La circostanza attenuante della collaborazione processuale

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|10 marzo 2021| n. 9512.

La circostanza attenuante della collaborazione processuale di cui all’articolo 323-bis del Cp, abbraccia più condotte collaborative, contemplate alternativamente e non cumulativamente, tutte contrassegnate da un progressivo allontanamento dal piano di offesa arrecata con la condotta illecita e tutte incentrate sulla concretezza ed efficacia dell’aiuto. In particolare, per l’aiuto sostanziantesi nell’assicurazione delle prove dei reati occorre che questo dispieghi efficacia in concreto in funzione del conseguimento della prova e non solo del rafforzamento del quadro probatorio acquisito (nella specie, la Corte ha peraltro annullato con rinvio la sentenza di condanna, limitatamente al diniego dell’attenuante de qua, giacché il giudice di merito, nel negarla, aveva motivato solo con riguardo alla condotta collaborativa relativa all’individuazione degli altri responsabili dei reati, ma non anche con riferimento alla concreta efficacia della dichiarazione confessoria al conseguimento della prova nei confronti dei coimputati; omissione rilevante perché lo stesso giudice di merito, nel motivare la condanna, aveva proprio fatto riferimento a tali dichiarazioni per chiarire la portata e la valenza delle accuse).

Sentenza|10 marzo 2021| n. 9512

Data udienza 5 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Corruzione – Beneficio della collaborazione del coimputato – Iniziale atteggiamento di chiusura a fornire elementi per la persecuzione del reato – Beneficio non escluso

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – rel. Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. SILVESTI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/9/2019 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emilia Anna Giordano;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. LOCATELLI Giuseppe che conclude per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, avvocato (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma, in esito a dichiarazione di proscioglimento per intervenuta prescrizione in relazione al reato ascritto al capo 3), con la diminuente del rito abbreviato e riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena inflitta a (OMISSIS) in anni due di reclusione, in relazione a cinque episodi di corruzione (articoli 110, 319 e 321 c.p.), contestatigli ai capi 37), 38), 39), 40) e 42) delle imputazioni. Secondo le conformi decisioni di merito e’ accertato, sulla scorta delle risultanze delle operazioni di intercettazione, delle ammissioni dell’imputato oltre che delle dichiarazioni rese dal suo tecnico di fiducia, (OMISSIS), che aveva prodotto a comprova anche dei file audio, che il ricorrente, dominus delle societa’ (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., aveva corrisposto a diversi funzionari del XIV Municipio del Comune di Roma somme di denaro onde evitare di rilevare abusi commessi nella realizzazione dei lavori di costruzione, ovvero per velocizzare pratiche di interesse e, comunque, per acquisire la disponibilita’ dei funzionari in relazione al disbrigo di pratiche di suo interesse.
2. Con motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., il ricorrente contesta l’inquadramento giuridico dei fatti nella fattispecie di corruzione potendo, invece, ravvisarsi nelle condotte la fattispecie di cui all’articolo 319 quater c.p., comma 2;
2.2. violazione di legge per la mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’articolo 323-bis c.p.. La Corte di merito, in aperta contraddizione con la valorizzazione del contributo dichiarativo del (OMISSIS) ai fini della ricostruzione dei fatti e della responsabilita’ dei coimputati, ha enfatizzato, per escludere l’applicabilita’ della circostanza attenuante della collaborazione, l’iniziale comportamento processuale dell’imputato, che, pero’, solo nella fase iniziale delle indagini aveva negato i fatti, ma che fin dall’interrogatorio del giudice per le indagini preliminari aveva prestato collaborazione effettiva ed efficace per assicurare la prova dei reati e consentire, in modo determinante, il coinvolgimento dei concorrenti rafforzando la loro incriminazione ad esempio con precisazioni, sugli importi corrisposti e sulle modalita’ di pagamento che hanno trovato perfetta corrispondenza nelle imputazioni elevate con il rinvio a giudizio;
2.3. violazione di legge e vizio di motivazione inficiano anche la conclusione della Corte di merito di mancato proscioglimento, per prescrizione, in relazione al reato di cui al capo 37: la data finale dell’addebito (22 ottobre 2013) non trova corrispondenza in alcun atto del procedimento. Viceversa si e’ accertato che in data 21 novembre 2011 era stata depositata presso l’Ufficio Tecnico Comunale la comunicazione di fine lavori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Sono, infondate le deduzioni del ricorrente incentrate sulla qualificazione giuridica del fatto che la difesa chiede di sussumere nella fattispecie di cui all’articolo 319-quater c.p., comma 2, con le intuibili conseguenze sanzionatorie a favore del ricorrente poiche’, in relazione al delitto di induzione indebita, il privato che ha corrisposto utilita’ al pubblico ufficiale, e’ punito con la reclusione fino a tre anni.
2. (OMISSIS), nella qualita’ di dominus delle societa’ (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. che avevano in corso lavori edilizi in vari immobili, e’ stato ritenuto responsabile di plurime condotte di corruzione oggetto di contestazione ai capi 37), 38), 39), 40) e 42).
In particolare, si e’ ritenuto accertato, con riferimento al reato di cui al capo 37) (reato commesso in (OMISSIS)) che il ricorrente aveva corrisposto al funzionario dell’Unita’ Operativa Tecnica del Comune di Roma, (OMISSIS), la complessiva somma di Euro 13.500,00, corrispondente al pagamento di millecinquecento Euro a pezzo, per non rilevare le irregolarita’ nella esecuzione dei lavori, irregolarita’ che avevano reso possibile il cambio di destinazione d’uso, da cantina o locale deposito ed altro, in cucina delle unita’ immobiliari; in relazione al reato di cui al capo 38), con condotta del 17 aprile 2015, si e’ ritenuto accertato che il ricorrente aveva corrisposto al funzionario (OMISSIS) l’importo di Euro millecinquecento perche’ questi “si ponesse” a disposizione dell’imprenditore, omettendo di effettuare controlli e rilevare abusi realizzati nei lavori di costruzione di alcuni immobili in via (OMISSIS); analoghe ragioni, ma mascherando la consegna con il pagamento di lavori mai eseguiti dell’impresa di pulizia (OMISSIS) appartenente al figlio del funzionario (OMISSIS), avevano contrassegnato il rapporto intrattenuto con il predetto (OMISSIS) che si metteva a disposizione dell’imprenditore evitando controlli ed omettendo di rilevare abusi edilizi realizzati nel cantiere di via (OMISSIS) e comunque, per garantire la rapida trattazione delle pratiche di interesse del (OMISSIS) (si tratta del reato ascrittogli al capo 39), condotta accertata il (OMISSIS), data dell’incasso dell’assegno, dell’importo di Euro 14.040,00); al fine di conseguire il rilascio di una variante relativa ai lavori di via (OMISSIS), il (OMISSIS) aveva corrisposto, nei mesi di marzo/aprile 2013, la somma di tremila Euro (su inziale richiesta di Euro cinquemila) al funzionario (OMISSIS) (si tratta del reato ascrittogli al capo 40); infine, tra la fine del 2011 e il 30 giugno 2012, l’imputato aveva corrisposto la somma di millecinquecento Euro al funzionario (OMISSIS) per “agevolare” il rilascio dei permessi di allaccio alla rete fognaria nei cantieri di suo interesse dell’imputato.
2.Sulla scorta della ricostruzione effettuata dall’imputato e da altri imprenditori imputati nel medesimo procedimento che delineavano la esistenza di un vero e proprio “sistema” di tangenti imposte dai funzionari del XIV Municipio del Comune di Roma, la difesa ha sostenuto che e’ erronea la qualificazione giuridica dei fatti nella fattispecie di corruzione dovendo, invece, inquadrarsi le condotte nel reato di induzione indebita di cui all’articolo 319-quater c.p., comma 2.
La differenza strutturale fra i due illeciti risiede, osserva il ricorrente, nella posizione di soggezione psicologica dell’extraneus nei confronti dell’agente pubblico, soggezione che, nella vicenda in esame e’ conclamata da precisi indici fattuali che la Corte ha omesso di rilevare concentrando la propria attenzione sul contenuto delle conversazioni intercettate, che non rendono percepibile alcuna posizione di timore del privato che tende ad assicurarsi vantaggi illeciti operando sul piano di parita’ con i funzionari e diventando parte del sistema.
Al contrario, precisi elementi probatori, rivenienti dalle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) e dagli imprenditori escussi nel corso del procedimento, depongono nel senso che i pubblici funzionari svolgevano un ruolo di primazia e di iniziativa nella richiesta di tangente che incideva sulla volonta’ del (OMISSIS) coartandola ovvero convincendolo, attraverso persuasioni, suggestioni e allusioni, alla dazione.
E’ accertato, per come si rileva dalle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), che le illecite ed indebite richieste dei funzionari comunali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano innescato il pagamento e, attraverso le dichiarazioni rese da imprenditori e tecnici di altre imprese – in particolare (OMISSIS) e (OMISSIS) – e’ stato accertato, altresi’, che i funzionari avevano creato un vero e proprio sistema che prevedeva una struttura verticale con all’apice il funzionario incaricato di specifici cantieri che, magari dopo un periodo in cui aveva creato un rapporto fiduciario con gli imprenditori, richiedeva direttamente o attraverso i tecnici il pagamento delle somme illecite.
Erronee, secondo tale prospettiva, sono le argomentazioni con le quali la Corte di merito ha disatteso i rilievi della difesa sul punto ovvero che gli imprenditori erano consapevoli della esistenza di problematiche edilizie, per mancato rispetto delle relative normative, dei lavori in corso nei vari cantieri e che avevano interesse a superare gli intoppi: argomenti – questi secondo il ricorso, inconferenti, ai fini del corretto inquadramento giuridico dei fatti, dal momento che la situazione di illiceita’ dell’interesse perseguito accomuna sia la fattispecie di corruzione che quella di induzione indebita la cui differenza va, invece, ricercata nella influenza esercitata dal funzionario sul privato per determinarlo alla illecita transazione.
3. Per contro, la Corte di appello ha ritenuto che le deduzioni difensive non tengono in conto la circostanza che si era in presenza di una condizione ambientale accettata, per tornaconto, da coloro che entravano in contatto con i pubblici funzionari cio’ desumendosi dalle stesse affermazioni dei privati escussi, fra i quali (OMISSIS).
Emblematico – nella ricostruzione della Corte di appello – il contenuto di una conversazione, intercettata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nel corso della quale (OMISSIS) spiegava al (OMISSIS), che gli chiedeva consiglio sulla somma da corrispondere, “io gli do cinque per ogni cantiere”, conversazione significativa di un sistema diffuso ove i corruttori, a loro volta, ricevevano un indebito vantaggio costituito dalla convenienza di corrispondere sistematicamente cifre anche modeste allo scopo di porre i propri cantieri, e, comunque, la propria attivita’, che presentava irregolarita’, al riparo da controlli amministrativi che potevano sfociare in un maggiormente costoso fermo di attivita’ e, comunque, nella necessita’ di velocizzare le pratiche che li riguardavano in violazione del dovere di imparzialita’ del funzionario.
4. Il tema posto dal ricorso attiene alla individuazione dell’esatto confine tra l’articolo 319-quater c.p. e le incriminazioni riguardanti le forme corruttive nelle quali, in qualche misura, anche la fattispecie di indebita induzione e’ stata ritenuta attratta in ragione della punibilita’ del privato indotto, prevista dall’articolo 319-quater c.p., comma 2. Non sfugge che gia’ nella visione del legislatore storico l’induzione indebita rappresenta, nel mini-sistema di incriminazioni, l’ipotesi intermedia tra la concussione, in cui l’extraneus resta vittima dell’altrui prevaricazione, e la corruzione, connotata da una relazione pienamente paritaria tra le parti (par condicio contractualis), con le connesse difficolta’ di ritagliare la situazione soggettiva del privato avuto riguardo, ad esempio, alla natura discrezionale/vincolata dell’attivita’ amministrativa, alla sua natura, ampliativa o riduttiva della sfera giuridica dei destinatari ma anche alle varie modalita’ e tecniche di condizionamento psichico esercitabili dal pubblico funzionario ed al bagaglio di interessi del privato coinvolto nella concreta vicenda. I reati di cui all’articolo 319-quater c.p., peraltro, risultano di controversa ricostruzione sul piano dottrinario e giurisprudenziale poiche’ si discute se ci si trovi in presenza di reato bilaterale (Sez. 6, Sentenza n. 11792 del 11/02/2013, Castelluzzo, Rv. 254437) ovvero di condotte, quella del soggetto pubblico che induce e del privato indotto, che si perfezionano autonomamente ed in tempi, almeno idealmente, diversi (Sez. 6, Sentenza n. 17285 del 11/01/2013, Vaccaro, Rv. 254620).
4.1. L’inquadramento sistematico dei caratteri differenziali tra il delitto di induzione indebita di cui all’articolo 319-quater c.p. e i reati di corruzione sviluppato con il ricorso puo’ dirsi, in via di prima approssimazione corretto, ma le risultanze di prova, efficacemente sintetizzate nella sentenza impugnata non solo con riferimento al contenuto delle conversazioni intercettate ma anche alle dichiarazioni rese dall’imputato e dagli altri imprenditori escussi, non convalidano l’ipotesi ricostruttiva sollecitata dalla difesa, che, a bene vedere, appare incentrata, al fine di individuare i criteri distintivi della fattispecie di corruzione (contestata all’imputato) da quella della indebita induzione – che secondo il difensore andrebbe ritenuta – sul carattere assorbente della iniziativa della richiesta.
E’ vero, inoltre, che le iniziative dei pubblici ufficiali – riferite dal (OMISSIS) e dagli altri imprenditori imputati – si inquadrano, secondo la corretta ricostruzione della difesa, su un piano di rapporti tra i pubblici ufficiali e le parti private naturalmente asimmetrici, in cui i privati si trovano in una posizione di generica soggezione che puo’ renderli facile preda di un pubblico funzionario tanto piu’ quanto piu’ quest’ultimo, forte della posizione di preminenza, sia scaltro ed avvezzo ad esercitare la prassi del detto e non detto, soprattutto, quando si sia in presenza non di una condotta del singolo pubblico funzionario addetto ad un settore dell’amministrazione ma di una prassi generalizzata dell’ufficio pubblico e nel caso attestata dal numero di funzionari del XIV Municipio del Comune di Roma coinvolti nelle vicende corruttive e conclamate dalle numerose imputazioni che riguardano ciascuno dei funzionari: efficacemente il difensore ha inquadrato la condotta dei pubblici ufficiali come un vero e proprio sistema. Sul piano sociologico ed empirico, tuttavia, la sistematicita’ del mercimonio, non e’ univocamente riconducibile alla prassi della concussione/induzione ambientale – sottintesa dalla difesa – ma e’ condivisa dal fenomeno della corruzione che, nella realta’, si connota come un illecito altrettanto sistemico.
5.Le affermazioni della difesa e le conclusioni alle quali e’ pervenuta la Corte di merito necessitano, dunque, di alcune precisazioni concettuali e sistematiche.
5.1. A cominciare dalla sentenza delle Sezioni Unite “Maldera” – che si e’ occupata della prima definizione del nuovo assetto della riforma dei delitti di concussione e corruzione realizzata con la L. n. 190 del 6 novembre 2012- al fine di distinguere il reato di induzione indebita a dare o promettere di cui all’articolo 319-quater c.p. da quello di corruzione, il criterio guida e’ stato individuato non gia’ con riferimento al profilo dell’iniziativa della richiesta, quanto, piuttosto, sulla scorta del dato testuale dell’articolo 319-quater c.p., in quello della prevaricazione abusiva dell’agente pubblico sul privato.
Chiaro e’ il principio di diritto enunciato dalla sentenza Maldera che recita: “il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro assolutamente libero e consapevole delle volonta’ delle parti” (Sez. U, n. 1228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258474).
In linea con questa affermazione la giurisprudenza ha valorizzato, quale requisito e criterio distintivo del reato di induzione indebita, la posizione di preminenza in concreto esercitata dal pubblico ufficiale – la condotta prevaricatrice del funzionario pubblico – cui consegue una condizione di soggezione psicologica del privato (cfr. Sez. 6, n. 52321 del 13/10/2016, Beccaro Migliorati, Rv. 268520; Sez. 6, n. 50065 del 22/09/2015, De Napoli, Rv. 265750). E, nel tentativo di individuare con la maggiore precisione possibile il criterio differenziale nei casi di confine con riguardo alla relazione intersoggettiva intercorrente con l’agente del reato e lo spazio di decisione lasciato all’extraneus, si e’ affermato che la prevaricazione abusiva del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio e’ mezzo imprescindibile dell’induzione per conseguire l’evento della dazione o della promessa dell’indebito e, dunque, connotato indispensabile per la configurabilita’ del delitto di cui all’articolo 319-quater c.p. (Sez. 3, Sentenza n. 29321 del 14/07/2020, P., Rv.), caratteristiche, queste, del tutto diverse dall’incontro assolutamente libero e consapevole delle volonta’ delle parti che caratterizzano i delitti di corruzione.
E’ condivisibile l’affermazione secondo cui e’ l’abuso l’elemento differenziale tra le fattispecie di corruzione e quella di induzione indebita, abuso che puo’ realizzarsi o mediante l’abuso dei poteri, consistente nella prospettazione dell’esercizio delle proprie potesta’ funzionali per scopi diversi da quelli leciti, ovvero mediante l’abuso della qualita’, consistente nella strumentalizzazione della posizione rivestita all’interno della pubblica amministrazione (Sez. 6, Sentenza n. 7971 del 06/02/2020, Gatti, Rv. 278353).
Puo’, dunque, affermarsi che sono chiare ed univoche le coordinate tracciate dalla giurisprudenza per individuare gli elementi strutturali tipici del delitto di induzione indebita di cui all’articolo 319-quater c.p. rispetto alle fattispecie di corruzione e che, all’interno di tali coordinate, non assume un ruolo dirimente quello della provenienza, dal pubblico ufficiale, della richiesta che innesca il processo volitivo dell’extraneus bensi’ quello della condotta di abuso del pubblico ufficiale che si esprime nella costrizione o nell’induzione. L’evoluzione della giurisprudenza – che muoveva dal criterio distintivo tra il vecchio reato di concussione di cui all’articolo 317 c.p. e le previsioni recate dagli articoli 318 e 319 c.p. concentrando l’attenzione dell’interprete sull’iniziativa da parte del pubblico agente per conseguire il vantaggio illecito nelle ipotesi concussione, e in quella del privato nel caso di corruzione – ha ormai accantonato definitivamente tale criterio. L’iniziativa della richiesta, peraltro, costituisce (puo’ costituire) indice sintomatico della condotta di cui all’articolo 319-quater c.p. ma e’ solo l’abuso, quale modalita’ di realizzazione della condotta, che incentra in se’ la condotta tipica del reato.
Pacifico e’ altresi’ il principio che l’abuso della qualita’ o dei poteri non e’ neppure integrato da mere situazioni di pressione ambientale ove non sia accompagnato da atti di costrizione o induzione: si tratta di un’affermazione anch’essa risalente perche’, gia’ a partire dagli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della riforma recata dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, la giurisprudenza aveva precisato che non integra la fattispecie di concussione ex articolo 317 c.p. o di induzione ex articolo 319-quater c.p. la condotta di semplice richiesta di denaro o altre utilita’ da parte del pubblico ufficiale in presenza di situazioni di mera pressione ambientale, non accompagnata da atti di costrizione o di induzione (Sez. 6, Sentenza n. 11946 del 25/02/2013, Cappelli, Rv. 255323).
Con maggiore chiarezza, per enuclearne la differenza rispetto alle condotte prossime di istigazione alla corruzione (articolo 322 c.p., commi 3 e 4) e corruzione, la giurisprudenza ha affermato che la sollecitazione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio rivolta al privato a dare o promettere denaro o altra utilita’, pure se espressa con la prospettazione di evitare un pregiudizio derivante dall’applicazione della legge, mediante un atto contrario ai doveri di ufficio integra, nel caso sia rifiutata, il delitto di istigazione alla corruzione punito dall’articolo 322 c.p., o, se accolta, quello di corruzione punito dall’articolo 319 c.p.; la medesima sollecitazione integra, invece, il delitto induzione, punito dall’articolo 319 quater c.p., quando sia preceduta o accompagnata da uno o piu’ atti che costituiscono estrinsecazione del concreto abuso della qualita’ o del potere dell’agente pubblico (Sez. 6, Sentenza n. 16154 del 11/01/2013, Pierri, Rv. 254540). Si tratta di un principio ribadito in tempi recentissimi spiegando come, nell’intento di coprire tutta la vasta gamma di comportamenti umani attraverso i quali si articolano le relazioni interpersonali, la condotta di sollecitazione di cui al reato di istigazione alla corruzione, si distingue sia da quella di costrizione, cui fa riferimento il novellato l’articolo 317 c.p., che da quella di induzione, caratterizzante la nuova ipotesi delittuosa di cui all’articolo 319-quater c.p., in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente al privato senza esercitare pressioni, risolvendosi nella prospettazione di un mero scambio di “favori”, connotato dall’assenza di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta (Sez. 6, Sentenza n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555) e, ancora che il tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilita’ si differenzia dall’istigazione alla corruzione attiva di cui all’articolo 322 c.p., commi 3 e 4, per la diversa natura del rapporto tra le parti, in quanto, nel primo caso, il pubblico agente, abusando della sua qualita’ o dei suoi poteri, pone potenzialmente il privato in uno stato di soggezione mediante una richiesta perentoria, mentre, nel secondo caso, gli rivolge la sollecitazione ad un mero scambio di favori, senza estrinsecazione di alcuna condotta intimidatoria (Sez. 6, Sentenza n. 3750 del 21/10/2020, dep. 2021, Terracciano).
La descritta operazione ermeneutica – emblematica, sul piano del linguaggio, proprio quella di cui all’articolo 322 c.p., commi 3 e 4 che evoca con il termine sollecitare una richiesta di stimolo ed incentivo molto vicina alla condotta di induzione comunemente intesa, che richiama alla mente una condotta di persuasione, suggestione, allusioneconferma, nel delineare la differenza strutturale tra il delitto di cui all’articolo 319-quater c.p. e le fattispecie corruttive – conferma, nel delineare la differenza strutturale tra il delitto di cui all’articolo 319-quater c.p. e le fattispecie corruttive, la conclusione che la differenza tra le fattispecie poggia sul diverso atteggiarsi del rapporto tra l’agente qualificato e il privato che, nelle fattispecie corruttive, vede le parti contrapposte in posizione di sostanziale equilibrio e l’agire dell’intraneus si risolve nella sollecitazione ad un mero scambio di favori, senza estrinsecazione di condotte intimidatorie, implicite o esplicite mentre nel delitto di cui all’articolo 319-quater c.p. l’agente qualificato pone in essere una pressione nei confronti del privato abusando della propria qualita’ e dei propri poteri, senza che tale pressione si risolva in una coazione irresistibile.
5.2. La sentenza Maldera aveva profuso un ulteriore sforzo interpretativo nella ricostruzione del rapporto tra concussione e induzione indebita non solo con riferimento alla individuazione della condotta costrittiva e induttiva (aspetto, questo, che qui non rileva) ma, specularmente, sulla incidenza della condotta costrittiva ed induttiva del pubblico funzionario sulla liberta’ di autodeterminazione del privato, la cui condotta e’ sanzionata penalmente dall’articolo 319-quater c.p. in ragione della sua scelta di aderire alla richiesta del pubblico funzionario per conseguire un tornaconto personale (cfr. sentenza cit. pag. 36). Mentre dalla condotta costrittiva e dalla minaccia esplicita o implicita di un danno contra ius che caratterizza il delitto di concussione deriva una grave limitazione della liberta’ di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per se’, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilita’ indebita, nel delitto di induzione indebita e’ proprio il vantaggio indebito – al pari della minaccia tipizzante la concussione- ad assurgere al rango di criterio di essenza della fattispecie induttiva giustificando (alla luce del principio di colpevolezza) la punibilita’ dell’indotto. La sentenza indicata prosegue invitando l’interprete ad una particolare attenzione ricostruttiva dei criteri distintivi del danno antigiuridico e del vantaggio indebito da utilizzare, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati piu’ qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta nella quale si e’ in presenza, il piu’ delle volte, di un intreccio e viluppo di interessi in cui la linea di demarcazione tra danno antigiuridico e vantaggio indebito si assottiglia ed appare sfumata.
Vero e’, dunque, che il vantaggio indebito del privato, che costituisce l’elemento tipizzante del delitto di induzione indebita operando sul piano della individuazione della fattispecie incriminatrice, rappresenta anche la finalita’ avuta di mira dal privato nel delitto di corruzione di cui all’articolo 319 c.p. – come ha osservato la difesa – ma il precipitato logico che si trae dalla ricostruzione dei criteri differenziali fra il delitto di cui all’articolo 319-quater c.p. e le fattispecie corruttive poggia, sul piano sistematico, sulla differenza strutturale tra le fattispecie incriminatrici poiche’ nel delitto di corruzione difetta l’abuso della funzione o dei poteri pubblici che, come si e’ anticipato, nel delitto di induzione indebita di cui all’articolo 319-quater c.p. costituisce l’innesco del processo volitivo del privato. E’ solo in quest’ultima fattispecie, rispetto a quella di corruzione, che all’abuso di potere o qualita’ corrisponde uno stato di soggezione psicologica e che l’abuso svolge il ruolo di strumento indefettibile per ottenere, con efficienza causale, la prestazione indebita mentre nel delitto di corruzione l’abuso si atteggia a “connotazione di risultato”. Efficacemente, per spiegare il rapporto tra abuso e induzione si e’ osservato che nel reato di induzione indebita, diversamente dalla corruzione, si ha un duplice nesso di causalita’: a monte, per cosi’ dire, c’e’ un abuso del pubblico ufficiale, che e’ causa dell’induzione indebita; a sua volta l’induzione (intesa nel senso di evento della condotta e non come la condotta stessa) determina la dazione o la promessa (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 50081 del 08/02/2018, Colapinto, Rv. 274810).
Non sfugge che quello dell-induzione” e’ un terreno paludoso, in cui il privato, sia quando persegue un proprio legittimo vantaggio (il pagamento di un credito, per esempio) sia quando vuole evitare rilievi per pregressi comportamenti abusivi o comunque non collimanti con gli impegni assunti con la pubblica amministrazione, mostra un’inclinazione spontaneamente accondiscendente al pubblico funzionario anche perche’ sulla scelta del privato di accettare le proposte induttrici del funzionario pesano, anche senza subire esplicite minacce, ragioni e valutazioni di tipo diverso rispetto a quelle implicate dallo specifico rapporto come la necessita’ di non uscire dal giro, di non aggravare una situazione debitoria pericolosa e via dicendo. Cionondimeno, al di fuori delle fattispecie di concussione, la liberta’ di autodeterminazione del privato non puo’ identificarsi tout court – secondo la lettura proposta dalla difesa- con la posizione di soggezione psicologica dell’extraneus nei confronti dell’agente pubblico, frutto dell’asimmetria di posizioni. A questo riguardo, non e’ destinata all’irrilevanza la illiceita’ dell’interesse perseguito dall’extraneus poiche’, ai fini della qualificazione giuridica del fatto, il substrato amministrativo delle condotte ed il reale riferimento ai beni del buon andamento e dell’imparzialita’ dell’amministrazione non puo’ essere trascurato, incentrando l’attenzione solo sul mercimonio della funzione pubblica e, dunque, spingendo verso una volatilizzazione del contenuto offensivo del reato, tutto esaurito nell’offesa al prestigio o alla dignita’ delle funzioni pubbliche: da qui la rilevanza che tale interesse assume, in presenza di una condotta di abuso di qualita’ o di funzioni dell’agente pubblico, in vista della punibilita’ del privato in relazione al reato di cui all’articolo 319-quater c.p., comma 2, e viceversa, la sua indifferenza ai fini della qualificazione giuridica del fatto come delitto di corruzione quando, muovendosi su un piano di parita’ con il pubblico funzionario, il privato si determini alla dazione o promessa di utilita’.
6.Come anticipato, e’ sul piano della concreta verifica delle evidenze di prova raccolte e della logica ricostruzione che ne ha dato la sentenza impugnata, che la tesi della difesa sulla sussumibilita’ del fatto nella fattispecie di cui all’articolo 319-quater c.p., comma 2, si rivela infondata e che la ricostruzione difensiva, piuttosto che comprovare la esistenza dell’imprescindibile abuso dei pubblici ufficiali e la soggezione del (OMISSIS), conduce, secondo la ragionevole valutazione della Corte di merito, a ritenere accertato che l’imputato si e’ determinato al pagamento per mero calcolo utilitaristico.
La ricostruzione difensiva e’ incentrata, piuttosto che sulla verifica dello stato di soggezione dell’imprenditore in conseguenza di una condotta di abuso dei pubblici funzionari, sull’iniziativa dei funzionari – che in piu’ occasioni avanzavano direttamente la richiesta di pagamento – e risulta generica sulla ricostruzione dell’abuso costrittivo e, quindi, della prevaricazione subita dall’imprenditore ricondotte ad una forma di induzione e correlativa soggezione ambientale. Riferiva il (OMISSIS), a spiegazione dei pagamenti “toccava pagare dei tecnici per far si’ che i lavori andassero avanti…sei malvisto da tutto il resto il dipartimento, non ti presentare con un progetto” e il (OMISSIS): “vengono e se vogliono romperti le scatole, insomma e…si tratto’ di un sistema che, cioe’, il costruttore e’ stato visto da ste persone come da spolpare. Cioe’, veramente, a un certo punto non se ne poteva piu’…”e, ancora, il (OMISSIS) “e’ un sistema vengono in cantiere generalmente con un’arma, cioe’ il codice…e appena trovano qualsiasi cosa ci possono fare dei verbali che ci metterebbero in ginocchio…facevano allusioni…qualcuno chiedeva esplicitamente i soldi”. Si tratta di riferimenti vaghi ed indifferenti ai fini della selezione della condotta del pubblico funzionari, sulla quale ricostruire poi quella dell’indotto, come abuso induttivo perche’ caratterizzato dalla persuasivita’, dalla suggestione, dall’allusione all’esercizio di poteri idonei a coartare e orientare la volonta’ del destinatario.
In punto di fatto, la sentenza di merito, per ciascuna delle imputazioni, ha chiarito come nessuna prevaricazione fu posta in essere dai funzionari, mostratisi pronti ad accettare i pagamenti secondo uno collaudato sistema, che caratterizza l’asservimento dell’esercizio dei pubblici poteri a vantaggio del privato in relazione alla corruzione e non solo allo schema, evocato dal ricorrente, della concussione ovvero della induzione cd. ambientale.
L’operazione ricostruttiva della sentenza impugnata si e’ avvalsa non solo del contenuto delle intercettazioni – che ben rivelano la familiarita’ tra gli interlocutori – ma dello stesso contributo dichiarativo proveniente dagli imprenditori e dai tecnici che hanno descritto il sistema e la prassi dei pagamenti corrisposti che, tranquillamente, imprenditori e tecnici privati si comunicavano tra loro a conforto della permeabilita’ alle dazioni dei funzionari dell’Unita’ Operativa Tecnica del XIV Municipio del Comune di Roma, ma, soprattutto, il contenuto delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e dallo stesso (OMISSIS) con riferimento al momento genetico del rapporto intercorso con il singolo funzionario, contenuto dal quale non emerge alcuna forma di induzione ma una situazione accettata per ragioni tornaconto dall’imprenditore per coprire le irregolarita’ dei cantieri e metterli al riparto dai controlli amministrativi.
Cosi’, con riguardo ai reati di cui ai capi 37) e 38), la Corte di merito ha ricordato che (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano riferito del pagamento in favore dei funzionari (OMISSIS) e (OMISSIS) affinche’ i funzionari non rilevassero le irregolarita’ edilizie – in poche parole lavori che avevano reso abitabili le cantine – nei cantieri di via Monesiglio e di via Quarona, difformita’ che furono rilevate, per iniziativa dei vigili, solo dopo la fine dei lavori.
Con riferimento al capo 39) la Corte ha riportato le dichiarazioni del (OMISSIS) che aveva ricostruito il rapporto con il funzionario (OMISSIS) facendo riferimento ad una simulazione, una regalia (si tratta del pagamento per lavori di pulizia mai effettuati in favore del figlio del (OMISSIS)) conseguente ad un “accordo intercorso” affinche’ il (OMISSIS) omettesse di effettuare controlli che avrebbero rivelato lavori abusivi realizzati nel cantiere di via (OMISSIS) in Roma.
Con riferimento al capo 40), il (OMISSIS), sempre per i lavori di via (OMISSIS), aveva corrisposto una tangente al funzionario (OMISSIS) per “velocizzare” una pratica relativa alla variante dei lavori; infine – reato di cui al capo 42- attraverso le dichiarazioni e’ stata ricostruita la corresponsione di una tangente al funzionario responsabile dell’ufficio reti fognarie per agevolare il rilascio dei permessi di allaccio alle reti fognarie per gli immobili dei cantieri di via Quarona e via (OMISSIS).
Non si presta, dunque, a censure la conclusione della Corte di merito che, pur dando atto che in piu’ occasioni – lo riferiscono sia (OMISSIS) che (OMISSIS) – la richiesta veniva avanzata dai funzionari ha ritenuto accertato che le richieste venivano accettate non per un abuso induttivo, per prevaricazione o intimidazione ma per mera convenienza dovendo il (OMISSIS) – in presenza degli abusi edilizi realizzati nei cantieri – assicurarsi la “protezione” dei funzionari.
7. Nessuno dei reati contestati e’ prescritto avuto riguardo alla data di contestazione. Rileva il Collegio che nell’anno 2013 le operazioni di intercettazione in corso portavano ad acclarare, per taluni degli episodi, i persistenti contatti dell’imputato con i funzionari interessati e, sulla base delle dichiarazioni del (OMISSIS), la esistenza dei pagamenti pregressi, in particolare, con riferimento a quelli effettuati in favore dell’ (OMISSIS) in relazione al reato di cui al capo 37). Sono generici i rilievi della difesa, sull’epoca in cui sarebbero stati corrisposti i pagamenti al funzionario (OMISSIS), pagamenti che, viceversa, trovano attualizzazione rispetto all’epoca delle intercettazioni e delle iniziative intraprese per regolarizzare le difformita’ non rilevate dal funzionario essendo del tutto indifferente la data – meramente formale- di chiusura dei lavori indicata dalla difesa.
8. E’ fondato il motivo di ricorso relativo alla mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’articolo 323-bis c.p. introdotta dalla L. 27 maggio 2015, n. 69, articolo 1, comma 1, lettera i) n. 1 che prevede una diminuzione di pena per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove dei reati, introduzione che e’ di pochi giorni successiva alle dichiarazioni rese dall’imputato, nella fase delle indagini preliminari prima al pubblico ministero e poi al giudice.
Si tratta di una circostanza attenuante ad effetto speciale che persegue una politica criminale finalizzata, attraverso meccanismi premiali, a spezzare la catena di solidarieta’ che lega i protagonisti del patto corruttivo.
L’attenuante della collaborazione processuale e’ modellata secondo la tecnica della legislazione di emergenza che ha caratterizzato le previsioni premiali in materia di reati di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (Decreto Legge n. 625 del 1979, articolo 4), di delitti di tipo mafioso (Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 8), di traffico di sostanze stupefacenti e di associazione costituita allo scopo di tale traffico (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7). Le ipotesi di attenuante (contemplate alternativamente e non cumulativamente) abbracciano piu’ condotte, tutte contrassegnate da un progressivo allontanamento dal piano di offesa arrecata con la condotta illecita e, per quella di interesse, il contenuto appare incentrato sulla concretezza ed efficacia nell’aiuto alle autorita’ nella raccolta e/o conservazione delle prove.
L’assenza di altre specificazioni da parte del legislatore delle modalita’ di attuazione dell'”aiuto” rivela la volonta’ di ricomprendere nell’ambito della norma qualsiasi tipo di ausilio che serva oggettivamente a contrastare il raggiungimento delle finalita’ perseguite dai responsabili. Certo, con riguardo all’assicurazione delle prove non e’ specificato quale tipo di assicurazione sia richiesta.
La giurisprudenza, nell’esame della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7 – che sul piano semantico e’ la piu’ vicina alla formula impiegata dall’articolo 323-bis c.p. – ha precisato che il “ravvedimento operoso” puo’ trovare applicazione anche quando la collaborazione sia prestata successivamente alla condanna di primo grado (Sez. 4, sentenza n. 40749 del 12/7/2017, Bracale, Rv. 270771) e, con maggiore precisione, anche con riguardo a contributi collaborativi successivi alle indagini preliminari e relativi alla fase della formazione della prova, sempre che idonei ad interrompere il protrarsi del reato o a far scoprire l’identita’ dei complici (Sez. 6, Sentenza n. 34402 del 17/05/2007, Comparini, Rv. 238109).
Imprescindibile, sulla scorta di tali precedenti, e’ che la circostanza dispieghi efficacia in concreto in funzione del conseguimento della prova e non solo del rafforzamento del quadro probatorio gia’ acquisito.
La Corte di merito – nel disattendere la richiesta di applicazione della circostanza – ha evidenziato che le indagini avevano condotto, fin dall’8 marzo 2013, alla identificazione dei funzionari, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) (e dei riscontri da questi offerti). Il ricorrente aveva, invece, negato i fatti ammessi solo con le dichiarazioni del 15 aprile 2015, precedute da quelle di analogo tenore, rese al pubblico ministero il 12 febbraio 2015. L’applicabilita’ della circostanza attenuante in parola e’ stata, all’evidenza, esplorata dalla Corte distrettuale solo con riguardo ad una delle condotte collaborative (quella cioe’ di individuare gli altri responsabili dei reati) ma non anche con riferimento alla concreta efficacia della dichiarazione confessoria al conseguimento della prova nei confronti dei coimputati, omissione viepiu’ rilevante – ai fini della corretta interpretazione della disposizione in esame- ove si rifletta che sia il giudice di primo grado che la Corte di appello hanno fatto ampio riferimento alle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) anche per chiarire la portata delle accuse e la esistenza di difformita’ e disallineamenti tra le fonti dichiarative e le risultanze delle intercettazioni.
La sentenza va pertanto annullata per verificare, nel quadro dei delineati principi, la concreta incidenza, sul piano della raccolta della prova, delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) e che tali dichiarazioni si siano risolte in un aiuto sostanziale, determinante e decisivo, sul piano processuale.
8. Consegue al rigetto del ricorso in punto di responsabilita’ la irrevocabilita’ della sentenza in relazione ai reati contestati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’attenuante di cui all’articolo 323-bis c.p. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso. Visto l’articolo 624 c.p.p. dichiara irrevocabile la sentenza in relazione alla responsabilita’ di (OMISSIS) per i reati contestati.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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