La nuova formulazione del codice di rito penale sull’irrogazione della pena pecuniaria in sostituzione della detentiva ha lasciato inalterato l’onere del Pm di quantificare la pena da irrogare

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 7 agosto 2018, n. 38010.

La massima estrapolata:

La nuova formulazione del codice di rito penale sull’irrogazione della pena pecuniaria in sostituzione della detentiva ha lasciato inalterato l’onere del Pm di quantificare la pena da irrogare ed è escluso, come proposto dal pg ricorrente, che il controllo giudiziale sia limitato all’indicazione della pena da sostituire mentre si estende all’individuazione del tasso di convenzione.

Sentenza 7 agosto 2018, n. 38010

Data udienza 22 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MONTAGNI Andrea – Presidente

Dott. BELLINI Ugo – rel. Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PISA;
nei confronti di:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 18/10/2017 del GIP TRIBUNALE di PISA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. UGO BELLINI;
lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato con trasmissione atti.

RITENUTO IN FATTO

1. Il G.I.P. presso il Tribunale di Pisa ha rigettato la richiesta di decreto penale nei confronti di (OMISSIS), imputata del delitto di cui al C.d.S., articolo 18, comma 2, ritenendo che il P.M. richiedente non avesse fornito alcun parametro al quale ancorare la valutazione di congruita’ della pena, individuata dallo stesso richiedente in Euro 2.100,00 di ammenda (pari a 6 giorni di arresto e a Euro 600 di multa), sulla base degli atti che non consentivano di determinare una situazione patrimoniale della imputata che giustificasse l’applicazione di una somma superiore).
2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso il Pubblico Ministero, rilevandone in primo luogo l’abnormita’ e deducendo altresi’ violazione di legge.
Quanto al primo vizio, il deducente assume che la novella di cui alla L. n. 103 del 2017 che ha riguardato l’articolo 459 c.p.p., con l’inserimento del comma 1 bis, avrebbe attribuito all’organo giudicante – nel caso specifico di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una detentiva – l’onere della conversione della stessa e della individuazione del valore giornaliero per la moltiplicazione dei giorni di pena detentiva richiesta. Ha, pertanto, ritenuto erroneo e contrastante con l’attuale disciplina normativa l’assunto sul quale si e’ fondato il decreto di rigetto e cioe’ quello secondo cui sarebbe onere del P.M. indicare la misura della pena pecuniaria richiesta in sostituzione. Al contrario, in base ad una lettura sistematica della norma, alla luce dello stesso articolo 459 c.p.p., comma 1 al P.M. competerebbe soltanto di indicare la pena detentiva da convertire, sulla quale sara’ poi il giudice a svolgere la sua valutazione di idoneita’ e adeguatezza.
2.1 Sotto altro profilo, il deducente ha contestato il provvedimento nella parte in cui il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto preclusiva per lo svolgimento del controllo devoluto la mancanza di elementi indicativi della condizione economica complessiva dell’imputato, in difetto di accertamenti di carattere patrimoniale. Secondo il ricorrente, al contrario, tale mancanza non potrebbe giustificare l’omessa decisione sul punto, atteso che, nel caso in cui il giudicante non possegga parametri economici di riferimento in base al fascicolo, l’unico valore congruo di conversione dovrebbe essere quello minimo di Euro 75,00, parametrato alle condizioni economiche di un soggetto del quale non si conosce il reddito.
2.2 Il ricorrente ha dedotto anche un terzo profilo di abnormita’ dell’atto, per avere il giudice ritenuto sussistente un onere del P.M. richiedente di accertare l’esistenza di un’equa afflittivita’ della pena pecuniaria rapportata alle effettive condizioni economiche dell’imputato, non essendo prevista nel rito monitorio la possibilita’ di invitare il P.M. a compiere indagini ulteriori non finalizzate ad una integrazione istruttoria per l’accertamento del fatto o della responsabilita’ dell’imputato.
2.3 Infine, il ricorrente ha dedotto anche violazione di legge per avere il giudice sostanzialmente disapplicato la norma di cui all’articolo 459 c.p.p., comma 1 bis, essendo suo preciso obbligo, nel caso di ritenuta non congruita’ del valore indicato dal richiedente, procedere direttamente alla individuazione del valore giornaliero di conversione o, per il caso di ritenuta problematicita’ dell’applicazione della norma novellata, sollevare il relativo incidente di incostituzionalita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. Il GIP del Tribunale di Pisa ha preliminarmente richiamato la norma di cui all’articolo 450 c.p.p., comma 1 bis, introdotta dalla L. n. 103 del 2017, a mente della quale, “Nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l’ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale puo’ essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell’ammontare di cui al periodo precedente il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non puo’ essere inferiore alla somma di Euro 75,00 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non puo’ superare di tre volte tale ammontare. Alla pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva si applica l’articolo 133-ter c.p.”.
Ha, quindi, ritenuto la necessita’ di accertamenti che consentano la commisurazione della pena alla concreta situazione patrimoniale dell’imputato e affermato che il P.M. che intenda far ricorso al procedimento monitorio debba necessariamente indicare la misura della pena pecuniaria eventualmente richiesta in sostituzione di quella detentiva, rimanendo in capo al giudice la sola valutazione di congruita’ della stessa, sia pure alla luce delle nuove regole di commisurazione stabilite dal novellato articolo 459 c.p.p..
Il giudice, pur rilevando che il comma 1 bis della norma richiamata attribuisce al giudice il potere di individuare il valore giornaliero nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva, ha tuttavia ritenuto che la lettura della norma di nuova introduzione non possa essere disgiunta da quella del precedente comma dello stesso articolo, in base al quale – per le ipotesi di pena pecuniaria non sostituiva di quella detentiva – e’ tuttora sussistente l’onere del P.M. di indicare la misura della pena, non modificabile dal giudice, il quale, nel caso in cui la ritenga incongrua, puo’ solo respingere la richiesta.
Una diversa interpretazione introdurrebbe, secondo il giudice per le indagini preliminare del Tribunale di Pisa un’ingiustificata duplicita’ di situazioni: il vecchio regime, in base al quale la richiesta del P.M. e’ ancora immodificabile da parte del G.i.p., in caso di richiesta di decreto penale di condanna a pena pecuniaria non sostitutiva di altra detentiva e quello di nuovo conio che consentirebbe, invece, al giudice di determinare autonomamente la pena da irrogare, anche modificando quella indicata dal P.M..
Nel provvedimento impugnato, peraltro, si rileva che – anche a voler riconoscere in capo al giudice il dovere di operare la conversione – ciononostante spetterebbe comunque al P.M. di verificare le condizioni economiche dell’imputato e del suo nucleo familiare, essendo estraneo al rito monitorio un siffatto potere d’indagine in capo al giudice.
A tal proposito, si e’ ritenuto ingiustificato anche il richiamo al principio del favor rei in assenza di ogni accertamento dei parametri economici, poiche’ esso finirebbe per disattendere la volonta’ del legislatore, quella cioe’ di adottare un nuovo criterio di determinazione del parametro di conversione della pena, diverso dal tasso fisso.
3. L’ultimo motivo di ricorso non e’ deducibile in sede di legittimita’.
Il ricorso per cassazione avverso il rigetto di una richiesta di decreto penale di condanna e’ ammissibile solo in caso di abnormita’ dell’atto, configurabile solo allorche’ la decisione si fondi non su profili di legittimita’ del rito o di idoneita’ ed adeguatezza della pena, con riferimento al caso concreto, ma su generiche ragioni di opportunita’, concernenti la natura dell’istituto e la sua efficacia (cfr. Sez. 6 n. 23829 del 12/0572016, Rv. 267272; Sez. 4 n. 45683 del 18/09/2014, Rv. 261063; Sez. 6 n. 6663 in data 01/12/2015 Cc. (dep. 18/02/2016), Rv. 266111 (in fattispecie in cui si e’ affermato che il rigetto fondato su ragioni che rientrano nell’esercizio delle valutazioni sulla pena non puo’ essere oggetto di impugnazione anche in caso si palese erroneita’ di dette valutazioni)).
4. La non impugnabilita’ dell’atto censurato, peraltro, non puo’ essere superata, nel caso di specie, ricorrendo alla categoria dell’abnormita’ evocata in ricorso, di quella forma di patologia dell’atto giudiziario, cioe’, priva di riconoscimento testuale in un’esplicita disposizione normativa e frutto di elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, con la quale “si e’ inteso porre rimedio, attraverso l’intervento del giudice di legittimita’, agli effetti pregiudizievoli derivanti da provvedimenti non previsti nominatim come impugnabili, ma affetti da tali anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema processuale e con esso radicalmente incompatibili” (cfr., in motivazione Sez. U. n. 20569 del 18/01/2018, Ksouri).
In ordine all’esatto inquadramento dell’istituto della abnormita’ ricorribile per cassazione, questa Corte ritiene di dover riaffermare quello che puo’ considerarsi ormai il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’. Essa, nella duplice accezione strutturale e funzionale, va ricondotta ad un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell’atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, quanto come esercizio di un potere in difformita’ dal modello descritto dalla legge. L’ammissibilita’, inoltre, deve essere individuata “sulla base della situazione processuale prospettata nel ricorso a prescindere da verifiche nel merito delle anomalie prospettate”, ricordandosi che la categoria e’ stata creata dalla giurisprudenza di legittimita’ per consentire di rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema o che si pone di impedimento allo sviluppo processuale, ma essa presenta indubbi caratteri di eccezionalita’, in relazione alla deroga che viene attuata al principio di tassativita’ delle nullita’ (articolo 177 c.p.p.) e dei mezzi di impugnazione (articolo 568 c.p.p.) (cfr. Sez. U. n. 25957 del 26/03/2009, Toni e altro).
A tal fine, il S.C., nella richiamata pronuncia, ha precisato che, per un’esatta individuazione dell’area del vizio rilevabile, occorre escludervi, da un lato, i c.d. vizi innocui che costituiscono il vero e proprio limite logico della categoria (e si riscontrano nei casi in cui vi e’ una irrilevanza sopravvenuta dell’anomalia, avendo il giudice esercitato un potere che non gli spettava, ma senza che cio’ abbia realizzato una stasi del processo, anche ove una indebita regressione vi sia stata); dall’altro, tutte le situazioni di illegittimita’ dell’atto, per le quali l’ordinamento ha previsto una specifica sanzione processuale. Si e’, infatti, precisato che non puo’ ricorrersi alla categoria dell’abnormita’ al fine di giustificare il ricorso immediato per cassazione avverso atti affetti soltanto da nullita’ o comunque non condivisi (cfr., Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, Boniotti), poiche’ cio’ si tradurrebbe nella elusione del regime di tassativita’ dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall’articolo 568 c.p.p., comma 1.
Applicati tali principi giurisprudenziali allo specifico settore dei rapporti tra giudice e pubblico ministero, il S.C. ha precisato che l’abnormita’ strutturale dell’atto e’ riconoscibile soltanto nel “caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto), ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioe’ completamente al di fuori dei casi consentiti, perche’ al di la’ di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto); laddove la abnormita’ funzionale di esso e’ riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilita’ di proseguirlo. Quest’ultima, peraltro, va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo, poiche’ solo “in siffatta ipotesi il pubblico ministero puo’ ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarita’ del processo; negli altri casi egli e’ tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice” (in motivazione Sez. U. del 2009, Toni e altro, cit.).
Con specifico riferimento all’aspetto funzionale del vizio, peraltro, si e’ affermato che esso va ravvisato anche quando l’atto, pur non estraneo al sistema normativo, provoca indebite regressioni del procedimento, ponendosi in tal caso in contrasto anche con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 111 Cost., comma 2 (cfr. in motivazione Sez. 6 n. 2325 dell’08/01/2014, Rv. 258252; Sez. U. n. 5307 del 20/12/2007 CC. (dep. 01/02/2008), Battistella, Rv. 238240). E’ lo stesso giudice delle leggi, del resto, a sottolineare che il sistema e’ complessivamente improntato, per esigenze di speditezza e di economia, al principio di non regressione del procedimento (cfr. C. Cost., ord. n. 236 del 2206/2005).
5. Nel caso in esame, il deducente ha ravvisato tre profili di abnormita’ strutturale del provvedimento censurato: il primo riguarda l’oggetto del controllo giudiziale, che dovrebbe svolgersi solo su quella detentiva stabilita dal P.M.; con il secondo si e’ contestato che la mancanza di accertamenti sulle condizioni economiche dell’imputato possa ritenersi preclusiva di un vaglio d’idoneita’ e congruita’; il terzo attiene, invece, al ravvisato onere del P.M. di procedere ad accertamenti sulle condizioni economiche dell’imputato che il ricorrente assume estraneo al sistema delineato dal legislatore per il rito monitorio.
I dedotti profili di abnormita’ sono insussistenti e le relative censure manifestamente infondate.
6. La valutazione di questa Corte puo’ prendere le mosse dal profilo funzionale dell’abnormita’, peraltro neppure adeguatamente argomentato da parte ricorrente, dovendosi escludere che il rigetto della richiesta di decreto penale abbia determinato uno stallo processuale o un’indebita regressione del procedimento, imponendo al pubblico ministero adempimenti che possano tradursi in atti nulli. Al potere di rigetto della richiesta da parte del G.i.p., normativamente previsto dall’articolo 459 c.p.p., comma 3, fa seguito, infatti, sempre per espressa disposizione di legge contenuta nella stessa norma, proprio la restituzione degli atti al pubblico ministero.
Peraltro, nella piu’ recente pronuncia delle Sezioni Unite sul tema dei rapporti tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari, si e’ rilevato che, in caso di rigetto della richiesta d’introduzione del rito monitorio, le determinazioni che potranno essere successivamente assunte dalla parte pubblica “non contrastano con alcuna disposizione di legge e non sono affette da nullita’ per il solo fatto di essere adottate dopo la restituzione degli atti ex articolo 459 c.p.p.” (cfr., in motivazione, Sez. U. del 2018, Ksouri, cit., con la quale e’ stata data soluzione negativa, in adesione all’orientamento maggioritario, alla questione di diritto se sia qualificabile come abnorme e, pertanto, ricorribile per cassazione, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero, affinche’ questi valuti la possibilita’ di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuita’ del fatto, ex articolo 131 bis c.p.).
Il principio cosi’ richiamato, del resto, si pone in linea di continuita’ con quanto la stessa Corte Costituzionale ha precisato: la restituzione degli atti al pubblico ministero non comporta effetti vincolanti e limitativi dei poteri ad esso spettanti, poiche’ al medesimo e’ consentito di reiterare una richiesta di contenuto adeguato ai rilievi critici del giudice, instaurare riti semplificati o procedere nelle forme ordinarie (cfr. Corte Cost. n. 447 del 26/09/1990).
7. Il provvedimento censurato non puo’ considerarsi abnorme neppure rispetto al suo contenuto.
Il tema chiama direttamente in causa il problema della individuazione dei limiti del controllo giudiziale sulla richiesta di introduzione del rito monitorio e sul punto specifico si rinvengono utili spunti di riflessione nella recente pronuncia delle Sezioni Unite, da ultimo citata. In quella sede, il S.C. ha infatti precisato che l’ordinanza di rigetto della richiesta ai sensi dell’articolo 459 c.p.p., comma 3, costituisce “espressione del legittimo esercizio del potere cognitivo conferito al giudice per le indagini preliminari dall’articolo 459 c.p.p., comma 3, che, al di fuori di qualsiasi automatismo decisorio ed in coerenza col ruolo funzionale di quel giudice, gli riconosce la possibilita’ di un ampio sindacato sul merito dell’istanza…… La previsione testuale dell’articolo 459 c.p.p., comma 3 consente di escludere che la presentazione della richiesta operi con effetti vincolanti per il giudice cui sia rivolta, perche’ ammette espressamente plurimi esiti decisori alternativi, rimessi alla sua valutazione discrezionale, in termini di accoglimento dell’istanza con emissione del decreto, di rigetto per la contestuale pronuncia di sentenza di proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’articolo 129 c.p.p. e, al di fuori di quest’ultima ipotesi, di sostanziale rigetto tramite restituzione degli atti al pubblico ministero. Con specifico riferimento a quest’ultima ipotesi non e’ dato rinvenire nella formulazione testuale della disposizione nessuna indicazione sull’ambito in cui deve svolgersi il sindacato del giudice” (cfr., in motivazione, Sez. U. del 2018, Ksouri, cit.).
Peraltro, proprio con riferimento al potere cognitivo e decisorio del giudice, la giurisprudenza ha da tempo confinato l’abnormita’ del provvedimento di rigetto nell’ambito di alcune specifiche situazioni, opportunamente elencate nella sentenza richiamata (ritenuta immotivata inopportunita’ del diniego (Sez. 1, n. 1426 del 24/03/1994, Nastri, Rv. 198289); prevedibile opposizione da parte dell’imputato con conseguente verifica dibattimentale per la gravita’ dell’addebito (Sez. 6, n. 38370 del 12/06/2014, Mancrasso, Rv. 260177); mancato accesso da parte dell’imputato alla possibilita’ di definire in via amministrativa l’illecito contestato, quale manifestazione della volonta’ di accedere al rito dibattimentale con conseguente inutilita’ del decreto di condanna, fonte di inutile dispendio di attivita’ giurisdizionale (Sez. 3, n. 8288 del 25/11/2009, dep. 2010, Russo, Rv. 246333); applicabilita’ della continuazione con altri reati, contestati allo stesso imputato in separato procedimento, per il quale era stata formulata richiesta di emissione di altro decreto penale di condanna a carico dello stesso imputato (Sez. 3, n. 44296 del 03/10/2013, Giovannini, Rv. 257373); proposizione della richiesta nei confronti di un solo imputato previa separazione della sua posizione personale da quella degli altri indagati (Sez. 3, n. 16826 del 20/03/2007, Alicata, Rv. 236810); formulata prognosi negativa circa l’adempimento da parte dell’imputato dell’obbligo di pagamento della pena pecuniaria (Sez. 6, n. 17702 del 01/04/2016, C.M., Rv. 266741)).
In base a tale ricognizione, il S.C. ha ritenuto, quindi, che l’abnormita’ sia ravvisabile in tutti i casi in cui il provvedimento giudiziale interferisca con le attribuzioni istituzionali della pubblica accusa circa le modalita’ di esercizio dell’azione penale e di strutturazione dell’imputazione, poiche’ un provvedimento basato su un personale criterio di opportunita’, stimato preferibile rispetto alle valutazioni del pubblico ministero, stravolgerebbe la ripartizione delle funzioni nel sistema processuale e, pur rientrando nell’esercizio di un potere astrattamente attribuito al giudice dall’ordinamento, sarebbe affetto da abnormita’ perche’ al di fuori della previsione normativa per il suo contenuto eccentrico e singolare e per gli effetti prodotti di indebita regressione del procedimento.
Al contrario, procedendo nella disamina della casistica, il S.C. ha osservato come una tale “indebita usurpazione di competenze” debba escludersi in tutti quei casi in cui “il disaccordo tra istante e decidente verta: a) sulla qualificazione giuridica da assegnare al reato, perche’, pur accertato nella sua materialita’, e’ ritenuto rientrare in una diversa fattispecie astratta (Sez. 5, n. 2982 del 15/12/2011, dep. 2012, Jiansheng, Rv. 251940; Sez. 1, n. 47515 del 29/10/2003, Cerasa, Rv. 226468; Sez. 2, n. 4339 del 06/11/1996, Arcidiacono, Rv. 206287; Sez. 3, n. 13998 del 28/02/2002, Faini, Rv. 221783); b) sull’insufficienza delle acquisizioni probatorie, da approfondire ulteriormente anche per l’eventuale riscontro dell’estinzione del reato per prescrizione (Sez. 6, n. 36216 del 27/06/2013, Galati, Rv. 256331); c) sulla necessita’ di imporre la confisca di beni, non adottabile col decreto penale di condanna, specie se il pubblico ministero ne chieda il dissequestro (Sez. 3, n. 4545 del 04/12/2007, dep. 2008, Pennino, Rv. 238853); d) sull’insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria (Sez. 6, n. 6663 del 01/12/2015, dep. 2016, R., Rv. 266111), o sul giudizio di incongruita’ della pena da irrogare rispetto alla gravita’ della violazione accertata (Sez. 4, n. 45683 del 18/09/2014, Mirra, Rv. 261063); e) sull’inidoneita’ dell’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio da parte di cittadino extracomunitario privo di fissa dimora (Sez. 1, n. 13592 del 26/02/2009, Batista Mariano Da Silva, Rv. 243557; Sez. 1, n. 6614 del 17/01/2008, Bondari, Rv. 239360; Sez. 5, n. 8463 del 24/01/2005, Singh, Rv. 230884)”.
Proprio con riferimento alla congruita’ della pena, peraltro, questa Corte a sezioni semplici ha piu’ volte escluso l’abnormita’ dell’ordinanza di rigetto della richiesta di introduzione del rito monitorio, in caso di ritenuta insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria (cfr. sez. 6 n. 6663 dell’01/12/2015 Cc. (dep. 18/02/2016), Pm in proc. R., Rv. 266111 (in cui la Corte ha affermato che il rigetto fondato su ragioni che rientrino nell’esercizio delle valutazioni sulla pena non puo’ essere oggetto di impugnazione, anche in caso di palese erroneita’ di tale valutazioni); sul punto, cfr. anche sez. 6 n. 23829 del 12/05/2016, P.M. in proc. C., Rv 267272; sez. 4 n. 45683 del 18/09/2014 richiamata da Sez. U. Ksouri (in fattispecie in cui la Corte ha escluso la abnormita’ del provvedimento di restituzione degli atti giustificata dalla valutazione di incongruita’ della pena richiesta in relazione alla gravita’ della violazione contestata)).
A ben vedere, dalla ricognizione sopra riproposta e dai principi elaborati dal S.C. sulla scorta di essa, emerge un orientamento tutt’altro che restrittivo della giurisprudenza circa la individuazione dei confini entro i quali puo’ svolgersi il controllo giudiziale sulla richiesta del P.M. di introduzione del rito speciale di cui agli articoli 459 c.p.p. e ss.. Cio’ costituisce prezioso spunto ai fini della presente disamina e consente di affermare che, a prescindere dalla correttezza dell’interpretazione della norma applicata (che non costituisce oggetto specifico di esame da parte di questa Corte, stante il vizio dedotto e deducibile), il provvedimento con il quale il giudice ha ritenuto la mancanza di elementi per valutare la congruita’ della pena indicata in sostituzione dal P.M. richiedente non presenta alcuno dei profili strutturali dell’abnormita’ dedotta, ponendosi all’interno del controllo giudiziale previsto dalla legge.
Ne’ anomalia strutturale puo’ ravvisarsi nella circostanza che il giudice abbia ritenuto di non avere un potere di indagine suppletiva, inteso a colmare il rilevato difetto di informazioni circa la situazione economica dell’imputata: la disciplina del procedimento monitorio, infatti, non contempla alcun intervento giudiziale di accertamento e/o verifica degli elementi trasmessi dal pubblico ministero, atteso che l’articolo 459 c.p.p., comma 3, prevede unicamente il rigetto della richiesta o la pronuncia di sentenza ex articolo 129 codice di rito.
Lo stesso ricorrente, evidentemente consapevole di cio’, ha fatto ricorso ad un argomento diverso, in base al quale – ove il giudice non disponga di elementi per stabilire il tasso giornaliero di conversione – lo stesso andrebbe individuato in quello minimo, con cio’ convenendo implicitamente sul ritenuto difetto di poteri istruttori in capo al giudicante. Anche tale aspetto e’ stato considerato dal giudice nel provvedimento censurato, a proposito della introduzione – per questa via – di una prassi che si tradurrebbe nella sostanziale disapplicazione della forbice legale stabilita nell’articolo 459 c.p.p., comma 1 bis.
Conclusivamente, questa Corte ritiene che il provvedimento non si ponga in termini di eccentricita’ rispetto al sistema, poiche’ il G.i.p., procedendo ad un’interpretazione sistematica della norma di recente introduzione, ha ritenuto permanente in capo al P.M. richiedente l’obbligo di quantitificare la pena da irrogare, escludendo – come proposto dal ricorrente – che il controllo giudiziale sia limitato alla indicazione della pena da sostituire, dovendo esso estendersi anche a quella convertita e, di conseguenza, al criterio di individuazione del tasso di conversione. Trattasi di decisione che attiene, con ogni evidenza, alla congruita’ della pena da irrogare e che, pertanto, resta al di fuori del cono di operativita’ dell’eccezionale mezzo di impugnazione azionato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

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