La sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 8 luglio 2020, n. 20129.

Massima estrapolata:

La sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti può essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una attività illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro, l’identificazione degli acquirenti finali, l’accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affermare la responsabilità degli imputati, è gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalità con le quali è risalito alle diverse qualità e tipologie della droga movimentata.

Sentenza 8 luglio 2020, n. 20129

Data udienza 25 giugno 2020

Tag – parola chiave: MISURE CAUTELARI – PERSONALI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMU Giacomo – Presidente

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 03/02/2020 del TRIB. LIBERTA’ di CATANIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PEZZELLA VINCENZO;
lette le conclusioni del PG Dott. PEDICINI ETTORE che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 3/2/2020 il Tribunale di Catania rigettava la richiesta di riesame personale avverso l’ordinanza emessa in data 8/1/2020 con la quale il GIP del Tribunale di Catania applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di (OMISSIS) in quanto indagato dei reati di cui agli articoli 81, 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestatogli al capo 6), come commesso in (OMISSIS).
2. Ricorre (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con un primo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge, in relazione all’articolo 649 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche’ violazione del divieto “ne bis in idem”.
Il ricorrente assume una sostanziale sovrapponibilita’ soggettiva, oggettiva e spazio-temporale, documentata con in sede di riesame, dei fatti contestati oggetto della procedura cautelare in esame, a quelli contestati nel procedimento n. 1710/17 R.G.N.R., definito con sentenza irrevocabile del GIP di Siracusa, e nel procedimento n. 13749/16 R.G.N. R. definiti con ordinanza del 9/5/2018 del Tribunale di Catania di annullamento del provvedimento di custodia cautelare, seguita poi da archiviazione per (OMISSIS).
Il Tribunale del riesame, con evidente elusione delle doglianze difensive, si sarebbe limitato ad un mero richiamo a “fatti precedenti e successivi all’8/3/2017”, data dell’arresto del (OMISSIS) per la detenzione di 5 Kg di hashish forniti dai coindagati catanesi ed escludendo, senza fornire alcuna motivazione, la rilevanza della richiamata ordinanza di annullamento del 9/5/2018.
Sarebbe evidente, secondo la ricostruzione del difensore, che i fatti riguardassero le trattative, intercorse prima dell’8/3/2017, per l’acquisto dei cinque chili di droga e, dopo l’8/3/2017, le reiterate richieste di pagamento della stessa fornitura.
Viene evidenziata l’assoluta illogicita’ della motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi.
Si precisa che laddove nelle conversazioni intercettate si parla di “macchine”, “compravendita di auto” e di “autosaloni”, non si tratterebbe dell’utilizzo di un linguaggio criptico, come ritenuto dal tribunale, ma delle effettive ricerche e trattative per la compravendita di un’autovettura da parte di (OMISSIS), moglie del (OMISSIS), cosi’ come dimostrato dall’allegato documento di acquisto del febbraio 2017; mentre l’effettiva compravendita di un cavallo sarebbe stata dimostrata con l’esibizione di due sentenze del Tribunale di Siracusa relative a due episodi del 12 e 18 luglio 2017, attestanti l’esistenza effettiva di un allevamento di cavalli in una stalla attigua alla villetta dove il (OMISSIS) si trovava agli arresti domiciliari.
Inoltre, precisa il ricorrente, in nessuno dei tre episodi, ricostruiti nell’ordinanza impugnata, con approssimazione e in maniera del tutto congetturale, sulla base di alcune conversazioni intercettate, si potrebbe concretamente configurare una compravendita di ulteriori quantitativi di stupefacente rispetto all’unica fornitura del 8/3/2017.
Le proposte, le offerte e le differenti valutazioni su prezzo, qualita’ e quantita’, laddove non seguite dall’effettiva consegna della “merce” e dal pagamento della stessa, non possono qualificarsi come violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; dal momento che il “silenzio” dopo le trattative non significa che la compravendita e’ avvenuta, ma piuttosto attesterebbe l’interruzione della trattativa.
Ancora, aggiunge il (OMISSIS), non avrebbe avuto senso un’ulteriore fornitura ad un soggetto gia’ in grave difficolta’ per il pagamento della prima, tanto che a provvedere ratealmente al pagamento, nell’arco di sei mesi, sara’ il fratello (OMISSIS).
Cosi’ come del tutto illogica sarebbe la custodia di un ulteriore quantitativo di sostanza stupefacente a casa di un soggetto agli arresti domiciliari, costantemente sorvegliato.
Con un secondo motivo si deduce vizio di motivazione nonche’ erronea interpretazione e violazione di legge in relazione agli articoli 274 e 275 c.p.p..
Si contesta la sussistenza delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza e proporzionalita’ della misura adottata, nello specifico l’ordinanza impugnata sarebbe assolutamente carente e generica, nella motivazione adottata, limitandosi ad un mero richiamo alla pretesa “stabilita’ dei traffici illeciti ed ai precedenti penali e carichi pendenti specifici e ad una presunta ripresa delle attivita’ illecite dopo la concessione degli arresti domiciliari”.
Ci si duole, inoltre, di una asserita non corretta interpretazione e applicazione dei principi e dei criteri di scelta delle misure indicati dall’articolo 275 c.p.p..
Si sottolinea che, come provato documentalmente, i precedenti penali specifici del (OMISSIS) risalgono al lontano 2009, per fatti commessi nel 2004, inoltre non risultano pendenze specifiche a suo carico e non risponde, a differenza degli altri coindagati, di reati associativi.
Su tali rilievi difensivi nulla avrebbe argomentato il tribunale etneo. Infine, si rileva, in relazione all’attualita’ e concretezza delle esigenze cautelari, che il risalire i fatti a tre anni fa e la circostanza che l’arresto e’ avvenuto mentre il (OMISSIS) gia’ si trovava agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, per un episodio del 2016, in regime detentivo mai violato.
In relazione all’insussistenza di esigenze cautelari ai fini delle indagini si documenta l’avvenuta chiusura delle indagini preliminari.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con le conseguenti statuizioni.
3. In data 1/6/2020 il P.G. presso questa Suprema Corte ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’odierna udienza camerale senza discussione orale celebrata ai sensi del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, comma 12-ter, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 chiedendo dichiararsi inammissibile il proposto ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e pertanto il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Va rilevato, in primis, che il difensore ricorrente ripropone, tout court, quelli che sono stati i motivi di riesame, contestando genericamente, in realta’ senza confrontarvisi criticamente, le argomentazioni addotte dal tribunale etneo a sostegno del rigetto del proposto gravame.
3. Va premesso che questa Corte Suprema e’ ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e’ ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178).
In altra pronuncia, che pure si condivide, si e’ sottolineato che, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimita’ e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475);
Spetta dunque a questa Corte di legittimita’ il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicita’, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.
In altri termini, e’ consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioe’, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioe’ l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicita’ evidenti, risultanti cioe’ prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Questa Corte di legittimita’, ancora di recente ha peraltro ribadito come la nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non sia omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (sez. 5 n. 36079 del 5.6.2012, Fracassi ed altri, rv. 253511).
Al fine dell’adozione della misura cautelare, infatti, e’ sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilita’” sulla responsabilita’ dell’indagato” in ordine ai reati addebitati.
In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’articolo 192 c.p.p., comma 2.
Cio’ lo si desume con chiarezza dal fatto che l’articolo 273 c.p.p., comma 1bis, richiama l’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravita’, richiede la precisione e concordanza degli indizi (cosi’ univocamente questa Corte, ex plurimis Sez. 2, n. 26764 del 15.3.2013, Ruga, rv. 256731; sez. 6 n. 7793 del 5.2.2013, Rossi, rv. 255053; sez. 4 n. 18589 del 14.2.2013, Superbo, rv. 255928).
4. Se questi sono i canoni ermeneutici cui questa Corte di legittimita’ e’ ancorata, va rilevato che nel caso all’odierno esame non risulta essersi verificata ne’ violazione di legge e nemmeno vizio di motivazione rilevante ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
La motivazione del tribunale del riesame e’ stata prospettata in concreto e diffusamente in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
A fronte di quella, il ricorrente propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice del gravame cautelare, il che porta inevitabilmente a dover dichiarare inammissibile il proposto ricorso.
I giudici etnei hanno gia’ confutato logicamente la tesi, oggi riproposta, circa un’asserita violazione del divieto di bis in idem l’identita’ dei fatti per cui si procede con quelli di cui al procedimento n. 1710 R.G.N. R. iscritto presso il Tribunale di Siracusa ed ormai definito con sentenza passata in giudicato, attinente unicamente all’arresto dell’odierno ricorrente in data 8/3/2017 per la detenzione di 5 chili di hashish, laddove, invece, l’odierna contestazione riguarda fatti precedenti e successivi, compiuti in un arco temporale compreso dal mese di febbraio al mese di settembre 2017.
A diverse conclusioni, per i giudici del riesame, non induce l’annullamento dell’ordinanza cautelare emessa dal G.I.P. di Catania il 9/5/2018 nel procedimento n. 1379/16 R.G.N. R., giacche’ basata sulla sovrapponibilita’ dei fatti contestati quelli si’- con quelli oggetto del procedimento n. 1710/R.G.N. R.
Il provvedimento impugnato, pertanto, si colloca nell’alveo del consolidato orientamento di questa Corte di legittimita’ secondo cui “ai fini della preclusione del giudicato, l’identita’ del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona” (cfr. ex plurimis, questa Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016 dep. 2017, Bordogna Rv. 270387; conf. Sez. 4, n. 54986 del 24/10/2017, Montagna, Rv. 271717; Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pigozzi, Rv. 273220; Sez. 5 n. 50496 del 19/06/2018, Bosiga, Rv. 274448; vedasi anche Sez. 2 n. 52606 del 31/10/2018, Biancucci, Rv. 275518 che ha condivisibilmente precisato che la corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato va considerata in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identita’ della sola condotta).
Alla luce di tale principio appare immune da censure di legittimita’ la decisione del Tribunale del Riesame che ha escluso la violazione del divieto del ne bis in idem, in ragione dell’insussistenza di una sostanziale sovrapponibilita’ (oggettiva e spazio – temporale) dei fatti contestati con i procedimenti sopra citati.
5. Analoghe considerazioni valgono in relazione alla contestata violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73.
L’esistenza di un traffico di sostanza stupefacenti posto in essere dai fratelli (OMISSIS) unitamente ad altri soggetti indagati e’ invero circostanza logicamente confortata, nel discorso giustificativo del provvedimento impugnato, dall’esame delle intercettazioni telefoniche degli indagati.
I giudici della cautela, nell’esaminare il provvedimento impugnando, ricordano come la gravita’ indiziaria in ordine agli ipotizzati reati sia stata desunta nel caso che ci occupa dalla concreta partecipazione di (OMISSIS) ai traffici di sostanza stupefacente, anche durante il periodo di detenzione agli arresti domiciliari, durante il quale si verificava, in data 8/9/2017, anche un episodio di evasione, a differenza di quanto dichiarato nel ricorso.
Dal tenore delle conversazioni intercettate si desume senza dubbio una notevole attivita’ dell’indagato per la gestione dei traffici.
Il contenuto delle intercettazioni, relativo agli acquisti ed alle consegne dello stupefacente, viene puntualmente confermato dai dati trasmessi dal g.p.s, presente nell’autovettura del (OMISSIS) che appunto, unitamente al (OMISSIS), riforniva l’indagato.
In proposito va ricordato, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, che questa Corte di legittimita’ ha chiarito come, in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate piu’ ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilita’ razionale, con esclusione soltanto delle eventualita’ piu’ remote (cfr. Sez. 6, n. 27434 del 14/2/2017, Albano, Rv. 270299 in una fattispecie relativa ad annullamento di condanna per traffico di stupefacenti, nella quale la Corte ha censurato la sentenza impugnata perche’ non aveva adeguatamente motivato sul fatto che, in una conversazione intercettata, l’imputato accusava il suo interlocutore di averlo “truffato”, circostanza che consentiva alla difesa di prospettare che la droga ricevuta non aveva in realta’ efficacia drogante; conf. Sez. 3, n. 16792 del 25/3/2015, Di Bello, Rv. 263356 in un caso relativo ad annullamento di condanna per detenzione e cessione di hashish, eroina e cocaina, nella quale la Corte ha ritenuto la insufficienza probatoria di intercettazioni pur indizianti, a fronte di un solo elemento di riscontro oggettivo costituito da un sequestro di hashish nella disponibilita’ della madre dell’imputato, effettuato peraltro in contesto temporale successivo al periodo delle captazioni).
Costituisce, dunque, ius receptum, il principio che, in tema di stupefacenti, l’esistenza del reato (anche quello di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti) puo’ essere desunto anche dal solo contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una attivita’ illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro, l’identificazione degli acquirenti finali, l’accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affermare la responsabilita’ degli imputati, e’ gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalita’ con le quali e’ risalito alle diverse qualita’ e tipologie della droga movimentata (Sez. 3, n. 11655 del 11/02/2015, Nava ed altri, Rv. 262981).
Ebbene, tale attenta valutazione nel caso che ci occupa, appare esserci stata.
Come si ricorda nel provvedimento impugnato, che si riporta alle pagine 48 e seguenti dell’ordinanza cautelare, il compendio indiziario emerso all’esito delle indagini attesta lo svolgimento di un traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, hashish e marijuana posto in essere dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), unitamente a (OMISSIS), in cio’ coadiuvato da (OMISSIS).
In particolar modo le intercettazioni telefoniche e tra presenti hanno consentito di appurare come il (OMISSIS) cedesse ai (OMISSIS) la sostanza stupefacente, avvalendosi della (OMISSIS) e del (OMISSIS) per il trasporto della droga da (OMISSIS), ove cessionaria abitavano. Abitualmente la sostanza stupefacente veniva trasportata in macchina dal (OMISSIS), mentre il (OMISSIS) e la (OMISSIS), a bordo di un’altra autovettura, facevano da staffetta. In altre occasioni era il (OMISSIS) a recapitare la droga a destinazione, passando da (OMISSIS) lungo il tragitto verso Siracusa per delle consegne.
L’ordinanza impugnata, attraverso un’analitica ricostruzione dei dialoghi intercettati, da’ conto del primo episodio, che veniva registrato tra il 6 e il 7 febbraio 2017 e poi di ulteriori trattative avviate a partire dal 20 febbraio 2017. Ancora, a pag. 3, si illustrano i contenuti di un ulteriore conversazione registrata il 26 febbraio fino all’arresto l’8 marzo 2017 del (OMISSIS) in possesso di 5 chili di hashish.
Ebbene, con tutta evidenza l’ordinanza impugnata – va ribadito – si riferisce ai traffici di stupefacenti emergenti dalle conversazioni intercettate precedentemente a tale arresto e poi successivamente. Mentre solo per i cinque chili di hashish, per la cui detenzione e’ stato arrestato in flagranza di reato l’odierno ricorrente e’ stato gia’ giudicato.
Il provvedimento impugnato ricorda che il 15 maggio 2017 (OMISSIS) venne posto agli arresti domiciliari e, nel giro di qualche giorno, ebbe a riprendere le comunicazioni con (OMISSIS) aventi ad oggetto nuovi scambi di stupefacente. In particolare, l’ordinanza indugia sugli accadimenti del 22 e del 23 agosto e ricorda come, poi, l’8 settembre 2017 l’odierno ricorrente venne tratto in arresto per evasione dagli arresti domiciliari, circostanza che desto’ preoccupazione in (OMISSIS) e in (OMISSIS), che temevano, da un lato, che quello non avrebbe piu’ pagato la sostanza stupefacente che aveva prelevato a credito (in tal senso le risultanze delle richiamate intercettazioni dell’8/9/2017 e del 9/9/2017) dall’altro che l’arresto fosse connesso ai traffici di droga in cui tutti erano coinvolti. Successivamente (OMISSIS) ebbe a recuperare parte del danaro che il (OMISSIS) doveva al (OMISSIS) e, precisamente, 2500 Euro l’8/10/2017 e 2200 Euro il 23/10/2017, sempre come si evince dalle intercettazioni.
Orbene, corrisponde al vero, come afferma il ricorrente che, tranne che per i cinque chili di hashish detenuti l’8 marzo 2017, per i quali gia’ e’ stato giudicato, non ci siano stati sequestri dello stupefacente. Ma, come si diceva in precedenza, e’ costante la giurisprudenza di questa Corte secondo cui ai fini della consumazione del delitto di acquisto e cessione di sostanza stupefacente, non occorre che la droga sia materialmente consegnato all’acquirente, ma e’ sufficiente che si sia formato il consenso delle parti contraenti sulla quantita’ e qualita’ della sostanza sul prezzo della stessa (conferente in tal senso e’ il richiamo a questa Sez. 4 n. 38222 del 19/5/2009, Casali, Rv. 245293).
Nel caso di specie, come motivatamente rileva il provvedimento impugnato, in tutti e tre gli episodi esaminati, sussistono a carico di (OMISSIS) indizi di colpevolezza di gravita’ qualificata per il reato di traffico di sostanze stupefacenti ascrittogli, evidenziatisi sia dalle intercettazioni che dai dati trasmessi dal GPS installato sul autovettura di (OMISSIS), elementi che attestano come i discorsi degli indagati sull’acquisto di partite di droga da parte del ricorrente trovassero poi puntuali epilogo nelle trasferte a (OMISSIS) dei fornitori (o intermediari). Il provvedimento impugnato rileva poi essere pacifico che il 22 agosto 2017 il (OMISSIS) avesse custodito per (OMISSIS) 15 chili di sostanza stupefacente prelevata il giorno successivo da questi e da (OMISSIS).
6. Relativamente alla contestazione proposta in questa sede circa l’interpretazione di quanto ascoltato in sede di intercettazioni va ricordato che ormai dal 2015, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Sez. un., 26 febbraio 2015 n. 22471, Sebbar, Rv. 263715), hanno ribadito l’indirizzo consolidato secondo cui le dichiarazioni carpite nel corso di attivita’ di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto accusa se stesso e/o altri della commissione di reati, hanno piena valenza probatoria e non necessitano di ulteriori elementi di corroborazione ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 3. Al riguardo, in precedenza era stata giudicata manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 192, 195, 526 c.p.p. e articolo 271 c.p.p., per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost. e l’articolo 6 CEDU, nella parte in cui non prevedono che le indicazioni di reita’ e correita’, captate nel corso di conversazioni intercettate, debbano essere corroborate da altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilita’, come avviene per le chiamate in reita’ o correita’ rese dinanzi all’autorita’ giudiziaria o alla polizia giudiziaria, e nella parte in cui non prevedono l’inutilizzabilita’ di tali dichiarazioni qualora il soggetto, indicato quale fonte informativa nella conversazione intercettata, si avvalga poi della facolta’ di non rispondere (Sez. 6, 20/2/2014 n. 25806, Caia, Rv. 259673).
La stessa decisione delle Sezioni Unite dapprima indicata ha affrontato il tema dell’interpretazione dei risultati delle captazioni, che e’ strettamente legato a quello del valore probatorio delle stesse.
Secondo l’indirizzo consolidato, recepito dalla sentenza, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, rappresenta una questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimita’, se la valutazione risulta logica in base alle massime di esperienza utilizzate.
Non solo il significato attribuito al linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori, ma anche la stessa natura convenzionale di esso, invero, costituisce una valutazione di merito insindacabile in cassazione. La censura di diritto puo’ riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa impiegata dal giudice di merito.
Una di tali chiavi di lettura puo’ essere integrata dal frequente ricorrere di termini che non trovano una spiegazione coerente con il tema del discorso e che, invece, si spiegano nel contenuto ipotizzato nella formulazione dell’accusa oppure dalla connessione con determinati fatti commessi da persone che usano gli stessi termini in contesti analoghi (Sez. 5, 14/7/1997, n. 3643, Ingrosso, Rv. 209620).
Sebbene l’interpretazione delle conversazioni debba fondarsi sul tenore complessivo delle indagini, indispensabili pure per la corretta identificazione degli interlocutori, essa puo’ riposare anche su “massime di esperienza” (Sez.6, 11/12/2007 n. 15396 dep. il 2008, Sitzia, Rv. 239636; Sez. 6, 30/10/2013 n. 46301, Corso, Rv. 258164).
Queste ultime sono costituite da generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dalla esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione (Sez. 6, 28/5/2014 n. 36430, Schembri, Rv. 260813; Sez. 2, 6/12/2013 n. 51818, Brunetti, Rv. 258117). Al riguardo, trova applicazione il principio secondo cui il ricorso alle “massime d’esperienza” ed al criterio di verosimiglianza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se puo’ escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza piu’ verosimile (Sez. 6, 22/10/2014 n. 49029, Leone, Rv. 261220).
In questo caso, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non puo’ estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, puo’ pero’ avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull’id quod plerumque accidit ed insuscettibili di verifica empirica od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita’ (Sez. 1, 11/2/2014 n. 18118, Marturana, Rv. 261992; Sez. 6, 27/11/2013 n. 1686 dep. il 2014, Keller, Rv. 258135).
La decifrazione dei significati, pero’, deve essere priva di ambiguita’, in modo che la ricostruzione del contenuto delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo dei colloqui intercettati (Sez. 6, 10/6/005, n. 35680, Patti, Rv. 232576).
7. Il provvedimento impugnato si rileva del tutto logico e coerente anche in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Va ricordato che nel sistema processualpenalistico vigente, cosi’ come non e’ conferita a questa Corte di legittimita’ alcuna possibilita’ di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ne’ dello spessore degli indizi, non e’ dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui e’ stata chiesta l’applicazione della misura, nonche’, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.
Quanto alle esigenze cautelari ed alla loro attualita’, l’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), – che qui interessa, essendo la misura stata confermata in relazione a tale esigenza – come novellato dalla L. n. 47 del 2015 stabilisce, dunque, che le misure cautelari personali possono essere disposte – con riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede (evenienza ravvisata nel caso in esame) – soltanto quando il pericolo medesimo presenta i caratteri della concretezza e dell’attualita’, ricavabili dalle specifiche modalita’ e circostanze del fatto e dalla personalita’ della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali; con l’ulteriore precisazione – ancora introdotta dalla L. n. 47 del 2015 – per cui le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalita’ dell’imputato, non possono essere comunque desunte esclusivamente dalla gravita’ del titolo di reato per cui si procede.
La ratio dell’intervento legislativo (che, peraltro, investe numerose altre norme di cui allo stesso Libro 4, titolo 1, da leggere tutte nella medesima ottica) deve esser individuata nell’avvertita necessita’ di richiedere al giudice un maggiore e piu’ compiuto sforzo motivazionale, in materia di misure cautelari personali, quanto all’individuazione delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), in ordine alle quali, quindi, non risulta piu’ sufficiente il requisito della concretezza ma si impone anche quello dell’attualita’. In realta’, relativamente al pericolo di reiterazione, la nuova disposizione non ha fatto altro che codificare lo ius receptum di questa Corte di legittimita’ (cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 34271 del 3/7/2007, Cavallari, Rv. 237240; Sez. 2, n. 49453 dell’8/10/2013, Scortechini e altro, Rv. 257974) che aveva ritenuto imprescindibile un giudizio prognostico basato su dati concreti, che ben possono essere tratti dagli aspetti fattuali della vicenda, come dimostra l’incipit dell’articolo 274 c.p.p., lettera c) cit. (“specifiche modalita’ e circostanze del fatto”; personalita’ dell’imputato o indagato “desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali”).
Rimane tuttavia valido il principio, anche in precedenza affermato da questa Corte, che il pericolo di reiterazione criminosa vada valutato in ragione delle modalita’ e circostanze del fatto e della personalita’ dell’imputato (cfr. per tutte Sez. 3, n. 14846 del 5/3/2009, Pincheira, Rv. 243464, fattispecie di misura cautelare applicata per il delitto di violenza sessuale ai danni di un minore, in cui la Corte ha annullato per illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame che, nell’attenuare la misura cautelare, aveva sostenuto che essendo la condotta delittuosa collegata ad un solo soggetto passivo, non appariva verosimile che il reo potesse reiterarla in danno di altre persone).
Piu’ precisamente, la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati, di cui all’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), puo’ e deve essere desunta sia dalle specifiche modalita’ e circostanze del fatto, che dalla personalita’ dell’imputato, valutata sulla base dei precedenti penali o dei comportamenti concreti, attraverso una valutazione che, in modo globale, tenga conto di entrambi i criteri direttivi indicati (Sez. 4, Sentenza n. 37566 del 01/04/2004 Cc. dep. 23/09/2004 Rv. 229141). Ed e’ stato, in piu’ occasioni, anche condivisibilmente sottolineato come nulla impedisca di attribuire alle medesime modalita’ e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravita’ del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacita’ a delinquere.
In altri termini, le specifiche modalita’ e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosita’ dell’indagato, ove la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento specifico assai significativo per valutare la personalita’ dell’agente (cfr., ex plurimis, Sez. 2 n. 35476/07). Nello specifico, e’ stato piu’ volte affermato come ai fini dell’individuazione dell’esigenza cautelare di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), il giudice possa porre a base della valutazione della personalita’ dell’indagato le stesse modalita’ del fatto commesso da cui ha dedotto anche la gravita’ del medesimo (Sez. 1 n. 8534 del 9/1/2013, Liuzzi, Rv. 254928; Sez. 5 n. 35265 del 12/3/2013, Castelliti, Rv. 255763).
8. Tornando all’intervento riformatore del 2015, questa Corte di legittimita’, in piu’ pronunce sul punto, ha condivisibilmente chiarito (vedasi, soprattutto, Sez. 4 n. 43880 del 4/7/2017 El Mouttaqi Raquid, non mass.) che il requisito dell’attualita’ del pericolo di reiterazione del reato di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), nel testo introdotto dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, richiede una valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto, fondata sia sulla permanenza dello stato di pericolosita’ personale dell’indagato dal momento di consumazione del fatto sino a quello in cui si effettua il giudizio cautelare, desumibile dall’analisi soggettiva della sua personalita’, sia sulla presenza di condizioni oggettive ed “esterne” all’accusato, ricavabili da dati ambientali o di contesto – quali le sue concrete condizioni di vita in assenza di cautele – che possano attivarne la latente pericolosita’, favorendo la recidiva, conseguendone che il pericolo di reiterazione e’ attuale ogni volta in cui sussista un pericolo di recidiva prossimo all’epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente (cfr. Sez. 2, n. 53645 del 8/9/2016, Luca’, Rv. 268977 nella cui motivazione, la Corte ha precisato che la valutazione prognostica non puo’ estendersi alla previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facolta’ del giudice; Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, Esposito, Rv. 268508; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016 dep. il 2017, Verga, Rv. 269684).
Orbene, nel caso che ci occupa il tribunale appare avere assolto al suo onere motivazionale deducendo la sussistenza delle esigenze cautelari condividendo la prognosi di recidiva operata dal GIP, per la stabilita’ dei traffici di illeciti, l’arco di tempo in cui gli stessi si svolgevano e i quantitativi acquistati e i recedenti penali specifici.
Inoltre, il dato piu’ grave sulla concretezza del pericolo di reiterazione del reato e’ rappresentato, come motivatamente ritenuto dai giudici del riesame, dalla circostanza che il (OMISSIS), ottenuti gli arresti domiciliari, dopo l’arresto avvenuto per i 5 kg di hashish, immediatamente riprendeva i traffici di stupefacente.
9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
Vanno dati gli avvisi di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1ter.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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