La riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|23 luglio 2021| n. 21173.

La riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive é necessaria soltanto per le impugnazioni principali, e non per quelle incidentali, che possono essere tardivamente proposte dalle parti contro le quali è stata proposta l’impugnazione principale e da quelle chiamate ad integrare il contraddittorio, a norma dell’art. 331 c.p.c., anche quando per esse sia decorso il termine od abbiano prestato acquiescenza alla sentenza; in tale ipotesi, tuttavia, il diritto all’impugnazione incidentale sorge concretamente solo con l’avvenuta proposizione dell’impugnazione principale, sicché, se questa ultima deve essere dichiarata inammissibile, anche l’impugnazione incidentale perde efficacia.

Sentenza|23 luglio 2021| n. 21173. La riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive

Data udienza 3 febbraio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Procedura civile – Cartella esattoriale – Omesso pagamento contributi previdenziali – Controversia – Impugnabilità sentenza non definitiva – Impugnazione incidentale tardiva – Presupposti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 8008-2015 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– (OMISSIS) S.P.A., societa’ incorporante la (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 440/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/09/2014 R.G.N. 82/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo, rigetto dei restanti; udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

La riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 18.9.2014, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado e in accoglimento dell’appello incidentale proposto da INPS e (OMISSIS) s.p.a., ha dichiarato inammissibile la domanda di accertamento della nullita’ proposta da (OMISSIS) s.p.a. nei confronti della cartella esattoriale con cui le era stato intimato il pagamento di contributi non pagati in danno di lavoratori impiegati in servizio di guardiania e custodia, dichiarando altresi’ la legittimita’ dell’iscrizione a ruolo per la minor somma di Euro 287.552,06, per come gia’ accertato dal primo giudice.
La Corte, in particolare, ha accolto gli appelli incidentali proposti da INPS e (OMISSIS) s.p.a., nonostante che entrambi riguardassero la sentenza non definitiva con cui il primo giudice aveva dichiarato la nullita’ della cartella esattoriale, nei cui confronti solo (OMISSIS) s.p.a. aveva proposto riserva d’impugnazione; sotto altro profilo, ha ritenuto che gravasse sull’azienda l’onere di provare l’insussistenza del maggior debito contributivo, che concerneva – come anzidetto – la continuativita’ del servizio prestato dagli addetti al servizio di guardiania e custodia e/o comunque il loro assoggettamento a continua disponibilita’ equivalente al lavoro effettivo, e ha rigettato le richieste istruttorie dall’azienda riproposte in appello.
Avverso tali statuizioni (OMISSIS) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione deducendo quattro motivi censura, successivamente illustrati con memoria. INPS e (OMISSIS) s.p.a. hanno resistito con distinti controricorsi. La causa e’ stata rimessa all’udienza pubblica a seguito di infruttuosa trattazione camerale con ordinanza del 21.10.2020.

 

La riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 334, 340 e 326 c.p.c. per avere la Corte di merito accolto gli appelli incidentali proposti da INPS ed (OMISSIS) s.p.a. nonostante che concernessero la sentenza non definitiva con cui il primo giudice aveva dichiarato la nullita’ della cartella esattoriale, rispetto alla quale soltanto essa aveva formulato riserva di impugnazione: ad avviso di parte ricorrente, infatti, non avendo l’ente previdenziale e la concessionaria dei servizi di riscossione formulato riserva d’appello nei confronti della sentenza parziale, non avrebbero potuto impugnarne tardivamente le statuizioni, dal momento che il gravame principale da essa proposto aveva avuto ad oggetto soltanto le statuizioni della sentenza definitiva.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. e Decreto Legislativo n. 46 del 1999, articolo 24 ss., per non avere la Corte territoriale esaminato, pur ritenendo ammissibile l’appello incidentale, la sua eccezione di decadenza dall’iscrizione a ruolo, benche’ essa fosse stata ritualmente riproposta in appello.
Con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e articolo 346 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che gravasse a suo carico l’onere di provare l’insussistenza del maggior debito contributivo (che concerneva la continuativita’ del servizio prestato dagli addetti al servizio di guardiania e custodia e/o comunque il loro assoggettamento a continua disponibilita’ equivalente al lavoro effettivo) ed altresi’ per non aver considerato che le istanze istruttorie proposte in primo grado dall’INPS dovevano reputarsi rinunciate, dal momento che non erano state riproposte in appello.
Con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione dell’articolo 115 c.p.c. per non avere la Corte territoriale ammesso le proprie istanze istruttorie, nonostante fossero state ritualmente riproposte in appello.

 

La riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive

Cio’ premesso, il primo motivo e’ infondato.
E’ senz’altro vero che, come ricordato da parte ricorrente nell’illustrazione della censura e dal Pubblico ministero nelle sue conclusioni, plurime decisioni di questa Corte hanno affermato il principio di diritto secondo cui la legittimazione all’impugnazione incidentale tardiva ex articolo 334 c.p.c. puo’ riguardare la sentenza non definitiva alla duplice e congiunta condizione che il soccombente sia autore della riserva di gravame differito e che, essendo risultato parzialmente vittorioso per effetto della sentenza definitiva, veda le statuizioni di questa, a lui favorevoli, impugnate in via principale dalla controparte (cosi’ Cass. nn. 6515 del 1997, 3052 del 2001, 15874 del 2013, 19514 del 2020).
E’ pero’ altrettanto vero che all’affermazione di tale principio, poi tralaticiamente richiamato dalle pronunce successive, Cass. n. 6515 del 1997, cit., e’ pervenuta richiamando a proprio sostegno le affermazioni della precedente Cass. n. 1452 del 1991, dalla quale ultima, tuttavia, non e’ dato in realta’ evincere alcun decisivo argomento a supporto della soluzione adottata ed emergono semmai convincenti indicazioni di segno contrario.
Piu’ in particolare, non e’1ceID che Cass. n. 1452 del 1991, cit., abbia sostenuto in termini assoluti che l’esperibilita’ in via incidentale tardiva del gravame contro la sentenza non definitiva e’ subordinata alla proposizione di un’esplicita riserva di impugnazione di tale sentenza da parte dell’autore dell’impugnazione incidentale stessa: ha piuttosto affermato che nella specifica fattispecie che era portata alla sua cognizione, in cui effettivamente ad aver proposto l’impugnazione incidentale della sentenza non definitiva era la parte che nei suoi confronti aveva formulato riserva d’impugnazione, non si poteva dubitare della ammissibilita’ dell’impugnazione incidentale tardiva, sebbene concernesse la sentenza non definitiva, che non aveva invece formato oggetto del gravame principale. Ma tale affermazione s’inserisce in una ricostruzione del sistema delineato dal combinato disposto degli articoli 340 e 334 c.p.c. che non sorregge affatto l’approdo secondo cui la riserva d’appello deve considerarsi condicio sine qua non dell’impugnazione incidentale della sentenza non definitiva e, piuttosto, legittima la conclusione opposta.
I capisaldi di tale ricostruzione possono, ai fini che qui interessano, essere sintetizzati come segue. A partire da Cass. S.U. n. 4640 del 1989, questa Corte ha consolidato il principio secondo cui l’articolo 334 c.p.c., che consente alla parte contro cui e’ stata proposta impugnazione (o che e’ chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell’articolo 331 c.p.c.) di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire le conseguenze dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, e’ rivolto a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario tenga analogo comportamento, e pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorche’ autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale (tra le numerose successive conformi si vedano Cass. S.U. nn. 652 del 1998 e 10977 del 2001).
E’ vero che una cospicua parte della giurisprudenza successiva, pur tenendo fermo il principio dell’impugnabilita’ in via incidentale di capi autonomi della sentenza rispetto a quelli oggetto dell’impugnazione in via principale, ha affermato – sulla scorta di una testuale precisazione di Cass. S.U. n. 4640 del 1989 – che opererebbe pur sempre il limite dell’unicita’ formale della sentenza oggetto d’impugnazione (cosi’, ad es., Cass. nn. 9022 del 1993, 5711 del 1996 e numerose altre); ma non e’ meno vero che tale assunto, di cui a ben vedere costituisce espressione anche l’indirizzo consapevolmente inaugurato da Cass. n. 6515 del 1997, cit., mal si concilia con l’evidenza normativa che vuole l’osservanza del termine stabilito dall’articolo 325 c.p.c. soltanto per l’impugnazione principale e non gia’ per l’impugnazione incidentale: che appunto, a termini dell’articolo 334 c.p.c., e’ proponibile anche quando sia decorso il termine e perfino quando sia intervenuta acquiescenza.

 

La riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive

Ne’ appare decisivo che il legislatore, nel delineare nella disposizione ult. cit. i presupposti dell’impugnazione incidentale tardiva, abbia impiegato il termine “sentenza” al singolare, come pure nel successivo articolo 335 c.p.c., quando disciplina la riunione preposta ad assicurare l’unita’ del processo d’impugnazione: come convincentemente osservato da Cass. n. 1452 del 1991, cit., l’uso del singolare “sentenza” si spiega agevolmente sol che si pensi che i testi degli articoli 334 e 335 c.p.c. furono redatti per far parte di un contesto normativo in cui, prima delle modificazioni introdotte dalla L. n. 581 del 1950, articolo 35 l’articolo 339 c.p.c., comma 2, prevedeva che le sentenze parziali potessero essere impugnate soltanto con la sentenza definitiva, onde era logico identificare in quest’ultima quella “stessa sentenza” le cui separate impugnazioni dovevano essere riunite, anche d’ufficio, per essere decise in un solo processo. E sebbene nella nuova formulazione degli articoli 339 e 340 c.p.c. non si faccia cenno alla possibilita’ di esperire un’impugnazione differita della sentenza non definitiva che avvenga nelle forme e nei termini stabiliti per l’impugnazione incidentale tardiva, tale possibilita’ deve logicamente ammettersi proprio in relazione alla ratio che ispira l’articolo 334 c.p.c.: e cio’ indipendentemente da una preventiva riserva d’impugnazione, la cui necessita’ puo’ giustificarsi, come emerge chiaramente dalle previsioni dell’articolo 340 c.p.c., solo nell’ottica di una sua impugnazione successiva in via principale.
In effetti, come opportunamente rimarcato da Cass. n. 1452 del 1991, cit., una volta che si ammetta che sull’unita’ “formale” della sentenza deve far premio l’unicita’ del processo, nel corso del quale piu’ decisioni possono susseguirsi in progressiva definizione del disputatum, risulta agevole concludere che soltanto in riferimento all’esito conclusivo del singolo grado del giudizio e’ possibile, per ciascuno dei litiganti, valutare quale grado di soddisfacimento abbia in concreto ricevuto il suo interesse e quali siano i vantaggi ed i possibili rischi di un’eventuale impugnazione. Il che val quanto dire che, anche rispetto alle ipotesi previste dall’articolo 340 c.p.c. (e, naturalmente, dall’articolo 361 c.p.c., che disciplina il ricorso per cassazione), ricorre quella medesima ragione giustificativa dell’impugnazione incidentale tardiva che, a suo tempo, ha indotto le Sezioni Unite di questa Corte a ripudiare le limitazioni prima ravvisate rispetto alla sua ammissibilita’: ossia lo scopo di favorire l’accettazione della definizione del giudizio nella sua interezza, anche quando molteplici e formalmente ascrivibili a piu’ sentenze siano i precetti che hanno composto il conflitto tra le parti, cosi’ da avvertire colui, che con l’impugnazione principale intende rimettere in discussione a proprio vantaggio quell’equilibrio, profittando della scadenza dei termini processuali o dell’acquiescenza dell’avversario, che analoga facolta’ permane pur sempre in capo alla controparte, la quale – ferma l’unitarieta’ del processo nella fase impugnatoria – ben potra’ a sua volta dolersi delle statuizioni ad essa sfavorevoli contenute nel complessivo assetto di interessi in cui s’e’ concretato il decisum.
Sono queste le ragioni per cui il Collegio reputa di doversi discostare dall’orientamento inaugurato da Cass. n. 6515 del 1997 e piuttosto richiamarsi all’indirizzo gia’ affermato dalle meno recenti Cass. nn. 2954 del 1959 e 672 del 1966: ossia che la riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive deve reputarsi necessaria soltanto per le impugnazioni principali, non anche per quelle incidentali, che possono essere tardivamente proposte dalle parti contro le quali e’ stata proposta l’impugnazione principale e da quelle chiamate ad integrare il contraddittorio, a norma dell’articolo 331 c.p.c., anche quando per esse sia decorso il termine o abbiano prestato acquiescenza alla sentenza; fermo restando, naturalmente, che il diritto all’impugnazione incidentale puo’ sorgere concretamente solo con l’avvenuta proposizione dell’impugnazione principale, di talche’ se questa ultima viene dichiarata inammissibile, anche l’impugnazione incidentale nei confronti della sentenza non definitiva perdera’ la sua efficacia.

 

La riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive

Chiarito dunque che nessun error in procedendo e’ imputabile alla Corte di merito per aver dato ingresso all’appello incidentale tardivo proposto dalle odierne parti controricorrenti nei confronti della sentenza non definitiva con cui il primo giudice aveva dichiarato la nullita’ della cartella, resta da dire, sul punto, che anche il secondo motivo di censura, con cui parte ricorrente lamenta che i giudici territoriali abbiano omesso di pronunciarsi sull’eccezione di decadenza dall’iscrizione a ruolo, e’ infondato: questa Corte ha infatti chiarito che l’efficacia della previsione di cui al Decreto Legislativo n. 46 del 1999, articolo 25 gia’ differita, rispetto all’entrata in vigore dell’intero procedimento di riscossione, dalla disposizione transitoria contenuta nell’articolo 36, comma 6 medesimo Decreto Legislativo e poi piu’ volte ulteriormente differita dalla L. n. 289 del 2002, articolo 38, comma 8, e dalla L. n. 350 del 2003, articolo 4, comma 25, sino a prevederne l’applicazione dal 1 gennaio 2004, e’ stata ulteriormente oggetto di disciplina da parte del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 38, comma 12 (conv. con L. n. 122 del 2010), che, stabilendo che le disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n. 46 del 1999, articolo 25 non si applicano, limitatamente al periodo compreso tra l’1.1.2010 e il 31.12.2012, ai contributi non versati e agli accertamenti notificati successivamente alla data del 1.1.2004 dall’ente creditore, si pone in chiave di raccordo temporale con le precedenti proroghe, di talche’, utilizzando il meccanismo della sospensione di efficacia per un triennio dell’applicazione della regola della decadenza, consente il recupero coattivo di crediti non compresi nelle proroghe operative sino alla data suddetta (cosi’ Cass. nn. 5963 del 2018, 16307 del 2019 e succ. conf.); e benche’, in effetti, la sentenza impugnata nulla abbia detto al riguardo, soccorre sul punto il principio secondo cui la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame, giacche’ in tal caso questa Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento nonche’ dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo qual e’ la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che – come nella specie – si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass. S.U. n. 2731 del 2017).
Inammissibili sono invece il terzo e il quarto motivo: e’ sufficiente sul punto rilevare che i giudici territoriali, dopo aver ritenuto che la prova orale richiesta dall’odierna ricorrente vertesse “su circostanze in parte generiche, in parte valutative, che comunque non dimostrano che i dipendenti (…) godessero di pause durante le quali non fossero comunque a disposizione per esigenze di servizio”, hanno avvalorato le risultanze del verbale ispettivo nella parte in cui avevano evidenziato “che nel periodo oggetto dell’accertamento (…) le guardie giurate prestavano costantemente lavoro straordinario, regolarmente retribuito dalla societa’”, desumendone che sarebbe “alquanto difficile ipotizzare che il lavoro (…) comportasse supplementi d’orario e, al contempo, consentisse al personale impiegato pause effettive, senza uno stato di attenzione”, e concludendo pertanto che “tutte le incombenze inerenti le attivita’ affidate all’istituto di vigilanza esigevano per definizione, e a rischio di vanificare in un solo istante l’investimento complessivo dispiegato, un ininterrotto allerta”, non compatibile con una prestazione discontinua (cosi’ la sentenza impugnata, pag. 14); ed e’ evidente che, a fronte di tale accertamento presuntivo, condotto sulla scorta delle risultanze documentali gia’ acquisite in primo grado, affatto inammissibili appaiono sia la censura di violazione delle regole sulla ripartizione dell’onere della prova, dal momento che essa non puo’ essere finalizzata a criticare la valutazione che il giudice di merito abbia effettuato delle prove proposte dalle parti (cosi’, tra le piu’ recenti, Cass. nn. 13395 del 2018, 18092 del 2020), sia quella di violazione dell’articolo 115 c.p.c., che puo’ trovare ingresso in sede di legittimita’ non certo per denunciare l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo per lamentare che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cosi’, tra le tante, Cass. nn. 27000 del 2016 e 1229 del 2019).

 

La riserva d’impugnazione contro le sentenze non definitive

Il ricorso, pertanto, va rigettato. Tenuto conto della complessita’ e della soluzione delle questioni trattate nell’esame del primo motivo, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimita’. Sussistono invece i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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