La sola coltivazione del fondo agricolo altrui  non è sufficiente a fornire prova per l’usucapione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 gennaio 2024| n. 1121.

La sola coltivazione del fondo agricolo altrui  non è sufficiente a fornire prova per l’usucapione

La sola coltivazione del fondo agricolo altrui  non è sufficiente a fornire prova del possesso uti dominus del bene e conseguentemente del possesso utile ai fini dell’usucapione.

Ordinanza|11 gennaio 2024| n. 1121. La sola coltivazione del fondo agricolo altrui  non è sufficiente a fornire prova per l’usucapione

Data udienza 9 ottobre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Usucapione – Coltivazione – Fondo altrui – Insufficiente – Possesso

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta da

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere-Rel.

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 868/2023 R.G. proposto da

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Lo.D., con domicilio eletto in Roma, via F., presso lo studio dell’Avv. La.Ro.;

– ricorrente –

contro

A.D.E.R. – AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3577/22, depositata il 25 maggio 2022 .

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 ottobre 2023 dal Consigliere Guido Mercolino.

La sola coltivazione del fondo agricolo altrui  non è sufficiente a fornire prova per l’usucapione

FATTI DI CAUSA

1. La Serit Sicilia S.p.a., agente della riscossione per la Provincia di Messina, convenne in giudizio la Cassa di Previdenza e Assistenza Forense, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 20482/10, con cui il Tribunale di Roma le aveva intimato il pagamento della somma di Euro 224.654,68, a seguito del riversamento soltanto parziale degl’importi dovuti dagl’iscritti, ed avviati alla riscossione con ruoli emessi nel 1997, 1998 e 1999.

A sostegno dell’opposizione, l’attrice eccepì il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, l’incompetenza del Giudice adito e l’avvenuto riversamento degl’importi relativi ai ruoli emessi nel 1997 e nel 1998, nonché la prescrizione e l’indeterminatezza del credito.

Si costituì la CNPAF, e resistette all’opposizione, chiedendone il rigetto.

1.1. Con sentenza del 21 aprile 2016, il Tribunale di Roma accolse parzialmente l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando la Serit Sicilia al pagamento degl’importi di Euro 1.287,01 a titolo di residuo credito per i ruoli emessi nel 1997, Euro 36.934,42 a titolo di residuo credito per i ruoli emessi nel 1998 ed Euro 2.813,06 a titolo di residuo credito per i ruoli emessi nel 1999, oltre interessi.

2. L’impugnazione proposta dalla CNPAF nei confronti della Riscossione Sicilia S.p.a., succeduta alla Serit Sicilia, è stata rigettata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 25 maggio 2022 ha accolto l’appello incidentale, rigettando la domanda proposta dalla CNPAF.

A fondamento della decisione, la Corte ha escluso la spettanza della controversia alla giurisdizione contabile, evidenziando la natura di fondazione di diritto privato attribuita alla CNPAF dall’art. 1 del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e ritenendo irrilevante la natura pubblica della contribuzione, in quanto inerente alle finalità istituzionali della Cassa e riguardante esclusivamente il rapporto previdenziale con gl’iscritti.

Nel merito, premesso che la legge 24 dicembre 2012, n. 228 ed il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 15 giugno 2015 avevano disposto l’annullamento delle quote ed il discarico dell’agente per tutti i ruoli anteriori al 31 dicembre 1999, escludendo la trasmissione delle comunicazioni d’inesigibilità e dello stato delle procedure di riscossione, ha ritenuto incontestato che l’Equitalia avesse trasmesso alla Cassa l’elenco delle quote annullate, ivi comprese quelle che costituivano oggetto della controversia, escludendo conseguentemente l’applicabilità degli artt. 19 e 20 del D.Lgs. n. 112 del 1999. Precisato inoltre che le norme richiamate non distinguevano tra i ruoli attinenti a crediti consegnati da soggetti pubblici o destinatari di finanziamenti pubblici e quelli concernenti crediti vantati da soggetti privati, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della legge n. 228 del 2012, per violazione degli artt. 3 e 42 Cost., ritenendo non irragionevole la scelta compiuta dal legislatore, in quanto volta a favorire la razionalizzazione dei bilanci degli enti, mediante la rottamazione del sistema di riscossione a mezzo ruolo relativamente ai ruoli più risalenti, non incidente sull’esistenza dei crediti sottostanti, relativamente a quelli d’importo superiore ad Euro 2.000,00, ed ancorata ad una valutazione di non convenienza della riscossione, relativamente ai crediti d’importo inferiore, in considerazione del presumibile rapporto negativo tra i costi ed i benefici della riscossione.

3. Avverso la predetta sentenza la CNPAF ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, l’A.D.E.R. – Agenzia delle entrate – Riscossione, succeduta alla Riscossione Sicilia S.p.a.

La sola coltivazione del fondo agricolo altrui  non è sufficiente a fornire prova per l’usucapione

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, commi 527-529, della legge n. 228 del 2012 e degli artt. 1 e 2 del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, sostenendo che, nel ritenere operante il meccanismo di annullamento e discarico automatico previsto dall’art. 1, commi 527-529 cit., la sentenza impugnata non ha tenuto conto della riferibilità dello stesso soltanto ad entrate erariali ed a quelle di enti pubblici alimentati dal bilancio dello Stato, e della conseguente inapplicabilità alle entrate di soggetti privati, quali le casse previdenziali, che, in quanto dotati di autonomia gestionale, contabile e finanziaria, non possono fruire di finanziamenti pubblici, in via diretta o indiretta, né essere destinatari di interventi autoritativi incidenti sul loro assetto economico-finanziario, mediante prelievi o riduzioni delle entrate. Premesso che, per i ruoli d’importo inferiore ad Euro 2.000,00, l’effetto caducatorio coinvolge anche i crediti dalla Cassa, comportando di fatto l’azzeramento dei crediti vantati nei confronti degl’iscritti, indipendentemente dall’ascrivibilità dell’annullamento alla negligenza dell’esattore, afferma che, per effetto dell’esclusione della responsabilità amministrativa e contabile di quest’ultimo, le conseguenze pregiudizievoli dei mancati introiti sono destinate a ricadere sugli stessi iscritti, venendo meno per quelli morosi la continuità contributiva e per gli altri l’apporto finanziario dei versamenti dei morosi. Rilevato inoltre che l’esclusione dell’applicabilità della procedura di cui agli artt. 19 e 20 del D.Lgs. n. 112 del 1999 evidenzia l’intento di circoscrivere l’ambito applicativo delle norme in esame ai soli crediti per i quali siano ancora in corso i termini per l’invio delle comu-nicazioni d’inesigibilità, osserva che, al momento dell’entrata in vigore della legge n. 228 del 2012, il diritto al discarico era già venuto meno, avendo l’esattore omesso ogni forma di rendicontazione ed informazione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 527 e ss., della legge n. 228 del 2012, per contrasto con gli artt. 3, 38, 41, 42 e 117 Cost., in riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla CEDU, all’art. 6 della CEDU ed all’art. 117 Cost., osservando che, ove si accogliesse l’interpretazione del comma 527 cit. fornita dalla sentenza impugnata, l’annullamento automatico previsto per i crediti d’importo inferiore ad Euro 2.000,00 comporterebbe un prelievo forzoso senza indennizzo a carico di enti estranei all’apparato statale, dotati di autonomia finanziaria ed impossibilitati ad avvalersi di finanziamenti pubblici, che, oltre a mettere a rischio la stessa funzione solidaristica dagli stessi svolta in favore degl’iscritti, determinerebbe una disparità di trattamento rispetto ai crediti vantati dall’Unione Europea.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, in subordine, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, comma 527, della legge n. 228 del 2012 e dell’art. 1, commi primo e secondo, del D.M. 15 giugno 2015, rilevando che la sentenza impugnata non ha tratto le dovute conseguenze dalla diversità della disciplina prevista per i crediti d’importo rispettivamente inferiore e superiore ad Euro 2.000,00, non avendo considerato che, mentre per questi ultimi l’automatico discarico non preclude la possibilità di ricorrere a strumenti di riscossione diversi dal ruolo, per i primi l’annullamento automatico comporta l’estinzione anche del credito, che risulta di fatto espropriato senza indennizzo.

4. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono infondati.

La questione concernente l’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 1, commi 527-529, della legge n. 228 del 2012 alla CNPAF è stata già affrontata da questa Corte, e risolta mediante l’enunciazione del principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, secondo cui le predette disposizioni, ispirate ad un’esigenza di razionalizzazione dei bilanci di tutti gli enti creditori (indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli stessi), non pongono alcuna distinzione tra ruoli attinenti a crediti consegnati da soggetti pubblici o comunque da soggetti istituzionalmente beneficiari di finanziamenti pubblici e ruoli concernenti invece crediti vantati da soggetti privati: esse si riferiscono infatti indistintamente a tutti i crediti iscritti in ruoli resi esecutivi sino al 31 dicembre 1999, ed escludono la possibilità di procedere ulteriormente alla riscossione degli stessi mediante ruolo, sulla base di una valutazione rispondente ad evidenti criteri di ragionevolezza, in quanto fondata sull’epoca risalente dell’iscrizione a ruolo e, per i crediti di valore inferiore ad Euro 2.000,00, sull’antieconomicità della riscossione, i cui costi sono stati reputati superiori ai benefici (cfr. Cass., Sez. III, 26/07/2021, n. 21386; 20/ 11/2020, n. 26531; 9/05/2019, n. 12229). Le norme in esame sono pertanto applicabili anche ai crediti della CNPAF, la quale, nonostante la privatizzazione, rimane un ente deputato allo svolgimento di una funzione pubblica, cui lo Stato ha eccezionalmente concesso di procedere alla riscossione dei propri crediti a mezzo del ruolo, cioè attraverso un sistema normalmente riservato agli enti pubblici, con la conseguenza che lo stesso legislatore può legittimamente disciplinare le modalità della riscossione, imporre limiti alla stessa, o, come avvenuto nella specie, non consentire più la riscossione con tale sistema per i crediti più risalenti.

4.1. E’ stato altresì precisato che il comma 527 dell’art. 1, nella parte in cui prevede, per i ruoli relativi ai crediti di valore inferiore ad Euro 2.000,00, l’annullamento dei crediti e l’eliminazione dalle scritture contabili, dev’essere interpretato (non diversamente dal comma 528, riguardante i ruoli relativi ai crediti di valore superiore al predetto importo) nel senso che l’esclusione della possibilità di procedere ulteriormente alla riscossione a mezzo ruolo comporta unicamente il venir meno del titolo esecutivo, costituito dal ruolo, e non anche l’estinzione del diritto di credito: in tal senso depongono infatti le finalità perseguite dal legislatore con la disciplina in esame, configurabile non già come un provvedimento ablatorio nei confronti di enti cui lo Stato non contribuisce neppure in via indiretta, ma come un intervento di riorganizzazione del servizio di riscossione a mezzo dei ruoli. Nessun rilievo può assumere, in contrario, l’espressa previsione dell’eliminazione dei predetti crediti dalle scritture contabili dell’ente, la quale, oltre a costituire un effetto già altre volte contemplato in caso di discarico dal ruolo, riveste una valenza esclusivamente contabile, in funzione dell’esigenza, correlata al sistema contabile europeo, di fornire una realistica esposizione dello stato patrimoniale ed economico dello ente, evitando che crediti persistentemente insoluti possano venire ad alterarne i bilanci di esercizio, quali poste soltanto virtuali iscritte all’attivo, in contrasto con il criterio di veridicità dei bilanci (cfr. Cass., Sez. III, 20/11/ 2020, n. 26531; 19/06/2020, n. 11972). Anche per i ruoli relativi ai crediti di valore inferiore ad Euro 2.000,00 vale dunque la considerazione, svolta in riferimento a quelli riguardanti i crediti di valore superiore al predetto importo, secondo cui l’annullamento del ruolo non coincide con l’estinzione del credito sottostante, che ben potrà essere successivamente azionato in proprio dall’ente creditore, con gli strumenti di tutela ordinariamente apprestati dallo ordinamento per i soggetti privati (cfr. Cass., Sez. III, 9/05/2019, n. 12229).

4.2. E’ pertanto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme in esame, sollevata dalla ricorrente sia in relazione alla previsione di un’espropriazione senza indennizzo dei crediti da essa vantati nei confronti dei propri iscritti e dell’idoneità di tale intervento a incidere sullo equilibrio finanziario dell’ente, sia in relazione alla disparità di trattamento introdotta tra i crediti delle casse previdenziali e quelli dell’Unione Europea, per i quali resta confermata l’operatività del sistema di riscossione a mezzo ruolo, anche se risalenti. Non merita consenso neppure la censura di violazione dell’art. 117 Cost., sollevata in riferimento all’art. 6 della CEDU, sotto il profilo dell’irragionevole incidenza delle disposizioni in esame sulla posizione di parità delle parti nei giudizi in corso, non configurandosi le stesse come un intervento isolato ed inaspettato rispetto ad un quadro normativo idoneo ad ingenerare nelle parti un ragionevole affidamento in ordine alla sua immutabilità, ma come uno stadio ulteriore di un percorso normativo avviato fin dal 1999 con la riforma del sistema di riscossione a mezzo ruolo, e proseguito con la sostituzione dell’organizzazione di carattere pubblicistico degli agenti della riscossione ai rapporti di concessione precedentemente intrattenuti dagli enti creditori con società private (cfr. Cass., Sez. III, 20/11/2020, n. 26531; 19/06/2020, n. 11972).

4.3. Tali conclusioni, più volte ribadite dalla giurisprudenza di legittimità, non appaiono suscettibili di rimeditazione alla stregua dello jus superveniens rappresentato dall’art. 1, commi 222-252, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, richiamato in memoria dalla ricorrente, che ha previsto un analogo meccanismo di annullamento automatico dei debiti iscritti nei ruoli affidati agli agenti della riscossione, con corrispondente discarico di questi ultimi: tale disposizione si riferisce infatti ad una fattispecie diversa da quella in esame, ovverosia ai debiti d’importo residuo fino a Euro 1.000,00 «risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015», e, prevedendo espressamente un trattamento diversificato tra enti erariali (amministrazioni statali, agenzie fiscali ed enti pubblici previdenziali) ed enti non erariali (per i quali l’operatività di tale meccanismo resta subordinata ad un’apposita delibera dell’ente), non contemplato dall’art. 1, commi 527-529, della legge n. 228 del 2012, conferma indirettamente la validità dell’interpretazione di quest’ultima disposizione fornita dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. III, 9/08/2023, n. 24313).

5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 19 ottobre 2023

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2024.

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