La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|5 aprile 2022| n. 11032.

La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico appartenenti agli enti legalmente riconosciuti compiute in assenza della prescritta preventiva autorizzazione ministeriale, prevista dall’art. 61 della l n. 1089 del 1939, è di carattere assoluto e, pertanto, può essere dedotta da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice; qualora, invece, si tratti di alienazioni di cose di interesse artistico e storico appartenenti a privati sottoposte a vincolo realizzate contro i divieti stabiliti dalla legge stessa o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da essa prescritte, viene in rilievo una nullità di carattere relativo, essendo stabilita nell’interesse esclusivo dello Stato, cosicché essa non può essere dedotta dai privati o essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Sentenza|5 aprile 2022| n. 11032. La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico

Data udienza 10 febbraio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: PROPRIETA’ – PROPRIETA’ (IN GENERE)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere

Dott. MASSAFRA Annachiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 8568-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 14/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 11/01/2017;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/02/2022 dal Consigliere Dott. Luca Varrone;
Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Firenze (Sezione distaccata di Pontassieve), la (OMISSIS), con sede in (OMISSIS), rivendicando la proprieta’ di un dipinto su tela noto come “(OMISSIS)”, risalente all’anno 1500 e attributo a Ridolfo del Ghirlandaio.
Il Tribunale adito accertava che trattavasi di “bene culturale” legittimamente detenuto dalla Parrocchia e rigettava la domanda.
2. Avverso tale sentenza proponeva appello il (OMISSIS), deducendo “errata interpretazione e falsa applicazione della L. n. 1089 del 1939; errata, ingiusta, contraddittoria, carente e illogica motivazione della sentenza”.
La Corte d’Appello di Firenze rigettava l’impugnazione e confermava la sentenza di primo grado.
La Corte territoriale rilevava che:
a) la tela, di proprieta’ della Parrocchia, era stata – negli anni ’40 – catalogata ed inclusa, L. n. 1089 del 1939, ex articolo 23 e ss. (“Tutela delle cose di interesse artistico e storico”), tra i beni di assoluto interesse storico, culturale e artistico dall’allora Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna per la Toscana Firenze (ora Soprintendenza per i Beni Culturali);
b) l’opera era stata illegittimamente alienata nel 1946 dal parroco del tempo, in assenza della prescritta autorizzazione del competente Ministero (prima Ministero per l’Educazione Nazionale, ora Ministero per la Pubblica Istruzione), al quale spettava peraltro il diritto di prelazione;
c) l’opera medesima, a seguito di alienazioni successive, era pervenuta al (OMISSIS) (ultimo acquirente), presso il quale era stata sequestrata dalla polizia giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale, per essere poi restituita alla Parrocchia, quale legittima proprietaria;
d) l’assenza di autorizzazione ministeriale aveva determinato la nullita’ della prima vendita e dei negozi traslativi successivi, che si erano succeduti nel tempo;
e) il (OMISSIS) non poteva invocare la regola “possesso vale titolo” o, in via subordinata, l’usucapione decennale di cui all’articolo 1161 c.c., non versando egli in buona fede e, comunque, essendo incorso in colpa grave.
3. Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di tre motivi.

 

La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico

Ha resistito con controricorso la (OMISSIS).
Fissato all’udienza pubblica del 10 febbraio 2022, il ricorso e’ stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020, e dal Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7 convertito nella L. n. 126 del 2021, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione in riferimento al primo motivo.
In prossimita’ dell’udienza, il ricorrente ha depositato memoria nei termini di legge, insistendo per l’accoglimento del ricorso. La memoria della controricorrente e’ stata, invece, depositata fuori termine.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 1418 c.c., L. n. 1089 del 1939, articoli 61, 23, 24 e 26, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere la nullita’ della vendita effettuata nel (OMISSIS) dal parroco Don (OMISSIS) e gli atti di alienazione successivi. A suo dire, la nullita’ prevista dalla L. n. 1089 del 1939, articolo 61 relativa agli atti di alienazione posti in essere in violazione di tale legge, sarebbe una nullita’ meramente “relativa”, tale da poter essere fatta valere solo dallo Stato (peraltro, non convenuto nel presente giudizio), con la conseguenza che il giudice del gravame non avrebbe potuto tener conto della eccezione di nullita’ formulata dalla Parrocchia convenuta, ne’ avrebbe potuto rilevare d’ufficio la nullita’ delle alienazioni.
La censura e’ infondata per le considerazioni che seguono.
1.1. Va innanzitutto esaminata, sia pure nelle sue linee generali e nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione della presente controversia, la disciplina posta dalla L. 1 giugno 1939, n. 1089 (“Tutela delle cose di interesse artistico e storico”), applicabile nella presente fattispecie ratione temporis, successivamente confluita nel Decreto Legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”), che ne ha disposto l’abrogazione.
Orbene, per quanto rileva in questa sede, la L. n. 1089 del 1939, nel dettare (tra l’altro) le “Disposizioni sulle alienazioni e gli altri modi di trasmissione delle cose” (tale e’ il titolo del capo terzo della legge), distingue tra le “cose appartenenti allo Stato o ad altri enti morali” (Sezione I) e le “cose appartenenti ai privati” (Sezione II), disciplinando in modo diverso le alienazioni delle une e delle altre.

 

La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico

Per quanto riguarda le cose (immobili o mobili) di interesse artistico o storico appartenenti allo Stato o ad altri enti morali, la L. n. 1089 del 1939, articolo 23 stabilisce che esse sono radicalmente “inalienabili”.
Per le cose di interesse artistico o storico che appartengono ad enti o istituti legalmente riconosciuti, l’articolo 26 L. cit. stabilisce, invece, che esse possono essere alienate solo “previa autorizzazione del Ministro per l’educazione nazionale”. In questi casi, la legge subordina la possibilita’ dell’alienazione al previo rilascio di autorizzazione ministeriale, in modo che il Ministero abbia modo di valutare la sussistenza di un prevalente interesse pubblico a che il bene rimanga eventualmente in proprieta’ e nella custodia dell’ente e di verificare che l’alienazione non produca danno al patrimonio artistico e storico nazionale o ne limiti la fruizione e il pubblico godimento da parte della collettivita’ nazionale (nel caso di alienazione a titolo oneroso, lo Stato ha peraltro facolta’ di esercitare – ai sensi degli articoli 28, 31 e 32 L. cit. – il diritto di prelazione).
Dal complesso di tale disciplina emerge un generale principio di “inalienabilita’” dei beni di interesse artistico o storico di proprieta’ dello Stato o degli enti pubblici ovvero degli enti legalmente riconosciuti; un “divieto di alienazione” configurato ora in modo “assoluto” (per lo Stato e gli altri enti pubblici) ora in modo “relativo” (per gli enti legalmente riconosciuti), essendo in quest’ultimo caso l’alienazione consentita solo se previamente autorizzata dal Ministero competente.
Radicalmente diversa e’ la disciplina dettata nella sezione II del capo III della detta legge per le cose appartenenti a privati.
L’articolo 30 L. cit., infatti, che il proprietario e chiunque detenga cose che abbiano formato oggetto di notifica da parte del competente Ministero (e, come tali, siano sottoposte a “vincolo”) e’ tenuto a denunciare al Ministro ogni atto, a titolo oneroso o gratuito, che ne trasmetta la proprieta’ o la detenzione; e – soggiunge l’articolo 31 – nel caso di alienazione a titolo oneroso, il Ministro ha facolta’ di acquistare la cosa al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione, entro il termine di due mesi dalla denuncia (articolo 32).
Con riguardo alle cose di interesse artistico o storico appartenenti a privati e sottoposte a vincolo, il legislatore, percio’, non ha inteso vietarne o limitarne l’alienazione (neppure subordinandola ad apposita preventiva autorizzazione), ma ha ritenuto soddisfatto l’interesse pubblico alla tutela di tali beni con la previsione dell’obbligo del proprietario e del detentore di informare, con apposita denunzia, il competente Ministero, affinche’ questo sia posto nella condizione, per un verso, di esercitare la propria vigilanza sulla conservazione e custodia dei beni presso il nuovo proprietario o detentore e, per altro verso, nel caso di acquisto a titolo oneroso, di esercitare eventualmente il diritto di prelazione (articolo 28, comma 2).

 

La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico

Si tratta di un regime giuridico peculiare, che trova nell’articolo 9 Cost. il suo fondamento e che si giustifica in relazione al fine di salvaguardare beni connessi ad interessi primari per la vita culturale del Paese; l’esigenza di conservare e di garantire la fruizione da parte della collettivita’ delle cose di interesse artistico e storico giustifica, di conseguenza, per tali beni l’adozione di particolari misure di tutela che si realizzano attraverso poteri della pubblica amministrazione e vincoli per i privati differenziati dai poteri e dai vincoli operanti per le altre categorie di beni, pur gravati da limiti connessi al perseguimento di interessi pubblici (cosi’, Corte Cost. sent. n. 269 del 1995).
1.2. Si tratta ora di esaminare le sanzioni che la L. n. 1089 del 1939 commina per la violazione della disciplina appena richiamata.
La materia e’ regolata dall’articolo 61 L. cit., che testualmente prevede: “Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalla presente legge o senza l’osservanza delle condizioni e modalita’ da esse prescritte, sono nulli di pieno diritto. Resta sempre salva la facolta’ del Ministro per l’educazione nazionale di esercitare il diritto di prelazione a norma degli articoli 31 e 32”.
La legge sanziona, dunque, la violazione della disciplina delle alienazioni con la “nullita’ di pieno diritto”, una nullita’ espressamente prevista dalla legge (c.d. “testuale”, ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 3), che non sembra lasciare spazio ad eccezioni e che rimanda alla disciplina generale della nullita’ dettata dal codice civile.
Com’e’ noto, l’articolo 1421 c.c. stabilisce che “Salvo diverse disposizioni di legge, la nullita’ puo’ essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
Questa norma, che ha valenza sistematica di carattere generale, stabilisce una “regola” ed una “eccezione”: la regola e’ che la nullita’, in coerenza col carattere radicale del vizio che inficia il negozio, ha carattere “assoluto”, come tale essa puo’ essere opposta da chiunque vi abbia interesse e puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice;
l’eccezione e’ che, in talune fattispecie, la nullita’ puo’ essere espressamente configurata dalla legge di carattere “relativo”, nel senso che puo’ essere fatta valere soltanto da determinati legittimati.
1.3. Orbene, col motivo di ricorso in esame, il ricorrente sostiene che il primo atto di alienazione del dipinto (posto in essere nel (OMISSIS) dall’allora parroco della Parrocchia convenuta) e gli atti di alienazione successivi sarebbero affetti da una nullita’ meramente “relativa”, opponibile solo dallo Stato (giammai dalla Parrocchia), e non rilevabile d’ufficio; e, a sostegno di tale tesi, richiama la giurisprudenza di questa Corte che, in talune fattispecie, ha affermato il carattere “relativo” della nullita’ dell’atto di alienazione posto in violazione della L. n. 1989 del 1939, ricavando tale carattere per via di interpretazione – dalla natura degli interessi coinvolti.

 

La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico

La tesi del ricorrente e’ priva di fondamento giuridico.
E’ ben vero che questa Suprema Corte ha affermato che la nullita’ prevista, a tutela delle cose di interesse artistico e storico, dall’articolo 61 della L. 1 giugno 1939 n. 1089 per le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalla legge stessa o senza l’osservanza delle condizioni e modalita’ da essa prescritte, e’ di carattere relativo, essendo stabilita nell’interesse esclusivo dello Stato, cosicche’ essa non puo’ essere dedotta dai privati o essere rilevata d’ufficio dal giudice (Cass., Sez. 1, n. 1429 del 1967; Sez. Un., n. 1440 del 1971; Sez. 3, n. 590 del 1975; Sez. 1, n. 720 del 1982; Sez. Un., n. 6180 del 1985; Sez. Un., n. 5070 del 1989; Sez. 2, n. 4559 del 26/04/1991; Sez. 2, n. 10920 del 2005; Sez. 2, n. 5773 del 2009; Sez. 2, n. 10950 del 2012; Sez. 3, n. 4378 del 2012).
Questo principio giurisprudenziale, tuttavia, e’ stato dettato con esclusivo riferimento alle alienazioni di cose di interesse artistico e storico appartenenti a privati sottoposte a vincolo (L. n. 1089 del 1939, articolo 30); esso, pertanto, non puo’ valere al di fuori di tale ambito; non puo’ valere, in particolare, con riferimento alle alienazioni di cose appartenenti allo Stato o ad enti o istituti pubblici (articolo 23) ovvero agli enti o istituti legalmente riconosciuti (articolo 26), la cui disciplina e’ retta da diversa ratio legis.
Come si e’ veduto, quando l’alienazione riguarda beni appartenenti a privati, essa non e’ soggetta ad alcun divieto ne’ ad alcuna autorizzazione, ma solo ad un obbligo di informazione dell’autorita’. La violazione di tale obbligo non riguarda la “possibilita’ giuridica” della alienazione, ma attiene alle “modalita’” con le quali l’alienazione e’ compiuta, ossia al fatto che essa e’ posta in essere senza informare il Ministero. In questi casi, e’ essenzialmente lo Stato ad aver interesse a far valere la nullita’ dell’atto di alienazione, essendo la declaratoria di tale nullita’ espressamente finalizzata dalla legge (L. n. 1089 del 1939, articolo 61, comma 2) a consentire l’esercizio, da parte del Ministero, del diritto di prelazione (la possibilita’ per il Ministero di esercitare sine die il diritto di prelazione ha superato anche il vaglio di costituzionalita’: Corte Cost., sent. n. 296 del 1995).
Il suddetto principio giurisprudenziale non e’ estensibile, come pretende il ricorrente, al caso della alienazione di cose di interesse artistico e storico appartenenti allo Stato o ad enti o istituti pubblici (articolo 23) ovvero ad enti o istituti legalmente riconosciuti (articolo 26).
La legge, infatti, vieta in senso assoluto (articolo 23) l’alienazione delle cose di interesse artistico e storico appartenenti allo Stato o ad enti o istituti pubblici; e vieta anche l’alienazione delle cose di interesse artistico e storico appartenenti ad enti o istituti legalmente riconosciuti se non preceduta e consentita da apposita autorizzazione ministeriale (articolo 26).

 

La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico

La violazione di tali prescrizioni normative non attiene alle modalita’ di esecuzione della alienazione, ma alla “possibilita’ giuridica” della stessa.
In questi casi, stante il preminente interesse pubblico posto a fondamento della limitazione della possibilita’ giuridica di alienare la cosa di interesse artistico e storico, la nullita’ che colpisce il negozio di alienazione non puo’ che essere di carattere “assoluto”, secondo la regola generale posta dall’articolo 1421 c.c., a fronte per altro di una norma speciale (l’articolo 61 L. cit.) che commina la “nullita’ di pieno diritto”.
Sul punto, va pertanto enunciato, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., il seguente principio di diritto:
“La nullita’ delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico appartenenti agli enti legalmente riconosciuti compiute in assenza della prescritta preventiva autorizzazione ministeriale, prevista dalla L. 1 giugno 1939, n. 1089, articolo 61 e’ di carattere “assoluto” e, pertanto, puo’ essere dedotta da chiunque vi abbia interesse e puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
1.4. Nel caso di specie, e’ pacifico che la pala d’altare oggetto della domanda di rivendica da parte del ricorrente rientrava tra i beni di proprieta’ della (OMISSIS). Il dipinto, risalente all’anno 1550, era stato catalogato dalla Sovrintendenza all’arte medioevale e moderna per la Toscana ed incluso tra i beni di assoluto interesse storico, culturale e artistico.
Le Parrocchie sono enti ecclesiastici riconosciuti, ai sensi della L. 20 maggio 1985, n. 222, articolo 4 con decreto del Ministro dell’Interno, con effetto anche ai fini civilistici (a differenza delle Chiese, che hanno invece rilievo esclusivamente per il diritto canonico) (v., per tutte, Cass., Sez. L, n. 13380 del 2003). Non puo’ dubitarsi, pertanto, che il dipinto fosse sottoposto alla disciplina dettata dalla L. n. 1089 del 1939, articolo 26 cosicche’ l’alienazione di esso nel (OMISSIS) da parte dell’allora parroco non sarebbe stata possibile senza previa autorizzazione ministeriale.
Poiche’, nella specie, tale autorizzazione e’ mancata, la detta alienazione e’ affetta da nullita’ assoluta, deducibile da chiunque ne abbia interesse e rilevabile d’ufficio.
Esattamente, dunque, i giudici di merito hanno rilevato la nullita’ di tale alienazione e la conseguente nullita’ di tutte le alienazioni successive, fino all’ultima in forza della quale l’opera e’ pervenuta al ricorrente (OMISSIS), essendo peraltro vietata dalla legge perfino la consegna del bene, come si dira’ piu’ specificamente con riferimento al seguente motivo di ricorso (L. n. 1089 del 1939, articolo 26, 28 e 32).
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 1147, 1153, 2727, 2728 e 2729 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Si deduce che la Corte di Appello avrebbe errato ad escludere la buona fede del (OMISSIS) nell’acquisto dell’opera dal suo dante causa, non riconoscendo cosi’ l’avvenuto acquisto della proprieta’ ai sensi dell’articolo 1153 c.c., sulla base della regola “possesso vale titolo”, ne’ l’acquisto per usucapione decennale ex articolo 1161 c.c.

 

La nullità delle alienazioni delle cose di interesse artistico o storico

Il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 1147 c.c., che prevede la presunzione della buona fede, osservando come tale presunzione non possa essere superata sulla base del mero sospetto, essendo invece necessario – secondo la giurisprudenza – “un dubbio derivante da circostanze serie” (Cass. n. 26400/2009, n. 13642/2000), “non potendo un qualsiasi dubbio identificarsi senz’altro con la mala fede” (Cass. n. 7966/2003); deduce ancora che la Corte territoriale non avrebbe potuto addebitare al (OMISSIS) colpa grave dello stato d’ignoranza: la circostanza che costui fosse titolare di un negozio d’antiquariato non lo rendeva per cio’ solo consapevole della natura della tela acquistata, non trattandosi di bene la cui sottrazione alla propria destinazione fosse stata oggetto di divulgazione o avesse suscitato eco di stampa.
Il motivo e’ infondato.
2.1 Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, che il Collegio condivide, la disposizione dell’articolo 1153 c.c. sull’acquisto della proprieta’ in forza di possesso di buona fede di beni mobili, conseguito in esecuzione di atto astrattamente idoneo all’effetto traslativo – non opera con riguardo a cose di interesse artistico e storico appartenenti ad enti o istituti legalmente riconosciuti diversi dallo Stato o da altri enti o istituti pubblici e soggette – a norma del combinato disposto della L. n. 1089 del 1939, articoli 26 e 28 – al regime dell’inalienabilita’ senza previa autorizzazione del Ministero della Pubblica Istruzione e della prelazione statale nell’acquisto di esse, in quanto si tratta di beni per i quali e’ espressamente vietata (articolo 32) all’alienante la “traditio” in pendenza del termine per i detti adempimenti, mentre la consegna della cosa, per potere produrre gli effetti di cui al citato articolo 1153, deve essere non vietata dalla legge per motivi d’interesse generale (Cass., Sez. 1, n. 4260 del 07/04/1992).
Nella motivazione di tale pronuncia, avente ad oggetto una fattispecie – analoga alla presente – relativa a cose di interesse artistico o storico appartenenti ad enti o istituti legalmente riconosciuti, soggette, ai sensi della L. n. 1089 del 1939, articolo 26 al divieto di alienazione in assenza di previa autorizzazione ministeriale, questa Corte ha avuto modo di evidenziare come l’articolo 26 sia richiamato espressamente nella L. n. 1089 del 1939, articolo 28 per l’esercizio del diritto di prelazione in caso di vendita (in evidente alternativa alla concessione o al rifiuto dell’autorizzazione suddetta) “da esercitarsi nel termine e nei modi di cui agli articoli 31 e 32”. Pertanto, anche per i beni di cui all’articolo 26 vige il disposto di cui all’articolo 32 (pur essendo quest’ultimo inserito in altra sezione della legge che tratta le cose appartenenti a privati oggetto di notifica da parte del Ministero), che stabilisce non soltanto la possibilita’ di esercitare il diritto di prelazione, ma anche – per quello che qui piu’ interessa – che “il contratto rimane condizionato sospensivamente all’esercizio del diritto di prelazione” e che “all’alienante e’ vietato di effettuare la tradizione della cosa”, ossia e’ fatto divieto di consegnare a terzi la cosa di interesse artistico o storico prima della denuncia al Ministero e della scadenza del termine, da essa decorrente, previsto dalla legge per l’esercizio del diritto di prelazione.
Il rispetto di tale specifico divieto impedisce l’applicabilita’ della regola generale per il trasferimento della proprieta’ dei beni mobili posta dall’articolo 1153 c.c., secondo cui l’immissione nel possesso mediante consegna della cosa “vale titolo”.
Infatti, l’acquisto della proprieta’ della cosa mobile ai sensi dell’articolo 1153 c.c., sulla base di idoneo titolo e del trasferimento del possesso congiunto alla buona fede di chi riceve la cosa, presuppone per un verso che il titolo, oltre che idoneo, sia anche valido, per l’altro che la traditio non sia vietata dalla legge.
Nel caso di alienazione di cose di interesse artistico o storico appartenenti ad enti o istituti legalmente riconosciuti in assenza di autorizzazione ministeriale, non soltanto il titolo non e’ valido, essendo colpito da nullita’ assoluta, ma anche la semplice traditio e’ vietata (L. n. 1089 del 1939, articolo 32), per ragioni di interesse pubblico prevalenti – sul piano dei valori immanenti all’ordinamento giuridico sull’interesse pubblico alla certezza del commercio mobiliare, posto a fondamento della norma dell’articolo 1153 c.c.
Tale regime giuridico punta, evidentemente, ad impedire che le disposizioni emanate a tutela delle cose d’interesse artistico e storico possano essere aggirate da chi callidamente, omettendo – in flagrante e consapevole violazione di tale legge – di chiedere l’autorizzazione prevista dall’articolo 26, abbia poi l’accortezza di rivendere e di consegnare a terzi l’oggetto d’interesse artistico o storico senza palesargliene la provenienza (o, comunque, senza che rimangano prove di un siffatto palesamento), con l’effetto di consentire al terzo di invocare l’acquisto della proprieta’ ai sensi dell’articolo 1153 c.c.
2.2. Le censure formulate col secondo motivo sono poi del tutto infondate anche sotto altro profilo.
La Corte di Firenze ha escluso la sussistenza dei requisiti per un valido acquisto “a non domino”, sia istantaneo (articolo 1153 c.c.) che mediante il decorso del decennio di possesso (articolo 1161 c.c.), per l’autonomo concorrere di due ragioni: a) il possesso non era di buona fede (rectius: sono stati acquisiti elementi di prova che consentono di ritenere superata la presunzione di buona fede ex articolo 1147 c.c., comma 3); b) la buona fede, in ogni caso, non era di giovamento, in quanto l’ignoranza sulla qualita’ del bene era dipesa da colpa grave (articolo 1147 c.c., comma 2).
A tali conclusioni la Corte territoriale e’ pervenuta sulla base della valutazione delle risultanze istruttorie, osservando che la circostanza che l’opera fosse soggetta a tutela era nota nell’ambito di settore, che il cospicuo carteggio amministrativo era di pubblica evidenza e che l’appellante, di professione antiquario, aveva tutti gli strumenti per previamente verificare la legittimita’ e la liceita’ dell’acquisto, di modo che non averli impiegati lo poneva in colpa grave.
Tale giudizio di fatto, relativo alla assenza della buona fede nell’acquisto da parte del (OMISSIS) e, comunque, alla sua colpa grave, non e’ sindacabile in sede di legittimita’; cosicche’ la censura, che punta chiaramente a sollecitare il riesame delle prove, risulta inammissibile.
Come ha costantemente statuito questa Suprema Corte, in tema di ricorso per cassazione, il libero convincimento del giudice di merito in tema di presunzioni e’ sindacabile nei ristretti limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, e cioe’ per mancato esame di fatti storici, anche quando veicolati da elementi indiziari non esaminati e dunque non considerati dal giudice sebbene decisivi, con l’effetto di invalidare l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento e’ fondato, nonche’ quando la motivazione non sia rispettosa del minimo costituzionale (da ultimo, Sez. 1, n. 10253 del 19/04/2021, Rv. 661151 – 01); di modo che e’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realta’, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (S.U. n. 34476 del 27/12/2019).
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 1147 e 1161 c.c.
Si deduce che “il tema dell’acquisto per usucapione (pur in mancanza di titolo idoneo) avrebbe potuto essere affrontato anche a prescindere dal requisito della buona fede, proprio in virtu’ della possibilita’ di riconoscersi all’odierno ricorrente di “unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti” (articolo 1146 c.c.), e di valersi, in tal modo, dell’usucapione ventennale di cui all’articolo 1161 c.c., comma 2″.
Il motivo e’ inammissibile.
Il ricorrente precisa di non pretendere “di sollevare in questa sede una questione non dibattuta dinanzi al Giudice del merito” (come sarebbe l’usucapione di cose mobili, ai sensi dell’articolo 1161 c.c., comma 2), ma solo di voler fornire “ulteriore argomento idoneo ad attestare l’insuperabilita’ della presunzione di buona fede del conseguito possesso (anzi, addirittura a dimostrare positivamente detta buona fede)”.
La critica, priva financo del modello tipico di cui alla griglia predisposta dall’articolo 360 c.p.c., si risolve in una mera osservazione, radicata sulle fragili basi d’una ipotesi congetturale, invocata a mero sostegno degli altri motivi.
Peraltro, il motivo punta a sottoporre a critica l’accertamento dei giudici territoriali circa l’assenza di buona fede del (OMISSIS) nell’acquisto del dipinto, risolvendosi cosi’ in una censura in ordine ad un giudizio di fatto, inammissibile in sede di legittimita’.
4. In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato al rimborso delle spese processuali in favore della controricorrente, che vanno liquidate, tenuto conto del valore, della qualita’ della causa e delle attivita’ svolte, siccome in dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000,00 (seimila/00) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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