La valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 8 gennaio 2020, n. 134.

La massima estrapolata:

In materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’articolo 1455 del Cc, costituisce anch’essa questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici.

Ordinanza 8 gennaio 2020, n. 134

Data udienza 8 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17299/2015 R.G. proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio del difensore;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio del difensore;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4732 depositata il 14 luglio 2014.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 aprile 2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:
– (OMISSIS) s.r.l. conveniva in giudizio (OMISSIS) s.r.l. e, premesso che il 10 aprile 1994 era stato concluso fra le parti contratto di appalto per la costruzione di dieci unita’ immobiliari ubicate nel Comune di Ardea, lavori che non erano stati completati dall’appaltatrice, la quale, dopo avere maturato un consistente ritardo nell’esecuzione dei lavori, aveva abbandonato il cantiere (restituito solo il 10.05.1997, espletata ATP), chiedeva che, previo accertamento del grave inadempimento della convenuta, la stessa fosse condannata al risarcimento del danno sofferto dall’attrice, pari alla differenza tra il prezzo pattuito fra le parti e quello concordato con altra impresa, cui si era rivolta per la realizzazione ed ultimazione degli immobili, importo al quale doveva essere aggiunto il mancato guadagno derivante dall’inadempimento ai contratti di vendita sottoscritti con terzi;
– instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, la quale, oltre a spiegare domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo recesso esercitato dalla committente, eccepiva la nullita’ dell’atto di citazione per violazione dell’articolo 164 c.p.c., comma 4, il Tribunale di Roma adito, espletata istruttoria e due c.t.u., respinta la preliminare eccezione, accertava l’intervenuta risoluzione del contratto di appalto per il grave inadempimento dell’appaltatrice e la condannava al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 74.925.00;
– sul gravame interposto dalla (OMISSIS), la Corte di appello di Roma, nella resistenza della societa’ appellata, rigettava l’impugnazione e per l’effetto confermava la pronuncia di primo grado ritenendo sufficientemente specificato il petitum con riferimento al titolo dedotto in giudizio. Nel merito, precisato che la risoluzione del contratto di appalto era stata conseguenza del grave inadempimento dell’appaltatrice maturato gia’ prima della diffida inviatale dalla committente, dalla seconda c.t.u. emergevano evidenti i ritardi dell’impresa appaltatrice alla data del 20.12.1996 (mancata realizzazione del basamento per la gru e la centralina per la produzione del calcestruzzo, esecuzione di un solo scavo su cinque). Anche quanto all’entita’ del risarcimento del danno, commisurato al maggior costo sopportato dalla committente, esso risultava provato dalla medesima ultimazione delle opere a cura di altra impresa costruttrice;
– per la cassazione della sentenza di appello ricorre la (OMISSIS) sulla base di cinque motivi;
– resiste con controricorso la (OMISSIS);
– in prossimita’ dell’adunanza camerale la sola ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Atteso che:
– la controricorrente ha eccepito in via preliminare l’inammissibilita’ del ricorso per difetto di procura.
La suddetta eccezione e’ infondata.
La procura speciale e’ stata apposta in margine al ricorso.
E’ vero che la suddetta procura contiene espressioni, ed attribuisce al difensore poteri, inconciliabili con la struttura del giudizio di legittimita’. In essa infatti l’avvocato (OMISSIS) viene delegato a rappresentare la ricorrente “nella presente procedura in ogni sua fase, stato e grado e in quella eventuale di esecuzione” (la’ dove il giudizio di legittimita’ non ha ne’ “stati”, ne’ “gradi”). Tale inesattezza tuttavia non e’ da sola sufficiente per poter affermare che la procura difetti del requisito della specialita’.
E’ infatti consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, l’orientamento secondo cui la procura apposta in margine al ricorso deve per cio’ solo ritenersi “speciale”, giacche’ deve presumersi, fino a prova contraria che e’ onere della controparte fornire, che al momento della sottoscrizione della procura il ricorso fosse stato gia’ esteso sullo stesso foglio (in tal senso si veda gia’ Cass. 4 marzo 1983 n. 1629, secondo cui “la formula “per ogni stato e grado del giudizio” apposta nel mandato rilasciato a margine del ricorso per Cassazione non vale ad escludere il requisito della specialita’ previsto dall’articolo 365 c.p.c., dovendosi ritenere, per la sua stessa collocazione, che sia stato rilasciato successivamente alla emanazione della sentenza impugnata e non anteriormente a margine di un foglio in bianco”. Di recente v. Cass. 7 dicembre 2017 n. 29312);
– passando al merito del ricorso, con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 164 c.p.c. e dell’articolo 24 Cost., per avere la Corte di appello, al pari del giudice di prime cure, ritenuto superabile la eccezione sollevata dall’attuale ricorrente in relazione alle norme invocate per avere l’attrice indicato il titolo dedotto in giudizio, mentre non era chiarito ne’ il nuovo contratto di appalto stipulato ne’ alcun altro elemento di detto contratto, come il prezzo pattuito; generica anche la circostanza dell’asserita “mancata o ritardata vendita degli immobili oggetto dell’appalto” ovvero impossibilita’ di sottoscrivere e/o adempiere contratti di compravendita delle costruende unita’ abitative “gia’ sottoscritti”.
La censura si palesa infondata avuto riguardo agli elementi della vicenda processuale desunti dagli altri atti regolamentari.
La Corte d’appello, infatti, ha fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui l’eccepita nullita’ della citazione ai sensi dell’articolo 164 c.p.c., comma 1 (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore alle modificazioni introdotte dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, articolo 9), postula la totale omissione o l’assoluta incertezza dell’oggetto della domanda, che non ricorre quando il petitum, inteso sia sotto il profilo formale come provvedimento giurisdizionale richiesto che sotto l’aspetto sostanziale come bene della vita di cui si chiede il riconoscimento, sia comunque individuabile attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva (cfr. Cass. n. 20294 del 2014; Cass. 28 agosto 2009 n. 18783; Cass. 1 giugno 2001 n. 7448; Cass. 7 marzo 2006 n. 4828).
Va richiamato il principio espresso dalle Sezioni Unite (Cass. n. 8077 del 2012) secondo cui quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullita’ del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attivita’ deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullita’ dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento (il che appare suscettibile di estensione anche al vizio che attiene al contenuto dell’atto di appello e dei relativi motivi), il giudice di legittimita’ non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicita’ della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma e’ investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purche’ la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformita’ alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformita’ alle prescrizioni dettate dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4).
Al riguardo, i giudici del merito, procedendo a tale esame, hanno considerato che dalla citazione emergeva che il petitum era identificabile con riferimento al titolo dedotto in giudizio, costituito dall’accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto di appalto concluso fra le parti il 10 aprile 1994 per inadempimento grave dell’appaltatrice; inoltre veniva statuita la natura contrattuale della responsabilita’ invocata, da collegarsi alla richiesta di risarcimento dei danni, di cui alla disciplina degli articoli 1655 c.c. e segg., a nulla rilevando la mancata quantificazione dello stesso. Non pare dubbio che, a fronte dei dati dianzi evidenziati, si versi in una fattispecie di domanda risarcitoria per il ristoro del pregiudizio da inadempimento dell’appaltatrice, a nulla rilevando la circostanza che l’attrice non abbia definito con l’atto introduttivo anche l’ammontare del danno, trattandosi di questione di natura prettamente quantificatoria;
– con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, nonche’ la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. e dell’articolo 1662 c.c., con riferimento alla ripresa delle opere nei termini della diffida ad adempiere e conseguente insussistenza dell’inadempimento imputato all’appaltatrice. In altre parole, la ricorrente ritiene doveroso per la Corte distrettuale argomentare puntualmente l’adesione alle conclusioni del secondo consulente tecnico d’ufficio, che, giungendo ad esiti diametralmente opposti rispetto al primo, non avrebbe chiarito le contraddittorie conclusioni assunte in ordine ai giorni di sospensione dei lavori per le copiose piogge, indicati prima in diciassette Colmi (oltre a sedici per le festivita’ natalizie), nonche’ altro ulteriore periodo di piogge dopo il 9.1.1996, e poi in appena cinque complessivi. Le medesime considerazioni vengono svolte quanto alla ripresa dei lavori dopo l’intimazione della diffida ad adempiere, apoditticamente motivate dal perito con l’affermazione secondo la quale “la differenza tra la quantificazione dei volumi della perizia giurata e quelli dell’ATP deve (quindi) ritenersi causata da una sottostima dell’effettivo volume scavato dall’impresa da parte del perito che ha redatto la perizia giurata”.
Anche la seconda censura non puo’ trovare accoglimento.
Come piu’ volte enunciato da questa Corte (tra le altre, Cass. 14 novembre 2008 n. 27247; Cass. 17 dicembre 2009 n. 26499; Cass. 30 marzo 2010 n. 7622; da ultimo, Cass. 24 gennaio 2019 n. 2103), rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunita’ di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio sulla relazione gia’ depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice. L’esercizio di tale potere non e’ sindacabile in sede di legittimita’, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici; peraltro, il provvedimento con cui il giudice dispone la rinnovazione delle indagini non priva di efficacia l’attivita’ espletata dal consulente sostituito.
Nella specie, come evidenziato dalla stessa sentenza, la Corte di appello ha chiarito le ragioni per le quali l’apprezzamento andava al contenuto della seconda c.t.u., espletata sempre in primo grado, in base al rilievo che la risposta ai quesiti fornita dal primo ausiliario, il quale aveva anche redatto l’Accertamento Tecnico Preventivo, si era limitata a richiamare espressamente le attivita’ svolte ed i risultati raccolti nel corso del procedimento introdotto ai sensi dell’articolo 696 c.p.c., senza provvedere a fornire risposte risolutive ai quesiti sottopostigli, neppure in sede di riconvocazione per chiarimenti.
Viene, quindi, esibita una motivazione adeguata e non illogica, dandosi conto del fatto che solo il secondo consulente aveva esaurientemente risposto ai quesiti posti e che erano, pertanto, da preferire le conclusioni del secondo.
Apprezzamento, questo, quanto alla scelta di decidere in base agli esiti della seconda c.t.u., che costituisce opzione legittima e, in se’, non contraddittoria, ben potendo il giudice di secondo grado, accogliere, in sede di decisione, le conclusioni della seconda consulenza, anziche’ della prima consulenza, purche’ motivi le ragioni della scelta e contesti le argomentazioni contrastanti della consulenza non accolta (Cass. 27 marzo 1998 n. 3240; Cass. 4 giugno 1999 n. 5515; Cass. 29 marzo 2001 n. 4652).
E la Corte territoriale ha espresso chiaramente le ragioni del proprio dissenso dagli esiti della prima c.t.u. e quelle per cui ha preferito adeguarsi al secondo accertamento.
A tale riguardo – e venendo cosi’ allo scrutinio delle ulteriori doglianze di parte ricorrente – il giudice di appello, nel rilevare come la responsabilita’ dell’appaltatrice affermata dalla seconda c.t.u., redatta dall’ing. (OMISSIS), fosse fondata sugli atti di causa (in particolare: “nel verbale di inizio dei lavori del 15.11.1996 e nella bozza del giornale di cantiere, oltre che nella perizia redatta in sede di ATP), accertava la sussistenza dei lamentati ritardi da parte dell’impresa appaltatrice, che alla data del 20.12.1996 “non solo non aveva ancora realizzato il basamento per la gru e la centralina per la produzione del calcestruzzo, ma aveva eseguito solo uno dei cinque scavi previsti per la realizzazione dei cinque villini bifamiliari da realizzare”. Aggiungeva che l’entita’ delle opere eseguite e riscontrate al momento dell’ATP consentiva di affermare che l’impresa appaltatrice non aveva sicuramente rispettato l’avanzamento dei lavori previsto nel programma presentato dall’impresa stessa con la nota del 15.11.1996. Dunque la corte territoriale ha preso in considerazione tutti i rilievi in ordine alla prima c.t.u. e su ciascuno di essi ha evidenziato quali fossero le rispettive incongruenze, tali da indurla ad optare per le conclusioni di cui alla seconda c.t.u..
In ordine al profilo circa l’omesso esame da parte del giudice distrettuale del diverso computo dei giorni lavorativi utili in cantiere – per cui la seconda c.t.u. non avrebbe potuto essere ritenuta altamente attendibile – la ricorrente non precisa quando e con quale atto avrebbe sottoposto alla Corte capitolina dette osservazioni, peraltro del tutto generiche per come formulate in sede di legittimita’.
A tal riguardo, non sussiste la “confusione” (siccome dedotta dalla ricorrente) tra i due accertamenti, giacche’, come affermato dalla corte di appello, solo in base alle conclusioni della seconda c.t.u. di primo grado – alle quali il giudice di appello ha espressamente aderito – si sarebbe venuti a capo dei quesiti posti dal primo giudice.
La Corte di merito ha, dunque, adeguatamente esposto le ragioni per le quali ha reputato che la seconda consulenza tecnica di primo grado fosse attendibile, aderendo argomentatamente alle conclusioni della c.t.u. dell’ing. (OMISSIS).
Si tratta di motivazione non solo adeguata, ma anche priva di aporie e plausibile nel suo sviluppo, la quale si sottrae alle critiche di parte ricorrente, che sono ben lungi dall’aggredire puntualmente le argomentazioni del giudice di appello, riproponendo, piuttosto, i contenuti delle proprie difese.
In definitiva, la sentenza, in parte qua, non viene affatto criticata ab intrinseco, sollecitandosi, nella sostanza, una inammissibile rivalutazione del merito dell’accertamento compiuto dalla Corte territoriale, attraverso l’esame diretto di quella c.t.u. che la parte interessata reputa ad essa piu’ favorevole;
– con il terzo mezzo la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti, nonche’ la violazione e la falsa applicazione degli articoli 61 e 115 c.p.c., oltre che dell’articolo 2697 c.c., circa il rilievo dalla medesima formulato della carenza di prova dell’avvenuto pagamento del prezzo del secondo appalto da parte della (OMISSIS) s.r.l.. Infatti sebbene la ricorrente avesse prontamente e reiteratamente evidenziato come nessuna quietanza attestante l’avvenuto pagamento del prezzo del secondo appalto fosse stata acquisita agli atti, la corte territoriale aveva ugualmente pronunciato condanna del “non provato”, non potendo sul punto sopperirsi neanche con una c.t.u..
Del pari non puo’ trovare ingresso la terza censura.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare il principio (Cass. 7 febbraio 1996 n. 970; v. pure Cass. 3 giugno 1977 n. 2268), condiviso in questa sede, secondo cui, avendo il risarcimento del danno patrimoniale la funzione di reintegrare il patrimonio del danneggiato nella esatta misura della sua lesione, le spese sostenute dal danneggiato per evitare o contenere il danno reperendo una soluzione alternativa sono risarcibili solo nella misura corrispondente al costo obbiettivo di esse, in base a prezzi corrispondenti a quelli ordinari di mercato, mentre non sono risarcibili le somme corrisposte in misura superiore a quel costo, salvo che chi le ha pagate dimostri l’esistenza di ragioni giustificative di quel maggior esborso.
Ne consegue in ordine al regime della prova, e quindi della corretta applicazione dell’articolo 2697 c.c., che la produzione di fatture a documentazione delle spese sostenute dal danneggiato non e’ prova immediata dell’entita’ del danno, ma fornisce per il suo accertamento solo elementi da considerare in concorso con altri, anche desunti da nozioni di comune esperienza (Cass. n. 5565 del 1991 e Cass. n. 779 del 1971) e a maggior ragione da valutazioni tecniche acquisite con consulenza, come nel caso di specie.
Si tratta percio’ di un giudizio di merito sulla congruita’ della spesa al tipo e all’entita’ dei danni riportati dal danneggiato, consentito ai giudici di appello e impugnabile per cassazione solo sotto il profilo del vizio della motivazione, nei limiti di cui alla nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Orbene il giudice del merito si e’ attenuto ai principi sopra richiamati, avendo accertato che i costi sostenuti dalla committente per portare a compimento le opere commissionate all’appaltatrice per la realizzazione dei cinque villini bifamiliari – onde poter regolarmente adempiere ai contratti di vendita degli immobili in corso di realizzazione, conclusi dalla stessa con terzi, senza alcun aggravamento delle rispettive posizioni (articolo 1227 c.c.) – erano rimborsabili per la parte corrispondente ai prezzi correnti di mercato. E siffatta valutazione, fondata sui dati acquisiti con la seconda consulenza tecnica di ufficio, che ha verificato la ultimazione delle costruzioni in questione, oltre ad avere comparato i due distinti contratti di appalto sulla base di nozioni di comune esperienza – rilevata, peraltro, la non adeguata contestazione degli accertamenti di fatto effettuati dal c.t.u. – esula dal perimetro di indagine di questa Corte di legittimita’;
– con il quarto motivo la ricorrente, nel denunciare l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, nonche’ violazione e falsa applicazione degli articoli 61, 115 c.p.c. e articolo 2697 c.c., per il mancato rilievo dell’inammissibilita’ dei quesiti assegnati al c.t.u., nella sostanza censura la circostanza che sia stata ammessa la seconda consulenza al solo fine di supplire all’assoluta carenza di elementi probatori da parte della committente.
Il motivo e’ inammissibile prima che infondato.
Il giudizio sulla necessita’ ed utilita’ di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione e’, di regola, incensurabile in Cassazione (Cass. 1 marzo 2007 n. 4853).
Va osservato, altresi’, che nella nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, risultante dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in L. n. 134 del 2012, e’ mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Nel caso in esame, regolamentato dalla norma sopra richiamata, occorre prendere atto del fatto che la preferenza accordata dai giudici del gravame all’esito della seconda c.t.u. e’ stata oggetto di motivazione. Al contempo, la fattispecie di cui dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, per come rimodellata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053 cit.).
Non e’ allora sindacabile nella presente sede il giudizio espresso dalla Corte di merito in ordine alla rilevanza degli elementi probatori acquisiti con l’esperimento dell’ulteriore indagine peritale, considerato, peraltro, che la societa’ ricorrente nemmeno spiega se e in quale modo abbia rappresentato al giudice di appello l’esistenza di specifici “fatti”, pacifici o documentati, che avrebbero dovuto essere dimostrati dalla committente, al di fuori dello svolgimento della consulenza tecnica, nonche’ i profili di inammissibilita’ dei medesimi quesiti, neanche riprodotti nel ricorso;
– con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti relativamente al mancato accoglimento della domanda riconvenzionale formulata con riguardo al dedotto illegittimo recesso unilaterale della (OMISSIS) e alla conseguente domanda di risarcimento dei danni.
Anche l’ultima censura non puo’ trovare accoglimento.
Diversamente dall’assunto della ricorrente, la corte territoriale ha esaminato il recesso unilaterale esercitato dalla societa’ committente e lo ha ritenuto legittimo, atteso che – ferma restando la domanda di risoluzione dalla (OMISSIS) per il grave inadempimento dell’appaltatrice nell’esecuzione delle opere – l’elemento costituito dal ritardo, a fronte degli impegni assunti dalla controricorrente rispetto a terzi con i contratti di vendita immobiliare, e’ stato dal giudice di merito correttamente considerato come elemento fattuale di conferma e riscontro della fondatezza, nel merito, della domanda attorea. Venendo all’esame della domanda della committente, la corte di appello (sent. pag. 10) ha affermato – sulla scorta di una completa ricostruzione fattuale l’effettiva gravita’ dell’inadempimento ex articolo 1455 c.c., osservando, in particolare, che tale conclusione imponeva il rigetto della riconvenzionale in ragione proprio della mancata prova dell’inadempimento della controparte.
Si ribadisce che siffatta valutazione si e’ fondata sugli esiti della consulenza tecnica d’ufficio e su riscontri obiettivi, cosi’ da risultare compiutamente e logicamente argomentata.
Su tale presupposto, va qui riaffermato che – in materia di responsabilita’ contrattuale – la valutazione della gravita’ dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’articolo 1455 c.c., costituisce anch’essa questione di fatto; la cui valutazione e’ rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimita’ ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v. ex multis, Cass. 30 marzo 2015 n. 6401).
Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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