cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 14 aprile 2016, n. 7411

Ritenuto in fatto

1. – Con atto notificato in data 29 aprile 2009, il Banco di Napoli s.p.a. propose opposizione di terzo revocatoria, ex art. 404, secondo comma, cod. proc. civ., avverso la sentenza n. 93 del 16 febbraio 2009, con la quale la Corte d’appello di Lecce, in accoglimento del gravame proposto da P.L. , aveva dichiarato l’avvenuta usucapione, in favore dell’appellante, del terreno sito in agro di (…) (in catasto al foglio 31, particella 431, di are 37,10), così riformando la sentenza n. 1686 del 2007 del Tribunale di Lecce, che aveva rigettato la domanda contro M.A. , rimasto contumace in entrambi i gradi.
Premise il Banco di Napoli di essere creditore nei confronti del M. per la somma di euro 1.294.485,92, oltre accessori, in virtù di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, e per la somma di euro 4.194.438,98, oltre interessi, in virtù di fideiussioni, e che, per il soddisfacimento del primo credito, aveva proceduto a pignoramento immobiliare (tra l’altro) sul terreno di (…).
Osservò il terzo opponente che l’accoglimento della domanda del P. era stato l’effetto di dolo e collusione delle parti, P. e M. , in danno dei diritti e delle ragioni di credito vantate dal Banco di Napoli, e che il contenzioso instaurato era stato finalizzato a “sottrarre la garanzia ipotecaria per le obbligazioni assunte dal M.”.
Nel giudizio così instaurato si costituì il P. , resistendo ed in via preliminare eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione per decorrenza del termine di legge, mentre il M. rimase contumace.
2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 12 settembre 2001, la Corte d’appello di Lecce, non definitivamente pronunciando sull’opposizione revocatoria, ha dichiarato ammissibile l’opposizione, rinviando al definitivo la regolamentazione delle spese.
La Corte d’appello ha rilevato che la banca poté ricevere certezza del dolo e/o della collusione (ravvisabili a suo avviso) nonché della diversa soluzione che (sempre secondo il suo avviso) la controversia avrebbe avuto in esito ad un corretto dibattito processuale, solo a seguito della sentenza di secondo grado pubblicata il 16 febbraio 2009, ma della quale acquisì conoscenza solo in data 2 aprile 2009, allorché le fu notificata la nota 4 m. 2009, nella quale si dava atto, attraverso la produzione del dispositivo, dell’accoglimento dell’appello. Rispetto a questa data, l’atto di opposizione – ha concluso la Corte d’appello – è stato notificato il 29 aprile 2009, dunque, tempestivamente.
3. – Per la cassazione della sentenza non definitiva della Corte d’appello, il P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 2 ed il 6 dicembre 2011.
Il Banco di Napoli ha resistito con controricorso.
L’altro intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Con ordinanza interlocutoria 19 giugno 2013, n. 15382, il Collegio della VI-2 Sezione civile ha rimesso la trattazione della causa in pubblica udienza.

Considerato in diritto

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 405, 325 e 326 cod. proc. civ. e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamentando che la Corte d’appello non abbia dichiarato la nullità dell’opposizione per non avere l’opponente indicato il momento in cui aveva avuto conoscenza del dolo e della collusione perpetrati in suo danno.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 405, 325 e 326 cod. proc. civ. e degli artt. 2643, nn. 1 e 14, 2465 e 2651 cod. civ. e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere collegato la data della raggiunta consapevolezza della frode, da parte della banca opponente, il 2 aprile 2009, trascurando che dai documenti di causa risultava una conoscenza antecedente, e senza considerare che la sentenza opposta era stata pubblicata il 16 febbraio 2009 e trascritta presso la locale Conservatoria dei registri immobiliari il 24 marzo 2009, vale a dire in un momento antecedente il decorso del termine di trenta giorni previsto dalla legge, a pena di inammissibilità, per la proposizione dell’opposizione di terzo.
Con il terzo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione di legge e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, deducendosi la mancanza di collusione tra le parti e l’assenza di prove sul punto da parte della opponente.
2. – Il ricorso è inammissibile.
2.1. – La sentenza impugnata è stata pronunciata dalla Corte d’appello su un’opposizione di terzo revocatoria, ex art. 404, secondo comma, cod. proc. civ., avverso una sentenza resa in grado di appello.
L’impugnazione proposta è soggetta alla disciplina del ricorso per cassazione, essendo questo il mezzo di impugnabile esperibile avverso la sentenza pronunciata su opposizione di terzo contro una sentenza in grado di appello (Cass., Sez. XI, 27 maggio 1975, n. 2137).
2.2. – La sentenza impugnata è una sentenza non definitiva con cui è stata risolta esclusivamente una questione: quella relativa alla tempestività della proposta opposizione. La Corte d’appello non ha definito, neppure parzialmente, il rapporto controverso: ha rimesso le spese al definitivo e ha conservato il potere di decidere la causa, rinviando a separata ordinanza i provvedimenti per l’istruzione e l’ulteriore corso della causa di opposizione di terzo revocatoria.
2.3. – La proposta impugnazione ricade nel divieto, dettato dall’art. 360, terzo comma, cod. proc. civ., introdotto dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di separata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi quelle su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito che non chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate.
Come è stato chiarito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un., 22 dicembre 2015, n. 25774), ai fini della identificazione delle sentenze non definitive su questioni, la disposizione del terzo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. rimanda a quanto risulta dal secondo comma dell’art. 279 cod. proc. civ. Si tratta di sentenze su questioni pregiudiziali attinenti al processo o preliminari di merito idonee a definire il giudizio, che assumono carattere di sentenze non definitive quando la questione viene respinta, ed alle quali si accompagna la pronuncia dell’ordinanza di fissazione dell’udienza per la prosecuzione della causa davanti allo stesso giudice che ha emesso la sentenza non definitiva.
Le sentenze non suscettibili, ai sensi del novellato terzo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., di impugnazione immediata per cassazione – ma ricorribili soltanto unitamente alla impugnazione della definitiva (o della sentenza, successivamente resa, che definisce, anche parzialmente, il giudizio) – sono quindi le sentenze meramente endoprocessuali che non chiudono il processo davanti al giudice che le ha pronunciate, essendo la trattazione della causa destinata a proseguire dinanzi allo stesso giudice in vista della decisione definitiva. Rispetto a queste sentenze, la scelta della parte soccombente di non proporre immediato ricorso per cassazione necessitava, prima della riforma del 2006, della riserva espressa; laddove, oggi, a completamento della regola della non immediata impugnabilità, opera la previsione della riserva automatica di impugnazione. Attraverso l’esclusione dell’immediata ricorribilità per cassazione delle sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, la novella del 2006, intendendo perseguire l’obiettivo della concentrazione del giudizio di impugnazione e limitare il numero dei provvedimenti impugnabili per cassazione, non ha compresso affatto il diritto di difesa della parte soccombente, ma si è limitata a rinviare nel tempo la possibile impugnazione, consentendo alla parte di valutare con completezza il proprio interesse all’impugnazione all’esito della pronuncia definitiva. Tenendo conto che, nelle more della prosecuzione del giudizio, la sentenza non definitiva su questione, avendo una portata esclusivamente strumentale, è insuscettibile di produrre un immediato pregiudizio nella sfera giuridica della parte soccombente, a questa è stato imposto – per ragioni di economia processuale volte a garantire la deflazione del carico di lavoro pendente in sede di legittimità – soltanto un differimento, e quindi un sacrificio ragionevole e limitato nel tempo, in attesa che il giudizio di appello (o quello in unico grado) venga definito. Alla parte soccombente è precluso di ricorrere immediatamente avverso la sentenza non definitiva sulla questione pregiudiziale attinente al processo o preliminare di merito, ma essa conserva intatta la possibilità di adire la corte di cassazione e di dolersi (anche) della soluzione data alla questione pregiudiziale o preliminare allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio, a meno che il suo interesse ad impugnare venga meno alla luce di quest’ultima sentenza e sempre che non risorga (giustificando quindi un ricorso incidentale) in conseguenza dell’impugnazione ad opera di un’altra parte.
3. – Conclusivamente, va enunciato il principio di diritto secondo cui la sentenza non definitiva con cui il giudice d’appello, investito dell’opposizione di terzo revocatoria proposta contro una sentenza emessa dallo stesso giudice, si limiti a dichiarare ammissibile l’opposizione e a respingere la sollevata eccezione di tardività del mezzo, non è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza che ricade nel divieto, dettato dall’art. 360, terzo comma, cod. proc. civ., di separata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni.
4. – Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi euro 4.200, di cui euro 4.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge

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