Corte di Cassazione, civile, Sentenza|26 marzo 2021| n. 8561.
La presentazione dell’istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non costituisce rinuncia implicita al beneficio da parte dell’assistito, attesa la diversa finalità ed il diverso piano di operatività del gratuito patrocinio e della distrazione delle spese – l’uno volto a garantire alla parte non abbiente l’effettività del diritto di difesa e l’altra ad attribuire al difensore un diritto in “rem propriam” – con la conseguenza che il difensore è privo del potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, compreso il diritto soggettivo all’assistenza dello Stato per le spese del processo, potendo la rinuncia allo stesso provenire solo dal titolare del beneficio, e tenuto conto, peraltro, che l’istituto del gratuito patrocinio è revocabile solo nelle tre ipotesi tipizzate nell’art. 136 del d.P.R. n. 115 del 2002, norma eccezionale, come tale non applicabile analogicamente.
Sentenza|26 marzo 2021| n. 8561
Data udienza 22 settembre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Patrocinio a spese dello Stato – Richiesta di distrazione delle spese in favore del difensore – Implicita rinuncia al beneficio – Esclusione – Beneficiario del patrocinio è la parte non abbiente e non il difensore – Tassatività delle fattispecie di revoca del patrocinio a spese dello stato ex art. 136 dpr n. 115/2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f.
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez.
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23814-2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Ufficio dell’Avvocatura Centrale dell’istituto stesso, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), ed (OMISSIS);
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– resistenti –
e contro
PUBBLICO MINISTERO AFFARI CIVILI PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI;
– intimato –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di NAPOLI relativa all’r.g. n. 26895/2014, emessa il 17/03/2015;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2020 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) per l’Avvocatura Generale dello Stato.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso depositato il 21 luglio 2011, (OMISSIS), difesa dall’avvocato (OMISSIS), evocava dinanzi al Tribunale di Napoli l’Istituto nazionale per la previdenza sociale per ottenere il riconoscimento dell’indennita’ di accompagnamento. Con decreto dell’11 ottobre 2011 la (OMISSIS) veniva ammessa dal consiglio dell’ordine degli avvocati al patrocinio a spese dello Stato. Il giudizio si chiudeva con la sentenza n. 13261 del 2013 di rigetto della domanda e con compensazione delle spese.
In esito al giudizio di merito l’avvocato (OMISSIS), con autonoma istanza, chiedeva al Tribunale di Napoli di liquidare il proprio compenso ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 82 ed il Tribunale, con provvedimento del 29 settembre 2014, rigettava l’istanza di liquidazione con contestuale revocava dell’ammissione provvisoria della (OMISSIS) al beneficio del patrocinio statuendo che, in ossequio alla giurisprudenza di legittimita’, la richiesta di distrazione delle spese in favore del difensore comportava la implicita rinuncia al beneficio.
Nei confronti del provvedimento di rigetto la (OMISSIS) e l’avvocato (OMISSIS) proponevano opposizione ex articolo 702-bis c.p.c. ed il Tribunale di Napoli, con ordinanza resa il 17 marzo 2015 e corretta il 4 settembre 2015, rigettava l’opposizione, affermando che le disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato, previste alla L. n. 533 del 1973, articolo 14 non erano applicabili ogni qualvolta veniva invocata dalla parte provvisoriamente ammessa al gratuito patrocinio la condanna alle spese in proprio favore, in quanto siffatta richiesta concretava un’implicita ed univoca rinuncia al beneficio ed equivaleva alla negazione della sussistenza delle condizioni reddituali necessarie per l’attribuzione delle stesso. In altri termini, comportava l’inefficacia dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio, stante l’automatica operativita’ nella disciplina dettata dalla legge invocata della decadenza sancita dal Regio Decreto n. 3282 del 1923, articolo 34.
Avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli propongono ricorso per cassazione le originarie opponenti, sulla base di un unico motivo.
Il Ministero della giustizia ha depositato atto di costituzione in giudizio ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
L’Istituto nazionale per la previdenza sociale, intimato al pari del pubblico ministero per gli affari civili presso il Tribunale di Napoli, ha depositato atto di conferimento della procura a rappresentare e difendere l’Istituto nel presente giudizio.
Per la trattazione della causa veniva fissata l’udienza del 04.06.2019, cui prendevano parte le sole ricorrenti, oltre alla Procura Generale. All’esito della camera di consiglio, la Seconda Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 1989 del 2020, rimetteva gli atti al Primo Presidente, per la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, ancorche’ sostanzialmente sottintendente un contrasto nella giurisprudenza della Corte circa il rapporto tra l’istituto del patrocinio a spese dello Stato e quello della distrazione delle spese processuali, in cui veniva evidenziata sia la mancanza di precedenti univoci o pienamente convincenti, sia la sentita esigenza nomofilattica caratterizzante l’interpretazione di norme disciplinanti il regime delle spese processuali, la cui soluzione reputava rilevante per la decisione del ricorso.
Il Primo Presidente assegnava il ricorso alle Sezioni Unite e seguiva la fissazione dell’odierna udienza, in vista della quale l’Ufficio di Procura ha fatto pervenire conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con unico motivo le ricorrenti denunciano “violazione di legge e/o falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed, eventualmente, n. 5, della L. n. 533 del 1973, articolo 14 nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 136 e dei correlati articolo 74, comma 2, articoli 82, 12, 131 e 133 e articolo 93, comma 3”, assumendo che contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l’eventuale richiesta di distrazione delle spese, che e’ esercizio di un diritto proprio del difensore, non puo’ avere effetto paralizzante sul beneficio del patrocinio a spese dello Stato ove, come nei casi di specie, la parte ammessa al patrocinio non sia poi risultata vittoriosa; d’altro canto non puo’ aversi distrazione ex articolo 93 c.p.c. ove il giudice disponga la soccombenza o la compensazione delle spese di lite.
Le ricorrenti, nel dettaglio, evidenziano che l’istituto della distrazione presuppone la condanna alle spese della parte soccombente e che, in difetto della stessa, non possa attribuirsi all’istanza ex articolo 93 c.p.c. alcun giuridico rilievo, tanto piu’ che la revoca del beneficio e’ ammessa solo nei casi previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 136 (nella specie insussistenti). Viene altresi’ sottolineato, richiamando a sostegno della propria argomentazione la pronuncia di questa Corte n. 17461 che 2014, che l’istanza di distrazione non possa riferirsi direttamente alla parte, non rientrando nei poteri del difensore ex articolo 84 c.p.c. quello di disporre del beneficio, con conseguente impossibilita’ di ritenere sussistente una rinuncia implicita della parte. La censura e’ meritevole di accoglimento per le ragioni che verranno di seguito illustrate.
L’ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione civile, n. 1989 del 2020, dopo avere ricostruito il quadro giurisprudenziale di riferimento, evidenzia la non univocita’ degli orientamenti in merito agli effetti della presentazione dell’istanza di distrazione delle spese da parte dell’avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nello specifico, se comporti o meno la rinuncia implicita al beneficio, da parte dell’assistito, con conseguente legittimita’ del rigetto della relativa istanza.
In particolare, e’ ricomposta la posizione restrittiva assunta dalla Sezione lavoro della Suprema Corte (Cass. n. 4379 del 1978; Cass. n. 5579 del 1978; Cass. n. 1464 del 1980; Cass. 3901 del 1983; Cass. n. 267 del 1984) formatasi durante la vigenza del patrocinio a spese dello Stato di cui alla L. n. 533 del 1974, articoli 13 e 14 ribadita recentemente (da Cass. Sez. Seconda n. 5232 del 2018, proprio in merito al beneficio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, rilevante nella fattispecie in esame).
Emerge come parte della giurisprudenza di legittimita’, muovendo dall’incompatibilita’ del patrocinio a spese dello Stato con l’istituto della distrazione delle spese, abbia ritenuto, sia in passato che di recente, che la presentazione dell’istanza ex articolo 93 c.p.c. costituisca implicita rinuncia agli effetti dell’ammissione al beneficio, essendo direttamente riferibile al non abbiente per effetto della procura conferita al difensore che presenta istanza di distrazione.
A fronte di tale orientamento alcune decisioni minoritarie avrebbero, di converso, escluso l’operativita’ del descritto automatismo, affermando che la rinuncia al beneficio non solo debba essere inequivoca ed esplicita ma anche direttamente riferibile alla parte interessata, non rientrando nei poteri del difensore, ex articolo 84 c.p.c., quello di disporre del diritto di difesa del non abbiente (sempre con riferimento alla Sezione lavoro: Cass. n. 3406 del 1979; Cass. n. 530 del 1981; Cass. n. 5850 del 1983; Cass. 2535 del 1984).
Nel descritto contesto rileva, secondo l’ordinanza interlocutoria, la posizione assunta da Cass. pen., Sez. 3, n. 9178 del 2009, la quale, in via incidentale, ha escluso che l’istituto della distrazione di cui all’articolo 93 c.p.c. possa trovare applicazione nell’ambito della procedura di patrocinio a spese dello Stato in favore della parte civile nel processo penale, con conseguente rigetto della relativa istanza di liquidazione dei compensi.
Nel dettaglio detta decisione ha affermato la necessita’ di provvedere in merito alla richiesta di liquidazione, pur se in presenza di precedente istanza di distrazione da parte del difensore del soggetto ammesso al patrocinio statale atteso che, essendo i due istituti incompatibili, questa debba ritenersi come tamquam non esset.
Anche le Sezioni Unite (sent. n. 1009 del 2014 e n. 1012 del 2014), “pur senza approfondire la questione, hanno affermato la prevalenza del patrocinio”, prosegue l’ordinanza interlocutoria, negando “che fossero affette da vizio revocatorio proprie precedenti pronunzie, che, una volta accolto il regolamento di giurisdizione, avevano rigettato la domanda” di “distrazione delle spese rilevando che il ricorrente era stato ammesso al patrocinio statale”: con cio’ confermando la sussistenza del patrocinio e il conseguente rigetto della domanda di distrazione.
Da ultimo attraverso la ricostruzione della ratio dei due istituti, nonche’ delle similitudini e differenze tra essi, l’ordinanza interlocutoria richiama la necessita’ di valutare il contenuto di Cass., Sez. L, n. 847 del 2019, ordinanza di rimessione della causa in pubblica udienza tesa a dirimere il contrasto in seno alla sezione lavoro sorto proprio con riferimento al rapporto tra patrocinio a spese dello Stato e distrazione delle spese, poi risolto da Cass., Sez. L, n. 30418 del 2019, intervenuta nelle more del deposito dell’ordinanza di rimessione, in favore della tesi per la quale la presentazione dell’istanza di distrazione non costituisce rinuncia implicita al beneficio.
Come e’ dato comprendere dal tenore dell’ordinanza interlocutoria, la questione posta all’esame di questa Corte a Sezioni Unite attiene alla compatibilita’ del beneficio del gratuito patrocinio con la richiesta del difensore di distrazione in suo favore dei compensi e delle spese di giudizio sussistendo pluralita’ di argomenti, testuali e sistematici, a favore dell’una e dell’altra opzione interpretativa.
Il contrasto interpretativo registrato nella giurisprudenza di legittimita’ risale agli anni 70 – 80 e si e’ sviluppato intorno all’interpretazione della L. n. 533 del 1973, articolo 13 che dettava una disciplina sostanzialmente analoga a quella contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 78 e ss. (Testo Unico sulle spese di giustizia).
In materia vale ricordare che il gratuito patrocinio, quale espressione del diritto alla difesa si afferma, a meta’ del XX secolo come attuazione di un diritto costituzionale. Com’e’ infatti noto, le Costituzioni moderne, al fianco dei tradizionali diritti politici e civili, pervengono ad affermare anche i cosiddetti diritti sociali, la cui funzione, per cio’ che qui interessa, e’ essenzialmente quella di garantire ai non abbienti quel minimo di giustizia sociale che permetta loro di godere dei propri diritti. Fra questi diritti in particolare emerge, potentemente, quello dell’accesso alla giustizia e della sua effettivita’, con la conseguenza che anche la stessa concezione del processo civile evolve da garanzia meramente formale del diritto alla tutela giudiziaria a garanzia di uguaglianza sostanziale delle parti di fronte al giudice.
In una prima fase, infatti, l’istituto del “gratuito patrocinio” era imperniato sul principio antiquato del patrocinio dei poveri come “ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e dei procuratori” e disciplinato dal Regio Decreto 30 dicembre 1923, n. 3282, che costituisce tuttora il testo base in materia di assistenza giudiziaria ai meno abbienti relativamente ad ogni tipo di giurisdizione (l’articolo 19, comma 2 Legge istitutiva dei T.A.R., L. 6 dicembre 1971 n. 1034, ha voluto confermare che anche davanti agli organi di giustizia amministrativa di primo grado l’assistenza giudiziaria e’ disciplinata, nei suoi profili di applicazione, dal Regio Decreto n. 3282 del 1923).
I tentativi di rinnovamento succedutisi negli ultimi decenni, pur apprezzabili nello sforzo di affrontare il problema dell’assistenza giudiziaria in modo piu’ adeguato, non sono andati al di la’ di modifiche e di miglioramenti parziali. Settoriale e’ stato l’intervento della L. 11 agosto 1973, n. 533, che per la prima volta, ma per le sole controversie individuali di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie, ha introdotto nel nostro ordinamento il principio della retribuzione, a carico dello Stato, dei difensori (e degli altri soggetti) che prestano la loro opera a favore del non abbiente. Settoriali sono anche gli interventi della L. 4 maggio 1983, n. 184, articolo 75 e della L. 13 aprile 1988, n. 117, articolo 15 che hanno esteso, rispettivamente ai giudizi in materia di adozione e di affidamento dei minori ed ai giudizi di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, il sistema del patrocinio a spese dello Stato creato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533.
Carattere parziale e limitato ha infine la L. 30 luglio 1990, n. 217, che ha istituito il patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti penali ovvero penali-militari relativi a reati (ma con importanti esclusioni) e nei giudizi civili relativi all’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno e le restituzioni derivanti da reato. Lo stesso legislatore, sottolineando il carattere transitorio di questo intervento “fino all’entrata in vigore della disciplina generale del patrocinio dei non abbienti avanti ad ogni giurisdizione” (articolo 1, comma 7), non sembra pensare ad un’applicazione generalizzata della relativa disciplina.
In Italia il legislatore ha faticato (diversamente dalle soluzioni istituzionali adottate, in epoca moderna, in altri ordinamenti, soprattutto nei Paesi dell’Europa occidentale) e dunque ha tardato ad adeguare la tutela processuale di un diritto gia’ ampiamente riconosciuto sul piano sostanziale. E’ infatti solo con la normativa dei primi anni 2000, Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 (anch’esso oggetto di successive modifiche) che si e’ realizzato un primo tentativo di configurazione dell’assistenza legale nel processo civile quale effettivo social service a carico dell’erario; affermazione che solo in parte puo’ dirsi oggi realizzata.
In effetti, nell’ambito di un testo normativo tanto essenziale diverse questioni interpretative si sono poste riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della legge e all’effettivo perimetro di garanzie da essa delineato.
Per quel che rileva in questa sede, si evidenzia che, in seguito al procedimento delineato dal citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 75 e ss. la parte e’ provvisoriamente ammessa al beneficio ed in forza di cio’ sono a carico dello Stato non solo le spese e i compensi dell’avvocato ma anche le ulteriori provvidenze di cui al successivo articolo 131, come le spese per gli ausiliari del giudice, per i consulenti tecnici di parte e la prenotazione a debito del contributo unificato, indipendentemente dall’esito della lite. Oltre ad essere generalizzato il patrocinio a spese dello Stato a tutti i processi, e’ stato altresi’ disposto – differentemente da quanto avveniva con la L. n. 533 del 1973 – che l’istanza di ammissione possa essere presentata anche durante il corso del processo.
Il Decreto del Presidente della Repubblica citato – per quanto qui di interesse, come di seguito si chiarira’ – ha peraltro previsto, nell’articolo 136, tre sole cause di revoca del beneficio, quali le sopravvenute modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai fini dell’ammissione nel corso del procedimento, l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero l’avere l’interessato agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. Appare, dunque, particolarmente significativo a questo riguardo il ruolo per cosi’ dire orientativo svolto dalla giurisprudenza attraverso le pronunce per la soluzione dei casi concreti onde offrire un quadro sistematico dei principi vigenti in materia. In questa attivita’ interpretativa la Corte di cassazione si e’ caratterizzata nel senso di chiarire gli interventi legislativi nella direzione di estendere le garanzie del patrocinio a spese dello Stato a tutte le modulazioni della giurisdizione civile, ordinaria e volontaria, con esclusione della sola materia stragiudiziale (v. Cass. 23 novembre 2011 n. 24723; Cass. 14 dicembre 2017 n. 30069; Cass. 5 gennaio 2018 n. 164; Cass. 4 giugno 2019 n. 15175; anche la Corte Cost. meno recente, sentenze n. 70 del 1985, n. 74 del 1968, n. 87 del 1968).
La Corte di cassazione, infatti, chiarendo in modo esauriente la portata del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 74, prende atto della necessita’ di dare una dimensione concreta al bisogno di giustizia, il quale non dovrebbe essere considerato soltanto come esigenza di avere un avvocato, secondo il modello tradizionale, ma quale necessita’ di assistenza a tutti i livelli in cui si esprime l’azione, sottolineandosi l’esigenza di rendere appunto effettiva l’assistenza giudiziaria ai non abbienti nel quadro di un adeguamento costante delle strutture processuali ai principi sanciti dagli articoli 3 e 24 Cost. e dai principi sovranazionali di cui all’articolo 6 CEDU (comma 1: diritto ad un equo processo davanti ad un tribunale indipendente al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi obblighi di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta; comma 3: oltre al diritto di difendersi da se’ o ad avere l’assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi, il diritto di essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio), articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e 14, lettera d), del Patto internazionale sui diritti civili e politici, oltre alla Direttiva UE/3/2008, in parte integrata e sostituita dal regolamento CE 4/2009.
Cio’ posto, l’esigenza manifestata dalla ordinanza interlocutoria di remissione qui esaminata e’, in definitiva, quella di uno sguardo critico nei confronti di quelle elaborazioni giurisprudenziali che possano implicare un ristringimento, anche solo potenziale, dell’accesso alla giustizia per i ceti economicamente, e quindi socialmente, piu’ deboli.
Rispetto al tema che qui si considera appare necessario delineare i tratti salienti dell’istituto della distrazione delle spese, che il legislatore ha introdotto con l’articolo 93 c.p.c. il quale, come evidenziato nell’ordinanza interlocutoria, “condivide con il patrocinio statale l’obiettivo di favorire l’accesso alla giustizia” ma la cui operativita’ e’ tuttavia ben diversa. Esso, infatti, e’ limitato alle spese e agli onorari del difensore ed e’ gratuito per l’assistito nella misura in cui questi risulti vittorioso e vi sia la pronuncia di condanna al pagamento delle spese a carico della controparte. Nel caso di soccombenza o comunque di compensazione delle spese, il difensore chiedera’ le spese e gli onorari al proprio assistito.
In merito all’origine, l’istituto della distrazione e’ stato fatto risalire alla legislazione francese in cui veniva configurato come una cessione coattiva del credito operata dal giudice su richiesta del difensore. L’istituto in esame e’ stato quindi dapprima disciplinato dall’articolo 133 c.p.c. napoleonico, dunque applicato in Italia nei territori soggetti al controllo francese, poi ripreso nell’articolo 375 del codice del 1965, che non si riferiva espressamente alla distrazione ma prevedeva unicamente la possibilita’ per i difensori di chiedere che la condanna in punto di spese fosse emessa in loro favore.
In forza del trattamento speciale riservato dall’articolo 93 c.p.c., nella pratica processuale puo’ avvenire che le spese siano anticipate, anziche’ (come accade ordinariamente) dalla parte, dal suo difensore. In tal caso il citato articolo 93 dispone che il difensore con procura e’ legittimato a chiedere che il giudice, nella stessa sentenza (o, comunque, in un omologo provvedimento di natura decisoria) in cui condanna alle spese la controparte (sulla scorta, di regola, del presupposto della soccombenza di cui all’articolo 91 c.p.c.), distragga in suo favore e degli altri difensori (che lo abbiano eventualmente affiancato nella difesa della medesima parte, qualora risultante vittoriosa) gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipato. Come appare evidente, la domanda del difensore (costituito con procura) e’ proposta in via condizionata alla condanna della controparte a rimborsare le spese processuali. Peraltro, e’ opportuno sottolineare che, qualora sia emesso il provvedimento di distrazione, non per questo il difensore distrattario diviene creditore esclusivo per le spese e i compensi riconosciuti nei confronti della parte soccombente condannata al loro pagamento. Infatti, anche dopo la disposta distrazione, il difensore conserva intatto il suo diritto ad agire contro il proprio cliente per il recupero delle spese e il pagamento dei compensi, cosi’ come il cliente puo’, pagando il difensore, agire contro il soccombente in base allo stesso titolo originario costituito dalla sentenza di condanna a carico della parte avversaria (e non, quindi, sulla scorta di un nuovo titolo o di un titolo derivato dal difensore).
In forza del provvedimento di distrazione, percio’, il debito del soccombente verso il procuratore dell’altra parte si affianca, in via alternativa e nei limiti della somma liquidata dal giudice, a quello del cliente, rimanendo, altresi’, integra la facolta’ del procuratore di rivolgersi a quest’ultimo anche per la parte del credito professionale che ecceda l’importo quantificato dal giudice che sia stato corrisposto dalla parte soccombente (Cass. 7 luglio 2000 n. 9097).
Dalla descritta essenziale disciplina si evince come, in sostanza, l’articolo 93 c.p.c. individui un’eccezione alla regola generale secondo la quale il compenso al difensore e’ dovuto solo dal suo rappresentato o assistito salvo (se vittorioso) il diritto di quest’ultimo al rimborso nei confronti della parte soccombente. La ragione fondante di tale eccezione – come posto in risalto anche dalle Sezioni unite – e’ rinvenibile nell’opportunita’ della previsione di un sistema di maggiore garanzia in favore del difensore ai fini del conseguimento del suo compenso direttamente dalla parte soccombente (senza, quindi, la necessita’ di dover compulsare il proprio cliente risultato vittorioso), che conferisce allo stesso difensore, a cui sia appunto riconosciuta la distrazione, la titolarita’ di una posizione giuridica soggettiva, autonoma e distinta da quella occupata dal suo assistito (v. Cass., Sez. Un., 2 agosto 1995 n. 8458; Cass. 5 agosto 2005 n. 16597), ancorche’ limitatamente solo a questo aspetto.
E’ stato, inoltre, evidenziato che, in virtu’ della pronuncia di distrazione, nasce direttamente in favore del difensore un diritto di credito nei confronti della parte soccombente, rimanendo, in ogni caso, escluso che il difensore distrattario possa impugnare in proprio la sentenza per il merito o per omessa ed erronea pronuncia sulle spese. Conseguentemente, cosi’ come la parte condannata nelle spese non e’ legittimata ad impugnare il provvedimento di distrazione e, quindi, la sentenza che la concede, non avendo interesse a contrastare il provvedimento, poiche’ il pagamento effettuato al difensore distrattario produce effetto liberatorio come quello eseguito a favore della parte vittoriosa, correlativamente, la parte vittoriosa non e’ legittimata ad impugnare nei modi ordinari la sentenza (o il provvedimento equiparabile) per il capo relativo alla distrazione disposta a vantaggio del proprio difensore potendosi avvalere unicamente della speciale azione di revoca prevista dall’articolo 93 c.p.c., comma 2.
La stessa giurisprudenza di legittimita’ (Cass. 1 ottobre 2009 n. 21070) – come puntualmente ribadito nella sentenza delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 7 luglio 2010 n. 16037) – ha, altresi’, sottolineato che la dichiarazione di avere anticipato le spese e non riscosso gli onorari e’, di regola, vincolante per il giudice (al quale non spetta alcun margine di sindacato sulla stessa), tanto che il difensore non ha l’onere di provare il fatto costitutivo della propria pretesa, pur non dovendosi trascurare che, anche se la sua istanza di distrazione e’ stata accolta, egli conserva la facolta’ di pretendere il rimborso alternativamente dal soccombente e dal cliente ed anche di far valere il proprio diritto nei confronti di entrambi, in caso di soccombenza parziale.
Premesso questo inquadramento storico-sistematico, si ritiene che l’articolo 93 c.p.c. abbia la finalita’ di consentire al difensore della parte vittoriosa di ottenere il proprio credito nei confronti della parte soccombente. Cio’ rappresenta la ratio e, al tempo stesso, il limite di applicazione della distrazione delle spese; si tratta infatti di una mera possibilita’ (rimessa alla scelta discrezionale dell’avvocato, non surrogabile dalla parte) riservata esclusivamente alla parte vittoriosa ed ammessa unicamente in caso di applicazione della regola della soccombenza.
Come recentemente ribadito (Cass. 26 marzo 2019 n. 8436), il difensore agisce per un diritto proprio ed autonomo verso il soccombente, con la conseguenza che quest’ultimo non puo’ opporgli, in compensazione, l’eventuale credito vantato nei confronti della parte vittoriosa. Sicche’, in quest’ottica il difensore e’ legittimato ad impugnare la pronuncia esclusivamente sulla questione relativa alla distrazione (ex multis: Cass. n. 26089 del 2914; Cass. n. 13516 del 2017).
Proprio con riferimento alla legittimazione all’impugnazione del difensore ed alle modalita’ della stessa, i recenti approdi cui e’ pervenuta Sez. U, n. 16037/2010 hanno profondamente rivisitato la configurazione dell’istituto.
In particolare e’ stato affermato che “sul piano della ricostruzione della vicenda in termini processuali non e’, poi, sostenibile che la richiesta di distrazione possa essere qualificata come domanda autonoma, suscettibile di dar vita ad un capo della decisione in senso tecnico: attesa la sua funzione di istanza incidentale non giustificata dalla soccombenza sostanziale, e’ collegata ad una sorta di favor per il difensore da parte dell’ordinamento processuale, nonche’ occasionata dal processo pendente tra le parti principali al cui esito resta peraltro condizionata. La stessa non presenta alcuno dei caratteri della domanda giudiziale in senso proprio; sfugge alla relativa disciplina posto che come tale puo’ essere formulata anche oralmente all’udienza di discussione della causa, nonche’ in qualunque altro momento, pur in sede di precisazione delle conclusioni o, addirittura, nella comparsa conclusionale. E la sua proposizione – consentita soltanto per conseguire la finalita’ posta direttamente dall’articolo 93 c.p.c. – si sottrae perfino all’applicazione del regime processuale di tipo preclusivo (e, quindi, decadenziale), peculiare di ogni altro intervento giudiziale.
Proprio in forza di queste caratteristiche il distrattario non e’ gravato dall’onere della prova relativa alle dichiarazioni operate e la sua dichiarazione di anticipazione e’ da ritenersi vincolante per il giudice (al quale non spetta alcun margine di sindacato su di essa); ne’ puo’ dar luogo, in sede di condanna alle spese, ad alcuna contestazione sul punto, sia da parte del cliente, che dell’avversario, trattandosi di un privilegio, la cui giustificazione e la cui tutela vengono rinvenute dall’ordinamento nella funzione alla quale il difensore assolve. E, d’altra parte, il provvedimento che dispone la distrazione deve considerarsi, piuttosto che una statuizione della sentenza in senso stretto, un autonomo provvedimento formalmente cumulato con questa, esclusivamente inerente al rapporto che intercorre tra il difensore ed il suo cliente vittorioso: comportante la sostituzione del primo al secondo nel diritto di credito al pagamento delle spese processuali e dei compensi professionali nei confronti della controparte soccombente che gli deriva dalla gia’ pronunciata condanna di quest’ultima. Per cui, se nell’ambito del rapporto suddetto, il cliente nell’eventualita’ del sopravvenuto soddisfacimento delle spese assunte come anticipate e degli onorari attestati come non riscossi dal suo patrono, non puo’ proporre l’impugnazione ordinaria ed ha la possibilita’ di tutelarsi – come gia’ evidenziato mediante il ricorso al procedimento di revoca disciplinato dallo stesso articolo 93 c.p.c., comma 2, ricondotto dalla stessa norma nel solco della procedura di correzione, e’ coerente con questo quadro normativo che anche la mera omissione del provvedimento di distrazione, assolutamente vincolato ed a priori sottratto a qualsiasi forma di valutazione, sia egualmente emendabile con il medesimo rimedio “impugnatorio” specifico della correzione della sentenza ai sensi dell’articolo 287 c.p.c. e segg.”(Cass., Sez. Un., 27 novembre 2019 n. 31033).
Passando ad esaminare gli effetti dell’istanza di distrazione delle spese sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nella giurisprudenza di legittimita’, come suesposto, dopo l’abrogazione del patrocinio gratuito di cui al Regio Decreto n. 3282 del 1923, il legislatore introdusse, con la L. n. 533 del 1973, per le sole cause di lavoro il patrocinio statale. La disciplina avrebbe dovuto essere transitoria in quanto, fin da subito, si auspico’ una generalizzazione dell’istituto, cosa che tuttavia, avvenne, come noto, molto piu’ tardi.
In presenza di una disciplina settoriale la giurisprudenza adotto’ un’interpretazione particolarmente rigida delle disposizioni contenute nella L. n. 533 del 1973. Non solo la compresenza dell’istanza di distrazione e del patrocinio statale venne ritenuta impossibile, ma la prima si ritenne comportare l’implicita rinuncia al patrocinio statale, e, quindi, la revoca del beneficio.
E’ in merito opportuno ripercorrere la motivazione di alcune delle principali decisioni assunte dalla Corte di Cassazione nel decennio che va dal 1975 al 1985, recentemente ribadite (Cass. n. 5232 del 2018). La Sezione lavoro (sentenza n. 5579 del 1978) ha affermato che nelle controversie di lavoro, mentre l’ammissione al patrocinio statale comporta il pagamento degli onorari, dei diritti e delle competenze da parte dello Stato, con conseguente esclusione di ogni rapporto tra parte assistita e parte non assistita, la distrazione delle spese determina la costituzione di un rapporto obbligatorio fra il difensore della parte vittoriosa e la parte soccombente, con conseguente inconciliabilita’ tra i due istituti, per cui viene ritenuta la sussistenza di un’implicita rinuncia al patrocinio statale in caso di istanza di distrazione delle spese. La posizione dell’assistito ammesso al patrocinio statale, alla luce della L. n. 533 del 1973, articoli 13 e 14 viene ricostruita sottolineando come non sia tenuto ad alcun rimborso nei confronti dello Stato e come le spese per gli atti compiuti dai difensori, dai consulenti, per l’audizione dei testimoni, ausiliari del giudice, siano anticipate dallo Stato che si surroga alla parte assistita nel diritto al recupero delle spese e degli onorari nei confronti della parte non assistita soccombente. Al contrario, “la disciplina della distrazione delle spese di cui all’articolo 93 c.p.c. crea, in via eccezionale, un rapporto obbligatorio fra il difensore della parte vittoriosa e la parte soccombente, per cui il credito sorge direttamente a favore del difensore della parte vittoriosa nei confronti del soccombente con la ulteriore conseguenza della costruzione di un titolo esecutivo in capo al difensore predetto”. Sicche’ emerge, “con evidenza, da tutto cio’ l’assoluta inconciliabilita’ tra i due sistemi, i cui istituti tanto diversi, sia nella forma che nella sostanza, non possono in alcun modo coesistere”. Se, infatti, il presupposto dell’ammissione al beneficio, prosegue la decisione, e’ lo stato di non abbienza e’ “evidente che con la presenza di un difensore antistatario la parte ha trovato chi (cioe’ proprio l’avvocato distrattario) anticipa per lei dette spese e non pretende da lei l’onorario perche’ si rivolge direttamente per le une e per l’altro, a mente dell’articolo 93 c.p.c. alla parte soccombente”. L’aver chiesto la distrazione, in quest’ottica, costituisce esplicita ammissione della insussistenza dello stato di non abbienza e implicita rinuncia al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. A cio’ si aggiunge peraltro, cosi’ rafforzando ulteriormente il proprio percorso argomentativo, l’impossibilita’ di condividere l’assunto secondo cui in “un sistema che esclude ogni rapporto tra il difensore della parte non abbiente assistita e la parte soccombente non assistita, possa essere sussunto un istituto che da un lato riponga nuovamente in essere quei rapporti esclusi dalla norma e dall’altra consenta al difensore della parte assistita – che dovrebbe essere pagata dallo Stato – di ottenere il pagamento dalla parte soccombente, sovvertendo il gia’ lumeggiato sistema di pagamento diretto da parte dello Stato e successiva surroga di questa nei confronti della parte assistita”.
In altra pronuncia, nel ribadire l’orientamento dinanzi illustrato, si evidenzia che la richiesta formulata ex articolo 93 c.p.c. dal difensore della parte ammessa al patrocinio a carico dello Stato, in forza della procura ad litem, “palesa la non avvenuta attuazione del provvedimento di ammissione al suddetto patrocinio e la conseguente sopravvenuta inefficacia, onde questa situazione esclude l’accoglimento di una richiesta intesa a far rivivere il predetto beneficio, nell’ipotesi in cui la parte risulti soccombente nella lite” (Cass. n. 3055 del 1978). La presentazione dell’istanza ex articolo 93 c.p.c. quindi comporta, in quest’ottica, due conseguenze: la ritenuta non attuazione del provvedimento di ammissione e, contestualmente, la sua sopravvenuta inefficacia che, pertanto, non consente l’accoglimento di istanze volte a “far rivivere” il beneficio.
La decisione da ultimo illustrata tuttavia postula che siffatta disciplina trovi applicazione allorche’ la richiesta ex articolo 93 c.p.c. sia stata avanzata, o reiterata, dopo l’ammissione al patrocinio statale, mentre nella fattispecie posta al suo vaglio l’istanza di distrazione era stata formulata con l’atto introduttivo del giudizio di appello, quando non esisteva ancora l’ammissione al patrocinio a carico dello Stato e “quindi non vi poteva essere incompatibilita’”. L’essere stato pronunciato successivamente il decreto di ammissione al beneficio unitamente all’accettazione ed espletamento dell’incarico da parte del difensore, comporterebbe, in quest’ottica, l’intervenuta implicita rinuncia all’istanza di distrazione con conseguente necessita’ di disporre, da parte del Giudice, la liquidazione degli onorari.
Altra pronuncia (Cass. n. 267 del 1984), diversamente, afferma che “poiche’ e’ sufficiente la sola dichiarazione dell’avvocato distrattario, vincolante per il giudice, salva l’ipotesi di frode, di aver anticipato le spese e non riscosso gli onorari, a costituire una situazione incompatibile con lo stato di non abbienza, che e’ il presupposto principale del beneficio del patrocinio a carico dello Stato, per aver trovato la parte gia’ chi anticipa per lui le spese e pretende l’onorario (avvocato distrattario), non ha rilevanza, ai fini della rinuncia implicita, che la richiesta di distrazione preceda o segua l’emanazione del decreto che accerti i relativi presupposti che devono essere verificati in quel momento”. Sicche’ l’istanza di distrazione, attestante una situazione di fatto incompatibile con la non abbienza, non puo’ essere rinunciata con conseguente impossibilita’ di eliminazione degli effetti gia’ verificatisi (in questo senso, Cass. n. 1832 del 1983).
Alcune decisioni, una volta considerata l’istanza implicitamente rinunciata, ritengono applicabile al beneficio di cui alla L. n. 577 del 1973, articolo 14 la decadenza disciplinata dal Regio Decreto n. 3282 del 1923, articolo 34 e conseguentemente si afferma che “la richiesta del difensore, nominato d’ufficio in un processo del lavoro, di distrazione delle spese ed onorari a norma dell’articolo 93 c.p.c., pone in essere un comportamento, direttamente riferibile alla parte per effetto della procura, di non attuazione del provvedimento di ammissione al patrocinio statale, con conseguente sua inefficacia, in relazione alla decadenza espressamente prevista dal Regio Decreto 30 dicembre 1923, N. 3282, articolo 34 applicabile anche nell’ambito del sistema normativo del patrocinio a spese dello stato, limitatamente alla parte non coperta dalle nuove norme”(Cass. n. 172 del 1980).
Con l’entrata in vigore del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 e’ stato generalizzato il patrocinio a spese dello Stato a tutti i processi ed e’ stato inoltre disposto, differentemente da quanto avveniva con la L. n. 533 del 1973, che l’istanza di ammissione possa essere presentata durante il corso del processo.
La questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria e’ stata nuovamente oggetto di valutazione, con decisioni antitetiche di questa Corte (Cass. n. 17461 del 2014; Cass. n. 5232 del 2018; Cass. n. 30418 del 2019).
Una prima statuizione fa proprio, con riferimento al patrocinio a spese dello Stato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, l’orientamento maggioritario formatosi in merito alla L. n. 533 del 1973, traslandone le relative argomentazioni e rimarcando l’impossibilita’ per il giudice di sindacare la veridicita’ dell’istanza, per cui ritiene i due istituti incompatibili con conseguente rinuncia implicita al beneficio in caso di istanza di distrazione delle spese, indipendentemente dal momento in cui sia intervenuta l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Cass. n. 5232/2018 cit.).
Diversamente, altra decisione (Cass. n. 17461/2014 cit.) ha escluso che l’istanza di distrazione possa determinare la revoca del beneficio atteso che l’articolo 136 citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 la contempla solo con riferimento a tre cause, aventi carattere tassativo. Il comportamento del difensore che presenti l’istanza, a tal stregua, non puo’ incidere sul beneficio ma puo’ determinare altre conseguenze in sede, eventualmente, disciplinare.
Assume invece una posizione antitetica la recente Cass. n. 30418/2019, pronunciata in seguito all’ordinanza di rimessione alla pubblica udienza n. 847/2019 proprio per la questione afferente al rapporto intercorrente tra i due istituti oggetto dell’attuale ordinanza interlocutoria, escludendo, anche alla luce dei principi costituzionali ed unionali, che l’istanza di distrazione possa comportare la revoca del beneficio, provvidenza posta a garanzia dell’effettivita’ del diritto di difesa di cui all’articolo 24 Cost. per la parte che vi sia ammessa.
Alla luce di quanto sopra, e’ evidente che per definire la questione posta a queste Sezioni Unite occorra focalizzare l’attenzione sulle finalita’ dei due istituti coinvolti e, di conseguenza, definire il piano di operativita’ degli stessi.
E’ evidente che nell’accezione dello Stato moderno il sistema del patrocinio a spese dello Stato assolve non gia’ a finalita’ meramente economica di fornire a persona non abbiente le risorse necessarie per assicurargli assistenza tecnica in un processo, bensi’ quella di garantire l’effettivita’ del diritto di difesa quale strumento per pervenire ad affermare e a godere dei propri diritti.
Cosi’ configurato e’ da escludere che la parte assistita sia ammessa al beneficio per il tramite del suo difensore, in quanto chiamata ad esercitare un proprio diritto soggettivo, come si desume dalla circostanza che ove vi sia revoca o rinuncia del difensore al mandato, il patrocinio a spese dello Stato permane e il nuovo difensore non e’ tenuto a presentare in nome proprio o del non abbiente alcuna ulteriore istanza di ammissione. In altri termini, il beneficiario del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio non e’ il difensore ma la parte non abbiente, la quale e’ tenuta indenne dallo Stato, qualunque sia l’esito della lite, dal pagamento delle spese del suo difensore, tant’e’ che deve proporre personalmente l’istanza. Diversamente l’istanza di distrazione, previsione di carattere eccezionale, costituisce un diritto in rem propriam del difensore, che produce i suoi effetti solo quando la controparte del non abbiente sia condannata al pagamento delle spese e non lo esonera dagli obblighi che scaturiscono dal rapporto professionale.
Siffatto rilievo e’ dirimente nell’escludere ogni rapporto tra il difensore e la parte assistita rispetto all’ammissione al gratuito patrocinio, con la conseguenza che il difensore e’ privo del potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, compreso il diritto soggettivo della parte all’assistenza dello Stato per le spese del processo, per cui la rinuncia allo stesso puo’ provenire solo dal titolare del beneficio.
A conferma del rilievo di cui innanzi si evidenzia, altresi’, che il provvedimento di ammissione al beneficio della parte non abbiente oltre a produrre l’effetto principale costituito dal pagamento dei compensi al difensore, la esonera anche dall’anticipazione delle spese che vengono prenotate dallo Stato (articolo 131, commi 2 e 3 citato D.P.R.). La circostanza, poi, che la presentazione dell’istanza di distrazione costituisca una rinuncia tacita al beneficio, presuppone che l’istituto sia revocabile, ma a ben vedere le cause individuate dal legislatore sono solo tre e tipizzate nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 136 dovute a sopravvenute modifiche alla situazione reddituale, alla mala fede o alla colpa grave della parte ammessa che abbia agito o resistito in giudizio ovvero all’insussistenza ab origine delle condizioni reddituali, dunque norma eccezionale, come tale non applicabile analogicamente, e non certo per l’avvenuta presentazione dell’istanza di distrazione.
Del resto la previsione di una correlazione fra i due istituti, come affermata dall’orientamento giurisprudenziale che ravvisa una incompatibilita’ fra gli stessi, appare non gia’ dettata dal sistema normativo, ma piuttosto suggerita da evidenti ragioni di opportunita’ di arginare il fenomeno dei possibili abusi dello strumento del patrocinio statale, finalita’ che pero’ potrebbe essere piu’ correttamente realizzata attraverso una riconfigurazione dell’attuale sistema, senza ostacolare l’accesso alla giustizia. Pur vero che l’istanza di distrazione quando formulata va accolta, ma puo’ essere successivamente revocata su richiesta dell’assistito che, allegandone la frode, evidenzi la insussistenza dei presupposti per la distrazione delle spese, come evidenziato da queste stesse Sezioni Unite (sent. n. 16037 del 2010). In questa prospettiva la richiesta di distrazione viene confermata nella sua espressione di un diritto del solo difensore che allo stesso spetta in virtu’ del fatto che egli ha erogato le somme necessarie alle spese e non puo’ pregiudicare i diritti soggettivi del suo assistito non abbiente per la considerazione preliminare che egli e’ privo del potere di disporne, oltre a tacere del fatto che esclusivamente l’ammissione al beneficio garantisce il non abbiente dalla copertura integrale delle spese non soltanto del professionista che lo assiste, ma anche degli altri costi ex articolo 131 Testo Unico cit.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio al medesimo Tribunale di Napoli che si dovra’ nuovamente pronunciare tenendo conto dell’indicato principio di diritto.
Al giudice del rinvio e’ rimessa anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c..
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso;
cassa la decisione impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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