Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 maggio 2020, n. 15213.
Massima estrapolata:
Integra il reato di cui all’art. 43 d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accisa sull’àlcole e sulle bevande alcoliche) la perdita della tracciabilità di merci soggette al pagamento di accisa, in quanto tale condotta costituisce svincolo irregolare delle stesse equiparabile all’immissione in consumo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la ravvisata sussistenza della giurisdizione italiana in considerazione del fatto che lo svincolo irregolare delle bevande alcoliche, spedite da un deposito fiscale in Germania e cartolarmente destinate ad un deposito in sospensione in Italia, dove non erano mai pervenute, era derivato dalla perdita di tracciabilità della merce nel territorio italiano, con la conseguente esigibilità del tributo in Italia).
Sentenza 15 maggio 2020, n. 15213
Data udienza 5 dicembre 2019
Tag – parola chiave: Reati di falso – Documenti informatici – Artt. 483 e 491 bis cp – False dichiarazioni, attraverso procedura informatica, dell’ingresso nello Stato di prodotti sottoposti ad accisa – Falsa documentazione elettronica di accompagnamento della perce – Art. 43 D.Lgs 54 del 1995 – Mezzi di ricerca della prova – Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Provvedimento di autorizzazione – Presupposti e forme – Motivazione per relationem – Richiamo alle richieste del pubblico ministero ed alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria – Sufficienza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/2/2019 della Corte d’appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Liberati Giovanni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Corasaniti Giuseppe, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibili i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 febbraio 2019 la Corte d’appello di Trieste, provvedendo sulle impugnazioni proposte dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 11 luglio 2017 del Tribunale di Pordenone, con la quale erano tutti stati condannati alle pene di un anno e sei mesi di reclusione e 50.000,00 Euro di multa, in relazione ai reati di cui all’articolo 81 c.p., comma 2 e articoli 110 e 483 c.p., in relazione all’articolo 491 bis c.p. (per avere, avvalendosi della procedura informatica di dichiarazione delle importazioni di beni sottoposti ad accisa, dichiarato falsamente l’ingresso nel territorio dello Stato di beni sottoposti ad accisa, mai transitati in Italia e destinati a circolare in violazione delle norme sulla accisa in altri paesi; capo B della rubrica) e articolo 81 c.p., comma 2 e articolo 110 c.p. e Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 43 (per avere, mediante le condotte di cui al capo B, sottratto alcol all’accertamento e al pagamento dell’accisa in Italia e in altri paesi, avendo fatto confluire l’intero debito per le forniture di alcol sulla S.r.l. (OMISSIS), economicamente incapiente, cosi’ omettendo il pagamento delle accise in Italia, per complessivi Euro 20.201.323,14; capo C della rubrica), ha assolto (OMISSIS) dai reati contestatigli per non aver commesso il fatto, confermando nel resto la sentenza impugnata e condannando (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali di tale grado di giudizio.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), affidandolo a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo ha eccepito, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la nullita’ della sentenza impugnata a causa della violazione degli articoli 267 e 271 c.p.p., stante la inutilizzabilita’ degli esiti delle intercettazioni di conversazioni telefoniche disposte nel corso delle indagini.
Ha esposto di aver piu’ volte eccepito, sin dal giudizio di primo grado, la inutilizzabilita’ delle conversazioni telefoniche intercettate, a causa della genericita’ dei decreti autorizzativi del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, ma tale eccezione era stata erroneamente disattesa, sia dal Tribunale di Pordenone sia dalla Corte d’appello di Trieste, ritenendo sufficiente la motivazione di tali decreti mediante rinvio alla richiesta del pubblico ministero e agli atti di indagine, benche’ non fosse stato adempiuto l’obbligo di fornire le indicazioni minime in ordine alla necessita’ di tali intercettazioni, in quanto la motivazione era stata redatta su modelli prestampati con un generico richiamo a penna alla richiesta del pubblico ministero e agli di indagine.
Ha, pertanto, insistito per la dichiarazione di inutilizzabilita’ di tali prove e di nullita’ delle sentenze di merito.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) et e), l’errata applicazione del Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 43 e un vizio della motivazione, in riferimento al reato di cui al capo c) della rubrica.
Ha censurato, in particolare, l’adeguatezza della motivazione nella parte relativa alla sussistenza del reato di cui al Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 43, in quanto consistente in un generico e acritico rinvio a quella della sentenza di primo grado, a sua volta fondata esclusivamente sui tre processi verbali di constatazione redatti nei confronti della societa’ (OMISSIS), di cui il ricorrente era l’unico socio e l’amministratore, due dei quali non erano stati impugnati in sede tributaria e il terzo era stato confermato, omettendo del tutto di considerare i rilievi sollevati con l’atto di impugnazione, sia in ordine alla irrilevanza della inoppugnabilita’ dei processi verbali di constatazione, sia in ordine alla erroneita’ della assimilazione tra la messa in commercio dei prodotti sottratti al pagamento delle accise (che costituisce il momento consumativo del reato di cui al Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 43) e la cessazione della tracciabilita’ della merce.
La Corte d’appello, pur dando atto che l’accisa e’ una imposta che grava sul consumatore finale, necessitando, per essere esigibile, che la merce alla quale si riferisce venga immessa in consumo, ne ha ugualmente affermato l’esigibilita’ nel caso in cui la merce sia divenuta non piu’ tracciabile, tra l’altro individuando tale momento con quella della perdita della tracciabilita’ della documentazione elettronica falsa di ricevimento di beni mai giunti a destinazione.
Tale ultima affermazione risultava, pero’, errata, in quanto l’atto con il quale erano state fatte perdere le tracce della merce era costituito dalla spedizione verso altri destinatari e non dalla falsa dichiarazione della sua ricezione, giacche’ l’atto con il quale erano state fatte perdere le tracce della merce era costituito dalla falsa dichiarazione della spedizione in un determinato luogo, nel quale non era mai arrivata, essendo stata spedita altrove, e non nel luogo in cui era stata falsamente spedita, in quanto, ai sensi dell’articolo 6 del Testo Unico sulle Accise la circolazione dei prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo inizia nel momento in cui essi lasciano il deposito fiscale di spedizione, anche se non piu’ accompagnati da un documento cartaceo di spedizione ma elettronico.
Ha, inoltre, contestato, in quanto priva di fondamento normativo, l’assimilazione, ai fini della esigibilita’ dell’accisa, tra immissione in commercio e perdita della tracciabilita’ delle merci, ribadendo che la messa in commercio dei prodotti alcolici era avvenuta in Gran Bretagna, ai danni di tale Stato, e non di quello italiano, laddove doveva dunque considerarsi commesso il reato, con la conseguente improcedibilita’ del reato di cui al capo c), mancando la richiesta del Ministero della Giustizia o l’istanza o la querela della persona offesa, trattandosi di reato comune commesso dal cittadino all’estero.
Ha contestato anche che la condotta di impedire l’accertamento della esistenza della merce (che sarebbe stata realizzata mediante l’emissione di documentazione elettronica di accompagnamento) consenta di ritenere configurabile la sottrazione all’accertamento della accisa, che ricorre quando la merce, esistente, sia stata incrementata o diminuita in maniera illecita o ne siano state alterate le caratteristiche, cosi’ da non consentire il calcolo corretto dell’accisa, che, per quanto concerne gli alcolici, viene effettuato sia sulla base dei quantitativi, sia sulla base della concentrazione alcolica presente nelle bevande.
Neppure potrebbe parlarsi di svincolo irregolare della merce, idoneo a consentire di ritenere configurabile il reato, non essendo mai giunta la merce in Italia, presso il deposito fiscale di Fontanafredda della societa’ amministrata dal ricorrente, in quanto lo svincolo irregolare non coincide con la cessazione della circolazione avvenuta solo sulla carta, bensi’ con la irregolare immissione della merce in consumo.
2.3. Infine, con il terzo motivo, ha lamentato, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), un vizio della motivazione nella parte relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, non essendo state considerate la incensuratezza del ricorrente, la sua integrazione nel mondo del lavoro e l’assoluzione dal reato di partecipazione alla associazione a delinquere di cui al capo a), di cui non era stata accertata l’esistenza.
3. Ha proposto ricorso avverso la medesima sentenza anche (OMISSIS), affidandolo a quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo ha eccepito anch’egli, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la violazione degli articoli 267 e 271 c.p.p., con riferimento alla inutilizzabilita’ degli esiti delle intercettazioni telefoniche, a causa della genericita’ della motivazione dei decreti con cui erano state autorizzate, consistente in un generico rinvio alla richiesta del pubblico ministero e agli atti di indagine.
3.2. Con il secondo motivo ha denunciato anch’egli, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) et e), l’errata applicazione del Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 43 e un vizio della motivazione, in riferimento alla configurabilita’ del reato di cui al Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 43, giustificata dalla Corte d’appello di Trieste con motivazione insufficiente, fondata su un generico e indebito richiamo ai processi verbali di constatazione, oltre che frutto di errata applicazione delle disposizioni sulla esigibilita’ della accisa, non potendo essere assimilate l’immissione in consumo alla perdita della tracciabilita’ della merce, con la conseguente erroneita’ della affermazione della configurabilita’ del reato, essendo stata immessa in commercio in Inghilterra la merce che avrebbe dovuto transitare attraverso il deposito fiscale di (OMISSIS), che quindi non poteva essere considerata sottratta al pagamento della accisa in territorio italiano.
3.3. Con un terzo motivo ha lamentato la mancanza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione, nella parte relativa alla affermazione del suo concorso nella realizzazione delle condotte di cui ai capi b) et c).
Ha censurato l’affermazione della propria partecipazione agli illeciti realizzati dal solo (OMISSIS), fondata, in modo illogico, sulla sola circostanza di aver finanziato la costituzione della societa’ (benche’ tale finanziamento gli fosse poi stato restituito), nonche’ di aver ricevuto delle somme di denaro da (OMISSIS), di aver fatto da interprete tra lo stesso (OMISSIS) e i coimputati inglesi e di aver accompagnato (OMISSIS) a un incontro in (OMISSIS), per poi riaccompagnarlo all’aeroporto di Venezia: da tali elementi era stata tratta, in modo illogico, la prova del suo concorso nelle falsificazioni contestate al capo b), giacche’ la riunione era, in realta’, diretta all’acquisto e alla ristrutturazione di alcuni immobili; altrettanto illogiche risultavano la valutazione delle conversazioni telefoniche intercettare, giacche’ da esse era emerso un ruolo di mero interprete del (OMISSIS) e non di complice, come erroneamente affermato dalla Corte d’appello, e dei passaggi di denaro tra gli imputati, spiegabili con l’attivita’ di mediatore immobiliare svolta dal ricorrente, e ricondotti in modo illogico a cointeressenze in affari illeciti.
3.4. Infine, con il quarto motivo, ha lamentato un vizio della motivazione nella parte relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, confermati in modo illogico senza tenere conto dello stato di incensuratezza del ricorrente e senza illustrare il giudizio di gravita’ delle condotte, omettendo di considerare l’assoluzione di tutti gli imputati dal reato associativo di cui al capo a) e la minima importanza del proprio contributo, essendo, tra l’altro, stato restituito quanto anticipato per la costituzione della societa’ del (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi, peraltro riproduttivi degli appelli, adeguatamente considerati e motivatamente disattesi dalla Corte territoriale, sono inammissibili.
2. I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da (OMISSIS) sono tutti manifestamente infondati.
2.1. Il primo motivo, relativo alla inutilizzabilita’ degli esiti delle intercettazioni telefoniche, a causa della insufficienza della motivazione dei relativi decreti autorizzativi, e’ manifestamente infondato.
Premesso che in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, e’ legittima la motivazione per relationem dei decreti autorizzativi quando in essi il giudice faccia richiamo alle richieste del pubblico ministero ed alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, ponendo cosi’ in evidenza, per il fatto d’ verle prese in esame e fatte proprie, l’iter cognitivo e valutativo seguito per giustificare l’adozione del particolare mezzo di ricerca della prova (Sez. 5, n. 36913 del 05/06/2017, Tipa, Rv. 270758; Sez. 5, n. 24661 del 11/12/2013, dep. 11/06/2014, Adelfio, Rv. 259867; Sez. 6, n. 46056 del 14/11/2008, Montella, Rv. 242233), nel caso in esame il Giudice per le indagini preliminari non si e’ limitato, come risulta dal decreto di autorizzazione del 14 settembre 2011, cui questa Corte ha accesso, in ragione della natura processuale della censura formulata con il ricorso, in relazione alla quale il giudice di legittimita’ e’ anche giudice del fatto e, per risolvere la relativa questione, puo’ accedere all’esame diretto degli atti processuali (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 05/06/2018, F., Rv. 273525), a richiamare la richiesta del pubblico e le annotazioni della polizia giudiziaria (peraltro specificamente indicate), ma ha esposto che dagli atti di indagini erano emersi gli indizi della esistenza di una estesa e articolata organizzazione a delinquere, costituita allo scopo di sottrarre alcolici alle accise mediante la formazione di falsi documenti elettronici, dando in tal modo conto in modo sufficiente della esistenza degli indizi dei reati in relazione ai quali dovevano essere disposte le intercettazioni di conversazioni telefoniche: ne consegue la manifesta infondatezza della censura sollevata su tale punto dal ricorrente (OMISSIS), non essendosi in presenza di un generico e acritico richiamo alla richiesta del pubblico ministero e agli atti di indagine, bensi’ di motivazione autonoma, specifica e sufficiente, essendo state indicate le fonti di prova e il quadro indiziario.
2.2. Il secondo motivo, mediante il quale e’ stata contestata la configurabilita’ del reato di cui al Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 43, per l’erroneita’ della assimilazione tra immissione in consumo del prodotto soggetto ad accisa e perdita della sua tracciabilita’ e per non essere, comunque, tale condotta, stata realizzata in Italia, e’ manifestamente infondato.
2.2.1. Il Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 43 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), nel sanzionare la sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accisa sull’alcole e sulle bevande alcoliche, prevede che:
“1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa dal doppio al decuplo dell’imposta evasa, non inferiore in ogni caso a 7746 Euro, chiunque: a) sottrae con qualsiasi mezzo alcole o bevande alcoliche all’accertamento o al pagamento dell’accisa; b) detiene alcole denaturato in condizioni diverse da quelle prescritte o lo destina ad usi diversi da quelli per i quali e’ stata contessa l’esenzione. 2. Il tentativo e’ punito con la stessa pena prevista per il reato consumato. La fabbricazione di prodotti alcolici soggetti ad accisa in tempi da quelli dichiarati nella comunicazione di lavoro, se prevista, si configura come tentativo di sottrarre il prodotto all’accertamento, salvo che venga fornita prova contraria.
3. L’esercente della fabbrica o del deposito nei quali e’ stata commessa la violazione di cui al comma 1, lettera b) e’ privato per due anni del beneficio dell’esenzione concessa. 4. L’alcole ed i prodotti alcolici detenuti in condizioni diverse da quelle prescritte si considerano di contrabbando e si applica la pena della multa dal doppio al decuplo dell’imposta evasa”.
L’articolo 2 del medesimo testo, nell’individuare il fatto generatore e l’esigibilita’ della accisa, stabilisce, al comma 1, che “Per i prodotti sottoposti ad accisa l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione, compresa l’estrazione dal sottosuolo qualora l’accisa sia applicabile, ovvero della loro importazione”. Tale obbligazione diviene esigibile, ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, “all’atto della immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato”, con la precisazione che “Si considera immissione in consumo anche: a) lo svincolo, anche irregolare, di prodotti sottoposti ad accisa da un regime sospensivo; b) l’ammanco di prodotti sottoposti ad accisa, in misura superiore a quella consentita o quando non ricorrono le condizioni per la concessione dell’abbuono di cui all’articolo 4; c) la fabbricazione, anche irregolare, di prodotti sottoposti ad accisa avvenuta al di fuori di un regime sospensivo; d) l’importazione, anche irregolare, di prodotti sottoposti ad accisa, a meno che gli stessi non siano immediatamente vincolati, all’atto dell’importazione, ad un regime sospensivo; e) la detenzione, al di fuori di un regime sospensivo, di prodotti sottoposti ad accisa per i quali non sia stata applicata una accisa conformemente alle disposizioni di cui al presente testo unico”.
2.2.2. Ora, nel caso in esame, a fronte della contestazione di sottrazione all’accertamento e al pagamento della accisa in Italia, la Corte d’appello, ha preliminarmente riepilogato quanto emerso dalle indagini, e cioe’ che la (OMISSIS) di (OMISSIS) aveva ottenuto dalla Agenzia delle Dogane di Pordenone la licenza per l’esercizio di un deposito fiscale, verso il quale risultavano spediti ingenti quantitativi di birra da depositi fiscali tedeschi, senza che risultasse il pagamento dell’accisa e che si sapesse nulla circa la destinazione finale della merce; le indagini svolte dalla polizia giudiziaria, mediante servizi di osservazione, intercettazioni telefoniche e perquisizione del capannone, avevano consentito di appurare che nessun camion o mezzo di trasporto era entrato nel deposito in concomitanza con quanto risultante dal sistema informatico, circa la ricezione di ingenti quantitativi di birra; i camion partiti dal deposito fiscale di Calais, con merce diretta al deposito fiscale di (OMISSIS), erano in realta’ entrati in territorio inglese, dove poi avevano fatto perdere le loro tracce; il (OMISSIS) aveva finanziato la costituzione della societa’, aveva acquistato con (OMISSIS) il software per la gestione del magazzino e del collegamento con l’Agenzia delle Dogane e insieme allo stesso (OMISSIS) aveva seguito il corso di formazione per l’uso di tale software e aveva tenuto i collegamenti con (OMISSIS).
Tanto premesso, la Corte d’appello ha ritenuto che la condotta degli imputati configuri la sottrazione sia all’accertamento sia al pagamento dell’accisa, in quanto la tracciabilita’ delle merci spedite da depositi fiscali all’interno del territorio dell’Unione Europea si e’ arrestata in Italia, nel deposito fiscale di (OMISSIS) della (OMISSIS), laddove era apparentemente diretta e dove, in realta’, non e’ mai arrivata, senza alcuna certezza circa il luogo in cui la merce che viaggiava in regime di sospensione sia stata immessa in consumo, essendo solamente emerso che parte di tale merce era giunta in luoghi non meglio precisati del Regno Unito, cosicche’ alla messa in consumo, cui consegue l’esigibilita’ della obbligazione tributaria, e’ stato assimilato lo svincolo irregolare, costituito, per l’appunto dalla perdita della tracciabilita’ delle merci.
2.2.3. Tale conclusione, sulla base della quale sono state ravvisate la giurisdizione italiana e la responsabilita’ degli imputati, per aver concorso, facendo venir meno la tracciabilita’ delle merci, da cui e’ derivato il loro svincolo irregolare, alla sottrazione delle medesime merci sia all’accertamento sia al pagamento della accisa, e’ pienamente corretta, posto che tale condotta fraudolenta (realizzata attraverso le false dichiarazioni di ingresso nel territorio dello Stato di cui al capo b), costituendo uno svincolo irregolare, verificatosi nel territorio dello Stato (presso il deposito fiscale della (OMISSIS)), ha determinato l’esigibilita’ in Italia del tributo (ai sensi del Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 2, comma 1, lettera a), di cui non e’ potuto essere accertato l’esatto ammontare a causa della perdita della tracciabilita’ delle merci, ne’ ottenere il pagamento, non essendone stati accertati i destinatari.
La condotta di far venir meno la tracciabilita’ delle merci, realizzata dagli imputati, determina certamente uno svincolo irregolare delle stesse, con la conseguente esigibilita’ del tributo, evidentemente nel luogo nel quale tale condotta e’ stata realizzata, non essendo noto il luogo di immissione al consumo delle merci, cosicche’ correttamente e’ stato affermato dai giudici di merito che le condotte degli imputati hanno determinato l’esigibilita’ del tributo in territorio dello Stato, giacche’ la tracciabilita’ delle merci e’ venuta meno non nel luogo della loro spedizione (come sostenuto dai ricorrenti), bensi’ presso il deposito fiscale di (OMISSIS) della (OMISSIS), dove sarebbero dovute arrivare e dove, dunque, non essendovi giunte, e’ venuta meno la loro tracciabilita’.
E’ stato, infatti, in proposito affermato che poiche’ la circolazione di prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo si conclude, per i prodotti destinati ad essere esportati (come quelli oggetto delle spedizioni apparentemente dirette alla (OMISSIS)), nel momento in cui gli stessi hanno lasciato il territorio dell’Unione con le modalita’ rispettivamente previste dal Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 6, commi 7 e 12, cosicche’ lo svincolo irregolare dei detti prodotti dal regime sospensivo, quale puo’ essere la mancata comunicazione, mediante sistema automatizzato, all’autorita’ doganale competente dello Stato membro di spedizione da parte del depositario autorizzato mittente del cambiamento di destinazione, si considera immissione in consumo ai sensi del Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 2, comma 2, lettera a), (cfr. Cass. Civ., Sez. 5, Sentenza n. 30904 del 27/11/2019, Rv. 656020; conf. Cass. Civ., Sez. 5, Sentenza n. 25126 del 07/12/2016, Rv. 641940).
Ne consegue che certamente il far venir meno la tracciabilita’ delle merci costituisce uno svincolo irregolare, avendo determinato l’impossibilita’ di seguire il tragitto delle merci, allo scopo di accertarne i quantitativi e di esigere l’accisa dal soggetto che le immette in consumo, cosicche’ correttamente e’ stata affermata la configurabilita’ della condotta contestata di sottrazione all’accertamento e al pagamento della accisa.
Questa si e’ verificata in territorio dello Stato, attraverso le condotte poste in essere dagli imputati, con la conseguente corretta affermazione della giurisdizione italiana, anche alla luce di quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articolo 7, comma 1, lettera a), et b), relativo alle irregolarita’ nella circolazione dei prodotti soggetti ad accisa, secondo cui “In caso di irregolarita’ o di infrazione, per la quale non sia previsto un abbuono d’imposta ai sensi dell’articolo 4, verificatasi nel corso della circolazione di prodotti in regime sospensivo, si applicano, salvo quanto previsto per l’esercizio dell’azione penale se i fatti addebitati costituiscono reato, le seguenti disposizioni: a) l’accisa e’ corrisposta dalla persona fisica o giuridica che ne ha garantito il pagamento conformemente all’articolo 6, comma 4, e, in solido, da qualsiasi altra persona che abbia partecipato allo svincolo irregolare e che era a conoscenza, o avrebbe dovuto ragionevolmente essere a conoscenza, della natura irregolare dello svincolo; b) l’accisa e’ riscossa in Italia se l’irregolarita’ o l’infrazione si e’ verificata nel territorio dello Stato”: nel caso in esame le condotte costituiscono reato e sono state realizzate nel territorio dello Stato, quindi era consentito l’esercizio dell’azione penale in ordine a esse; inoltre gli imputati, avendo concorso allo svincolo irregolare sono obbligati in solido al pagamento della accisa, che deve essere riscossa in Italia, laddove si e’ verificata l’irregolarita’, mediante la formazione delle false dichiarazioni di ingresso nel territorio dello Stato.
Ne consegue, in definitiva, l’evidente infondatezza delle censure formulate con il secondo motivo di ricorso, essendo correttamente stata affermata la realizzazione della sottrazione da parte degli imputati sia all’accertamento sia al pagamento delle accise dovute in relazione alle merci spedite apparentemente verso il deposito fiscale di (OMISSIS) della (OMISSIS), ottenuta attraverso le fate dichiarazioni di importazione di cui al capo b).
2.3. Il terzo motivo, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, e’ manifestamente infondato, essendo volto a censurare, peraltro in modo generico e sul piano delle valutazioni di merito, il giudizio negativo sulla personalita’ dell’imputato e di gravita’ delle condotte, attraverso il quale la Corte d’appello ha indicato gli elementi, tra quelli di cui all’articolo 133 c.p., giudicati prevalenti o assorbenti in tale valutazione, sottolineando l’assenza di elementi di positiva considerazione nella condotta dell’imputato (che ha costituito la societa’ (OMISSIS) assieme a (OMISSIS) e ottenuto le licenze per svolgere l’attivita’ di deposito doganale) e la gravita’ delle condotte, realizzate mediante una organizzazione transnazionale piuttosto articolata, avvalendosi di una societa’ fittizia sulla quale far ricadere gli obblighi tributari poi rimasti inadempiuti, che ha comportato una evasione fiscale dell’ammontare di circa 20.000.000,00 di Euro: si tratta di motivazione idonea, non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimita’, con la conseguente manifesta infondatezza anche di tale, peraltro generica, censura.
3. Anche il ricorso proposto (OMISSIS) e’ manifestamente infondato.
3.1. Il primo e il secondo motivo sono manifestamente infondati per le medesime ragioni gia’ esposte ai punti 2.1. e 2.2. a proposito degli analoghi motivi del ricorso proposto da (OMISSIS), di contenuto sovrapponibile al primo e al secondo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS).
3.2. Il terzo motivo, relativo alla adeguatezza e logicita’ della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della partecipazione del (OMISSIS) alle condotte illecite, e’ inammissibile, essendo volto, attraverso la deduzione di un vizio della motivazione, a censurare sul piano del merito la valutazione degli elementi di prova e la ricostruzione del fatto che sulla base di essi e’ stata compiuta.
Nel giudizio di legittimita’ e’, infatti, esclusa la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilita’ delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, c.c. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Nel caso in esame la Corte d’appello ha ribadito la partecipazione del (OMISSIS) ai reati di cui ai capi b) et c) in considerazione della partecipazione dello stesso alle condotte illecite in diversi momenti essenziali, desunta dal contributo finanziario alla costituzione della (OMISSIS), dal suo interessamento per far ottenere a tale societa’ la licenza per commerciare in regime di sospensioine di accisa, dal concorso nell’acquisto del software per la gestione del magazzino e del collegamento con l’Agenzia delle Dogane, dalla partecipazione assieme al (OMISSIS) al corso di formazione per l’utilizzo di tale software, dalla sua presenza negli uffici della (OMISSIS) e nel deposito fiscale (da cui e’ stato visto entrare e uscire nel corso dei servizi di osservazione svolti dalla polizia giudiziaria), dai rapporti tenuti direttamente con il coimputati (OMISSIS), dal suo provato interesse economico nella vicenda, dalla sua presenza a (OMISSIS) in occasione dell’incontro con (OMISSIS).
Sulla base di tali plurimi, univoci e convergenti elementi la partecipazione del (OMISSIS) alle condotte e’ stata desunta in modo pienamente logico e il ricorrente censura tale ricostruzione esclusivamente sul piano del merito, proponendo una diversa lettura degli elementi di prova considerati, non consentita, in presenza di motivazione idonea e immune da vizi logici, nel giudizio di legittimita’.
3.3. Il quarto motivo, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, e’ manifestamente infondato, giacche’ anche riguardo al (OMISSIS) la Corte d’appello ha escluso la riconoscibilita’ delle circostanze attenuanti generiche e ritenuto congrua la pena, in considerazione della mancanza di elementi di positiva considerazione sul conto del (OMISSIS), del ruolo non secondario dello stesso e della gravita’ dei fatti, stante l’organizzazione costituita per la loro realizzazione e la rilevante evasione d’imposta: si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea, essendo stati indicati gli elementi, tra quelli di cui all’articolo 133 c.p., giudicati prevalenti, non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimita’.
4. Entrambi i ricorsi devono, in conclusione, essere dichiarati inammissibili, stante la manifesta infondatezza di tutte le censure cui sono stati affidati.
L’inammissibilita’ originaria dei ricorsi esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacche’ detta inammissibilita’ impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimita’, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonche’ Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi consegue l’onere delle spese del procedimento, nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina nella misura di Euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply