cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 17 marzo 2016, n. 5360

In fatto e in diritto

L’Agenzia delle entrate di Bari notificava a (…) un accertamento relativo alla ripresa a tassazione di IRPEF per l’anno di imposta 2006 sulla base del reddito determinato in via sintetica. Il contribuente impugnava l’atto innanzi al giudice tributario sostenendone la nullità sotto diversi profili, fra i quali l’inesistenza di un atto di delega da parte del titolare dell’Ufficio al soggetto che aveva firmato l’atto. La CTP di Bari accoglieva il ricorso con sentenza riformata dalla CTR della Puglia n. 584/2014/02, depositata l’11.3.2014.
Secondo il giudice di appello il potere spettante al funzionario delegato a rappresentare l’ente prescinde dall’esistenza di un atto di designazione che, se emesso, è atto interno che non deve essere esibito a terzi o al giudice. Nel caso concreto non era sta contestata la qualifica del funzionario dell’ufficio, ma unicamente l’inesistenza di un atto di delega del titolare dell’ufficio. Nel merito evidenziava che la certificazione bancaria, oltre a non essere stata legittimamente introdotta nel processo in quanto non allegata ad un atto ufficialmente depositato in cancelleria, era del tutto inidonea a dimostrare la destinazione delle somme ivi risultanti al mantenimento dell’automezzo e dell’abitazione principale indicati dal contribuente nel questionario dallo stesso compilato. Il contribuente, in definitiva, non aveva offerto alcun elemento per smentire la presunzione di legge, essendosi limitato a elencare le spese di manutenzione auto e dell’abitazione principale, erroneamente confrontandole con la capacità reddituale induttivamente determinata in base ai coefficienti di redditività. L’atto impugnato non era dunque carente di motivazione era da considerare pienamente legittimo.
La parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso. La ricorrente ha pure depositato memoria.
Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt.42 c. 1 dPR n.600/73 e 7 c. 1 l. n. 212/2000 in relazione alla questione della nullità dell’atto per mancanza della delega rilasciata al soggetto che aveva firmato l’atto impugnato, mai prodotta in atti, la CTR aveva disatteso la giurisprudenza di questa Corte che addossa sull’ufficio l’onere di dimostrare, in caso di contestazione, l’esistenza della delega stessa.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art.2697 c.c.. Diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, gravava sull’Ufficio l’onere di provare l’esistenza della delega.
Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 38 commi 4 e 6 dPR n.600/73.Ai fini del superamento della presunzione nascente dall’accertamento redatto sulla base di coefficienti parametrici alla stregua dell’art. 38 c.4 dPR n. 600/73 e sufficiente la dimostrazione di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte idonei a dimostrare il maggior reddito determinato sinteticamente. Pertanto, la dimostrata disponibilità di somme al 31.12.2005 era tale da vincere la presunzione dell’insufficienza del reddito dichiarato rispetto alle spese per l’acquisto e mantenimento dell’automezzo e dell’abitazione principale. L’Agenzia delle entrate ha dedotto l’infondatezza dei motivi di ricorso rilevando, quanto al primo, che la questione relativa alla nullità dell’alto per assenza di delega era stata tardivamente proposta dopo la proposizione del ricorso in primo grado e che la stessa, rigettata dalla CTP, non poteva essere riesaminata dalla CTR in quanto motivo nuovo.
I primi due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono fondati.
Quanto al primo, in rito occorre evidenziare che il giudice di primo grado ritenne che l’eccezione di nullità dell’atto per mancanza di delega era stata tardivamente sollevata in epoca successiva alla proposizione del ricorso introduttivo. Nel corso del giudizio di appello la parte contribuente- in quella fase appellata- aveva riproposto la relativa eccezione di nullità dell’atto e la CTR, esaminandola nel merito- e dunque ritenendola implicitamente tempestivamente proposta- l’aveva disattesa. Rispetto a tale situazione l’Agenzia delle entrate non ha proposto ricorso incidentale volto ad impugnare la statuizione del giudice di appello che aveva ritenuto di esaminare nel merito l’eccezione di nullità, sicché la stessa non può più essere messa in discussione in questa sede quanto alla ormai accertata- sia pure per implicito- ritualità.
Per quel che riguarda, invece, il merito, la prima e la seconda censura sono entrambe manifestamente fondate.
Questa Corte ha più volte sostenuto che, fermi i casi di sostituzione e reggenza di cui al D.P.R 8 maggio 1987, n. 266, art. 20 comma 1, lett. a) e b) è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere e che il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (Cass. 14626/00). Più di recente questa Corte ha confermato tali principi ritenendo che “L’avviso di accertamento è nullo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio, poiché il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio” (Cass. n. 17400/12)-cfr.Cass.n. 18758/14-.
La CTR non si è attenuta a tali principi, affermando la non necessità del deposito dell’atto di delega da parte del titolare dell’ufficio fiscale espressamente contestato dalla parte contribuente.
II terzo motivo di ricorso è inammissibile. La parte contribuente non ha infatti impugnato la statuizione con la quale la CTR ha ritenuto che la produzione della certificazione bancaria non era stata legittimamente introdotta nel processo.
Tale affermazione, implicante l’inammissibilità della produzione documentale, è stata poi affiancata dalla valutazione in ordine alla inidoneità della stessa a vincere la presunzione nascente dal c.4 dell’art.38 dPR n.600/73. Tanto consente di ritenere inammissibile la censura relativa alla decisione del giudice di appello concernente l’idoneità della certificazione bancaria a superare la presunzione anzidetta. Ed infatti, questa Corte non ha mancato di rilevare, sia pure con riguardo al processo civile- che pure si applica al rito tributario in via residuale, che ai sensi degli artt. 74 ed 87 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, gli atti ed i documenti prodotti prima della costituzione in giudizio devono essere elencati nell’indice del fascicolo e sottoscritti dal cancelliere, mentre quelli prodotti dopo la costituzione vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti (oppure, se esibiti in udienza, devono essere elencati nel relativo verbale, sottoscritto, del pari, del cancelliere), di guisa che l’inosservanza di tali adempimenti, rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova ed al giudice di merito di esaminarli, sempreché la controparte legittimata a far valere le irregolarità non abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della documentazione-cfr.Cass.n.4822 del 30/05/1997-.
Ora, nel caso di specie l’Ufficio aveva espressamente evidenziato l’assenza di produzione documentale nel corso del giudizio-cfr.pag.4 righi 1 e 2 della sentenza impugnata- Da ciò la necessità della parte ricorrente di impugnare la decisione del giudice di merito che si era ormai spogliato della potestas iudicandi per effetto della pronuncia di inammissibilità in rito della prova- v.Cass., 12 marzo 2012, n. 3927-.
Sulla base di tali considerazioni, essendo passata in giudicato la statuizione concernente la ritualità della produzione, la censura concernente gli effetti prodotti dalla certificazione bancaria irritualmente acquisita è inammissibile.
In conclusione, in accoglimento dei primi due motivi, inammissibile il terzo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Puglia per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.
Accoglie i primi due motivi di ricorso, inammissibile il terzo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Puglia anche per le spese del giudizio di legittimità

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