La sospensione del procedimento con messa alla prova

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 27 aprile 2020, n. 13025.

Massima estrapolata:

L’omissione dell’avviso della facoltà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova nel decreto penale di condanna, divenuto irrevocabile prima del deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 201 del 2016 – che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 460, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedeva che il decreto debba contenere tale avviso – non determina una nullità deducibile dinanzi al giudice dell’esecuzione, stante l’operatività del limite della situazione esaurita, determinata dalla formazione del giudicato, e della portata della pronuncia in esame, non incidente sulla legalità del trattamento sanzionatorio irrogato.

Sentenza 27 aprile 2020, n. 13025

Data udienza 29 ottobre 2019

Tag – parola chiave: Procedimento penale – Decreto di condanna – Articolo 460 cpp – Sospensione del procedimento – Legge 87 del 1953 – Messa alla prova – Sentenza della corte costituzionale 201 del 2016 – Criteri – Articoli 180 e 182 cpp – Declaratorie di incostituzionalità – Efficacia retroattiva – sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 27614 del 2007 – Formazione del giudicato – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 42858 del 2014 – Motivazione del giudice di merito – Sentenza della corte costituzionale 240 del 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente

Dott. SARACENO Rosa A. – rel. Consigliere

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 11/04/2019 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Rosa Anna SARACENO;
lette le richieste del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Dall’Olio Marco, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da (OMISSIS), volta alla declaratoria di nullita’ del decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti perche’ privo dell’avviso – previsto dall’articolo 460 c.p.p., comma 1, lettera e, come integrato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 201 del 6 luglio 2016 – della facolta’ di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova ex articolo 168 bis c.p..
A ragione della decisione osservava che l’omissione dell’avviso comporta una nullita’ di ordine generale non assoluta che, ove non eccepita dalla parte che vi assiste, immediatamente dopo il suo compimento, rimane sanata ai sensi degli articoli 180 e 182 c.p.p.; che l’eccezione, sollevata per la prima volta con il proposto incidente, era tardiva, potendo e dovendo essere formulata nel primo atto compiuto, dopo la pronuncia della sentenza della Corte costituzionale, dunque con la richiesta depositata il 10.12.2018, volta ad ottenere la proroga dei termini per l’effettuazione del lavoro di pubblica utilita’ nonche’ la sospensione della procedura di riscossione della ripristinata pena pecuniaria.
2. Avverso detto provvedimento ricorre l’interessato a mezzo del difensore, avvocato (OMISSIS), chiedendone l’annullamento per violazione di legge.
Lamenta l’illegittimita’ del rigetto dell’eccepita nullita’ del decreto penale di condanna, sostenendo che non potesse trovare applicazione il principio affermato dal decidente, secondo cui si sarebbe trattato di nullita’ non assoluta e percio’ sanata perche’ non tempestivamente eccepita; l’istanza depositata il 10.12.2018, volta ad ottenere il ripristino del lavoro di pubblica utilita’, non conduceva affatto a superare il limite indicato dal provvedimento, trattandosi di “istanza endoprocessuale” che non aveva comportato l’avvio del procedimento di esecuzione; in ogni caso, a seguire l’opinione del giudicante, ogni sentenza additiva della Consulta non produrrebbe mai effetti definitivi, lasciando sopravvivere i rapporti sorti sulla base della disciplina dichiarata incostituzionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non merita considerazione per le ragioni di seguito esposte.
1. Come e’ noto, con sentenza n. 201 del 6 luglio 2016, dep. il 21 luglio 2016, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 460 c.p.p., comma 1, lettera e), nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l’avviso all’imputato che ha facolta’ di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all’atto di opposizione.
Consistendo l’istituto della messa alla prova in un nuovo procedimento speciale alternativo al giudizio e costituendo la richiesta di riti alternativi una modalita’, tra le piu’ qualificanti, di esercizio del diritto di difesa, l’avviso all’imputato della relativa facolta’, laddove assoggettata a termini decadenziali, e’ una garanzia essenziale per il godimento di tale diritto e la sua omissione e’ sanzionata con la nullita’ ex articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c).
Quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi e’ anticipato rispetto alla fase dibattimentale, la mancanza o l’insufficienza dell’avvertimento puo’ determinare la perdita irrimediabile della facolta’ di accedervi e la violazione della regola processuale che impone di dare all’imputato esatto avviso della sua facolta’ determina, dunque, una nullita’ produttiva di una lesione del diritto di difesa, in funzione del quale l’avviso costituisce misura idonea a consentire un effettivo esercizio mediante una scelta consapevole tra tutte le alternative riconosciute dall’ordinamento, indipendentemente dall’esito di tale scelta.
2. Tanto posto, in replica alle doglianze dedotte in ricorso occorre, innanzitutto, evidenziare che il decreto penale di condanna alla pena di 15.750 Euro di ammenda, sostituita ex articolo 186 C.d.S., comma 9 bis, con 126 ore complessive di lavoro di pubblica utilita’, non era originariamente affetto da alcuna nullita’, essendo stato emesso il 17 luglio 2014 e notificato il 23 gennaio 2015, quando non era stata ancora pronunciata la illegittimita’ costituzionale dell’articolo 460 c.p.p., comma 1, lettera e). In ogni caso, il mancato avviso non precludeva all’imputato la possibilita’ di formulare istanza di sospensione del procedimento con l’atto di opposizione, ai sensi dell’articolo 464 bis c.p.p., comma 2, posto che l’istituto della messa alla prova e’ stato introdotto nell’ordinamento in epoca antecedente, con la L. 28 aprile 2014, n. 67.
L’imputato non ha presentato opposizione ed e’ stata dichiarata l’esecutivita’ del decreto.
In conseguenza della pronuncia della Corte costituzionale, il ricorrente ha proposto incidente di esecuzione, eccependo esclusivamente la nullita’ del decreto penale di condanna per violazione del previsto obbligo informativo – non preceduta ne’ seguita da nessuna richiesta di messa alla prova o di rimessione in termini – e ha censurato la decisione assunta, osservando:
– che la declaratoria di illegittimita’ costituzionale opera come una sentenza di annullamento, determinando la radicale cancellazione dall’ordinamento giuridico delle disposizioni dichiarate in contrasto con la Carta Costituzionale;
– che, pertanto, essa travolge tutti i rapporti formatisi medio tempore in virtu’ della norma rivelatasi in seguito contraria alla Costituzione;
– che erroneamente l’eccezione di nullita’ del decreto era stata ritenuta tardiva, giacche’ l’omissione dell’avviso determina una nullita’ assoluta e insanabile.
3. I cennati rilievi critici non colgono nel segno.
Ai sensi dell’articolo 136 Cost. la norma dichiarata costituzionalmente illegittima cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
La L. 11 marzo 1957, n. 87, articolo 30, comma 4, definisce i rapporti della pronunzia di illegittimita’ costituzionale con i giudicati di condanna, prescrivendo espressamente che “quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale e’ stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”.
Secondo l’autorevole esegesi offerta dalle Sezioni Unite di questa Corte, la disposizione, che attribuisce efficacia retroattiva alle declaratorie di incostituzionalita’ delle norme penali e fonda la competenza del giudice dell’esecuzione a considerarne l’incidenza sulla fase attuativa del giudicato, riguarda le sole disposizioni sostanziali, che incriminano il fatto, oppure che incidono sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, comportando la verifica in sede esecutiva della sopravvenuta illegalita’ della pena, che, se riscontrata e se riguardante rapporto esecutivo non ancora interamente eseguito, ne impone la rideterminazione.
Non altrettanto accade nell’eventualita’ che oggetto della dichiarazione di illegittimita’ costituzionale sia una norma processuale applicata nel procedimento conclusosi con il giudicato di condanna. In siffatta ipotesi vale, infatti, l’indiscusso principio per il quale “la sentenza che dichiara l’illegittimita’ costituzionale di una norma di legge ha efficacia erga omnes… e forza invalidante, con conseguenze simili a quelle dell’annullamento, nel senso che essa incide… anche retroattivamente in relazione a fatti o a rapporti instauratisi nel periodo in cui la norma incostituzionale era vigente, sempre, pero’, che non si tratti di situazioni giuridiche esaurite, e cioe’ non piu’ suscettibili di essere rimosse o modificate, come quelle determinate dalla formazione del giudicato, dall’operativita’ della decadenza, dalla preclusione processuale” (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, P.C. in proc. Lista, Rv. 236535).
Dunque, gli effetti di decisioni della Corte Costituzionale aventi portata innovativa in campo processuale (quale di certo va considerata la n. 201 del 2016, di cui si discute) hanno una maggior forza espansiva rispetto ad una semplice modifica legislativa, sicche’ il decisum puo’ trovare immediata applicazione – ai sensi dell’articolo 136 Cost. – nei procedimenti in corso, restandone tuttavia esclusa l’operativita’ con riguardo alle situazioni che possono definirsi “esaurite”, siccome insuscettibili di essere rimosse o modificate, ovvero quando siano individuabili altri momenti preclusivi di tipo endoprocedimentale, quali la decadenza o la preclusione.
4. La formazione del giudicato, dunque, e’ fatto che di per se’ determina l’intangibilita’ della pronunzia, salva l’ipotesi di declaratoria di illegittimita’ costituzionale avente ad oggetto norme incriminatrici o norme di diritto penale sostanziale direttamente incidenti sul trattamento sanzionatorio, in virtu’ di quanto previsto dalla L. n. 87 del 1953, articolo 30 per come interpretato da Sez. U n. 42858 del 2014, ric. Gatto, e il nuovo assetto regolativo, derivante dalla decisione additiva, non puo’ ritenersi incidente, poiche’ la situazione definita e’ insensibile al novum rappresentato dalla sentenza della Corte costituzionale.
Invero, il fenomeno di integrazione del quadro normativo, anche se derivante da una decisione del giudice delle leggi, non risulta diverso, nelle sue ricadute, dalla ordinaria modifica legislativa, stante l’operativita’ del limite della situazione esaurita, determinata dalla formazione del giudicato, e, conseguentemente, la salvezza degli effetti giuridici correlati alla norma processuale allora vigente.
5. La declaratoria di incostituzionalita’ in esame, successiva all’intervenuta irrevocabilita’ del decreto, insensibile, pertanto, agli effetti indotti dalla pronunzia, nemmeno poteva fondare la competenza del giudice dell’esecuzione a considerarne la riflessa incidenza sulla fase esecutiva del giudicato, non refluendo essa neppure indirettamente sulla legalita’ del trattamento sanzionatorio irrogato, stante l’intrinseca dimensione processuale dell’istituto ex articolo 168 bis c.p. (Corte Cost. n. 240 del 2015), in cui il beneficio dell’estinzione del reato, connesso all’esito positivo della messa in prova, presuppone lo svolgimento di un iter processuale alternativo alla celebrazione del giudizio.
6. Alla luce delle superiori considerazioni, e in tali termini rettificata la motivazione del provvedimento impugnato, il ricorso non puo’ essere accolto, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente, a norma dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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