La violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 novembre 2020| n. 25082.

La violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in “re ipsa”, con la conseguenza che non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entità concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprietà, dovendosi, di norma, presumere, sia pure “iuris tantum”, tale pregiudizio, fatta salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso.

Ordinanza|9 novembre 2020| n. 25082

Data udienza 8 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Proprietà – Terreni confinanti – Distanze – Distanze legali di confine – Violazione – Risarcimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 19885-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che li rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2254/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’08/10/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. (OMISSIS), il 26 marzo 2005, conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Paola, i sig.ri (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per sentirli condannare all’eliminazione delle piante e del gazebo esistenti nel loro terreno, confinante con quello di proprieta’ dell’attore, in quanto non rispettosi delle distanze legali dal confine, con risarcimento del danno. A sostegno della domanda chiedeva l’acquisizione della consulenza tecnica d’ufficio dell’arch. (OMISSIS), espletata nel diverso giudizio svoltosi tra le stesse parti iscritto al R.G. n. 918/04.
I convenuti si costituivano in giudizio, eccependo preliminarmente la litispendenza della causa con un altro procedimento nel quale l’attore aveva proposto identica domanda in via riconvenzionale. Chiedevano, quindi, il rigetto della domanda, sostenendo che fosse applicabile al caso di specie la deroga di cui all’articolo 892 c.c., per il rispetto delle distanze legali, e, in aggiunta, che il diritto si fosse prescritto, in quanto l’apposizione delle piante e del gazebo risaliva al 1981.
Nelle more del giudizio veniva dichiarata la morte dell’attore e si costituivano gli eredi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Il Tribunale di Paola superava l’eccezione di litispendenza, ritenendo sussistente un’ipotesi di continenza di cause; tuttavia, escludeva l’opportunita’ di promuoverne la riunione, dal momento che era gia’ definitiva la pronuncia di inammissibilita’ della prima domanda per tardivita’.
Con la sentenza n. 200/2008, in parziale accoglimento della domanda, una volta accertata la violazione delle distanze legali, il Tribunale ordinava ai convenuti di eliminare l’arbusto di pitosforo posto a fronte del muro del fabbricato sul confine; dichiarava cessata la materia del contendere con riferimento alle ulteriori piante poste a distanza inferiore a quella legale, poiche’ erano state eliminate; ordinava ai convenuti di arretrare alla distanza di 3 metri o, a loro scelta, di eliminare il gazebo dopo aver rigettato l’eccezione di prescrizione, attesa l’imprescrittibilita’ della facolta’ di esigere il rispetto delle distanze legali, salvi gli effetti dell’usucapione – con condanna al risarcimento della somma di Euro 1.800, ritenuto il danno in re ipsa, oltre interessi legali e spese di lite.
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano appello contro la suddetta sentenza, contestando l’ordine di arretramento o eliminazione del gazebo, dal momento che la CTU non avrebbe accertato la sua posizione e distanza rispetto alla proprieta’ degli (OMISSIS). In via riconvenzionale, eccepivano l’intervenuta usucapione a loro favore del diritto di tenere il gazebo a distanza inferiore a quella legale, risalendo la costruzione a 28 anni prima (concessione edilizia del Comune di (OMISSIS) del (OMISSIS)).
Censuravano, poi, la condanna al risarcimento del danno, dal momento che mancava la prova stessa del danno; infine, contestavano la condanna alle spese, dal momento che la loro soccombenza si fondava su motivi erronei. Chiedevano, quindi, la sospensione dell’esecutivita’ della sentenza e, in via istruttoria, l’acquisizione dei documenti comprovanti l’autorizzazione per l’esecuzione del gazebo oltre che prova per testi.
Gli appellati chiedevano il rigetto nel merito dell’appello, attesa la tardivita’ dell’eccezione di usucapione e la correttezza della CTU nella rappresentazione dello stato dei luoghi.
La Corte d’Appello di Catanzaro con la sentenza n. 2254/2017 del 21/12/2017, rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado, con condanna degli appellanti alla refusione delle spese di secondo grado.
A parere della Corte, l’eccezione di prescrizione del diritto a ottenere il rispetto delle distanze legali non era nuova, dal momento che era stata introdotta con la comparsa di costituzione nel primo grado di giudizio e poi reiterata in appello; tuttavia, doveva essere rigettata nel merito in quanto sfornita di prova. A tale riguardo, la Corte non ha ritenuto soddisfacente l’allegazione della concessione edilizia del 1981, non essendo idonea a comprovare ne’ l’inizio dei lavori, ne’ la loro ultimazione, e quindi il maturare della prescrizione acquisitiva.
La Corte confermava l’ordine di arretramento o eliminazione del gazebo, in quanto la relazione peritale comprovava, con un allegato planimetrico, la violazione delle distanze da parte del manufatto.
Infine, confermava la condanna al risarcimento del danno e conseguentemente alle spese, sulla base della consolidata giurisprudenza, secondo la quale non incombe sul danneggiato la prova del danno subito, essendo questo ricompreso nella perpetrata violazione delle norme sulla distanza legale.
(OMISSIS) ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta sentenza di appello sulla base di due motivi.
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono difesi nel presente giudizio con controricorso.
Preliminarmente rileva la Corte che il ricorso, sebbene relativo all’impugnazione di una sentenza avente ad oggetto la condanna all’arretramento di un manufatto insistente su di un fondo in comunione tra piu’ soggetti, non risulta essere stato notificato nei confronti di tutti coloro che hanno preso parte al precedente giudizio di merito, non essendo stato infatti indirizzato anche nei confronti degli altri comproprietari del fondo della ricorrente, che avevano peraltro rivestito la qualita’ di appellanti.
E’ bensi’ vero che nella specie si versa in un caso di litisconsorzio necessario, anche nel grado di impugnazione, per cui sarebbe indispensabile l’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti; con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell’articolo 331 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, a cui il ricorso non e’ stato in precedenza notificato.
Senonche’, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’articolo 111 Cost., comma 2, e dalla Convenzione Europea dei diritti del l’uomo e delle liberta’ fondamentali, articoli 6 e 13), impone al giudice (ai sensi degli articoli 175 e 127 c.p.c.), di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attivita’ processuali e formalita’ superflue perche’ non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’articolo 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (articolo 24 Cost.), e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parita’ (articolo 111 Cost., comma 2), dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale e’ destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).
In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) inammissibile, appare superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettivita’ dei diritti processuali delle parti.
Con il primo motivo, la (OMISSIS) lamenta la contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione e la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La conclusione del rigetto dell’eccezione di usucapione da parte della Corte d’Appello di Catanzaro non sarebbe condivisibile a causa dell’incompletezza dell’istruttoria, dovuta alla mancata ammissione, in assenza di alcuna motivazione, delle richieste di prova testimoniale avanzate dalla ricorrente fin dal primo grado e poi reiterate in appello, le quali, se fossero state accolte, sarebbero risultate decisive ai fini della decisione.
La mancata pronuncia su un’istanza istruttoria non integra, di per se’, il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, occorrendo, a tal fine, che l’istanza istruttoria non esaminata attenga a circostanze che, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata (cfr. Cass., sez. 2, ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Cass., sez. L, sentenza n. 1203 del 03/02/2000). Nel caso di specie, la censura della ricorrente e’ inammissibile in quanto non assolve all’onere di specificita’ previsto dall’articolo 366 c.p.c., nella parte in cui non consente di valutare la decisivita’ delle prove richieste ai fini della decisione.
A tal fine, la ricorrente avrebbe dovuto indicare i testi e riportare l’oggetto dei capitoli di prova e le ragioni per le quali ciascuno dei testi indicati sarebbe stato qualificato a riferire sugli argomenti dedotti nelle domande da rivolgergli.
Viceversa, l’attuale ricorrente si e’ limitata a un generico richiamo alle richieste formulate nella fase di merito, senza nemmeno allegare e dimostrare la tempestivita’ e ritualita’ della prospettazione delle richieste istruttorie effettuate. Il motivo deve, pertanto, essere rigettato, stante l’impossibilita’ in sede di legittimita’ di compiere indagini integrative per verificare ex actis la veridicita’ delle asserzioni della ricorrente contenute nel ricorso (cfr. Cass., sez. 6 – 1, ordinanza n. 23194 del 04/10/2017; Cass., sez. U, sentenza n. 28336 del 22/12/2011; Cass. sez. 2, sentenza n. 9748 del 23/04/2010; Cass., sez. 2, sentenza n. 19138 del 23/09/2004).
Peraltro, la stessa ricorrente riferisce che la prova de qua non era stata ammessa gia’ da parte del giudice di primo grado e nel corso della fase istruttoria, dolendosi del fatto che l’ordinanza di rigetto sia del tutto immotivata.
Appaiono pertanto richiamabili i tradizionali principi di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 25157/2008) la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni, poiche’, diversamente, le stesse dovranno ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in appello (conf. Cass. n. 19352/2017, precisandosi che tale onere di riproposizione non puo’ reputarsi assolto attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il “thema” sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle sole richieste – istruttorie e di merito definitivamente proposte; Cass. n. 16290/2016).
Nella specie, la (OMISSIS) si e’ limitata a riferire solo della reiterazione delle richieste istruttorie in sede di appello, ma ha omesso di riferir se ancor prima che nel gravame, la richiesta fosse stata ripresentata in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al Tribunale, il che rende inammissibile la doglianza.
Il motivo e’ quindi inammissibile.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia l’insufficienza della motivazione e la violazione degli articoli 2967 e 1226 c.c., da parte della sentenza di appello, che non avrebbe adeguatamente motivato in ordine agli elementi di fatto, risultanti dall’istruttoria, sui quali ha fondato il suo convincimento, in ordine alla consistenza del danno e al relativo ammontare, al fine di procedere alla liquidazione in via equitativa.
L’insufficienza della motivazione, in seguito alla riforma introdotta dalla L. n. 134 del 2012, che ha modificato il testo dell’articolo 360, comma 1, n. 5, non e’ un vizio che puo’ comportare la nullita’ della sentenza. Gli unici profili attinenti alla motivazione che possono essere sindacati in sede di legittimita’ sono quelli che riguardano l’esistenza stessa della motivazione, sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza, e la sua coerenza, sotto il profilo della sua contraddittorieta’ e illogicita’ manifesta: parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., sez. U, sentenza n. 8053 del 2014).
Esclusa la sussistenza di radicale ipotesi di assenza, illogicita’ o contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata, non si ravvisa nemmeno alcuna violazione delle norme richiamate dalla ricorrente.
Il potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa ex articolo 1226 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza dei danni risarcibili e che risulti impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare. Data questa premessa, il danneggiato puo’ essere sollevato dall’onere di dimostrare l’an debeatur del diritto al risarcimento laddove l’esistenza del danno non sia contestata dalla controparte oppure il danno sia da ritenere in re ipsa alla violazione (cfr. Cass., sez. 3, sentenza n. 20889 del 17/10/2016).
La Corte d’Appello di Catanzaro correttamente ha richiamato la giurisprudenza secondo la quale non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entita’ del concreto pregiudizio patrimoniale subito, potendosi considerare il danno da risarcire come necessariamente compreso nella perpetrata violazione della prescrizione sulla distanza (cfr. ex multis Cass., sez. 2, sentenza n. 21501 del 31/08/2018; Cass., sez. 2, sentenza n. 25475 del 16/12/2010), potendosi intendere l’affermazione talvolta presente in giurisprudenza secondo cui si tratterebbe di un danno in re ipsa, nel senso che in presenza di un pregiudizio derivante dalla violazione delle distanze legali ed attesa la natura del bene giuridico leso, deve di norma presumersi esistente il pregiudizio al diritto di proprieta’, fatta salva la possibilita’ per il preteso danneggiante di dimostrare che per le peculiarita’ dei luoghi o dei modi della lesione, il pregiudizio invece debba essere escluso.
Appare, quindi, corretta la conferma della motivazione del giudice di primo grado, il quale, come si ricava dalla narrazione in fatto della sentenza in questa sede gravata, aveva individuato i presupposti fattuali sulla scorta dei quali individuare le ragioni della pretesa risarcitoria.
In tale prospettiva il Tribunale ha liquidato la somma da risarcire in Euro 1.800, tenuto conto che le distanze risultavano violate per degli arbusti e un piccolo gazebo e in relazione a un muro di fabbricato che presenta solo luci collocate in alto e che la maggior parte delle piante nel periodo ricompreso tra l’introduzione della domanda e la precisazione della conclusione era state eliminata.
Il richiamo della Corte distrettuale alle motivazioni del giudice di prime cure, con la condivisione dell’iter argomentativo del secondo permette di affermare che sia stato correttamente esercitato il potere di liquidazione equitativa del danno, non ricorrendo nemmeno le carenze motivazionali di cui si duole la ricorrente.
Ne consegue che anche tale motivo va dichiarato inammissibile ed il ricorso deve quindi essere dichiarato nell’intero inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma del cit. articolo 13, articolo 1 bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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