L’alterazione del badge da parte del dipendente comunale non è una condotta che può integrare il reato di falso in atto pubblico, in quanto il “cartellino” non è un atto pubblico.

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 25 settembre 2018, n. 41426.

La massima estrapolata:

L’alterazione del badge da parte del dipendente comunale non è una condotta che può integrare il reato di falso in atto pubblico, in quanto il “cartellino” non è un atto pubblico.

Sentenza 25 settembre 2018, n. 41426

Data udienza 18 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo A. – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere

Dott. MOROSINI E. M. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1. (OMISSIS) nato a (OMISSIS);
2. (OMISSIS) nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/10/2017 della CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Elisabetta Maria Morosini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. LIGNOLA Ferdinando, che ha concluso chiedendo, l’annullamento senza rinvio, limitatamente ai reati di cui ai capi B,D,F,H con rideterminazione della pena;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari ha confermato la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati di cui all’articolo 640 c.p., comma 2 e articolo 483 c.p., per avere, in qualita’ di dipendenti del Comune di (OMISSIS), timbrato i cartellini marcatempo con modalita’ tali da attestare falsamente la loro presenza in ufficio.
2. Avverso la sentenza ricorrono gli imputati, con un unico atto a firma dei comuni difensori, articolando un solo motivo con il quale deducono violazione di legge in punto di configurabilita’ del reato di cui all’articolo 483 c.p..
I ricorrenti richiamano, per ampi stralci, la decisione delle Sezioni Unite Sepe (Sez. U, n. 15983 del 11/04/2006), che esclude la configurabilita’ del reato di falso in atto pubblico nel caso in esame.
3. La parte civile, Comune di (OMISSIS), ha trasmesso memoria, con la quale chiede il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati.
2. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite i cartellini marcatempo o i fogli di presenza non hanno natura di atto pubblico, trattandosi di documenti di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volonta’ riferibili alla Pubblica Amministrazione (Sez. U, n. 15983 del 11/04/2006, Sepe).
Nel solco di tale decisione si e’ collocata, in modo unanime, la giurisprudenza successiva, compresa la pronuncia “Cass. 19299/12” (Sez. 5, n. 19299 del 16/04/2012, Santonico) che la Corte di appello cita, erroneamente, a sostegno della tesi contraria (cfr. pagina 6 sentenza impugnata).
Venendo meno l’oggetto materiale, non residua spazio per alcuna figura criminosa ricadente nel novero dei delitti di falso.
Invero non solo non e’ configurabile il reato di cui all’articolo 479 c.p. (Sez. U, n. 15983 del 11/04/2006, Sepe, Rv. 233423), ma – in difformita’ da quanto ritenuto dai giudici di merito e da una pronuncia della Corte di legittimita’ anteriore alle Sezioni Unite Sepe (Sez. 5, n. 44689 del 03/06/2005, Flavio, Rv. 232433) – neppure quello, qui in contestazione, di cui all’articolo 483 c.p., posto che il problema non e’ la qualita’ dell’agente – pubblico ufficiale o privato – ma la natura del cartellino marcatempo, che, si ripete, non e’ atto pubblico.
3. La falsa attestazione del pubblico dipendente, circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo, e’ condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza in merito alla presenza sul luogo di lavoro, ed e’ dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata (tra le ultime Sez. 5, n. 8426 del 17/12/2013, dep. 2014, Rapicano, Rv. 258987), reato per il quale i ricorrenti hanno riportato condanna, non impugnata in questa sede.
4. Consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla condanna per tutti i reati di cui all’articolo 483 c.p., addebitati agli imputati – il capo di imputazione trascritto in sentenza non li identifica con lettere o numeri – perche’ il fatto non sussiste.
La sentenza va annullata con rinvio per la rideterminazione della pena in ordine ai restanti delitti di truffa, rideterminazione non effettuabile in questa sede ex articolo 620 c.p.p., lettera l), in assenza di statuizioni del giudice di merito utili a tal fine.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’articolo 483 c.p., perche’ il fatto non sussiste; annulla la stessa sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per la rideterminazione della pena.

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