E’ configurabile il delitto di violenza privata

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|10 marzo 2021| n. 9573.

E’ configurabile il delitto di violenza privata nel caso di minaccia indiretta o mediata, rivolta a persona diversa dalla vittima, ad essa legata da vincoli di parentela o di affetto, quando vi sia certezza che l’intimidazione giunga a sua conoscenza. (Fattispecie relativa alla minaccia rivolta dall’imputato alla ex moglie e volta a costringere il compagno di questa a ritirare una denuncia).

Sentenza|10 marzo 2021| n. 9573

Data udienza 1 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Atti persecutori – Minaccia – Tentata violenza privata – Integrazione del reato anche in caso di molestia o minaccia a persona convivente – Molestia ex art. 660 cp – Dichiarazione della persona offesa – Inapplicabilità dell’art. 192 comma 3 cpp

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PUZZULLO Rosa – Presidente

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/02/2019 della Corte di Appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RICCARDI GIUSEPPE;
lette le richieste scritte ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Lori Perla, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’;
lette le richieste del difensore della parte civile, Avv. (OMISSIS), che ha depositato conclusioni chiedendo l’inammissibilita’;
lette le richieste del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 15/02/2019 la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Asti del 18/10/2016, ha confermato l’affermazione di responsabilita’ nei confronti di (OMISSIS), riqualificando il fatto, contestato al capo A) come violazione dell’articolo 612 bis c.p., nei reati di cui all’articolo 81 cpv. c.p., articolo 612 c.p., comma 2, e articolo 660 c.p., e confermando la condanna per il reato di tentata violenza privata (capo B); ha rideterminato la pena inflittagli nella misura di mesi 7 di reclusione e l’importo stabilito a titolo di risarcimento del danno in Euro 3.000.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di minaccia grave: lamenta l’assenza di elementi certi per l’affermazione di responsabilita’, e deduce che la minaccia deve essere idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo; nella fattispecie, non ricorrerebbero i presupposti, in quanto (OMISSIS) non ha nutrito alcuna preoccupazione o timore. Mancherebbe altresi’ il requisito della gravita’.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di molestie di cui all’articolo 660 c.p., in quanto (OMISSIS) rispondeva alle minacce di (OMISSIS), e vi era stato uno scambio reciproco di messaggi.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di tentata violenza privata di cui al capo B: lamenta che le frasi siano state rivolte a (OMISSIS), e non al (OMISSIS), e fossero prive di valenza minatoria.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilita’ del (OMISSIS), costituitosi parte civile, e portatore di astio nei confronti del (OMISSIS), in considerazione della relazione sentimentale con la ex moglie di quest’ultimo.
2.5. Con il quinto e il sesto motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 546 c.p.p., alla sussistenza dei presupposti per affermare la responsabilita’ dell’imputato “oltre ogni ragionevole dubbio”.
2.6. Violazione di legge in relazione all’omessa declaratoria della prescrizione del reato di cui all’articolo 660 c.p..
2.7. Violazione di legge in relazione alla eccessivita’ della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile, perche’ propone doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realta’, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita’, sulla base di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., sono in realta’ dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla attendibilita’ della persona offesa, alla ricostruzione dei fatti e alla stessa rilevanza penale delle condotte.
Il controllo di legittimita’, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia’ il rapporto tra prova e decisione; sicche’ il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia’ nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e’ estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione e’ giudice della motivazione, non gia’ della decisione, ed esclusa l’ammissibilita’ di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicita’ (tantomeno manifeste) e di contraddittorieta’.
2. Le censure proposte sono, altresi’, manifestamente infondate, oltre che del tutto generiche, per l’assenza di un concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata.
2.1. Giova premettere che la sentenza impugnata ha esaminato attentamente le censure difensive in merito alla posizione del (OMISSIS), “derubricando” il reato di atti persecutori nelle fattispecie di minaccia e molestie, contestualizzate nel rapporto intercorso e intercorrente tra le parti (persone offese nel processo sono la moglie separata dell’imputato e il suo nuovo compagno, con il quale, per quanto emerso, intratteneva gia’ una relazione).
In particolare, e’ stato accertato che (OMISSIS) ha iniziato a fare appostamenti ed a rivolgere minacce, soprattutto mediante telefonate, nei confronti di (OMISSIS), con cui la ex moglie aveva iniziato ad intrattenere un rapporto sentimentale; inoltre, in una occasione, ha proferito una frase minacciosa, alla presenza della ex moglie (OMISSIS), ma riferita al (OMISSIS), affermando di “dargli una settimana di tempo per ritirare la denuncia”.
Ebbene, il reato di atti persecutori e’ stato riqualificato nei reati di minacce e molestie, per l’assenza di prova in ordine ad uno degli eventi del delitto di cui all’articolo 612 bis c.p..
2.2. Tanto premesso, le censure proposte non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata, che appare attenta alle prospettazioni difensive, e con il materiale probatorio valutato, non limitato alle sole dichiarazioni della parte civile, cosicche’ risultano meramente assertive ed astratte le doglianze in merito al dedotto travisamento della prova, alla violazione dell’articolo 533 c.p.p. e alla dosimetria della pena.
2.3. In particolare, quanto al delitto di cui all’articolo 612 c.p., va rammentato che, ai fini dell’integrazione del reato di minaccia, che e’ un reato di pericolo, non e’ necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla liberta’ morale del soggetto passivo (Sez. 1, n. 44128 del 03/05/2016, Nino, Rv. 268289; Sez. 1, n. 16139 del 10/01/2017, dep. 2018, Belcastro, Rv. 272825).
Le doglianze concernenti la gravita’ sono del tutto assertive e generiche, e non si confrontano con il tenore delle frasi minacciose, che prospettano sempre offese alla incolumita’ personale della persona offesa (`ti spezzo le gambe, ti stacco le orecchie’, ecc.).
2.4. La doglianza concernente il reato di molestie e’ del tutto generica, limitandosi a richiamare il principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non e’ configurabile il reato di molestia o disturbo alle persone previsto dall’articolo 660 c.p., allorche’ vi sia reciprocita’ o ritorsione delle molestie, in quanto in tal caso non ricorre la condotta tipica descritta dalla norma, e cioe’ la sua connotazione “per petulanza o altro biasimevole motivo”, cui e’ subordinata l’illiceita’ penale del fatto (Sez. 1, n. 23262 del 23/02/2016, Candela, Rv. 267221); tuttavia, non risulta, dalla ricostruzione dei fatti accertata dai giudici di merito, una reciprocita’ delle molestie, ma soltanto che il (OMISSIS) rispondeva alle continue minacce e alle telefonate dell’imputato, senza lasciarsi intimidire.
2.5. Con riferimento al reato di tentata violenza privata, non rileva che la frase minacciosa sia stata pronunciata alla presenza della ex moglie (OMISSIS), essendo univocamente finalizzata a costringere (OMISSIS) a ritirare la denuncia gia’ sporta.
Al riguardo, va ribadito che, ai fini dell’integrazione del reato di violenza privata, non occorre necessariamente la presenza del soggetto passivo, ed in particolare non ha rilevanza che la minaccia non sia stata rivolta a lui direttamente, se e’ rivolta invece a persona a questi legata da vincoli di parentela o di affetto, con certezza che giunga a conoscenza di lui, in quanto la potenziale efficacia coercitiva della minaccia indiretta o mediata, di cui abbia avuto notizia il soggetto passivo, non e’ diversa da quella diretta, essendo la coazione anche in tal caso certamente idonea a raggiungere lo scopo che l’agente si era prefisso (in tal senso, Sez. 3, n. 635 del 24/03/1969, Targioni, Rv. 111477).
Il motivo con cui si lamenta l’intervenuta prescrizione del reato e’ manifestamente infondato, in quanto il termine massimo sarebbe decorso il 22/06/2019, successivamente alla sentenza di appello, che e’ stata emessa il 15/02/2019.
L’inammissibilita’ del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266, a proposito della prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).
2.6. La doglianza concernente l’attendibilita’ delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e’ del tutto generica ed astratta, limitandosi a dedurre l’interesse economico sotteso alla costituzione di parte civile, ma non si confronta con il concreto tessuto argomentativo della sentenza impugnata, che ha evidenziato come la piattaforma probatoria sia fondata altresi’ sulle dichiarazioni di (OMISSIS), e di altri testimoni.
Sicche’ la motivazione appare immune da censure di illogicita’, e conforme al consolidato principio secondo cui le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214, che, in motivazione, ha altresi’ precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, puo’ essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S, Rv. 275312: “In tema di testimonianza, le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilita’ penale dell’imputato, previa verifica, piu’ penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, ne’ assistere ogni segmento della narrazione”).
2.7. Il motivo con cui si lamenta l’eccessivita’ della pena e’ del tutto generico, e non si confronta con il principio pacifico secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e’ sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p., con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243); sicche’ e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142).
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00.
La parte civile non ha presentato richiesta di condanna alla rifusione delle spese di costituzione nel grado (Sez. 4, n. 2311 del 05/12/2018, dep. 2019, Grasso, Rv. 274957: “In tema di spese processuali, la parte civile ha diritto ad ottenerne la liquidazione qualora abbia formulato richiesta di condanna della controparte alla rifusione non essendo, viceversa, necessario che abbia presentato apposita nota spese ai sensi dell’articolo 153 disp. att. c.p.p.”).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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