La riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 11 maggio 2020, n. 14229.

Massima estrapolata:

La riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado impone al giudice del gravame l’elaborazione di una motivazione “rafforzata” nel senso che la diversa valutazione delle prove ritenute decisive impone la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di assicurare che il giudizio di colpevolezza sia conforme al parametro dell’”al di là di ogni ragionevole dubbio” ed agli indirizzi espressi dalla Corte Edu in tema di interpretazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

Sentenza 11 maggio 2020, n. 14229

Data udienza 9 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Violenza sessuale – Condanna – Statuizioni civili – Presupposti – Elementi probatori – Dichiarazioni testimoniali – Valutazione del giudice di merito – Articolo 603 cpp – Rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 6509 del 2012 – Criteri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/04/2019 della Corte di Appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Giuseppe Noviello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Di Nardo Marilia, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 aprile 2019, la corte di appello di Brescia, a fronte dell’appello proposto dalla parte civile, riformava parzialmente la sentenza del tribunale della medesima citta’, con cui (OMISSIS) era stato assolto dal reato di cui all’articolo 609 ter e articolo 609 quater c.p., condannando (OMISSIS) al risarcimento del danno in favore dell’appellante, da liquidarsi in separato giudizio civile, oltre che al pagamento di una provvisionale.
2. Avverso la pronuncia della Corte di appello sopra indicata propone ricorso per cassazione (OMISSIS) mediante il proprio difensore, deducendo due motivi di impugnazione.
3. Deduce con il primo il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla mancata dichiarazione di inammissibilita’ dell’impugnazione proposta dalla parte civile, per avere la medesima chiesto la condanna dell’imputato a pena di giustizia, sebbene tale istanza potesse essere proposta solo dal P.M..
4. Con il secondo motivo, prospetta il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione all’articolo 6 par. 3 lettera d) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ed all’articolo 603 c.p.p.. La Corte di appello, nel pervenire alla decisione impugnata, avrebbe rivalutato le testimonianze della p.o. e di due educatori senza rinnovare l’istruttoria dibattimentale, procedendo in violazione del citato articolo 6 paragrafi 1 e 3. Si contesta come nell’incertezza sulla data di svolgimento del primo episodio si sarebbe dovuto optare per una soluzione piu’ favorevole al reo, ritenendo cosi’ che il fatto sarebbe accaduto dopo il compimento dell’eta’ rilevante ai sensi dell’articolo 609 quater c.p., come stabilito dal primo giudice e diversamente da quanto erroneamente stabilito dai giudici di appello. Inoltre, la corte di appello, valutando diversamente non solo il portato della perizia ma anche il contenuto delle tre testimonianze gia’ citate avrebbe, difformemente dal primo giudice, stabilito che l’imputato uso’ la forza per imporre alla persona offesa il proprio volere sulla base di una motivazione non “rafforzata”, oltre che senza rinnovare l’istruttoria dibattimentale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Manifestamente infondato e’ il primo motivo di impugnazione, atteso che la formulazione, ad opera della parte civile appellante, di un’istanza ulteriore quale quella della condanna dell’imputato anche sul piano penale – rispetto a quella rientrante nelle proprie facolta’ e specificamente espressa ai sensi dell’articolo 576 c.p.p. pen., come del resto incontestato dal ricorrente, non preclude la legittimita’ del gravame cosi’ correttamente formulato. Tanto piu’ che l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, e’ ammissibile anche quando – diversamente dal caso in esame – non contenga l’espressa indicazione che l’atto e’ proposto ai soli effetti civili (cfr. Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, dep. 2013) Colucci, Rv. 254130 – 01). Ne’ il dedotto vizio, ove sussistente, puo’ assumere la veste prospettata sub specie di un vizio di motivazione, potendo piuttosto astrattamente ascriversi solo a quello di violazione di legge.
2. Fondato e’ invece il secondo motivo dedotto. Rilevano, al riguardo, i recenti e noti arresti di questa Corte di legittimita’, secondo cui la riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado impone al giudice del gravame il rispetto di due regole: l’elaborazione di una motivazione c.d. “rafforzata” e, qualora essa scaturisca da un diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il ricorso alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, al fine di assicurare che il giudizio di colpevolezza sia conforme al parametro dell'”al di la’ di ogni ragionevole dubbio” e agli indirizzi espressi dalla giurisprudenza della Corte Edu in tema di interpretazione dei principi contenuti nella convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e segnatamente dall’articolo 6 par. 3 lett d) della Convenzione Europea dei diritto dell’Uomo.
2.1. L’elaborazione giurisprudenziale del principio della “motivazione rafforzata”, secondo cui “…nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio gia’ acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilita’ rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio” (da ultimo, Sez. 5, n. 54300 del 14/09/2017, Banchero, Rv. 272082), si e’ progressivamente ricollegata, in forme sempre piu’ esplicite, a quello della rinnovazione in appello della prova dichiarativa ritenuta decisiva, assumendolo come indefettibile presupposto. Mentre con le prime pronunzie sul punto si era sottolineato solo il particolare dovere di motivazione che si impone al giudice d’appello allorquando affermi la responsabilita’ dell’imputato gia’ prosciolto in primo grado (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003 Rv. 226093 Andreotti; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005 Rv. 231679 Mannino), le successive decisioni di questa Corte, ispirate da un proficuo confronto con la giurisprudenza di Strasburgo in tema di ribaltamento di precedenti decisioni, si sono espresse chiaramente nel senso che la sentenza di condanna adottata in riforma di quella assolutoria di primo grado non puo’ essere fondata esclusivamente o in maniera determinante su una diversa valutazione delle fonti dichiarative che non siano state nuovamente assunte, anche d’ufficio, a norma dell’articolo 603 c.p.p., comma 3 (cfr. in motivazione, Sez. U, n. 11 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486; Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone e altri, Rv. 265879; Sez. 5, n. 6403 del 16/09/2014, Prete, Rv. 262674; Sez. 5, n. 52208 del 30/09/2014, Marino, Rv. 262115; Sez. 5, n. 25475 del 24/02/2015, Prestanicola e altri, Rv. 263903).
2.2. Quest’ultimo risultato ermeneutico ha imposto anche l’opportuna specificazione, da parte delle sopra citate Sezioni Unite di questa Corte, del concetto di prova “decisiva”, in prospettiva della sua rinnovazione in appello nei termini sopra illustrati. E’ stato infatti precisato che tale nozione non rimanda a quella considerata dalla giurisprudenza di legittimita’ con riferimento al caso di ricorso ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), per cui tale sarebbe la prova che, ove esperita, avrebbe “sicuramente” determinato una diversa pronuncia (cfr. per tutte Sez. 4 n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323); cio’ in quanto vengono in rilievo pronunzie aventi ad oggetto il peculiare e diverso tema, circoscritto ad una fase in cui il dibattimento e’ alle battute iniziali, del rigetto di una richiesta di assunzione di prova avanzata dalla difesa nel quadro dell’articolo 495 c.p.p., comma 2. La nozione in esame, piuttosto, si inquadra nel diverso contesto in cui il giudice prende in considerazione non prove “negate” bensi’ “da riassumere”, gia’ esaminate con la decisione assolutoria impugnata, che le ha assunte a proprio fondamento. Da tale connotazione discende che ai fini in esame devono ritenersi “decisive” le prove che sulla base della sentenza di primo grado abbiano “determinato o anche solo contribuito a determinare un esito liberatorio e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio di appello nell’alternativa “proscioglimento – condanna” Non solo. Devono ritenersi egualmente decisive anche quelle prove che, quand’anche ritenute di scarso o nullo valore probatorio dal primo giudice, siano, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti ai fini dell’esito di condanna, sia che vengano considerate da sole sia insieme ad altri elementi di prova (cfr. Sez. U, n. 11 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486).
2.3. La predetta nozione, di converso, consente di ribadire quegli approdi giurisprudenziali con cui e’ stata esclusa la decisivita’ della prova dichiarativa e la sua rinnovazione in appello ove si tratti di una prova che non sia oggetto di diverse valutazioni tra primo e secondo grado e che solo da una rivalutazione del restante compendio probatorio tragga un significato risolutivo ai fini dell’affermazione di responsabilita’ da parte del giudice di appello (cfr. Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471) ovvero non ne venga in rilievo il contenuto probatorio ma solo la relativa qualificazione giuridica (Sez. 6, n. 12397 del 27/02/2018, Gagliano, Rv. 272545; Sez. 5, n. 47833 del 21/06/2017, Terry e altro, Rv. 273553; Sez. 5, n. 54296 del 28/06/2017, Pesce, Rv. 272088; Sez. 3 n. 44006 del 24/09/2015, B., Rv. 265124) o, ancora, la valutazione della dichiarazione operata dal giudice di primo grado sia inficiata dalla erronea percezione di un dato probatorio, che ricorre nel caso in cui se ne afferma l’insussistenza sebbene in realta’ esista (Sez. 1, n. 26390 del 14/11/2017, Amato e altri, Rv. 273360). In quest’ultima evenienza, il contenuto dichiarativo resta immutato e il giudice di primo grado incorre in mero travisamento del dato obiettivo, suscettibile di dar luogo a un cd. errore “revocatorio”, per cui la lettura della prova e’ inficiata da un errore per omissione, invenzione o falsificazione: la verifica della prova si traduce in un esame parziale della stessa, che non viene considerata dal giudice di merito nella sua interezza, pur risultando integralmente in atti.
Cosicche’, anche in tal caso, non emerge l’esigenza di disporre una rinnovazione istruttoria, poiche’ non si tratta di rivalutare alcuna narrazione.
2.4. Discende, in via generale ed in sintesi, che non e’ decisiva, ai fini della rinnovazione dibattimentale in appello per la riforma in peius della sentenza di proscioglimento, quella prova dichiarativa la cui valutazione contenutistica rimanga inalterata nel giudizio di primo e secondo grado. In tal senso si pone la recente interpolazione dell’articolo 603 c.p.p., come modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 58, laddove con il comma 3 bis si e’ stabilito che nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza di proscioglimento, l’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ricorra solo per motivi attinenti alla “valutazione” della prova dichiarativa.
2.5. Dai suddetti principi, estensibili anche al caso in cui si proponga appello ad opera della parte civile (cfr. Sez. U., n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489-01; Sez. 5, n. 32854 del 15/04/2019, Gatto, Rv. 277000 – 01), discende la fondatezza del motivo in esame.
Posto che per individuare le fonti dichiarative di cui disporre la rinnovazione, nel quadro giuridico sopra esposto, e’ necessario sviluppare una valutazione che consideri esclusivamente il portato liberatorio o accusatorio del narrato, come emerso dalla sentenza assolutoria ovvero prospettato dall’appellante, in funzione di un giudizio prognostico circa l’idoneita’ a determinare, in via esclusiva od in concorso con altre fonti probatorie, la decisione di proscioglimento o di condanna, deve rilevarsi come erroneamente la corte di appello si sia limitata ad una mera rivalutazione del compendio probatorio gia’ raccolto, senza procedere, come emerge dalla sentenza impugnata, ad alcuna rinnovazione dibattimentale, pur formulando, alfine, un giudizio ricostruttivo della responsabilita’ del ricorrente, seppure ai soli effetti civili, che si connota per una significativa rivalutazione e interpretazione di fonti probatorie dichiarative. A partire dalla persona offesa, con particolare riguardo alla ricostruzione – attraverso le sue progressive dichiarazioni e la considerazione dell’attitudine nel fissare i momenti spazio – temporali -, dell’epoca del primo abuso sessuale contestato – rilevante ai fini della configurabilita’ o meno del reato ex articolo 609 quater c.p. -, come anche dei profili di sussistenza o meno di condotte violente, strumentali agli abusi, mediante l’esame dello svolgimento degli incontri e del comportamento dell’imputato come descritto dalla vittima. Altrettanto considerevole, rispetto ai profili immediatamente prima indicati, appare la valutazione del teste (OMISSIS), che per primo raccolse le confidenze del minore e l’indicazione da parte del medesimo del momento temporale del primo episodio contestato. Come anche di quei testi, da individuare eventualmente da parte dei giudici di secondo grado, alla luce del principi prima esposti, che possano apparire particolarmente significativi e determinanti in senso accusatorio o assolutorio. Consegue, come anticipato, il fondamento del motivo dedotto, in concreto involgente anche il vizio di violazione di legge rispetto alla accertata omessa rinnovazione, atteso che nel caso in esame il giudice e’ obbligato a rinnovare, anche d’ufficio, l’istruzione dibattimentale, venendo in rilievo la garanzia del giusto processo a favore dell’imputato coinvolto nel procedimento penale, dove i meccanismi e le regole di formazione della prova non conoscono distinzioni a seconda degli interessi in gioco, pur se di natura esclusivamente civilistica (cfr. Sez. 5, n. 32854 del 15/04/2019, cit.). L’omessa rinnovazione assorbe l’ulteriore profilo inerente la mancata formulazione di una motivazione “rafforzata”.
3.Queste ultime considerazioni, implicando l’annullamento della sentenza impugnata, determinano, come immediato e conseguenziale portato, la questione della individuazione del giudice del rinvio.
Il tema involge scelte di sistema attinenti ai rapporti tra azione civile ed azione penale nell’attuale assetto codicistico; al contempo, comporta ricadute immediate sull’ampiezza della tutela riconosciuta tanto alla parte civile che all’imputato, attese le diverse forme del giudizio di rinvio, a seconda che esso sia disposto verso il giudice civile ovvero verso il giudice penale, con le conseguenziali diverse regole procedimentali e probatorie. Viene cosi’ in rilievo l’interpretazione dell’articolo 622 c.p.p. ai sensi del quale “fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile”.
3.1. Si tratta allora, innanzitutto, di delineare la cornice entro cui l’interprete deve muoversi nell’affrontare e risolvere le predette questioni.
3.2. Va premesso che, come anche di recente sottolineato dal giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. n. 176 del 12 luglio 2019), nel processo penale l’azione civile “assume carattere accessorio e subordinato rispetto all’azione penale, sicche’ e’ destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioe’ dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi” (ex plurimis, sentenza Corte Cost. n. 12 del 2016)” In tale quadro, la Corte costituzionale, procedendo alla disamina delle disposizioni a tal fine rilevanti, siccome disciplinanti l’esercizio dell’azione civile in sede penale, ha avuto cura comunque di sottolineare come attraverso l’impianto complessivo del regime dell’impugnazione della parte civile, il legislatore, anche con l’articolo 576 c.p.p. non abbia “derogato al criterio per cui, essendo stata la sentenza di primo grado pronunciata da un giudice penale con il rispetto delle regole processualpenalistiche, anche il giudizio d’appello e’ devoluto a un giudice penale (quello dell’impugnazione) secondo le norme dello stesso codice di rito.
E infatti, il giudice dell’impugnazione, lungi dall’essere distolto da quella che e’ la finalita’ tipica e coessenziale dell’esercizio della sua giurisdizione penale, e’ innanzi tutto chiamato proprio a riesaminare il profilo della responsabilita’ penale dell’imputato, confermando o riformando, seppur solo agli effetti civili, la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo grado. E’ quindi del tutto coerente con l’impianto del codice di rito che, una volta esercitata l’azione civile nel processo penale, la pronuncia sulle pretese restitutorie o risarcitorie della parte civile avvenga in quella sede: pertanto, anche quando l’unica impugnazione proposta sia quella della parte civile, non e’ irragionevole che il giudice d’appello sia quello penale con la conseguenza che le regole di rito siano quelle del processo penale. La deviazione da questo paradigma nel caso del giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento, pronunciato dalla Corte di cassazione, della sentenza ai soli effetti civili, secondo il disposto dell’articolo 622 c.p.p., trova la sua giustificazione nella particolarita’ della fase processuale collocata all’esito del giudizio di cassazione, dopo i gradi (o l’unico grado) di merito”.
3.3.Da parte sua, la giurisprudenza di legittimita’ ha riconosciuto che la ratio ispiratrice della norma ex articolo 622 c.p.p., che prevede in dati casi l’annullamento con rinvio dinnanzi al giudice civile, deve rinvenirsi in esigenze di economicita’, che operano comunque solo allorquando non vi sia piu’ nulla da accertare agli effetti penali (cfr. tra le altre, Sez. 3, n. 46476 del 13/07/2017, Ostuni, Rv. 271147 – 01).
3.4. Rispetto a tale quadro, di accessorieta’ dell’azione civile rispetto al processo penale il quale, con le sue peculiarita’ discendenti dalle garanzie costituzionali del cd. “giusto processo”, incide legittimamente sugli “spazi” di operativita’ della pretesa risarcitoria e nel contempo comunque accoglie, seppur con talune precisazioni (cfr. articoli 538, 576 e 578 c.p.p.), in tutti i suoi gradi di giudizio, l’azione civile, viene naturalmente in rilievo l’ulteriore profilo, anch’esso di interesse per la questione ermeneutica emersa, della rilevanza della portata delle garanzie difensive assicurate all’imputato, anche rispetto ai diritti azionati dalla parte civile.
3.5. A tale ultimo riguardo, non puo’ che sottolinearsi la scelta legislativa di assicurare costantemente, e quindi tendenzialmente in tutti i gradi di giudizio, il regime processuale e probatorio penale una volta che l’azione civile sia stata proposta in sede penale. In tal senso depongono non solo le disposizioni che consentono alla parte civile di formulare e poter far valere efficacemente le proprie pretese sia nel quadro della regola generale dell’avvenuta adozione di una sentenza di condanna (articolo 538 c.p.p.) sia attraverso eccezioni a tale regola (articolo 576 c.p.p., comma 1, primo periodo u.p. e articolo 578 c.p.p., riguardanti casi in cui i profili civilistici possono venire in rilievo pur in assenza di una pronunzia penale di condanna), bensi’ anche l’espressa previsione che disciplina le facolta’ difensive dell’imputato stesso rispetto alle pretese attivate nei suoi confronti sul piano civile. Si fa riferimento, in particolare, all’articolo 574 c.p.p., ai sensi del quale l’impugnazione dell’imputato contro i profili civilistici della sentenza “e’ proposta col mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza”. Tanto del resto in piena congruenza e conferma della previsione, di portata generale, per cui “l’impugnazione per i soli interessi civili e’ proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale” (cfr. articolo 573 c.p.p.). Ed in linea con la corrispondente disposizione disciplinante l’impugnazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (cfr. articolo 575 c.p.p.). Cosicche’, trova positiva conferma il gia’ sopra citato rilievo della Corte Costituzionale secondo cui, appunto, il legislatore non ha derogato al criterio per cui, essendo stata la sentenza di primo grado pronunciata da un giudice penale con il rispetto delle regole processualpenalistiche, anche il giudizio d’appello e’ devoluto a un giudice penale (quello dell’impugnazione) secondo le norme dello stesso codice di rito.
3.6. La sottolineata persistenza del regime processuale e penale rispetto all’azione civile attivata ex articolo 74 c.p.p., e ss., tanto rispetto alla posizione della parte civile quanto rispetto a quella dell’imputato, evidenzia, conseguentemente, il permanente rilievo, anche su tale piano, dei principi fondamentali disciplinanti l’accertamento della responsabilita’ penale, ovvero dello statuto garantistico dell’imputato, alla luce del quale le contrapposte parti attivano rispettivamente le proprie pretese e le proprie difese.
A tale ultimo proposito e’ indubbio come l’imputato articoli la propria strategia, secondo il regime penale sostanziale e processuale, non soltanto rispetto all’accusa penale, ma anche in relazione alle pretese risarcitorie e restitutorie di stampo civilistico. Con la conseguenza per cui le garanzie assicurate dall’ordinamento a colui nei cui confronti e’ formulata la contestazione penale trovano un ampliamento della propria portata, a fronte dell’opzione processuale esercitata ex articolo 74 c.p.p., cosi’ da riguardare l’accertamento del fatto-reato sotto tutti i suoi profili di rilevanza giuridica e giurisdizionale. E si traducono nel principio, costituzionalmente assicurato attraverso le indicazioni innanzitutto dell’articolo 111 Cost., secondo cui pur in presenza di un giudicato assolutorio irrevocabile, la decisione formulata sul piano civile deve esaminare tutti gli aspetti della vicenda secondo i canoni interpretativi e le regole processuali proprie del diritto penale, come ab origine introdotte.
In altri termini, la proposizione dell’azione civile in sede penale, la rilevanza rispetto alla stessa delle peculiarita’ del processo penale, il suo esercizio e sviluppo, per tutte le parti processuali, nella prospettiva delle relative regole, implicano la configurazione di un complesso thema decidendum, rispetto al quale sussiste la necessita’, presidiata innanzitutto dallo statuto difensivo e costituzionalmente garantito dell’imputato, non privo di risvolti favorevoli anche per la parte civile (si pensi alla facolta’ di testimoniare della persona offesa), per cui la decisione finale, anche sul piano civilistico, debba fare applicazione delle norme che regolano il processo penale, assicurando un processo “giusto” secondo la legge penale e i suoi principi consolidati che sovrintendono l’accertamento dei fatti; senza distinzione tra le ipotesi in cui sia ancora esistente, nonostante l’assoluzione in primo grado, la questione penalistica e i casi in cui sia ormai irrevocabile – in senso favorevole all’imputato – la decisione su quest’ultimo profilo.
In questo quadro e’ significativo, del resto, che il principio la cui violazione giustifica l’annullamento della sentenza impugnata nel caso di specie, ovvero quello della rinnovazione, anche d’ufficio, dell’istruzione dibattimentale rispetto a fonti dichiarative, espressivo di una garanzia del giusto processo a favore dell’imputato coinvolto nel procedimento penale, non conosca distinzioni a seconda degli interessi in gioco, pur se di natura esclusivamente civilistica (cfr. Sez. 5, n. 32854 del 15/04/2019 cit.).
Consegue, in sintesi, che sussiste e permane l’interesse penalistico alla vicenda – sotto il profilo della necessaria applicazione del “giusto processo” di rilievo costituzionale, come declinato sul piano penale -, anche in presenza di questioni relative ai soli profili civilistici della stessa: interesse espressamente delineato in sede di impugnazione della sentenza di primo grado (con la relativa esplicita disciplina di cui all’articolo 573 c.p.p. e ss.), nonche’ rinvenibile anche in sede di rinvio a seguito di annullamento del giudice di legittimita’.
4.Le considerazioni da ultimo formulate, consentono di interpretare nella maniera piu’ adeguata la disposizione di cui all’articolo 622 c.p.p., con particolare riguardo alla formulazione di interesse in questa sede, secondo cui “fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile (…) rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile”.
In proposito, appare consolidato l’orientamento che, nel ricondurre la ratio della norma ad un’esigenza di economicita’ processuale, rinviene il presupposto di operativita’ della stessa nella circostanza dell’intervenuto venir meno di ogni interesse penalistico correlato alla vicenda insorta, giustificativo, come tale, della dissoluzione di ogni collegamento tra la pretesa risarcitoria del privato e l’accertamento del fatto – reato come svolto nel processo penale (cfr. tra le altre Sez. 3, n. 46476 del 13/07/2017 (dep. 10/10/2017) Ostuni, Rv. 271147 – 01).
Cosicche’, tenendo conto della prospettiva delineata nel paragrafo che precede, allorquando permanga – anche in presenza di questioni relative ai soli profili civilistici della vicenda – l’interesse penalistico alla stessa, sub specie della necessaria applicazione del “giusto processo”, di rilievo costituzionale e come declinato sul piano penale ed illustrato nei termini sopra esposti con riguardo ai casi di reformatio in peius della sentenza di assoluzione, non si innesca la definitiva recisione tra la pretesa civilistica e l’accertamento del fatto – reato, e quindi non opera la disposizione suindicata.
Depone del resto, in tal senso, la stessa lettera del citato articolo, laddove l’annullamento con rinvio al giudice civile opera “solamente” allorquando la Suprema corte annulli ” le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile “, nel cui ambito deve ritenersi non rientrino le questioni ancora connotate, alla luce di quanto sinora esposto, dalla necessita’ di verificare la ricostruibilita’ del fatto-reato secondo le regole proprie del processo penale; quale inevitabile conseguenza, del resto, con particolare riferimento al caso di specie, dell’intervenuto accoglimento delle doglianze involgenti essenziali garanzie difensive, formulate dall’accusato in sede di legittimita’.
La ravvisata interpretazione si inserisce coerentemente nel quadro della scelta legislativa evidenziata dal giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. cit.), per cui, una volta esercitata l’azione civile nel processo penale, la pronuncia sulle pretese restitutorie o risarcitorie della parte civile tende a permanere in quella sede, cosicche’ la deviazione da questo paradigma, nel caso del giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento, pronunciato dalla Corte di cassazione, della sentenza, ai soli effetti civili, secondo il disposto dell’articolo 622 c.p.p., trova la sua giustificazione solo nella particolarita’ della fase processuale, collocata all’esito del giudizio di cassazione. Con l’inevitabile corollario per cui la portata di questa norma, di carattere eccezionale, dunque, nel suesposto contesto normativo, non puo’ che essere oggetto di un’interpretazione restrittiva, circoscritta a quei soli casi in cui l’accertamento del fatto-reato possa dirsi definitivamente concluso davanti al giudice penale, in ragione del venir meno della persistenza dello statuto garantistico dell’imputato rispetto alla vicenda da esaminare.
Ne’ la prospettata soluzione contrasta con quanto disposto dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con la sentenza del 18 luglio 2013, n. 40109, Sciortino (Rv. 256087), la quale, esaminando una questione diversa da quella attuale, ha ritenuto che, una volta rilevata e dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, non possa residuare alcuno spazio per ulteriori pronunce del giudice penale e non si giustifichi piu’ la speciale competenza promiscua attribuita al giudice penale a seguito della costituzione di parte civile, venendo meno quell’interesse penalistico alla vicenda che giustifica il permanere della questione in sede penale.
In virtu’ del principio di economia processuale, quindi, la decisione sugli aspetti civili – si e’ detto – va rimessa al giudice civile, competente a pronunciarsi sia sull’an che sul quantum della pretesa del danneggiato dal reato.
Invero, la predetta sentenza si muove, come gia’ accennato, in un’area diversa da quella in esame, legittimamente governata, quindi, da regole diverse. Infatti, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita’ vizi di motivazione della sentenza impugnata, atteso che il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 35490 del 2009, Tettamanti, cit., Rv. 244275). Con la conseguenza per cui non potra’ rinvenirsi quella espansione dello statuto dell’imputato che giustifica il permanere della cognizione del fatto-reato davanti al giudice penale, stante il suo obbligo di verificare solo l’evidenza della insussistenza del fatto o della sua non riconducibilita’ all’imputato e, per il giudice di legittimita’, la non manifesta infondatezza del motivo che ha consentito la corretta instaurazione del contraddittorio in quella sede.
In cio’ si rinviene la diversita’ del caso oggetto del contrasto composto dalle Sezioni Unite Sciortino rispetto a quello di specie.
Nel caso della prescrizione, infatti, la regola di giudizio applicabile, salvo il caso di rinuncia dell’imputato ad avvalersene, e’ indicata dall’articolo 129 c.p.p., secondo cui il giudice ha l’obbligo dell’immediata declaratoria della causa estintiva, salvo che “constati” una causa di proscioglimento nel merito.
Tale riconoscimento, tuttavia, non e’ il frutto di un accertamento del fatto-reato, ma della rilevazione negativa della esistenza di una delle cause di proscioglimento nel merito; consegue che il diritto dell’imputato ad ottenere un accertamento all’esito di un giusto processo – in assenza della possibile rilevanza delle regole di “accertamento” del fatto – reato e quindi della forza “espansiva” dello statuto difensivo dell’imputato anche in relazione alle questioni civili – cede inevitabilmente il passo a ragioni di economia processuale direttamente correlate al venir meno dell’interesse dello Stato ad accertare la fondatezza dell’accusa.
In definitiva, la ricostruzione ermeneutica qui accolta, da una parte tende ad evitare possibili distonie al sistema delle impugnazioni (cfr. di recente sul punto, sia pure in un caso di annullamento senza rinvio anche agli effetti penali, per estinzione del reato per prescrizione, Sez. 6 n. 31921 del 06/06/2019, De Angelis, Rv. 277285), evitando che la regola processuale penale violata sia “imposta” al giudice civile di rinvio secondo il prevalente indirizzo di legittimita’ della cassazione penale (cfr. da ultimo, Sez. 4, n. 5901 del 18/01/2019, Oliva, Rv. 275122 – 01; Sez. 4, n. 5898 del 17/01/2019, Borsi, Rv. 275266 – 03) ovvero sia dallo stesso trascurata, in ossequio a diversi canoni probatori civilistici, come sostenuto anche di recente dalla Cassazione civile; dall’altra, consente di stemperare profili problematici nei rapporti tra giudizio penale e giudizio civile a seguito dell’applicazione dell’articolo 622 c.p.p., rispetto ai quali il nodo preliminare – che in questa sede non viene in rilievo per quanto sinora rilevato – e’ quello dei rapporti – se di autonomia o di indipendenza – del giudizio di rinvio ex articolo 622 c.p.p. rispetto al giudizio penale conclusosi con la sentenza di annullamento (cfr. sul punto, nel senso della affermazione dell’autonomia del giudizio civile, con ricadute anche sulla natura civilistica dei canoni probatori applicabili, da ultimo, Cass. Civ., sez. 3, n. 22520 del 18/04/2019).
5. Consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo esame, previa rinnovazione dibattimentale alla luce dei principi sopra esposti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Brescia.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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