La presunzione legale di comunione di talune parti

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 dicembre 2022| n. 36013.

La presunzione legale di comunione di talune parti

In tema di condominio negli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’art. 1117 cod. civ., senz’altro applicabile quando si tratti di parti dello stesso edificio, può ritenersi applicabile in via analogica anche quando si versi nell’ipotesi non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, purché ci si trovi di fronte a beni oggettivamente e stabilmente destinati all’uso od al godimento degli stessi, come nel caso di cortile esistente tra più edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano.

Ordinanza|7 dicembre 2022| n. 36013. La presunzione legale di comunione di talune parti

Data udienza 25 ottobre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Parti comuni – Presunzione di comunione – Parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi – Applicabilità in via analogica – Condizioni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 25682/2018) proposto da:
COMUNE DI BENEVENTO, (P.I: (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, in virtu’ di procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avv. (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo Studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), e (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso dall’Avv. (OMISSIS), ed elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo Studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1232/2017 (pubblicata in data 17 marzo 2017);
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25 ottobre 2022 dal Consigliere relatore Aldo Carrato;
lette le memorie depositate dai difensori di entrambe le parti ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..

La presunzione legale di comunione di talune parti

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 6/2009, il Tribunale di Benevento, pronunciandosi sulle domande proposte da (OMISSIS) – in proprio e quale esercente la responsabilita’ genitoriale sulle figlie minori (OMISSIS) e (OMISSIS) – nei confronti del Comune di Benevento per la declaratoria della insussistenza di qualsiasi servitu’ o diritto reale dell’Ente sul cortile interno e sul vano scala del fabbricato sito in (OMISSIS), acquistato in nome e per conto delle figlie, nonche’ per far cessare ogni molestia o turbativa poste in essere dal Comune, con l’adozione delle conseguenti opportune statuizioni, prima fra tutte quella relativa alla ricostruzione del muro a confine sul vano scala e alla chiusura dell’uscita di sicurezza aperta dall’Ente, oltre alla condanna dell’Ente medesimo, le rigettava, compensando fra le parti le spese di lite.
2. Decidendo sull’appello proposto dal (OMISSIS), cui resisteva il Comune, la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 1232/2017 (pubblicata il 17 marzo 2017), lo accoglieva, ma confermando la sentenza impugnata con diversa motivazione in ordine alla qualificazione dei diritti delle parti sui beni in contestazione, compensando le spese del grado.
Per quanto ancora di rilievo in questa sede, la Corte territoriale affrontando il motivo di appello formulato in linea subordinata, con il quale si chiedeva, in senso contrario a quanto deciso con la pronuncia di primo grado che aveva accertato la proprieta’ esclusiva del Comune, almeno il riconoscimento della proprieta’ comune condominiale – ha osservato che vi era interesse ad impugnare anche rispetto a detta domanda subordinata “poiche’ esso va desunto dall’utilita’ giuridica (e non di mero fatto) che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e si collega alla soccombenza nel precedente giudizio, sia pure al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione, contraria all’interesse della parte medesima, nel senso che a questa possa derivare pregiudizio da motivi che, quale premessa necessaria della decisione, sono suscettibili di formare il giudicato”.
Inoltre, la sentenza di appello ha affermato l’applicazione al caso di specie in via analogica dell’articolo 1117 c.c., rilevando che, nella specie, non era stata fornita una convincente prova contraria atta a superare la presunzione di comproprieta’, prova che doveva consistere o in un titolo contrario oppure in elementi oggettivi certi e univoci, idonei a far ritenere che il cortile era destinato a servizio esclusivo di uno, o solo di alcuni, degli edifici limitrofi ad esso, ad eccezione di quello dell’appellante.
3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, il Comune di Benevento, resistiti con controricorso da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..

La presunzione legale di comunione di talune parti

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, il Comune ricorrente denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli articoli 100 e 323 c.p.c., per aver la Corte territoriale ritenuto sussistente l’interesse dei (OMISSIS), allora appellanti, ad impugnare la sentenza n. 6/2009 del Tribunale di Benevento pur se era definitivo il riconoscimento della piena titolarita’ dei beni in questione in favore dello stesso Comune, con carenza – in capo agli stessi – della legittimazione e dell’interesse ad agire, non potendosi condividere che il pregiudizio sofferto, cosi’ come inteso dal giudice di seconde cure, ne integrasse i presupposti.
2. Con la seconda censura, il Comune ricorrente deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione degli articoli 1068, 1102 e 1117 c.c., affermando che la Corte partenopea aveva fatto malgoverno del disposto di cui del citato articolo 1117, comma 1, omettendo di rilevare che l’atto dispositivo dedotto in giudizio ben comprovava una volonta’ contrattuale di diversa natura, per come poteva desumersi anche dalla documentazione versata in atti e dalla relazione del c.t.u..
3. Con il terzo mezzo, l’Ente ricorrente prospetta – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione degli articoli 818 e 1117 c.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, avuto riguardo alla circostanza che l’esame dei titoli di provenienza avrebbe dovuto condurre ad affermare che esso ricorrente era proprietario esclusivo del cortile gravato solo da servitu’ di passaggio in favore dei beni acquistati, nel mentre la scalinata, in assenza di elementi parimenti univoci, avrebbe potuto essere considerata condominiale.
4. Con il quarto motivo, il Comune ricorrente denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli articoli 1031, 1058, 1362 e 1363 c.c., nonche’ il travisamento, con l’impugnata sentenza, dell’istituto della servitu’ volontaria, avendo fornito una motivazione carente nella parte in cui aveva attribuito la qualita’ di “elementi gravi, precisi e concordanti” a circostanze prive di tali connotazioni.
5. Osserva, in via preliminare, il collegio che vanno disattese le eccezioni di inammissibilita’ e di improcedibilita’ avanzate dai controricorrenti, perche’ il ricorso non difetta in assoluto di specificita’ e contiene l’indicazione, nell’elenco finale, del richiamo ai documenti contenuti nei fascicoli di parte dei precedenti gradi avuto riguardo ai rispettivi indici.
6. Cio’ premesso, rileva il collegio che il primo motivo del ricorso e’ infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

La presunzione legale di comunione di talune parti

Al riguardo occorre, infatti, evidenziare che la Corte di appello ha correttamente sostenuto l’interesse ad impugnare dei (OMISSIS) perche’, pur essendo stato loro riconosciuto con la pronuncia di primo grado il solo diritto di servitu’ di passaggio in favore dei beni acquistati dalle figlie dell’attore, il loro gravame era diretto – per come dedotto anche con il motivo subordinato avanzato con l’atto originario di citazione – ad ottenere l’accertamento della proprieta’ condominiale (presunta ai sensi dell’articolo 1117 c.c., fatta salva la prova di un titolo contrario) sul cortile, sulle scale e sull’androne, in virtu’ dell’esistenza della condizione fattuale che l’unico ingresso all’immobile ed al garage dell’appellante era rappresentato proprio dai citati beni che, costituendo parti del complesso necessarie all’uso comune, si sarebbero dovute presumere di proprieta’ comune. Pertanto, il giudice di appello ha legittimamente ritenuto persistente l’interesse giuridico – e non di mero fatto – alla decisione su questa domanda subordinata (cfr., ad es., Cass. SU n. 12637/2008 e, da ultimo, Cass. n. 3991/2020), poiche’ diversamente si sarebbe venuto a formare il giudicato in ordine all’accertata proprieta’ esclusiva del Comune di Benevento sui predetti beni, non volendosi limitare gli appellanti al solo riconoscimento del diritto di servitu’ sulle richiamate parti di cui era da ritenersi controversa la natura condominiale (che, se sussistente, avrebbe escluso l’appartenenza della proprieta’ solo in capo al Comune di Benevento).
7. Il secondo e terzo motivo sono esaminabili congiuntamente perche’ connessi, riguardando la medesima questione.
Essi si prospettano inammissibili o, in ogni caso, privi di fondamento, perche’ attinenti alla confutazione del ragionamento della Corte di appello sul ritenuto mancato superamento della presunzione di condominialita’ delle anzidette parti come stabilita dall’articolo 1117 c.c..
Al riguardo la Corte territoriale ha adeguatamente motivato sul perche’ non abbia ritenuto sufficientemente raggiunta la prova relativa al superamento di detta presunzione, specificando che: – il contenuto delle procure a vendere allegate all’atto di acquisto (pur in ipotesi idonee a far emergere elementi sintomatici a tal fine) avrebbe dovuto essere valutato letteralmente avuto riguardo all’individuazione dell’oggetto – esattamente riportato – dello stipulando negozio; – alle risultanze della denuncia di successione del de cuius, dante causa dei soggetti conferenti le procure a vendere, non poteva attribuirsi alcuna valenza al riguardo, stante la sola loro rilevanza ai fini fiscali; – che assumeva un particolare valore – in favore della rilevazione dell’alienazione della comproprieta’ dei beni in favore del Comune di Benevento – la circostanza che l’immobile compravenduto costituiva la “quota” del fabbricato costituente oggetto dell’alienazione, come espressamente desumibile dalla stesse procure a vendere allegate all’atto di acquisto.
Da cio’ la Corte di appello ha legittimamente desunto che non era emerso alcun riscontro di apposito titolo contrario idoneo a far venir meno la presunzione di condominialita’ dei tre beni in questione.

La presunzione legale di comunione di talune parti

Pertanto, il giudice di secondo grado ha correttamente applicato nella fattispecie (in cui ci si trovava in un caso di fabbricato unico originario successivamente suddiviso in due unita’ separate, con cortile unico di accesso limitrofo – in effetti, ricompreso – di necessaria utilizzazione per entrambe e scala di accesso ad ambedue) la presunzione di cui al citato articolo 1117 c.c., non essendo risultata fornita una univoca prova contraria riconducibile o ad un titolo contrario oppure ad elementi oggettivi certi ed univoci, idonei a far emergere che il cortile era destinato a servizio esclusivo di uno, o solo di alcuni, degli edifici limitrofi ad esso, escluso quello dei (OMISSIS).
Decidendo in tal senso il giudice di appello si e’ conformato alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in tema di condominio negli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’articolo 1117 c.c., senz’altro applicabile quando si tratti di parti dello stesso edificio, puo’ ritenersi applicabile in via analogica anche quando si versi nell’ipotesi non di parti comuni di uno stesso edificio, bensi’ di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, purche’ ci si trovi di fronte a beni oggettivamente e stabilmente destinati all’uso od al godimento degli stessi, come nel caso di cortile esistente tra piu’ edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano (cfr. Cass. n. 9982/1996; Cass. n. 14559/2004; Cass. m. 17993/2010 e Cass. n. 3739/2018).
8. Il quarto ed ultimo motivo si profila inammissibile, poiche’ la Corte di appello ha spiegato – con adeguata e logica motivazione, insindacabile nella presente sede – il perche’, nel caso di specie, il cortile non potesse definirsi una pertinenza “comune” rispetto a plurimi beni di proprieta’ singola, rilevando che difettava il requisito dell’esclusivita’ della funzione propria della pertinenza, da cui derivava la conseguente operativita’ della presunzione di condominialita’ prevista dall’articolo 1117 c.c., rispetto ai due edifici prospicienti, non essendo stata fornita una idonea prova contraria atta a superarla, nei sensi prima precisati.
9. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna dell’ente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e c.p.a., nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

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