e sul suo stabile impegno lavorativo in detto Stato, richiamando la mera insufficienza di siffatto allontanamento ad attestare una dissociazione dalle condotte di partecipazione.

L’ordinanza viene quindi conclusivamente censurata perche’ contraddistinta da un apparato argomentativo totalmente mancante o comunque illogico e contraddittorio in punto di valutazione della sussistenza di effettive, concrete ed attuali esigenze cautelari e comunque perche’ erronea nell’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 274 e 275 c.p.p., pervenendo la stessa all’effetto di estendere oltre i limiti di norma la possibilita’ di applicazione della misura cautelare contestualmente all’emissione della sentenza di condanna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’articolo 275 c.p.p., comma 1 bis, detta le regole destinate a guidare il giudizio sui pericula libertatis allorche’ il giudice risulti investito della cognizione degli stessi dopo che sia intervenuta una sentenza di condanna.

Piu’ in particolare, la norma in questione pone una particolare regola di giudizio quanto all’esame delle esigenze cautelari allorche’ l’imputato sia stato condannato, stabilendo che il giudice investito della cautela debba tener conto “anche dell’esito del procedimento, delle modalita’ del fatto e degli elementi sopravvenuti dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell’articolo 274, comma 1, lettera b) e c)”.

Come gia’ rilevato in piu’ occasioni dalla giurisprudenza di legittimita’, del richiamo alla “contestualita’” rispetto alla sentenza di condanna, pure contenuto nella norma, non va data una lettura nel senso che le misure debbano essere adottate al momento della pronuncia della sentenza di condanna.

Secondo regola generale, infatti, le misure cautelari possono intervenire in ogni stato del procedimento, e la ratio della disposizione e’ da intendere quella di ampliare, nell’arricchimento che agli stessi viene dall’accertamento contenuto nella sentenza di condanna, i margini di applicabilita’ delle misure cautelari quanto all’apprezzamento delle esigenze cautelari e dei criteri di scelta (Sez. 6, n. 14223 del 19/01/2005, Strisciuglio, Rv. 231377; Sez. 6, n. 18074 del 15/03/2012, Ancora, massimata su altro punto; Sez. 2, n. 36239 del 08/07/2011, Bunjaku, massimata su altro punto).

2. Per il resto, il ricorso e’ fondato.

2.1. Anche ove, come nella specie, risulti emessa sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p., e trovi quindi operativita’ la presunzione relativa di adeguatezza esclusiva della carcerazione posta all’articolo 275 c.p.p., comma 3, l’indagine da condursi dal giudice della cognizione, che sia stato investito della cautela, secondo la regola di giudizio fissata dall’articolo 275 c.p.p., comma 1 bis, vuole che egli tenga conto, in uno alla condanna e alle modalita’ del fatto accertato, degli elementi sopravvenuti da cui possa emergere l’esigenza cautelare da pericolo di recidivanza o di fuga (articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera b) e c)).

Nella formulazione di un siffatto giudizio, un elemento che il giudice della cautela deve tenere in specifico conto e’ il tempo trascorso dalla commissione del reato (articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c)), destinato a valere quale che sia la specie del reato in considerazione ove al trascorrere del tempo non si accompagnino elementi successivi alla formulazione dell’ipotesi di accusa (Sez. 6, n. 23362 del 20/02/2014, Meduri).

In tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al tempo trascorso dalla commissione del reato di cui all’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c), impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosita’ del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacche’ ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244377). L’indicata veste non puo’ riconoscersi agli elementi apprezzati dal Tribunale del riesame nel confermare il giudizio espresso nell’ordinanza genetica, elementi risalenti nel tempo e valorizzati in corso d’indagine.

Resta inoltre il mancato confronto degli indicati elementi con gli argomenti addotti dalla difesa per dimostrare l’adozione di scelte di vita significative dell’assenza di un rischio cautelare attuale e concreto, nel superamento della presunzione di adeguatezza della misura carceraria di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3.

Tanto valga per le circostanze positivamente dedotte al fine di dimostrare un cambiamento nelle abitudini di vita del condannato (trasferimento in Francia e stabile impegno lavorativo in quello Stato) rispetto alle quali il Tribunale del riesame ha contrapposto, disancorato da ogni elemento di attualita’ e concretezza, la riproponibilita’ di condotte osservate dal condannato per il passato (cosi’ per l’allontanamento dalla (OMISSIS) cui era seguito un rientro nel medesimo territorio nell’anno 2009).

Resta del tutto generico ed imprecisato poi ogni riferimento al carattere assolutamente vivo della cosca di appartenenza, pure contenuto nell’ordinanza impugnata.

2.2. Fondato e’ inoltre l’ulteriore motivo diretto a censurare la motivazione adottata dal Tribunale del riesame in punto di sussistenza del pericolo di fuga.

In tema di misure cautelari, il pericolo di fuga di cui all’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera b) (nel testo modificato dalla L. n. 47 del 2015) deve essere non piu’ solo concreto, dovendosi comunque trattare di un reale ed effettivo pericolo, difficilmente eliminabile con tardivi interventi (Sez. 2, n. 51436 del 05/12/201, Morosanu, Rv. 257981), ma anche attuale (Sez. 2, n. 44526 del 13/10/2015, Castillo Quintana, Rv. 265042).

La motivazione articolata dal Tribunale non da’ conto in modo univoco e conducente della concretezza e dell’attualita’ dell’indicato estremo comunque non provvedendo ad indicare quegli ulteriori obiettivi elementi da cui ragionevolmente desumere l’alta probabilita’ che l’evento paventato possa concretamente verificarsi.

In tal senso non potendo qualificarsi il generico richiamo ai periodi di latitanza goduti da altri affiliati o ancora la misura di una pena (inflitta per sei anni e dieci giorni di reclusione) in motivazione richiamata in termini meramente ipotetici nella sua capacita’ di rappresentare premessa di ogni spinta alla sua sottrazione.

Restano poi estraneo ad ogni argomento speso dal Tribunale il confronto con gli argomenti dedotti dalla difesa sulla condotta, anche processuale, del condannato – che ha fatto rientro immediato in Italia una volta avuta conoscenza della nuova ordinanza cautelare – e sulle esigenze di vita dello stesso, come rappresentate (complicate condizioni di salute segnate dalla mancanza di un arto inferiore).

4. Va quindi disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio degli atti al Tribunale di Reggio Calabria perche’, in applicazione degli indicati principi di diritto, proceda a nuovo esame sui punti segnalati, avuto riguardo anche alle specifiche censure enunciate dal ricorrente, in tal modo integrando – nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito – le esposte lacune e carenze della motivazione, provvedendo ad una verifica di resistenza della presunzione di pericolosita’ sociale (articolo 275 c.p.p., comma 1 bis, nella parte in cui richiama l’articolo 274 c.p.p., lettera b) e c); articolo 275 c.p.p., comma 3).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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