La ratio dell’aggravamento di pena

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|17 marzo 2021| n. 10238.

La ratio dell’aggravamento di pena, per qualsiasi tipo di reato, allorché il fatto sia commesso contro determinate figure istituzionali «nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio» (articolo 61, numero 10, del codice penale), è ravvisabile nell’intento del legislatore di offrire loro una protezione rafforzata, quale ulteriore presidio di garanzia del prestigio e dell’autorevolezza delle istituzione pubbliche (o di rilevanza pubblica, nel caso delle autorità religiose) che esse rappresentano. Per l’effetto, l’aggravante è integrata tutte le volte in cui sia possibile stabilire un collegamento di tipo “funzionale” tra l’offesa integrante il reato e il ruolo del soggetto passivo: ciò che si realizza nel caso in cui la condotta delittuosa attinga una di quelle figure istituzionali durante l’esercizio delle sue funzioni (“nell’atto”), anche se per motivi non attinenti a queste, ma anche nel caso in cui l’offesa criminale sia comunque ricollegabile (“a causa”) al ruolo istituzionale del destinatario di essa (nella fattispecie, relativa a truffa commessa in danno di tre parroci, indotti a consegnare denaro all’imputato, che si era finto disperato per l’improvvisa perdita della madre e per l’indisponibilità del denaro necessario per affrontare il viaggio e partecipare al funerale, la Corte ha ritenuto correttamente ravvisata l’aggravante, siccome la condotta fraudolenta era stata agevolata dalla propensione delle persone offese, derivante dal precetto religioso, di aiutare il prossimo e il fatto, comunque, aveva altresì cagionato danno all’integrità morale delle vittime).

Sentenza|17 marzo 2021| n. 10238

Data udienza 13 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Truffa – Aggravante di aver agito contro figure istituzionali – Vittima – Parroco

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VERGA Giovanna – Presidente

Dott. BORSELLINO Maria D. – rel. Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere

Dott. PACILLI Giuseppina – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza resa il 13 settembre 2019 dalla Corte di appello di Torino;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIA DANIELA BORSELLINO;
lette le conclusioni del Procuratore Generale Dr. Cardia Delia, che ha chiesto il rigetto del ricorso e del difensore, avvocato (OMISSIS), che ha insistito nei motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La CORTE di APPELLO di Torino, con la sentenza impugnata, parzialmente riformando la sentenza resa il 7 giugno 2018 dal Tribunale di Aosta, ha confermato la responsabilita’ di (OMISSIS) in ordine a diversi reati di truffa a lui ascritti e ha escluso l’aggravante prevista dall’articolo 61 c.p., n. 5, rideterminando la pena inflitta. Si addebita all’imputato di avere con artifizi e raggiri, consistenti nel fingersi disperato per l’improvvisa perdita della madre e per lâEuroËœindisponibilita’ del denaro liquido necessario per affrontare il viaggio e partecipare al funerale,indotto tre parroci a consegnargli denaro contante.
2.Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo:
2.1 violazione di legge in relazione al riconoscimento dell’aggravante prevista dall’articolo 61 c.p., n. 10 e vizio della motivazione in quanto la corte d’appello ha giustificato la sussistenza di detta aggravante, riconosciuta in ordine agli episodi di truffa contestati ai capi A, B e D, sul rilievo che le vittime sono ministri del culto e nell’occasione sarebbe stata vulnerata l’integrita’ morale delle persone offese. Osserva il ricorrente che l’imputato ha posto in essere le proprie condotte senza scegliere in base alla qualita’ o all’attivita’ delle proprie vittime, come dimostra la circostanza che la truffa contestata al capo C dell’imputazione e’ stata consumata in danno del titolare di una tabaccheria. Quanto al secondo assunto, nella motivazione della sentenza si richiama la giurisprudenza di legittimita’ e in particolare la pronunzia del gennaio 2013 numero 3339 per sostenere che nel caso concreto l’imputato truffando tre parroci avrebbe leso l’integrita’ morale delle persone offese e per cio’ stesso avrebbe agito contro e non soltanto in danno dei ministri di culto. E tuttavia nel caso in esame l’essere stato vittima di un comportamento fraudolento non sminuisce le qualita’ morali della vittima e la truffa non appare condotta idonea ad offendere l’integrita’ morale ossia l’onore e il decoro delle persone offese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
Occorre preliminarmente ricordare che non sono denunciabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza impugnata con riferimento ad argomentazioni giuridiche delle parti, in quanto, se il giudice ha errato nel non condividerle, si configura il diverso motivo della violazione di legge, mentre, se fondatamente le ha disattese, non ricorre alcuna illegittimita’ della pronuncia, anche alla luce della possibilita’, per la Corte di cassazione, di correggere la motivazione del provvedimento ex articolo 619 c.p.p. (Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 – dep. 26/10/2017, Emmanuele, Rv. 27145101).
La previsione di un aggravamento di pena, per qualsiasi tipo di reato, allorche’ il fatto sia commesso contro determinate figure istituzionali “nell’atto o causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio”, non puo’ spiegarsi altrimenti che con l’intento del legislatore di offrire loro una protezione rafforzata, quale ulteriore presidio di garanzia del prestigio e dell’autorevolezza delle istituzioni pubbliche (o di rilevanza pubblica, nel caso delle autorita’ religiose) che essi rappresentano. Se, dunque, questa e’ la ratio della fattispecie circostanziale in rassegna, essa deve reputarsi integrata tutte le volte in cui sia possibile stabilire un collegamento di tipo funzionale tra l’offesa integrante il reato ed il ruolo del soggetto passivo: cio’ che si realizza, irrefutabilmente, nel caso in cui la condotta delittuosa attinga una di quelle figure istituzionali durante l’esercizio delle sue funzioni (“nell’atto”), anche se per motivi non attinenti a queste; ma altresi’ quando l’offesa criminale sia comunque ricollegabile (“a causa”) al ruolo istituzionale del destinatario di essa.
Nel caso in esame la corte ha respinto lo specifico motivo di appello affermando che le tre persone offese sono state individuate e piu’ facilmente raggirate proprio in quanto ministri del culto cattolico; la condotta fraudolenta e’ stata agevolata dalla propensione delle persone offese, derivante dal precetto religioso, di aiutare il prossimo; e la truffa ha altresi’ cagionato danno all’integrita’ morale delle vittime. Il ricorrente contesta le dette argomentazioni rilevando che altro analogo episodio di truffa, oggetto del medesimo processo, e’ stato consumato in danno del titolare di una tabaccheria il che dimostrerebbe che la scelta dei parroci e’ stata del tutto casuale, e che la truffa non appare idonea a ledere l’integrita’ morale delle persone offese. Le medesime argomentazioni sono state reiterate con la memoria conclusiva, in cui sono stati riportati alcuni passaggi della sentenza di questa Sezione del 23 gennaio 2013 numero 3339. E tuttavia proprio la lettura della sentenza riportata dalla difesa evidenzia come nella specifica ipotesi di un furto in danno di un parroco, il ricorso della difesa diretto ad escludere la sussistenza dell’aggravante in parola e’ stato respinto rilevando che la ratio della specifica aggravante consiste nell’esigenza di garantire una tutela rafforzata in favore di alcuni soggetti in ragione del peculiare ruolo svolto dagli stessi e che proprio le opere di carita’ rappresentano un servizio tipico del ministero cattolico, sicche’ modeste elargizione a persone bisognose o indigenti costituiscono una costante dell’attivita’ dei parroci.
Deve pertanto ritenersi che la corte abbia motivato in modo congruo e corretto il rigetto della censura in forza della maggiore vulnerabilita’ delle vittime della truffa consumata dall’imputato, derivante dalla loro peculiare funzione di ministri del culto.
Inoltre, come correttamente sottolineato dal Procuratore Generale, la citata aggravante appare integrata tutte le volte in cui sia possibile stabilire un collegamento di tipo funzionale tra il reato e il ruolo del soggetto passivo e non vi e’ dubbio che la qualita’ di ministro di culto abbia indirizzato la scelta delle vittime, in quanto soggetti piu’ sensibili ad accogliere le finte istanze di aiuto dell’imputato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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