La scelta legislativa di far gravare sui Comuni i costi di funzionamenti degli uffici giudiziari

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 11 ottobre 2019, n. 6931.

La massima estrapolata:

Non è lesiva dei parametri costituzionali la scelta legislativa, previgente alla novella del 2014, di far gravare sui Comuni i costi di funzionamenti degli uffici giudiziari ubicati nel proprio territorio, salva la erogazione da parte dello Stato di un significativo contributo, in quanto tali spese (o, meglio, l’ubicazione degli uffici giudiziari nel territorio di un determinato comune), non possono ritenersi estranee agli interessi della comunità locale stanziata sullo stesso territorio.

Sentenza 11 ottobre 2019, n. 6931

Data udienza 18 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7923 del 2017, proposto dal Comune di Ancona, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Sg. dell’Avvocatura Comunale, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Bo. in Roma, Piazzale (…);
contro
il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Ministero dell’Interno, in persona dei Ministri p.t., non costituiti in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 7973 del 2017, proposto dal Ministero della Giustizia, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero dell’Interno, in persona dei Ministri p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via (…);
contro
il Comune di Ancona, il Comune di Lecce, in persona dei Sindaci p.t., non costituiti in giudizio;
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi n. 7923 del 2017 e n. 7973 del 2017:
della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima, n. 8370 del 13 luglio 2017.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2019 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’Avvocato Gi. Bo., su delega dell’Avvocato Ma. Sg., e l’Avvocato dello Stato An. Ve.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello R.G. n. 7923 del 2017, il Comune di Ancona, sede di uffici giudiziari (Tribunale e Corte d’Appello), espone di avere impugnato in primo grado il decreto con cui il Ministero della Giustizia, di concerto con il Ministero dell’Interno ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in data 30 aprile 2014, ha approvato la determinazione dei contributi dovuti ai Comuni per le spese di giustizia da questi ultimi sostenute nel 2011, quantificando per il Comune di Ancona un contributo di euro 1.404.936,06, cifra di gran lunga inferiore alle spese sopportate dall’Amministrazione comunale.
Il T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma Sezione Prima, con la sentenza n. 8370 del 2017, ha respinto il ricorso proposto dall’Amministrazione comunale laddove è stato contestato il sistema normativo che imputa ai Comuni le spese di giustizia, salvo un contributo a parziale rimborso da parte dello Stato, mentre ha accolto il gravame con riferimento all’inapplicabilità, per le spese relative all’anno 2011, dell’art. 1, comma 26 del d.l. n. 95 del 2012.
L’appello, proposto dal Comune di Ancona avverso le statuizioni per esso negative, è articolato nei seguenti motivi:
Eccezione di incostituzionalità ex artt. 5, 110, 114, 118. 119 Cost. da parte della legge 392/1941; art. 1 d.l. 95/2012 convertito nella legge 135/2012; art. 8, comma 4, d.lgs. 155/2012, d.P.R. 187/1998, ovvero illegittimità per violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali.
Con la riforma del titolo V della Costituzione, il sistema della finanza locale ha acquisito una reale autonomia, la quale non sarebbe compatibile con le norme in epigrafe.
La legge di stabilità per il 2015 ha modificato la legge 392/1941, trasferendo, all’art. 1, comma 526, le spese relative agli uffici giudiziari dai Comuni al Ministero della Giustizia, per cui emergerebbe chiaramente come tali spese dovrebbero gravare unicamente sullo Stato, titolare del servizio in questione.
L’art. 119 Cost. afferma che i Comuni debbono finanziare integralmente solo le funzioni di loro spettanza ed eventualmente, in determinati casi, possono indebitarsi per finanziare soltanto spese di investimento, sicché non sarebbe tollerabile che ricorrano all’indebitamento per corrispondere spese per il servizio giustizia di cui è competente lo Stato.
2. Con l’appello R.G. n. 7973 del 2017, le Amministrazioni statali hanno impugnato la medesima sentenza del T.a.r. per il Lazio, n. 8370 del 2017, che ha accolto il ricorso di primo grado limitatamente all’inapplicabilità, per le spese relative all’anno 2011, dell’art. 1, comma 26 del d.l. n. 95 del 2012 e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento relativo alla liquidazione dei contributi dovuti per il 2011.
L’appello è articolato nei seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 26, del d.l. n. 95 del 2012, convertito con legge n. 135 del 2012, degli artt. 1, comma 1, e 2 della legge n. 392 del 1941 e dell’art. 2 del d.P.R. n. 187 del 1998.
Il contributo, determinato a norma dell’art. 1 del d.P.R. 4 maggio 1998, n. 187, viene corrisposto, come previsto dal successivo art. 2, in due rate: una rata di acconto, erogata a favore dei Comuni all’inizio di ciascun esercizio finanziario, in misura pari al 70% del contributo globalmente erogato nell’anno precedente e, comunque, nei limiti dell’85% dello stanziamento assegnato nello stato di previsione della spesa nell’esercizio finanziario in corso; una rata a saldo, determinata tenendo conto delle spese di cui all’art. 1 della legge n. 392 del 1941 sostenute dai Comuni, del parere delle commissioni di manutenzioni nonché degli stanziamenti di bilancio di previsione della spesa del Ministero della Giustizia.
Tale meccanismo comporta che la rata a saldo, proprio perché non definita dalla norma primaria nella sua precisa percentuale, possa subire delle variazioni anche in diminuzione, come è avvenuto per effetto della previsione di cui al comma 26 dell’art. 1 del decreto legge n. 95 del 2012, la quale ha imposto una riduzione, pari a 30 milioni di euro, a carico della stanziamento del bilancio statale nel 2012, che ha inciso sulla determinazione del contributo da erogare ai Comuni per le spese da questi sostenute nel 2011.
Le misure di contenimento riguarderebbero la spesa dei Ministeri ed i risparmi sarebbero da realizzare “in termini di minori contributi” da imputare all’esercizio finanziario statale 2012, ma destinati ad incidere, in ragione dell’esposto meccanismo di erogazione dei contributi per spese obbligatorie sostenute dai Comuni, sulla determinazione dei contributi relativi all’anno 2011.
Le spese di funzionamento degli Uffici giudiziari gravano sul bilancio dei Comuni, mentre il contributo grava sul bilancio dello Stato e la norma di contenimento della spesa pubblica, imponendo una riduzione dei contributi, si riferisce al bilancio dello Stato, per cui il giudice di primo grado avrebbe errato, in quanto le annualità indicate dalla norma, in relazione alle quali opera la riduzione di spesa, dovrebbero intendersi riferite agli esercizi di imputazione della spesa gravante sul bilancio statale.
Il decreto impugnato, insomma, non avrebbe inteso far incidere il taglio di spese stabilito per il 2012 sulle somme anticipate dei comuni nel corso del 2011, ma avrebbe avuto come parametro di riferimento il pertinente stanziamento di bilancio (anno 2012), come rideterminato a seguito dei provvedimenti adottati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze di riduzione della spesa pubblica.
Falsa applicazione dell’art. 119 Cost. e degli artt. 151 e 162 del d.lgs, n. 267 del 2000. Contraddittorietà manifesta.
La sentenza impugnata sarebbe erronea sotto altro concorrente profilo, atteso che valorizzerebbe impropriamente l’autonomia finanziaria dell’ente locale, citando, a sostegno del proprio convincimento, una inconferente pronuncia della Corte costituzionale.
L’art. 1, comma 26, del d.l. n. 95 del 2012, convertito in legge n. 135 del 2012, nel prevedere la riduzione ai Comuni, avrebbe ad oggetto misure di contenimento della spesa dell’Amministrazione statale, aventi quindi incidenza sul bilancio dello Stato.
Nell’ambito della finanza derivata assumerebbe precipua rilevanza l’esigenza dell’ente locale di conoscere, in tempo utile, le riduzioni dei trasferimenti, atteso che le stesse incidono direttamente sullo svolgimento delle funzioni proprie dell’ente, mentre il contributo oggetto del presente giudizio, mero contributo a fronte di spese obbligatorie poste a carico dei Comuni, non potrebbe essere ricondotto al concetto di finanza derivata, non trattandosi di un trasferimento diretto di risorse statali, e ai principi che presiedono l’autonomia finanziaria dell’ente locale.
La pronuncia impugnata sarebbe contraddittoria, in quanto, dapprima riconoscerebbe la natura di mero contributo alle somme erogate dallo Stato in favore dei Comuni, salvo poi invocare gli inconferenti principi in tema di finanza derivata e di trasferimenti diretti.
Infatti, il pagamento della rata di acconto, la determinazione del contributo e il pagamento della rata di saldo dovrebbero necessariamente avvenire, alla luce del dettato normativo in materia, ad esercizio finanziario scaduto, per cui non ricorrerebbero le esigenze, valorizzate dal primo giudice, di previa conoscenza da parte degli enti locali delle entrate su cui gli stessi possono contare, onde poter esercitare la propria autonomia in materia di spesa.
3. All’udienza pubblica del 18 luglio 2019, le cause sono state trattenute per la decisione.
4. Le impugnazioni sono state proposte separatamente contro la medesima sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima, n. 8370 del 13 luglio 2017, per cui, ai sensi dell’art. 96 c.p.a., il Collegio procede in via preliminare alla riunione dei relativi giudizi.
5. L’appello, proposto dal Comune di Ancona (R.G. n. 7923 del 2017), è infondato e va di conseguenza respinto.
L’art. 1, comma 1, della legge n. 392 del 1941, stabiliva che sono obbligatorie per i comuni “… 2) le spese necessarie per i locali ad uso degli Uffici giudiziari, e per le pigioni, riparazioni, manutenzione, illuminazione, riscaldamento e custodia dei locali medesimi; per le provviste di acqua, il servizio telefonico, la fornitura e le riparazioni dei mobili e degli impianti per i detti Uffici”.
Ai sensi del successivo art. 2, poi, “Le spese indicate nell’art. 1, sono a carico esclusivo dei Comuni nei quali hanno sede gli Uffici giudiziari, senza alcun concorso nelle stesse da parte degli altri Comuni componenti la circoscrizione giudiziaria. Ai detti Comuni sedi di Uffici giudiziari sarà corrisposto invece dallo Stato, a decorrere dal 1° gennaio 1941, un contributo annuo alle spese medesime nella misura stabilita nella tabella allegata alla presente legge”.
La previsione è richiamata dall’art. 8, comma 4, del d.lgs. 155/2012, secondo cui “Le spese di gestione e manutenzione degli immobili sono a carico del comune ove i medesimi si trovano in base alle disposizioni della legge 24 aprile 1941, n. 392”.
Il procedimento per la liquidazione del contributo è stabilito dall’art. 2 del d.P.R. n. 187 del 1998, il quale prevede l’erogazione di un anticipo, all’inizio di ciascun esercizio finanziario, nella misura del 70% del contributo globalmente erogato nell’anno precedente, e del saldo, da corrispondere entro il 30 settembre, determinato tenendo presente le spese di cui all’art. 1 della legge n. 392 del 1941 ed il parere delle commissioni di manutenzione.
Con riferimento agli importi da destinare al contributo a carico dello Stato, l’art. 1, comma 26, del d.l. n. 95/2012, convertito con legge n. 135/2012, ha stabilito che “Il ministero della giustizia adotta misure volte alla razionalizzazione, rispettivamente, dei costi dei servizi di intercettazione telefonica, in modo da assicurare risparmi non inferiori a 25 milioni di euro per l’anno 2012 e a euro 40 milioni a decorrere dall’anno 2013, della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento dei suddetti uffici, assicurando risparmi non inferiori ad euro 30 milioni per l’anno 2012 e a euro 70 milioni a decorrere dall’anno 2013, nonché delle procedure di acquisto dei beni e servizi, ivi inclusi quelli relativi al personale del corpo di polizia penitenziaria, assicurando risparmi non inferiori per euro 5 milioni per l’anno 2012 e a euro 10 milioni a decorrere dall’anno 2013 I predetti risparmi concorrono al raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 21”.
Le doglianze proposte dall’appellante non riescono a dare conto dell’erroneità delle statuizioni con cui il giudice di primo grado non ha condiviso le prospettate questioni di legittimità costituzionale.
L’art. 1, comma 2, della legge n. 392 del 1941 – come sostituito dalla lett. a) del comma 526 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, a decorrere dal 1° gennaio 2015 – ha stabilito che, a decorrere dal 1° settembre 2015, le spese obbligatorie, necessarie per i locali ad uso Uffici giudiziari, sono trasferite dai comuni al Ministero della giustizia.
In sostanza, dal 1° settembre 2015, le spese degli Uffici giudiziari sono state trasferite al Ministero della Giustizia, laddove l’art. 1 della legge n. 392 del 1941, nella formulazione previgente alla modifica di cui alla legge n. 190 del 2014, come in precedenza riportato, poneva le stesse a carico dei comuni in cui detti uffici hanno sede, prevedendo a favore dei comuni gravati un mero “contributo” a carico dello Stato.
La novella del 2014, che ha posto le spese per il funzionamento degli uffici giudiziari a carico dello Stato, è espressione di discrezionalità legislativa, al pari del sistema normativo precedente, che aveva posto tali spese a carico dei comuni con obbligo di contribuzione a carico dello Stato.
In altri termini, la circostanza che la legge del 2014 abbia modificato il soggetto passivo dell’obbligazione relativa alle spese di funzionamento degli uffici giudiziari non incide di per sé sulla legittimità costituzionale del precedente assetto normativo che, nel prevedere l’obbligazione a carico dei comuni sede degli uffici, stabiliva altresì una contribuzione dello Stato a favore dei comuni.
Tale corpus normativo, infatti, pur avendo presente che le competenze in materia di giustizia fanno capo allo Stato, era espressione di una scelta legislativa da considerarsi parimenti ragionevole e, quindi, legittima, in quanto non viziata dal contrasto con norme costituzionali.
Precedentemente alla riforma del titolo V della Costituzione, la Corte costituzionale, con sentenza n. 150 del 1986, aveva affermato che le norme costituzionali non erano violate in conseguenza dell’accollo ai comuni delle spese in discorso, atteso che, in primo luogo, la legge impugnata obbliga lo Stato a corrispondere annualmente ai Comuni un contributo, che di regola copre la maggior parte delle spese e, in secondo luogo, che, allo stato attuale dell’ordinamento, la finanza locale è in gran parte finanza derivata e, da ultimo, che presentemente lo Stato provvede al risanamento dei bilanci comunali.
Nel vecchio ordinamento statale, “la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”, mentre oggi, a seguito della Riforma, lo Stato diviene una componente della Repubblica, al pari dei Comuni, per cui la funzione Giustizia non è di competenza dell’ente locale ed allo stesso, venuta meno la possibilità del decentramento statale, non può essere né delegata, né trasferita.
Tuttavia, la giurisprudenza civile ha già avuto modo di chiarire che – anche in considerazione della non assoluta estraneità delle spese in oggetto a specifici interessi della comunità locale – la tenuta costituzionale del relativo regime normativo, così come riconosciuta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 150 del 1986, non sembra incrinata dalle successive modifiche apportate alla Costituzione in tema di autonomie locali (Cass. Civ., 20 luglio 2015, n. 15151).
L’elemento centrale, che consente di non ritenere lesiva dei parametri costituzionali la scelta legislativa, previgente alla novella del 2014, di far gravare sui comuni i costi di funzionamenti degli uffici giudiziari ubicati nel proprio territorio, salva la erogazione da parte dello Stato di un significativo contributo, va individuato nel fatto che tali spese (o, meglio, l’ubicazione degli uffici giudiziari nel territorio di un determinato comune), non possono ritenersi estranee agli interessi della comunità locale stanziata sullo stesso territorio.
La comunità locale, infatti, riceve benefici oggettivamente apprezzabili dalla presenza in loco degli uffici giudiziari.
A titolo meramente esemplificativo, è possibile riferirsi: al c.d. “indotto”, a favore di ristoranti, bar ed esercizi commerciali in genere stanziati sul territorio comunale, derivante dal maggiore afflusso di persone non residenti per l’ubicazione nello stesso territorio degli uffici giudiziari; alla convenienza per i professionisti che frequentano gli uffici giudiziari e risiedono nello stesso territorio, rispetto a quelli che provengono da altri comuni dello stesso distretto, per i quali sono richiesti continui spostamenti; agli stessi utenti del servizio giustizia, sui quali, verosimilmente, gravano meno costi qualora residenti nel comune sede degli uffici.
In sostanza, pur considerando che la funzione giustizia è indubbiamente una funzione di competenza statale, non può ritenersi costituzionalmente illegittimo il corpus normativo antecedente alla novella del 2014, in quanto la comunità locale riceve indubbi benefici dallo stanziamento sul proprio territorio degli uffici giudiziari, sicché ragionevolmente, nell’esercizio della propria discrezionalità, il legislatore aveva previsto un sistema che non obbligava direttamente al pagamento il Ministero, ma obbligava al pagamento i comuni sede degli uffici, salvo un significativo contributo da parte dello Stato, previsto proprio in ragione della rilevanza statale della funzione esercitata.
6. L’appello proposto dall’Avvocatura Generale dello Stato (R.G. n. 7973 del 2017) è fondato e va accolto.
Le statuizioni del giudice di primo grado, infatti, non possono essere condivise e la relativa conclusione deve essere riformata.
L’art. 1, comma 26, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, impone al Ministero della Giustizia di adottare misure volte alla razionalizzazione, tra l’altro, della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento dei suddetti uffici, assicurando risparmi non inferiori ad euro 30 milioni per l’anno 2012 e ad euro 70 milioni a decorrere dall’anno 2013.
Il Ministero della Giustizia, con decreto del 30 aprile 2014, ha approvato, di concerto con il Ministero dell’Interno e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la rideterminazione dei contributi dovuti ai Comuni per le spese di giustizia sostenute nell’anno 2011 ed ha così determinato il contributo per il Comune di Ancona in euro 1.404.936,06.
Il contributo, determinato a norma dell’art. 1 del d.P.R. 4 maggio 1998, n. 187, viene corrisposto, come previsto dal successivo art. 2, in due rate: una rata di acconto, erogata a favore dei Comuni all’inizio di ciascun esercizio finanziario, in misura pari al 70% del contributo globalmente erogato nell’anno precedente e, comunque, nei limiti dell’85% dello stanziamento assegnato nello stato di previsione della spesa nell’esercizio finanziario in corso; una rata a saldo, determinata tenendo conto delle spese di cui all’art. 1 della legge n. 392 del 1941 sostenute dai Comuni e del parere delle commissioni di manutenzione.
La norma di contenimento della spesa pubblica (c.d. spending review), al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, si riferisce non già alle spese sostenute dai comuni nel corso del 2012, ma al bilancio statale del 2012, in quanto impone di assicurare risparmi per la spesa pubblica – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari – non inferiori ad euro 30 milioni per il 2012, sicché, in ragione del meccanismo di erogazione dei contributi, incide sulla determinazione dei contributi relativi alle spese sostenute nel 2011.
Né sussiste una portata retroattiva della norma, in quanto, come correttamente sostenuto dalle Amministrazioni dello Stato, la determinazione del contributo ed il pagamento della rata di saldo avvengono necessariamente ad esercizio finanzio scaduto.
In altri termini, non è possibile accertare nemmeno un vulnus all’autonomia finanziaria dei comuni, in quanto, in ragione del meccanismo di determinazione del contributo statale, l’entità dello stesso non può comunque essere conosciuto al momento della formazione e dell’approvazione del bilancio di previsione da parte dell’ente locale.
Infine, ad abundantiam, occorre rilevare che l’Amministrazione comunale nemmeno ha provato in che modo e per quale ragione la riduzione in contestazione possa avere arrecato un effettivo vulnus alla sua autonomia finanziaria.
Insomma, a differenza di quanto statuito dal primo giudice, ragioni di ordine sia letterale che sistematico inducono a ritenere come il risparmio di spesa che lo Stato, per legge, deve conseguire per il 2012 riguarda le spese per gli uffici giudiziari sostenute dai Comuni nel 2011.
Di talché, il decreto di trasferimento a saldo per il 2012, pur incidendo su spese sostenute nel 2011, si rivela legittimo.
Ciò determina, assorbite le ulteriori doglianze, la necessità di riformare sul punto la sentenza di primo grado e, per l’effetto, di respingere il ricorso di primo grado anche con riferimento a tale profilo.
7. Nulla è dovuto per le spese del giudizio di cui all’appello R. G. n. 7923 del 2017, non essendosi costituite le Amministrazioni statali intimate.
8. Il Collegio ritiene di disporre, in ragione della peculiarità della fattispecie, la non ripetibilità delle spese del giudizio di cui all’appello R.G. n. 7973 del 2017.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, previa riunione dei relativi giudizi, respinge l’appello R.G. n. 7923 del 2017, proposto dal Comune di Ancona, ed accoglie l’appello R.G. n. 7973 del 2017, proposto dalle Amministrazioni statali, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge interamente il ricorso di primo grado proposto dal Comune di Ancona.
Nulla è dovuto per le spese del giudizio di cui all’appello R.G. n. 7923 del 2017; spese irripetibili per il giudizio di cui all’appello R.G. n. 7973 del 2017.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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