Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 16 maggio 2018, n. 21653.
La massima estrapolata:
In tema di misure cautelari, il Tribunale del riesame, nel valutare la inadeguatezza degli arresti domiciliari rispetto al pericolo di recidivanza deve adeguatamente motivare le ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere tutelate con l’impiego del cosiddetto “braccialetto elettronico” che consente di monitorare continuamente la presenza dell’indagato nel perimetro entro il quale gli e’ consentito di muoversi.
La prescrizione del braccialetto elettronico non configura un nuovo tipo di misura coercitiva, ma la modalita’ di esecuzione degli arresti domiciliari, e per applicarla non vi e’ necessita’ di motivazione.
Sentenza 16 maggio 2018, n. 21653
Data udienza 25 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero – Presidente
Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo M. – rel. Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/05/2017 del TRIB. LIBERTA’ di L’AQUILA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANGELO MATTEO SOCCI;
sentite le conclusioni del PG Dr. GIOVANNI DI LEO: “Inammissibilita’ del ricorso”.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di L’Aquila, sezione riesame, con ordinanza del 29 maggio 2017 ha rigettato l’appello di (OMISSIS) avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Chieti, in data 14 febbraio 2017, con la quale e’ stata confermata la misura della custodia cautelare in carcere applicata al prevenuto, in relazione a reati di detenzione a fini di spaccio e di cessione di sostanze stupefacenti di tipo marijuana e cocaina.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS) deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2. 1. Inosservanza o erronea applicazione delle norme processuali di cui all’articolo 274 c.p.p. e articolo 284 c.p.p., comma 3; mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione.
Il Tribunale del riesame erra nel ritenere tuttora attuali e concrete le esigenze cautelari indicate nel provvedimento originario di applicazione della misura custodiale.
Nell’ordinanza impugnata non viene ritenuta meritevole di pregio giuridico, ai fini dell’eventuale sostituzione della attuale misura cautelare con altra meno afflittivi, la circostanza relativa all’avvenuta dichiarazione di non doversi procedere per bis in idem in ordine al capo D1 dell’imputazione.
Il Tribuanale non ritiene che il predetto rilievo sia idoneo a stemperare la complessiva fattispecie di accusa nei confronti del (OMISSIS) ma, al contrario, conferma il proprio convincimento in ordine al pericolo di reteirazione di reati e al pericolo di fuga da parte di quest’ultimo cosi’ violando i requisiti richiesti dell’attualita’ e della concretezza ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari.
Il collegio giudicante erra altresi’ nel ritenere proporzionata la misura della custodia in carcere in quanto l’unica idonea a fronteggiare le prospettate esigenze cautelari, giacche’ le stesse ben potevano essere soddisfatte attraverso la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 bis c.p.p., in relazione all’accettazione del controllo elettronico da parte del ricorrente.
In ogni caso, l’ordinanza e’ censurabile sotto il profilo della carenza motivazionale.
Il Tribunale del riesame non fornisce alcuna adeguata e logica argomentazione in ordine alla propria scelta di ritenere immutato il quadro cautelare nonostante il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti per cui e’ processo, interamente trascorso dal (OMISSIS) in custodia cautelare in carcere (oltre i due anni), e la carenza di emergenze concrete da cui dedurre l’effettivo pericolo di recidivanza e di fuga.
La carenza di motivazione emerge, altresi’, nella mancata indicazione, nel provvedimento impugnato, delle ragioni per le quali la misura cautelare degli arresti domiciliari, con le procedure di controllo elettronico, non sia stata ritenuta inidonea ad assicurare le emergenze cautelari del caso concreto.
Si chiede l’annullamento dell’ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ inammissibile per genericita’ e per manifesta infondatezza dei motivi; articolato in fatto ripropone le stesse motivazioni del riesame senza motivi specifici di legittimita’ riguardo alla motivazione del provvedimento impugnato.
Relativamente all’avvenuta dichiarazione di non doversi procedere – per ne bis in idem – per il capo D1, l’ordinanza rileva come il capo d’imputazione si riferisce ad episodio singolo non particolarmente rilevante nell’economia del procedimento “che vede in relata’ il prevenuto coinvolto, in posizione preminente, in numerosi e ben piu’ gravi fatti di cessione”.
Con il ricorso si ripropone la questione, senza specifici e concreti motivi, senza confronto con la motivazione del provvedimento impugnato.
4. Il motivo dell’insufficiente motivazione in ordine alla misura degli arresti domiciliari, con il controllo del braccialetto elettronico, alla luce delle recenti modifiche normative (L. n. 47 del 2015), merita alcune notazioni di carattere generale.
La riforma riafferma la funzione di extrema ratio della custodia in carcere inserendo all’articolo 275 c.p.p., comma 3 bis: “Nel disporre la custodia in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 bis, comma 1”; si rafforza l’onere di motivazione gia’ contenuto nell’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera C bis, (a pena di nullita’ rilevabile d’ufficio).
L’onere specifico di motivazione, anche prima della riforma recente era stato chiaramente affermato dalla Cassazione: “In tema di misure cautelari, il Tribunale del riesame, nel valutare la inadeguatezza degli arresti domiciliari rispetto al pericolo di recidivanza deve adeguatamente motivare le ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere tutelate con l’impiego del cosiddetto “braccialetto elettronico” che consente di monitorare continuamente la presenza dell’indagato nel perimetro entro il quale gli e’ consentito di muoversi.” (Sez. 2, n. 52747 del 09/12/2014 – dep. 19/12/2014, Schiavon, Rv. 261718).
La prescrizione del braccialetto elettronico non configura un nuovo tipo di misura coercitiva, ma la modalita’ di esecuzione degli arresti domiciliari, e per applicarla non vi e’ necessita’ di motivazione.
Nel caso in giudizio, il Tribunale del riesame, rileva come ” (OMISSIS) ha dato ampia dimostrazione, nelle vicende che lo hanno visto coinvolto, della abitudine ad utilizzare il proprio domicilio come base dei suoi traffici (si confronti in proposito la concreta fattispecie di cui al capo C3 della rubrica, con specifico riguardo alle trattative intercorse fra il (OMISSIS) e tal (OMISSIS), presso l’abitazione del primo, in ordine all’acquisto di una partita di droga ed al pagamento rateale effettuato dal medesimo (OMISSIS), sempre presso il domicilio del reo, del prezzo di una cessione di droga precedentemente avvenuta)”.
La motivazione contiene, quindi, espressi riferimenti concreti sulla non idoneita’ degli arresti domiciliari, ritenendo che gli stessi non consentono di evitare la reiterazione dei reati per la possibilita’, anche dal domicilio, di reiterare i reati della stessa specie di quelli in accertamento.
Tale motivazione, fondata sul pericolo concreto ed attuale che dal domicilio (e nel domicilio) possano commettersi reati della stessa specie di quelli in accertamento, rende inidonea l’applicazione del braccialetto elettronico, che garantisce esclusivamente l’osservanza da parte dell’indagato della prescrizione di non allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari (vedi Sez. 3, n. 2226 del 01/12/2015 – dep. 20/01/2016, Caredda, Rv. 26579101).
5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’istituto Penitenziario competente, a norma dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
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