La successione “mortis causa” non determina di per sé il mutamento della detenzione in possesso

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza 9 ottobre 2020, n. 21854.

La successione “mortis causa” non determina di per sé il mutamento della detenzione in possesso, ma può integrare quella causa proveniente da un terzo che, ai sensi dell’art. 1141, comma 2, c.c., comporta l’investitura, non importa se valida oppure no, in un diritto reale sul bene detenuto. (Conf. Sez. 2, n. 469 del 1965, Rv. 310821-01).

Ordinanza 9 ottobre 2020, n. 21854

Data udienza 26 giugno 2020

Tag/parola chiave: Possesso – Acquisto – Mutamento della detenzione in possesso – In genere successione ‘mortis causa’ – Rilevanza ai fini del mutamento della detenzione in possesso – Condizioni.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 29167/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende dagli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), in virtu’ di mandato in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che la rappresenta e difende insieme all’avv. (OMISSIS), in virtu’ di mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1317/2015 della Corte d’appello di Genova, depositata il 18/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

RITENUTO

che:
Con ricorso L. 10 maggio 1976, n. 346, ex articolo 3, depositato il 14/12/1987 (OMISSIS), premesso di essere nel possesso pubblico, pacifico, ininterrotto e continuato da oltre venti anni dei beni immobili siti in localita’ (OMISSIS) iscritti al Catasto Terreni del Comune di (OMISSIS), costituiti da fabbricato rurale di cui alla partita (OMISSIS), foglio (OMISSIS), mappale n. (OMISSIS) di mq. 170, fabbricato rurale intestato alla ditta (OMISSIS), deceduta, la cui erede era (OMISSIS), e da mappale n. (OMISSIS) di mq. 370, destinato ad uliveto, chiedeva al Pretore di Albenga il decreto di riconoscimento della proprieta’ di tali beni per usucapione. (OMISSIS) con atto di citazione in opposizione notificato il 10-3-1988 contestava il fondamento della domanda. Si costituiva in giudizio (OMISSIS) chiedendo il rigetto dell’opposizione. Rimesse le parti davanti al Tribunale competente per valore e riassunta la causa dall’attrice in opposizione con atto del 15-11-1988, il Tribunale di Savona con sentenza del 20-11-2002, in parziale accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS), dichiarava parzialmente infondato il ricorso depositato il 14-12-1987 da (OMISSIS) e condannava conseguentemente quest’ultimo all’immediato rilascio alla controparte del bene immobile oggetto del giudizio, con esclusione dell’intero piano terra della casa; in parziale accoglimento del ricorso proposto da (OMISSIS), dichiarava lo stesso proprietario esclusivo del piano terra dell’immobile stesso. Proposto gravame da parte di (OMISSIS) cu resisteva (OMISSIS) proponendo altresi’ appello incidentale la Corte di Appello di Genova con sentenza del 28-2-2007, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rigettato l’opposizione e per l’effetto ha dichiarato il diritto di proprieta’ per intervenuta usucapione in favore di (OMISSIS) sugli immobili per cui e’ causa.
La sentenza d’appello e’ stata cassata dalla Suprema corte (sent. n. 4204 del 2014, in base al rilievo che “il richiamato iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale si manifesta insanabilmente carente riguardo ad un punto decisivo della controversia, oggetto di censura da parte della ricorrente, riguardante le concrete circostanze e modalita’ tramite le quali (OMISSIS) ha iniziato la sua relazione con l’immobile per cui e’ causa, non essendo stato minimamente chiarito se cio’ sia avvenuto per sua autonoma iniziativa o per un atto di concessione da parte del proprietario del bene (OMISSIS), posto che da tali ipotesi alternative discendono effetti giuridici diversi; ed invero la presunzione di possesso utile ad usucapione di cui all’articolo 1141 c.c., non opera quando la relazione con la cosa consegua non ad un atto volontario d’apprensione, ma ad un atto o ad un fatto del proprietario possessore, poiche’ l’attivita’ del soggetto che dispone della cosa (configurabile come semplice detenzione o precario) non corrisponde all’esercizio del diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario; in tal caso la detenzione non qualificata di un bene immobile puo’ mutare in possesso solamente all’esito di un atto di interversione idoneo ad escludere che il persistente godimento sia fondato sul consenso, sia pure implicito, del proprietario concedente (Cass. 15-3-2005 n. 5551; Cass. Ord. 4-7-2011 n. 14593); pertanto occorre procedere in sede di rinvio ad un nuovo esame della controversia che si estenda a tale punto decisivo in conformita’ al richiamato principio di diritto”.
Riassunto il giudizio la seconda sezione civile della Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, accoglieva l’opposizione di (OMISSIS).
Essa riconosceva che le prove acquisite giustificavano la conclusione che la relazione del (OMISSIS) con la cosa non fosse iniziata in virtu’ di un atto autonomo di apprensione, ne’ in forza di un titolo intercorso con il proprietario idoneo a trasferire il possesso. In particolare, la corte di merito riconosceva che la concessione da parte del titolare del diritto aveva avuto ad oggetto il solo godimento della cosa, in assenza di atti di interversione idonei a mutare la detenzione in possesso.
Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a sei motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO

che:
Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 383 e 158 c.p.c..
La sentenza di rinvio e’ stata emessa, seppure in diversa composizione, dalla seconda sezione civile della Corte d’appello di Genova, che aveva pronunciato la sentenza d’appello cassata, nonostante la Suprema Corte avesse rinviato ad altra sezione della stessa Corte d’appello di Genova.
Il motivo e’ infondato.
La sentenza che dispone il rinvio a norma dell’articolo 383 c.p.c., comma 1 (cosiddetto rinvio proprio o prosecutorio), contiene una statuizione di competenza funzionale nella parte in cui individua l’ufficio giudiziario davanti al quale dovra’ svolgersi il giudizio rescissorio (che potra’ essere lo stesso che ha emesso la pronuncia cassata o un ufficio territorialmente diverso, ma sempre di pari grado) ed una statuizione sull’alterita’ del giudice rispetto ai magistrati persone fisiche che hanno pronunciato il provvedimento cassato. Ne consegue che, se il giudizio viene riassunto davanti all’ufficio giudiziario individuato nella sentenza della Corte di cassazione, indipendentemente dalla sezione o dai magistrati che lo trattano, non sussiste un vizio di competenza funzionale, che non puo’ riguardare le competenze interne tra sezioni o le persone fisiche dei magistrati; se, invece, il giudizio di rinvio si svolge davanti allo stesso magistrato persona fisica (in caso di giudizio monocratico) o davanti ad un giudice collegiale del quale anche uno solo dei componenti aveva partecipato alla pronuncia del provvedimento cassato, essendo violata la statuizione sull’alterita’, sussiste una nullita’ attinente alla costituzione del giudice, ai sensi dell’articolo 158 c.p.c., senza che occorra fare ricorso alla ricusazione (articolo 52 c.p.c.), essendosi gia’ pronunciata la sentenza cassatoria sull’alterita’ (Cass. n. 5087/2008; n. 1527/2012.
Pertanto, una volta che la sentenza sia stata emessa in diversa composizione, l’identita’ della sezione non comporta il vizio infondatamente denunciato con il motivo in esame.
Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 383, 392, 394, 161 e 112 c.p.c.: violazione e falsa applicazione di norme di diritto e nullita’ della sentenza in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 4.
La corte d’appello, attenendosi alla sentenza di cassazione con rinvio, avrebbe dovuto solo indagare in ordine al momento iniziale del potere di fatto sulla cosa esercitato dall’attuale ricorrente, considerando le vicende successive solo ai fini di tale indagine, mentre la corte di rinvio ha persino negato, oltre tale momento iniziale, l’esistenza della relazione esclusiva fra l’agente e la cosa.
Il motivo e’ infondato.
In caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli e’ tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilita’ di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, gia’ acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorieta’ della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facolta’ che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest’ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, e’ tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessita’, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati” (Cass. n. 13719/2006; n. 2652/2018).
La decisione e’ in linea con tale principio.
Si deve aggiungere che la decisione demandata dalla cassazione al giudice di rinvio riguardava si’ il momento iniziale del potere di fatto. Tuttavia, come riconosce il medesimo ricorrente, cio’ portava con se’ la esigenza di una completa riconsiderazione della vicenda.
E’ poi palese il difetto di decisivita’ della censura. La ratio della decisione non e’ nella negazione del potere di fatto in ipotesi esercitato in via esclusiva dal ricorrente, ma nella natura obbligatoria del titolo iniziale intercorso con il concedente, che la corte di merito ha inteso come riferito al godimento e non alla proprieta’.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 132 c.p.c. e degli articoli 1141, 1141, 2697 c.c.; denuncia ancora violazione dell’articolo 116 c.p.c., articolo 132 c.p.c., n. 4, articolo 161 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La corte d’appello non ha considerato che nel caso di specie il potere di fatto con la cosa era stato dimostrato; quindi, in applicazione della presunzione di possesso, le conseguenze che ne derivano potevano essere paralizzate in presenza di due condizioni: dapprima la deduzione e poi la prova che la relazione di fatto era iniziata come detenzione.
In tale indagine la corte avrebbe dovuto tenere presente che l’onere di dare la prova della detenzione incombeva alla controparte. Di contro la sentenza impugnata non consente di desumere che l’organo giudicante avesse chiara consapevolezza di tali principi, rimanendone quindi irrimediabilmente viziata l’intera ricostruzione.
Il motivo e’ infondato.
Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus, ma anche dell’animus; quest’ultimo elemento, tuttavia, puo’ eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi e’ stato svolgimento di attivita’ corrispondenti all’esercizio del diritto di proprieta’, sicche’ e’ allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilita’ del bene e’ stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all’usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto e’ idoneo a determinare l’animus possidendi nell’indicato soggetto (Cass. n. 15145/2004; n. 5485/2006; n. 22667/2017).
La decisione e’ in linea con tali principi.
La corte d’appello ha riconosciuto che l’acquisto del potere di fatto sulla cosa da parte dell’attuale ricorrente era avvenuto non a titolo originario, attraverso un atto autonomo di apprensione, ma per effetto di una concessione del titolare, che aveva riguardato il godimento e non la proprieta’.
In altre parole, non e’ vero che la corte di merito abbia risolto il dubbio sulla natura del potere di fatto sulla cosa in favore della detenzione e non del possesso, in violazione della presunzione posta dall’articolo 1140 c.c.. Essa ha ritenuto positivamente dimostrato che il potere di fatto sulla cosa aveva cominciato ad essere esercitato come detenzione.
Sotto la veste della violazione di legge e del difetto di motivazione, pertanto, il ricorrente censura l’apprezzamento del giudice di merito, il quale, in quanto immune da vizi logici e giuridici, e’ incensurabile in sede di legittimita’.
Il quarto motivo denuncia violazione dell’articolo 111 Cost. in relazione all’articolo 2729 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c., articolo 132 c.p.c., n. 4 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Il motivo propone le seguenti censure:
a) la corte d’appello ha riconosciuto che il (OMISSIS) aveva continuato a svolgere attivita’ di godimento sugli immobili in questione, pur avendo riconosciuto che, dopo il 1963, si era trasferito presso la madre delle attuali in parte in causa: secondo il ricorrente il riconoscimento della protrazione dell’attivita’ di godimento non si concilia sul piano logico con il trasferimento;
b) la sentenza e’ ulteriormente censurata perche’ siffatto riconoscimento riflette un cattivo e disinvolto uso del potere di valutazione delle prove da parte dei giudici di merito, anche sotto il profilo dell’attendibilita’ dei testimoni;
c) si denuncia inoltre che la corte di rinvio dalla supposta esistenza di un’attivita’ ulteriore del formale proprietario ha tratto la conseguenza della conservazione di una disponibilita’ giuridica, mentre quella stessa attivita’, in quanto consistente nella frequentazione dei luoghi, poteva spiegarsi con la ospitalita’ del possessore; la corte d’appello aveva il dovere di rappresentarsi tale eventualita’, spiegando le ragioni della maggiore plausibilita’ dell’una soluzione rispetto all’altra;
d) in verita’ le attivita’ ulteriori del titolare formale del diritto, lungi da lasciare presumere la conservazione della diponibilita’ della cosa intesa in senso giuridico, trovavano la loro spiegazione nelle ordinarie dinamiche familiari, essendo il (OMISSIS) il compagno della madre del ricorrente e questi il figlioccio del primo;
e) si sostiene ancora che la corte d’appello ha omesso qualsiasi considerazione in ordine al fatto, emergente dall’istruttoria, che il (OMISSIS) aveva assegnato l’immobile al figlioccio a titolo di regalo di nozze: quindi per un titolo idoneo a trasferire il possesso, seppure inidoneo, per il difetto formale, a trasferire la proprieta’.
Il motivo e’ infondato.
Le considerazioni su cio’ che avvenne dopo la concessione in godimento, nella economia della decisione, sono considerazioni secondarie, intese a corroborare quanto statuito dalla corte di merito in ordine alla natura di detenzione del potere di fatto esercitato sulla cosa, in quanto derivante da concessione del proprietario riferito al solo godimento.
Quelle stesse considerazioni, nello stesso tempo, costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice di merito, che non rilevano errori logici e giuridici, rispetto ai quali la censura si risolve nel prospettare inammissibilmente ricostruzioni alternative, intese a fare emergere che le ulteriori attivita’ sulla cosa compiute dal titolare formale erano compatibili con l’avvenuto trasferimento del possesso.
Identicamente deve dirsi in ordine al fatto che la concessione in godimento avvenne come regalo di nozze. Tale circostanza, infatti, e’ stata considerata dalla corte d’appello, la quale ha riconosciuto che l’atto di generosita’ avesse riguardato il godimento e non la proprieta’.
Anche in questo caso non si denuncia un omesso esame, ma la censura si dirige contro l’apprezzamento del giudice di merito che, di per se’, non rileva errori logici o giuridici, essendo una evidente petizione di principio postulare che il termine “regalo di nozze” dovesse preludere necessariamente al trasferimento proprieta’ e non alla semplice concessione del godimento.
Il quinto motivo denuncia violazione dell’articolo 1140 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La corte d’appello ha riconosciuto la rilevanza di quanto dichiarato in sede di deposizione testimoniale dal coniuge dell’attuale ricorrente, il quale aveva riferito che il (OMISSIS) aveva piu’ volte espresso in vita il proposito di lasciare la casa al figlioccio, il quale, a tale manifestazione, non solo non aveva replicato alcunche’ (opponendo nell’immediato il fatto che il trasferimento era gia’ avvenuto), ma, morto il titolare, aveva curato tempestivamente la pubblicazione del testamento che avrebbe dovuto contenere il lascito in suo favore (aspettativa che poi era andata delusa).
Il ricorrente propone le seguenti censure:
a) la manifestazione di volere provvedere per testamento, di per se’, non si pone in contraddizione con l’avvenuto trasferimento del possesso, ma poteva essere considerata quale proposito di formalizzare per via ereditaria un trasferimento avvenuto per atto fra vivi, carente del requisito di forma;
b) la consapevolezza dell’altrui diritto da parte del possessore non esclude l’intenzione di esercitare il diritto del proprietario, essendo allo stesso tempo irrilevanti le manifestazioni del formale proprietario sulle future intenzioni post mortem, alle quale il (OMISSIS) non aveva alcun onere di replicare con disquisizione giuridiche, tenuto conto della equivocita’ di quelle stesse manifestazioni;
c) la corte d’appello, infine, non ha poi considerato che il (OMISSIS), consapevole del contenuto del testamento, ne aveva curato la pubblicazione in ossequio a un obbligo di legge. La pubblicazione del testamento costituiva percio’ elemento irrilevante.
Il motivo e’ infondato.
Ancora una volta si censurano argomenti di contorno, volti a rafforzare la statuizione sulla natura di detenzione del potere esercitato sulla cosa dall’attuale ricorrente; ancora una volta la censura si dirige contro l’apprezzamento del giudice di merito in quanto tale, prospettandosi, rispetto ad esso, ricostruzione alternative, intese a fare emergere che le intenzioni manifestate dal titolare sulla propria successione erano compatibili con il pregresso trasferimento del possesso.
Giustamente il ricorrente sostiene che egli non aveva l’onere di replicare con argomenti giuridici al proposito espresso dal disponente in ordine all’intenzione di lasciagli la casa per testamento. Ma nello stesso tempo, con evidente contraddizione, rimprovera alla corte d’appello di non avere accreditato una diversa lettura “giuridica” di quelle stesse dichiarazioni: nel senso che il disponente si esprimeva in quel modo perche’ era consapevole della nullita’ del trasferimento, gia’ operato in via definitiva e irrevocabile inter vivos, e intendeva rimediare alla nullita’ con il lascito testamentario.
Si deve ancora aggiungere che, nella logica seguita dalla sentenza, l’avere posto l’accento sulle intenzioni del proprietario rispetto al figlioccio (e sulla mancata reazione dell’interessato rispetto a tali intenzioni), non rileva di per se’ alcuna incoerenza o illogicita’ della decisione. Le relative considerazioni costituiscono ulteriori argomenti intesi a fare emergere la natura personale e non reale della concessione in godimento e il carattere pacifico di tale natura fra i protagonisti della vicenda.
E’ chiaro che tali considerazioni, in quanto espressione di apprezzamenti di fatto, non sono sindacabili in questa sede.
In quanto alle considerazioni della sentenza fondate sulla pubblicazione del testamento, esse, come sostiene il ricorrente, sono certamente un fuor d’opera, tuttavia si tratta di rilievi secondari, che non compromettono la complessiva tenuta della decisione.
Il sesto motivo denuncia violazione degli articoli 1140 e 1159-bis c.p.c. e omesso esame di fatto decisivo per giudizio.
Gli argomenti utilizzati dalla corte d’appello per negare il possesso possono valere al limite fino al momento della morte del (OMISSIS), avvenuta il (OMISSIS). L’attuale ricorrente aveva continuato a possedere anche dopo e per il tempo occorrente per l’usucapione. Nel corso del processo non era emerso alcun elemento che potesse autorizzare a ritenere persistente il titolo di detenzione anche con la (OMISSIS), erede del (OMISSIS).
Il motivo e’ infondato.
Ex articolo 1141 c.c., comma 2, “Se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non puo’ acquistare il possesso finche’ il titolo non venga a essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore”.
La stessa disposizione precisa che tutto cio’ vale anche per i successori a titolo universale. Il che tuttavia, come si nota in dottrina, va inteso non come riconoscimento di un generale principio di successione nella detenzione parallelo a quello enunciato, per il possesso, nell’articolo 1146 c.c., bensi’ con riferimento all’ipotesi che, in concreto, il successore a titolo universale continui a esercitare la detenzione, cui era legittimato il suo dante causa, e come esclusione della possibilita’ di considerare la successione mortis causa quale causa di modificazione del titolo della stessa detenzione. 11 che non toglie ovviamente che “causa proveniente da un terzo” ex articolo 1141 c.c., comma 2, possa essere anche la successione ereditaria (evidentemente nei confronti di persona estranea alla situazione possessoria), quando essa comporti per il detentore l’investitura – non importa se valida oppure no – in un diritto reale (proprieta’, usufrutto etc.) sulla cosa detenuta (cfr. 409/1965).
In altre parole, l’attuale ricorrente, detentore nei confronti del (OMISSIS), ha conservato questa qualifica anche nei confronti dell’erede, in assenza di atti di interversione.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con addebito di spese.
Ci sono le condizioni per dare atto della ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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