Avvocato che pattuisce con il cliente un compenso a tempo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 febbraio 2022| n. 5892.

All’avvocato che pattuisce con il cliente un compenso a tempo non spetta il compenso intero per le frazioni di ora.

Ordinanza|23 febbraio 2022| n. 5892. Avvocato che pattuisce con il cliente un compenso a tempo

Data udienza 18 novembre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI – AVVOCATO – ONORARIO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 22354/2017 proposto da:
Avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso da se’ stesso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 966/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/4/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/11/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI LA BATTAGLIA.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione notificato il 10.12.2001, l’avv. (OMISSIS) conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Bologna, la (OMISSIS) s.r.l., chiedendone la condanna al pagamento di Lire 22.956.000, a titolo di compenso per l’attivita’ stragiudiziale svolta nei mesi da febbraio a maggio 2001. Il suddetto importo, a dire del ricorrente, risultava dall’applicazione di una tariffa di Lire 250.000 per ora o frazione di ora, concordata tra le parti nell’accordo stipulato il 17.4.2001, mediante il richiamo alla Tabella B della tariffa di cui al Decreto Ministeriale n. 585 del 1994.
Si costituiva in giudizio la societa’ convenuta, chiedendo il rigetto della domanda, siccome infondata per violazione delle tariffe forensi, nonche’ contraria al precetto di cui all’articolo 2233 c.c., comma 2. Deduceva, inoltre, la sproporzione della somma richiesta rispetto all’attivita’ professionale effettivamente svolta, per la quale l’attore era gia’ stato integralmente saldato.
Il Tribunale di Bologna, ritenendo che non vi fosse contestazione sulle prestazioni eseguite, ma “che l’attore non avesse provato il tempo effettivamente impiegato per il relativo svolgimento, condanno’ la parte convenuta a pagare la minor somma di Lire 5.950.000 (corrispondenti a Euro 3.072,92), in applicazione della Tabella D della tariffa ratione temporis vigente.

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L’avv. (OMISSIS) proponeva, quindi, appello, lamentando l’applicazione di parametri diversi da quelli concordati dalle parti (vale a dire della Tabella D, in luogo della Tabella B del Decreto Ministeriale n. 585 del 1994), nonche’ l’illegittima decurtazione dell’importo, previsto in Lire 250.000 non solo per le ore intere, ma anche per le relative frazioni. Si costituiva (OMISSIS) s.r.l. (gia’ (OMISSIS) s.r.l.), che opponeva che la tariffa per l’attivita’ stragiudiziale era contenuta nella Tabella D, e in ogni caso la somma di Lire 250.000 all’ora era notevolmente superiore ai massimi di cui alla Tabella B. Proponeva, inoltre, appello incidentale, invocando l’integrale rigetto della domanda del professionista, in mancanza della compiuta dimostrazione dell’attivita’ professionale da questi svolta in proprio favore. Domandava, infine, la riforma della statuizione sulle spese, che chiedeva fossero poste integralmente a carico dell’originario attore, per aver rifiutato (anche nel corso del processo) la somma offerta, a titolo transattivo, da essa societa’, rilevatasi ben maggiore di quella infine riconosciuta all’avvocato dalla sentenza di primo grado. La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 966 del 2017, rigetto’ l’appello principale e accolse quello incidentale sotto il profilo delle spese processuali, condannando conseguentemente l’appellante all’integrale pagamento di quelle di entrambi i gradi di giudizio.
I giudici di secondo grado ritennero inapplicabile alla fattispecie concreta la tariffa di cui alla Tabella B (riferentesi ai diritti e onorari del processo di esecuzione), e pertinente, invece, il richiamo alla Tabella Sub D, che, al n. 10 effettivamente prevede la possibilita’ di concordare, per l’attivita’ stragiudiziale, un compenso “commisurato alla durata della prestazione e delle attivita’ accessorie”. Cio’ che non risultava provato, secondo la Corte d’Appello, era che le parti avessero pattuito la medesima tariffazione anche per le frazioni di ora” di modo che bene aveva fatto il Tribunale, una volta raggiunta (per mezzo dell’escussione dei testimoni) la prova dell’avvenuto espletamento della prestazione (ma non dell’esatta durata delle telefonate e degli incontri) a liquidare il compenso del professionista nel 25% della somma richiesta, sul presupposto che per ogni singola attivita’ fosse stato impiegato un tempo medio di 15 minuti.

 

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Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), sulla base di cinque motivi. La (OMISSIS) s.r.l. e’ rimasta intimata. Il ricorrente ha depositato memoria.
2. Il primo e il terzo motivo di ricorso censurano entrambi la violazione dell’articolo 2233, per avere il giudice di merito ignorato il contenuto dell’accordo intervenuto tra le parti, nella parte in cui, ai fini della quantificazione del compenso a tempo per le prestazioni stragiudiziali, faceva riferimento alla Tabella B della tariffa forense, in modo da equiparare le frazioni di ora alle ore intere (non considerando, tra l’altro, che anche la Tabella D contempla la parametrazione del compenso anche alle frazioni di ora); e per avere, in tal modo, indebitamente limitato l’autonomia negoziale assicurata alle parti dall’articolo 2233 c.c. (in virtu’ della quale esse dovevano considerarsi pienamente libere di individuare la durata temporale della prestazione, cui commisurare il compenso, alla frazione di ora, evocata mediante il richiamo alla relativa disposizione di cui alla Tabella B della tariffa).
I motivi sono infondati.
L’accordo in questione prevede, quanto all’attivita’ stragiudiziale, l’applicazione di “un onorario a tempo in misura di Lire 250.000 da calcolarsi come da tariffario (Tabella B, II comma, tar. Civ.)”. L’articolo 10, comma 1, della Tabella relativa alle prestazioni stragiudiziali, allegata al Decreto Ministeriale n. 585 del 1994 (ratione temporis applicabile), dispone(va): “per le prestazioni di cui al n. 2 della presente tariffa (vale a dire le prestazioni di assistenza, n.d.r.) e ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2233 c.c., le parti possono convenire un compenso sostitutivo di quello previsto nella tariffa medesima, commisurato alla durata della prestazione e delle attivita’ accessorie, e comunque non inferiore alle Lire 100.000 all’ora”. La Corte d’Appello di Bologna ha ritenuto che, nel silenzio della disposizione, ove le parti avessero inteso convenire un compenso orario, esso non avrebbe potuto che riferirsi all’unita’ di misura rappresentata dall’ora, e non da una sua frazione. Ne’ poteva darsi credito al richiamo (contenuto nella convenzione intercorsa tra le parti) alla Tabella B, punto II della medesima tariffa (la quale dispone che “se le prestazioni di cui ai numeri 56, 57, 59 e 60 richiedono piu’ di un’ora, e’ dovuto per ogni ora o frazione di ora in piu’ il diritto di vacazione”), riguardando la stessa il processo di esecuzione, e non gia’ l’attivita’ stragiudiziale (rilevante nel caso di specie).
La violazione dell’articolo 2233 c.c., non appare, invero, sussistente, posto che il giudice di merito non ha applicato la tariffa forense sull’erroneo presupposto che le parti non avessero pattuito i criteri di determinazione del compenso, ma – al contrario -, dando per presupposto tale accordo, ha ritenuto che con esso le parti, nonostante l’erroneo richiamo della Tabella B II, avessero in realta’ inteso riferirsi alla Tabella D, sicche’ l’applicazione di quest’ultima, lungi dall’obliterarlo, rappresentava proprio l’effetto di tale accordo. Peraltro, anche a voler ritenere che la censura chiami in causa l’interpretazione fornita dal giudice di merito alla convenzione in discorso, essa non sarebbe rispettosa dell’insegnamento di questa Corte, alla cui stregua “in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volonta’ delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimita’ solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c. e segg.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali” (Cass., n. 27136/2017, si veda anche Cass., n. 11254/2018, secondo cui “l’interpretazione del contratto puo’ essere sindacata in sede di legittimita’ solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non puo’ dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicche’, quando di una clausola siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra”).
3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della Tabella D di cui al Decreto Ministeriale n. 585 del 1994, per avere erroneamente ritenuto che l’articolo 10 della stessa (che si limitava a fissre un limite minimo di Lire 100.000 all’ora) non consentisse alle parti di far riferimento ad altre disposizioni tariffarie (nel caso di specie, quella – di cui alla Tabella B – evocante anche le frazioni di ora), ai (soli) fini di individuare il periodo temporale al quale parametrare il compenso per l’attivita’ stragiudiziale. Anche questo motivo non coglie nel segno, dal momento che la Corte d’Appello ha affermato non gia’ che l’inapplicabilita’ della tariffa oraria concordata dalle parti anche alle frazioni di ora discendesse dal citato articolo 10, bensi’ che dal mero riferimento alla Tabella B non potesse evincersi la volonta’ delle parti nel senso appena indicato, dal momento che tale riferimento doveva intendersi piu’ propriamente evocare, come detto, la Tabella D.
4. Il quarto motivo censura l’omesso esame – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 – del fatto costituito dall’avvenuto pagamento, da parte della cliente, della notula relativa alle prestazioni svolte nel mese di gennaio del 2001, contenente anche il calcolo delle telefonate di durate infraoraria. Tale contegno integrerebbe, secondo il ricorrente, una confessione che l’accordo dovesse essere interpretato come attributivo del medesimo compenso anche per le frazioni di ora.

 

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Su tale punto, e’ necessario premettere che, “in tema di ricorso per cassazione, il libero convincimento del giudice di merito in tema di presunzioni e’ sindacabile nei ristretti limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, e cioe’ per mancato esame di fatti storici, anche quando veicolati da elementi indiziari non esaminati e dunque non considerati dal giudice sebbene decisivi, con l’effetto di invalidare l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento e’ fondato, nonche’ quando la motivazione non sia rispettosa del minimo costituzionale” (Cass., n. 10253/2021). Nel caso di specie, a far difetto e’ proprio la “decisivita’” del fatto che non sarebbe stato considerato dal giudice di secondo grado, trattandosi di contegno il quale – in quanto antecedente alla formalizzazione dell’accordo delle parti, e comunque relativo ai compensi di un solo mese – riveste un’efficacia meramente indiziaria, come tale inidonea, di per se’, a sovvertire l’esito della decisione (viene in rilievo, sul punto, la statuizione di Cass., n. 914/1996, a mente della quale “l’omesso esame di un fatto decisivo, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, e’ costituito da quel difetto di attivita’ del giudice di merito che si verifica tutte le volte in cui egli abbia trascurato non gia’ la deduzione o l’argomentazione che la parte ritiene rilevante per la sua tesi, bensi’ una circostanza obiettiva acquisita alla causa mediante prova scritta od orale, idonea di per se’, qualora fosse stata presa in considerazione, a condurre con certezza ad una decisione diversa da quella adottata; ne consegue che per la sussistenza del suddetto vizio non e’ sufficiente che il fatto, sebbene dibattuto fra le parti, sia stato totalmente trascurato dal giudice al pari di quelli non sottoposti ritualmente al suo accertamento, ma occorre che esso, per la sua diretta inerenza ad uno degli elementi costitutivi, modificativi od estintivi del rapporto in contestazione, sia dotato di un’intrinseca valenza, tale da non poter essere tacitamente escluso dal novero delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite; pertanto non integra il suddetto vizio l’omesso esame di ogni singolo indizio che, per la sua gravita’ o per la sua sinergica convergenza con altri elementi indiziari, consentirebbe, in ipotesi, al giudice di risalire all’individuazione di un fatto ignoto”; si veda anche Cass., n. 11853/1997, secondo cui mancato esame da parte del giudice del merito di elementi contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione adottata non integra di per se’ un vizio di omessa o insufficiente motivazione, occorrendo che la risultanza processuale attenga a circostanze che, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’ avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata”).
5. Con il quinto motivo di ricorso si censura sentenza impugnata per la violazione dell’articolo 91 c.p.c. (come modificato dalla L. n. 69 del 2009), per avere condannato il ricorrente – in accoglimento dell’appello incidentale, al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio, in applicazione di una norma (quella per cui le spese vanno poste a carico della parte che abbia ingiustificatamente rifiutato l’offerta transattiva) introdotta con la L. n. 69 del 2009, e dunque non applicabile al presente processo. In ogni caso, non ricorrevano neppure i presupposti contemplati da tale disposizione, dal momento che la condanna del giudice di primo grado era stata superiore, nel quantum, alla somma offerta dalla convenuta (Euro 3.072,92 a fronte di un”offerta di Euro 2.582,28).

 

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Il motivo e’ fondato, tenuto conto che della L. n. 69 del 2009, articolo 58, comma 1, dispone che, “fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”. La novella di cui al comma 1 dell’articolo 91 c.p.c., non poteva, pertanto, essere applicata a un processo iniziato nel 2001, come invece fatto dalla Corte d’Appello nella sentenza impugnata. Quest’ultima dovra’, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, la quale dovra’ procedere a una nuova statuizione in ordine alle spese processuali di entrambi i gradi di merito, applicando l’articolo 91 c.p.c., nella formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo di ricorso, respinti gli altri;
cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, la’ quale provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

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