La sottoscrizione apposta dal cancelliere

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 febbraio 2022| n. 5893.

La sottoscrizione apposta dal cancelliere, a norma dell’art. 74 disp. att. c.p.c., ha valore di certificazione della effettiva presenza nel fascicolo di parte dei documenti indicati nell’indice e può essere contestata solo con la proposizione della querela di falso.

Ordinanza|23 febbraio 2022| n. 5893. La sottoscrizione apposta dal cancelliere

Data udienza 18 novembre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI – AVVOCATO – ONORARIO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 23203/2017 proposto da:
Avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso da se’ stesso;
– ricorrente –
contro
Avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso da se’ stesso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3311/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/7/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/11/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI LA BATTAGLIA.

La sottoscrizione apposta dal cancelliere

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con ricorso Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 14, l’avv. (OMISSIS) esponeva di avere difeso il suo collega (OMISSIS) in un giudizio dinanzi al Giudice di pace di Napoli, ove quest’ultimo era stato convenuto dai vicini, che invocavano la tutela del proprio diritto di veduta, asseritamente leso dall’installazione, da parte dell’ (OMISSIS), di una vetrata posta a chiusura del balconcino di sua proprieta’. Domandava, il ricorrente, il pagamento dei compensi professionali spettantigli in relazione alle due fasi in cui il processo si era articolato (posto che, a seguito della dichiarazione di incompetenza del Giudice di pace, la causa era stata riassunta davanti al Tribunale di Napoli, che aveva infine rigettato la domanda e compensato le spese di lite).
Costituendosi in giudizio, (OMISSIS) eccepiva la prescrizione presuntiva del diritto di credito azionato, sostenendo di non aver mai ricevuto la raccomandata dell’8.3.2013, con la quale l’avv. (OMISSIS) deduceva di aver interrotto la prescrizione ai sensi dell’articolo 2943 c.c., comma 4.
All’udienza del 22.1.2014, il Tribunale di Napoli in composizione collegiale, preso atto dell’opposizione del resistente, disponeva che, previo mutamento di rito, il procedimento continuasse dinanzi al giudice monocratico, nelle forme di cui agli articoli 702-bis c.p.c. e segg.. Il Tribunale, quindi, rigettava la domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione, in ragione del fatto che non era stato prodotto il testo della raccomandata con la quale il creditore assumeva di avere costituito in mora il debitore.

 

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Avverso tale ordinanza proponeva appello l’avv. (OMISSIS), osservando come la raccomandata in questione fosse presente nel proprio fascicolo di parte, insieme al duplicato del relativo avviso di ricevimento, il quale, benche’ privo di sottoscrizione, integrava la prova presuntiva dell’avvenuta consegna della stessa al destinatario. L’appellato, da parte sua, preliminarmente eccependo l’inammissibilita’ dell’appello (in virtu’ del disposto del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, comma 4), ribadiva come, nel fascicolo della controparte, fosse presente unicamente l’attestazione di avvenuta spedizione della citata raccomandata, di modo che la prescrizione non poteva considerarsi validamente interrotta; deduceva, inoltre, di avere corrisposto una somma di denaro al (OMISSIS), e di aver svolto a sua volta attivita’ professionale a beneficio di quest’ultimo, chiedendo, pertanto, il rigetto anche nel merito della domanda. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 3311 del 2017, accolse l’appello e condanno’ (OMISSIS) a pagare all’avv. (OMISSIS) la complessiva somma di Euro 4.230,00 (oltre accessori), ponendo a suo carico le spese processuali.
I giudici di secondo grado, in primo luogo, ritennero ammissibile l’appello, sul presupposto che, a seguito del mutamento del rito “in quello sommario ordinario di cognizione”, la relativa ordinanza conclusiva dovesse considerarsi appellabile ai sensi dell’articolo 702-quater c.p.c.. Quanto alla prescrizione presuntiva, opinarono che la stessa fosse “stata interrotta” dalla raccomandata di sollecito al pagamento dei compensi professionali, prodotta sub doc. 10 del fascicolo di primo grado dall’avv. (OMISSIS), mentre la ricevuta di avvenuta spedizione e il duplicato dell’avviso di ricevimento erano stati prodotti (ammissibilmente, trattandosi di rito sommario) in udienza dal ricorrente. In particolare, la raccomandata risultava ricevuta dal destinatario in data 12.3.2013, dunque entro il termine triennale di cui all’articolo 2956 c.c. (il cui dies a quo la Corte individuo’ unitariamente, per le prestazioni relative ad entrambe le fasi del processo – quella svoltasi dinanzi al Giudice di pace, e quella successiva dinanzi al Tribunale -, nella data di pubblicazione della sentenza che aveva definito il giudizio). In mancanza di qualsivoglia prova di pagamento da parte dell’ (OMISSIS), La Corte d’Appello accolse quindi integralmente la domanda dell’avv. (OMISSIS), liquidandogli la somma richiesta, ritenuta congrua alla stregua delle tariffe professionali ratione temporis applicabili (di cui al Decreto Ministeriale n. 127 del 2004).
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), sulla base di quattro motivi.

 

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(OMISSIS) ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
2. Con il primo motivo di ricorso” il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 702 c.p.c. (recte articolo 702-bis), L. n. 150 del 2011, articolo 14, articolo 339 c.p.c., per non avere il giudice di secondo grado dichiarato inammissibile l’appello, ai sensi del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, comma 4.
Il motivo e’ infondato.
La Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello, ritenendo che bene avesse fatto il giudice di prime cure a mutare il rito (da speciale Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 14, a “Ordinario” rito sommario di cognizione ex articoli 702-bis c.p.c. e segg.), sul presupposto dell’avvenuta contestazione non solo del quantum, ma anche dell’an della pretesa fatta valere dal ricorrente. La statuizione e’ errata, avendo le Sezioni Unite di questa Corte recentemente affermato che “la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, articolo 28, introdotta sia ai sensi dell’articolo 702-bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all’an debeatur (Cass., SS.UU., n. 4485/2018). Successivamente, e’ stato precisato che “la controversia della L. n. 794 del 1942, ex articolo 28, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, e’ soggetta al rito di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 e, ove devoluta al tribunale, va decisa in composizione collegiale. L’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale costituisce un’autonoma causa di nullita’ della decisione, con conseguente conversione in motivo di impugnazione” (Cass. n. 24754/2019; si veda anche Cass., n. 23259/2019). Il ricorrente non ha, pero’, denunziato la violazione dell’articolo 50-bis c.p.c. (per essere stata la causa decisa dal giudice monocratico, anziche’ collegiale come previsto dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14), limitandosi a dedurre l’inammissibilita’ dell’appello, con riferimento al mezzo di impugnazione che sarebbe dovuto essere adottato se si fosse seguito il rito corretto di cui all’articolo 14, piu’ volte citato. L’assunto confligge, tuttavia, con il principio dell’apparenza, per cui “l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va operata con riferimento esclusivo alla qualificazione giuridica dell’azione effettuata’ dal giudice nello stesso provvedimento, a prescindere dalla sua esattezza o dalle indicazioni della parte, fermo il potere del giudice ad quem di operare una autonoma qualificazione non solo ai fini del merito, ma anche dell’ammissibilita’ stessa dell’impugnazione” (Cass., n. 12872/2016). Una volta mutato (sia pur illegittimamente) il rito, nelle forme degli articoli 702-bis c.p.c. e segg., l’ordinanza doveva considerarsi, pertanto, appellabile (si veda, con specifico riguardo alla materia in discorso, Cass., n. 24515/2018, alla cui stregua “il provvedimento con cui e’ decisa l’opposizione a decreto ingiuntivo riguardante onorari di avvocato che sia stata introdotta ai sensi dell’articolo 702-bis c.p.c., seguendo il rito sommario ordinario codicistico e non quello speciale di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, deve essere impugnato con l’appello, secondo il regime previsto dall’articolo 702-quater c.p.c., trovando applicazione il principio di apparenza”).

 

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3. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’articolo 51 c.p.c., in ragione del fatto che la Dott.ssa (OMISSIS), Presidente del collegio che decise la causa in appello, non aveva ritenuto di astenersi, pur avendo deciso, in qualita’ di giudice monocratico del Tribunale di Napoli, il procedimento presupposto (quello, cioe’, nel quale l’avv. (OMISSIS) aveva difeso l’avv. (OMISSIS), maturando il diritto di credito ai compensi professionali).
Il motivo e’ inammissibile, tenuto conto che “in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non e’ deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullita’ della sentenza da lui emessa, giacche’ l’articolo 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l’imparzialita’ e terzieta’ del giudice), ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarita’ del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non e’ arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialita’ e terzieta’ del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione; ne’ detti istituti, cui si aggiunge quello dell’impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialita’ del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall’articolo 6 della Convenzione EDU, che, sotto l’ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell’imparzialita’ del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto gia’ previsto dal citato articolo 111 Cost.” (Cass., n. 21094/2017; v. anche Cass., n. 13935/2016; Cass., n. 14807/2008; Cass., n. 7252/2004; Cass., n. 7708/2002; Cass., n. 9418/2001). Il ricorrente non deduce neppure di avere proposto rituale istanza di ricusazione del Presidente del collegio di secondo grado. In ogni caso, il motivo appare anche infondato, se solo si considera che “l’obbligo di astensione sancito dall’articolo 51 c.p.c., comma 1, n. 4, si impone solo al giudice che abbia conosciuto della stessa causa come magistrato in altro grado, posto che la norma e’ volta ad assicurare la necessaria alterita’ del giudice chiamato a decidere, in sede di impugnazione, sulla medesima res iudicanda in un unico processo; ne consegue che l’obbligo non puo’ essere inteso nel senso di operare in un nuovo e distinto procedimento, ancorche’ riguardante le stesse parti e pur se implicante la risoluzione di identiche questioni” (Cass., n. 15268/2019; si veda anche Cass., n. 2593/2015, secondo cui “l’obbligo del giudice di astenersi, previsto dall’articolo 51 c.p.c., comma 1, n. 4, si riferisce ai casi in cui egli abbia conosciuto della causa in altro grado del processo, e non anche ai casi in cui lo stesso abbia trattato di una causa diversa vertente su un oggetto analogo, ancorche’ tra le stesse parti, ne’ in tale ipotesi sussistono gravi ragioni di convenienza rilevanti come motivo di ricusazione”).

 

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4. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’articolo 345, nonche’ articoli 58, 115, 116 c.p.c., articolo 132 c.p.c., comma 2; articoli 72, 73 e 74 disp. att. c.p.c., per avere la Corte d’Appello basato la propria decisione (segnatamente, in punto di interruzione dell’eccepita prescrizione) su un documento (la raccomandata asseritamente inviata dall’avv. (OMISSIS) all’avv. (OMISSIS)) che non era stato prodotto in primo grado (secondo quanto accertato e dichiarato dal Tribunale di Napoli nell’ordinanza n. 16254/2013), e che quindi non poteva che essere stato inserito successivamente nel relativo fascicolo. Al riguardo, nessun rilievo poteva attribuirsi alla sottoscrizione del cancelliere ex articolo 74 disp. att. c.p.c., comma 4, concernendo il relativo controllo gli atti prodotti nel fascicolo di parte, e non gia’ i documenti. Ininfluente doveva ritenersi, pertanto, la presunzione di conoscenza di cui all’articolo 1335 c.c., a fronte dell’impossibilita’ di conoscere il contenuto della missiva (e, dunque, la sua idoneita’ ad interrompere la prescrizione).
Il motivo e’ infondato. Esso si basa sull’assunto che la raccomandata interruttiva della prescrizione fosse stata prodotta, per la prima volta, in grado di appello, in violazione dell’articolo 345 c.p.c.. Secondo la ricostruzione del ricorrente, il documento in discorso sarebbe stato prodotto non gia’ secondo lo schema della citata disposizione (vale a dire, in allegato alla citazione di secondo grado e nel fascicolo di parte di tale fase processuale), bensi’ mediante “aggiunta postuma” al fascicolo di parte di primo grado, al quale non era originariamente allegato. L’errore della sentenza impugnata starebbe, quindi, nell’aver affermato che il documento era stato ritualmente prodotto nel rispetto delle preclusioni istruttorie del primo grado del processo, in contrasto con quanto accertato dal giudice dello stesso (il quale, nella motivazione, aveva sostenuto che di tale raccomandata fossero stati prodotti “solo l’attestato di ricezione della posta e il duplicato della cartolina di consegna”, ma non il corpo del testo).
In primo luogo, e’ necessario precisare che alla fattispecie si applica la nuova formulazione dell’articolo 345 c.p.c., risultante dalla modifica introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, secondo la quale “non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile” (per l’applicabilita’ della novella alle impugnazioni concernenti sentenze di primo grado pubblicate dopo l’11.9.2012, si veda Cass., n. 21606/2021). Tuttavia, nel caso di specie, il richiamo all’articolo 345 c.p.c., non sembra pertinente, dal momento che, secondo la prospettazione dello stesso ricorrente, il giudice di secondo grado non ha dichiarato ammissibile un documento prodotto al di fuori dei casi consentiti dalla richiamata disposizione, avendo piuttosto affermato che il detto documento era stato ritualmente prodotto in primo grado. Non v’e’ contestazione, in altri termini, sul fatto che il documento in discorso non fosse stato prodotto in allegato all’atto di citazione in appello.

 

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Con riguardo alle altre censure, deduce il ricorrente che alla sottoscrizione apposta dal cancelliere in calce all’elenco dei documenti contenuto sul fascicolo di parte di primo grado non potrebbe riconoscersi efficacia “certificativa” dell’esistenza (id est, dell’avvenuta produzione) degli stessi. Pertanto, a nulla rileva che, in tale elenco, fosse eventualmente menzionata (sub n. 10) la raccomandata interruttiva della prescrizione, a fronte dell’avvenuto accertamento, da parte del giudice di primo grado, che in realta’ non ne fosse stato prodotto il testo. L’assunto non puo’ essere condiviso, dal momento che l’articolo 74 disp. att. c.p.c., comma 4, attribuisce al cancelliere di certificare, con la sua sottoscrizione, l’effettiva presenza nel fascicolo di parte dei documenti elencati nell’indice (tanto che la relativa mancanza “determina, in caso di contestazione, la necessita’, per la parte interessata, di fornire, sia pure solo indirettamente ed anche attraverso il comportamento della controparte, la prova della produzione dei documenti di cui intende avvalersi”: Cass., n. 27313/2018). Ne consegue che, per contestare il fatto risultante da tale certificazione, la parte avrebbe dovuto proporre querela di falso (Cass., n. 8217/2006; Cass., n. 25440/2009).
5. Il quarto motivo censura la violazione degli articoli 2957 e 2958 c.c., per avere i giudici di secondo grado individuato il dies a quo della prescrizione decisione del Tribunale di Napoli, anche con riguardo al credito relativo alla prestazione svolta dall’avv. (OMISSIS) nella precedente fase dinanzi al Giudice di pace, rispetto al quale, invece, il dies a quo sarebbe dovuto essere correttamente individuato nella data di pubblicazione della relativa sentenza dichiarativa dell’incompetenza.
Anche tale motivo e’ infondato, atteso che – come statuito da Cass., n. 13401/2015 – “la prescrizione del diritto dell’avvocato al compenso decorre dal momento dell’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico dal cliente, che, nel caso di prestazioni rese in due gradi di giudizio, coincide con la pubblicazione della sentenza di appello, poiche’ l'”ultima prestazione”, ex articolo 2957 c.c., comma 2, va individuata con riferimento all’espletamento del contratto di patrocinio, regolato dalle norme del mandato di diritto sostanziale’, e non al rilascio della procura ad litem, che e’ finalizzata soltanto a consentire la rappresentanza processuale della parte” (conf., Cass., n. 13774/2004). Nel caso di specie, e’ evidente che l’incarico conferito all’avv. (OMISSIS) abbia avuto termine con la sentenza emessa, sul merito della fattispecie, dal Tribunale di Napoli, avendo assunto la pronuncia di rito del giudice di pace natura meramente “interlocutoria” (tenuto conto che, ai sensi dell’articolo 50 c.p.c., il processo riassunto a seguito della declaratoria di incompetenza “continua davanti al nuovo giudice”).
6. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimita’ (liquidate in dispositivo). Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso stesso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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